Aprile 18th, 2024 Riccardo Fucile
LA DOCENTE DI LINGUISTICA TEDESCA: “CI SONO VOLUTI 100 ANNI MA CE L’ABBIAMO FATTA”
L’Università degli Studi di Milano ha scelto: per la prima volta, a un secolo dalla sua fondazione (1923), la rettrice sarà una donna. Con 1.651 voti, a seguito di un’intensa competizione elettorale e un primo turno di voto con una vasta partecipazione, Marina Brambilla è stata eletta alla guida dell’ateneo milanese per i prossimi sei anni, segnando una svolta storica. «Ci sono voluti 100 anni ma ce l’abbiamo fatta», ha commentato subito dopo il voto. Professoressa di linguistica tedesca e pro-rettrice con delega ai Servizi alla didattica e agli studenti, è diventata nota alle cronache nelle scorse settimane per essere stata la figura chiave della no tax area a 30mila euro di Isee, consentendo a uno studente su due di essere esonerato dal pagamento delle tasse universitarie. Con oltre due decenni di esperienza nell’ambiente accademico, Brambilla aveva ideato un programma elettorale particolarmente corposo con misure indirizzate ai docenti, agli studenti e a tutto il personale che ogni giorno attraversa i corridoi della Statale.
Gli obiettivi della neorettrice
L’incremento delle opportunità di studio all’estero, il potenziamento delle borse di studio e delle convenzioni per il sostentamento degli studenti, una maggiore disponibilità di alloggi e residenze per gli studenti: sono solo alcuni dei punti prioritari che aveva deciso di mettere in programma come obiettivi da realizzare qualora fosse stata eletta. Senza dimenticare il tema della sostenibilità, al centro della sua agenda con progetti che vanno dall’approvvigionamento da fonti energetiche rinnovabili alla promozione della raccolta differenziata dei rifiuti e alla rigenerazione delle aree verdi.
Le votazioni e gli sconfitti
Il primo turno di voto, svoltosi nei giorni 3 e 4 aprile scorsi, aveva già dato un quadro della situazione, rivelando il grande consenso raccolto dalla neorettrice con 1380 preferenze su 4.851 aventi diritto. Tuttavia, essendo necessaria la maggioranza assoluta (50% più uno) dei voti espressi, la competizione è proseguita con un secondo turno di voto. Sono così rimasti fuori il professore Luca Solari, direttore della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi e presidente della fondazione Unimi, che ha ottenuto 644 preferenze, e Gian Luigi Gatta, docente di diritto penale e già consigliere dell’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia, durante il governo Draghi.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2024 Riccardo Fucile
L’ESEMPIO PIÙ ECLATANTE: LA NORMA CHE PERMETTE A RENATO BRUNETTA, PRESIDENTE DEL CNEL, DI RICEVERE LO STIPENDIO DA 240MILA EURO, ANCHE SE PENSIONATO… E POI LA CLAMOROSA INTRODUZIONE DEI PRO-LIFE NEI CONSULTORI E I FONDI PER PERMETTERE A LOLLOBRIGIDA DI ASSUMERE ALTRI DIPENDENTI AL MINISTERO DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE
Un battito d’ali al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro
provocherebbe disastri al Piano nazionale di ripresa e resilienza. E allora per attuare il Pnrr il governo ha pensato bene di garantire uno stipendio a Renato Brunetta, nel ruolo di presidente del Cnel. Non ha altra spiegazione, altrimenti, la norma inserita e difesa strenuamente nel decreto Pnrr quater, che sarà approvato dalla Camera nelle prossime ore. Il via libera è scontato, nonostante la dura opposizione in Parlamento. Ed è solo una delle tante norme infilate in un provvedimento fortemente voluto dal ministro Raffaele Fitto, per aumentare il proprio potere sulla realizzazione del Piano
Il testo è diventato il solito Frankenstein. Una marmellata di leggine che diventano favori delle lobby più vicine – come le associazioni pro-vita che possono entrare nei consultori – o servono a finanziare misure spot, come i centri di accoglienza in Albania. Oltre ad accontentare qualche presidente amico, come nel caso del Cnel. Mascherando i tagli ai vari progetti.
La “legge Brunetta” – o meglio a favore dell’ex ministro – era scolpita nel testo dalla prima stesura e nonostante le critiche delle opposizioni, gli emendamenti che cancellavano la misura che ripristinava lo stipendio al presidente del Cnel (che da docente in pensione non avrebbe diritto) sono stati respinti.
Insomma, il governo di Giorgia Meloni ci teneva proprio a premiare il presidente del Cnel. E più in senso ampio, il Consiglio beneficerà di un milione di euro in più dal 2025 per assunzioni varie. Tutto sempre sotto il cappello del Pnrr.
E se lo stipendio di Brunetta è una priorità, nel provvedimento abbondano i casi di infornate ministeriali. Ancora una volta passa all’incasso il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che avrà la deroga per assumere un’altra unità con «funzione dirigenziale di livello generale». Uno dei compiti è quello di facilitare la revisione della spesa al Masaf, intanto l’operazione costerà 282mila euro.
Intorno al decreto Pnrr, la vicenda più rumorosa sotto il punto di vista mediatico è la possibilità concessa alle associazioni anti-abortiste di accedere ai consultori per un’attuazione molto di parte della 194, la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. I rappresentanti del mondo pro-vita hanno detto che non faranno ricorso alla norma. Intanto, al netto delle promesse, è stata messa a loro disposizione.
Il Piano di ripresa e resilienza si è insomma trasformato in territorio per la propaganda. Lo testimonia uno dei commenti voluti dal governo: sempre con la scusa del Recovery Plan sono stati reperiti gli stanziamenti (65 milioni in totale), destinati al ministero della Difesa, per i centri di accoglienza in Albania.
Peraltro, il decreto era nato con delle anomalie .
La più clamorosa era l’inserimento del pacchetto sicurezza sui luoghi di lavoro, schiacciato in un provvedimento che tratta un’altra materia. Alla fine, è stata introdotta la famosa patente a crediti, seppure con una partenza già posticipata all’1 ottobre. Ossia quando molti cantieri del Pnrr saranno stati già aperti, mentre i dati sugli incidenti mortali destano preoccupazione.
Alla Camera, però, non è stata solo una questione di misure piazzate qua e là. Viene infatti cancellato un miliardo e 200 milioni di euro alla voce del Pnrr “Ospedale sicuro e sostenibile” . Le Regioni dovranno attingere da altri fondi, secondo la tesi di Fitto.
C’è poi un altro aspetto procedurale che il decreto Pnrr quater ha ampiamente calpestato: gli appelli di Sergio Mattarella a evitare decreti omnibus, nati – sulla carta – con un obiettivo ma che finiscono per calamitare le norme più disparate. Il governo, spesso direttamente attraverso la premier Meloni, ha sempre tranquillizzato sulla volontà di rispettare l’iter delle leggi. Salvo che, alla prima occasione utile, ha prontamente ritirato fuori le vecchie abitudini.
Non l’avrà presa bene nemmeno il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che in passato aveva sollecitato i presidenti di commissione a valutare con attenzione l’attinenza degli emendamenti con il contenuto del provvedimento. E, con tutta la fantasia possibile, è difficile intravedere cosa possa centrare con il Pnrr la presenza delle associazioni pro vita nei consultori.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2024 Riccardo Fucile
RAFFICA DI MEME E PRESE PER I FONDELLI SUI SOCIAL
Più che un’imposizione, quella del ministro Francesco Lollobrigida sui formaggi nei menu dei ristoranti voleva essere una «sollecitazione» per valorizzare i prodotti caseari nostrani.
Ma non è bastata la sua smentita per frenare la valanga di meme sui social per l’ultima dichiarazione raccolta in un colloquio con il sito di Gambero Rosso.
Durante il Vinitaly a Verona, il ministro aveva avuto un colloquio con il direttore di Gambero Rosso, Marco Mensurati, al quale aveva detto: «Vorrei imporre un piatto dedicato al formaggio nei menu degli esercizi di ristorazione. Non il formaggio che accompagna, ma il formaggio che è il piatto, ricalcando un po’ il modello francese». Parole Lollobrigida dice siano state interpretate male: «Dispiace che un giornale che ha l’ambizione di essere riferimento del mondo della Qualità la dia in questo modo. Non c’è alcuna imposizione intesa come obbligo di legge, ma sollecitazione a valorizzare i nostri eccellenti formaggi».
Quando però è arrivata la smentita, sui social lo sfottò era già partito. Nei Meme, il ministro viene ritratto in vari fotomontaggi, parecchi con citazioni cinematografiche.
Come la locandina di «L’uomo che sussurrava ai cavalli» che diventano caciocavalli.
O quella de «Il Padrino», che diventa tomino. E via anche con «Parmigiano, mio parmigiano» con la scena madre del film «L’attimo fuggente».
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2024 Riccardo Fucile
“ABBIAMO UNA SCARSA CAPACITA’ DI REAZIONE A UN ATTACCO MISSILISTICO E CON DRONI”
Centinaia di missili e droni sono stati lanciati la notte tra sabato e
domenica dall’Iran verso Israele. L’operazione, denominata “True Promise”, ha visto l’impiego di circa 170 droni d’attacco (OWA UAV – One Way Attack Unmanned Aerial Vehicle), 30 missili da crociera per attacco terrestre (LACM – Land Attack Cruise Missile) e 120 missili balistici (BM – Ballistic Missile), lanciati a definiti intervalli di tempo dall’Iran per convergere in modo sincronizzato su target militari israeliani soprattutto sulle alture del Golan e nel deserto del Negev.
La totalità dei OWA UAV e dei LACM, nonché il 98% dei BM, sono stati individuati ed abbattuti dall’efficiente dispositivo di difesa aerea israeliano, ma anche da un ampio insieme di sistemi aerei, navali e terrestri, prevalentemente americani, ma anche britannici, francesi e di Paesi regionali preventivamente schierati nell’area.
Come spiega una recente analisi del CeSI (Centro Studi Internazionali) “il significativo apparato di sorveglianza e difesa dello spazio aereo dispiegato ha inoltre permesso di abbattere la maggioranza dei vettori d’attacco prima che raggiungessero il territorio israeliano. Alcuni BM hanno comunque colpito la base aerea di Nevatim, nel Negev, provocando danni complessivamente limitati, mentre detriti di un missile intercettato hanno causato il ferimento di almeno un civile”.
Ma cosa accadrebbe se un attacco di simili proporzioni venisse lanciato sull’Italia? Nella malaugurata ipotesi ciò dovesse accadere, il nostro Paese sarebbe pronto a difendersi? Fanpage.it l’ha chiesto al generale Leonardo Tricarico, ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare Italiana. E abbiamo scoperto che, sebbene i nostri sistemi di difesa siano in grado di individuare qualsiasi minaccia, le capacità di reazione sono piuttosto limitate.
Sabato notte l’Iran ha lanciato centinaia di missili e droni verso Israele come rappresaglia. Secondo molti analisti si sarebbe trattato di un attacco “telefonato”, ampiamente preannunciato, e ciò avrebbe consentito a Tel Aviv di difendersi efficacemente. Lei è d’accordo?
Non sono d’accordo. Questa ipotesi è stata avanzata da non esperti e va sfatata: quello di sabato non è stato un “colpo di teatro” dall’esito già scritto e predeterminato bensì una prova durissima, reale ed estremamente insidiosa. A questa prova è stato sottoposto l’intero sistema di difesa aerea israeliano, che ha potuto contare sull’appoggio di alcuni Paesi alleati. La capacità di difesa dello stato ebraico è stata molto convincente e ha generato in me una sensazione di sana invidia. Nessun altro Paese al mondo, di fronte a un’aggressione di questo tipo, avrebbe potuto ottenere risultati migliori di quelli di Israele.
Tuttavia gli Stati Uniti avevano avvisato Israele che un attacco da parte dell’Iran sarebbe avvenuto “entro 24-48 ore”…
Ma in quelle condizioni è un’informazione del tutto ininfluente. Conoscere in anticipo la data di un attacco ha certamente senso per un paese in “pace”, ad esempio l’Italia. Israele, al contrario, è in stato di guerra: l’attenzione a Tel Aviv è costantemente ai massimi livelli ed il sistema difesa aerea è il primo a recepire gli allarmi. Per questa ragione in Israele è attivo 365 giorni all’anno, 24 ore su 24.
La guerra in Ucraina ha mostrato al mondo l’importanza dei piccoli droni come arma di guerra. Come ci si sta organizzando per fronteggiare questa minaccia?
I droni sono comparsi sulla scena bellica per la prima volta nel 1999, in occasione della guerra nei Balcani: in quell’occasione ne avevamo a disposizione 28, appartenenti a più Paesi, e nessuno di quei velivoli venne utilizzato per operazioni di attacco. Servivano semplicemente a scopi di ricognizione, come “telecamere volanti”. Successivamente iniziammo ad utilizzare i droni come veri e propri sistemi d’arma: li mandavamo insieme ai velivoli da caccia ad “illuminare” i target da colpire. Da allora le potenzialità dei droni come strumenti di guerra si sono evolute immensamente ed oggi l’Italia dispone di sistemi sofisticatissimi come i Predator B. Sulla scena tuttavia ne stanno apparendo di altri: di fatto, è ancora in corso l’implementazione di questo strumento e insieme alla capacità offensiva si sviluppa anche quella difensiva.
In che modo?
Le opzioni sono due: i droni possono essere distrutti, oppure possono essere intercettati e “dirottati”. Questo va fatto manipolando o disturbando il segnale che, da terra, indirizza questi velivoli verso i loro obiettivi.
Speriamo non accada mai, ma se l’Italia un giorno dovesse essere bersagliata da un attacco simile a quello rivolto dall’Iran a Israele sarebbe pronta?
No.
Per quale ragione? Come funziona un sistema di difesa aereo?
Partiamo dalla capacità di individuazione del pericolo: l’Italia è inserita nella catena di avvistamento della NATO. Tutta la difesa aerea è sotto comando dell’Alleanza Atlantica anche in tempo di pace, quindi se viene individuata una minaccia non è l’Italia bensì la NATO ad intervenire. Esiste una sola deroga a questa circostanza: quando cioè il velivolo trasporta dei terroristi. In tal caso il nostro Paese può muoversi in autonomia.
Dal punto di vista della capacità di individuazione del pericolo quali sono le capacità italiane?
Il nostro è il Paese meglio attrezzato d’Europa. Oltre a disporre delle capacità NATO infatti ha messo a punto una capacità nazionale che ci consente di intervenire anche dove l’Alleanza Atlantica non è in grado di arrivare. Possiamo essere tranquilli che in Italia non passa neanche un granello di sabbia con intenzioni ostili. Insomma, per quanto riguarda le capacità di avvistamento non abbiamo assolutamente nessun problema.
Veniamo alle note dolenti. Perché poco fa ha detto di aver invidiato la capacità di risposta israeliana?
Mi spiego. L’avvistamento ovviamente non è sufficiente, perché in caso di pericolo occorrerebbe anche una capacità di reazione. Essa viene affidata agli intercettori pilotati e ai missili teleguidati. Dal punto di vista dei velivoli l’Italia non ha problemi di sorta perché si è dotata di una capacità addirittura superiore al fabbisogno nazionale; non a caso da dieci anni i nostri caccia vengono spediti nel nord Europa, dove sono più sguarniti. I nostri intercettori sono in servizio di sorveglianza 365 giorni all’anno, 24 ore su 24, con qualunque condizione meteo, e sono schierati su tutto il territorio nazionale. In caso di necessità sono in grado di decollare nel giro di pochi minuti. Il problema, dunque, è quello dei missili: in caso di attacco da parte di un Paese nemico l’Italia non disporrebbe di una capacità missilistica adeguata che le consenta di proteggere l’intero territorio nazionale. Dovremmo fare delle scelte ed “arrangiarci” con altri mezzi, ad esempio le navi, che anziché gli spazi marittimi dovrebbero proteggere le aree costiere. Però la coperta è molto, molto corta.
Per quale ragione?
Non abbiamo mai ritenuto di poter essere minacciati da aggressioni simili a quella subita tra sabato e domenica scorsi da Israele. È ragionevole pensare che da questo punto di vista gli italiani possono stare tranquilli, anche se l’attenzione da parte dei militari ovviamente è sempre massima. Tuttavia negli ultimi anni tutti i programmi di ammodernamento e potenziamento dei sistemi missilistici contraerei sono stati sistematicamente modificati, ridotti, rinviati o addirittura. Ne cito solo uno, chiamato CAMM-ER, un programma facente capa a Mbda, società anche italiana, dove solo nel 2022 è stato siglato un contratto di fornitura grazie al quale ci sarà prossimamente un potenziamento nella dotazione di sistemi missilistici per la difesa aerea.
Riepilogando: l’Italia può contare su un’eccellente capacità di identificazione delle minacce aeree, ma di una scarsa capacità di reazione a un attacco missilistico e con droni. È così?
Esattamente.
Se un nemico dovesse inviare uno “sciame” di piccoli droni verso l’Italia, essi verrebbero individuati?
In tempi di pace, come quelli odierni, non ne sarei così sicuro. Se invece dovesse innalzarsi il grado di allerta nessun velivolo ostile, di nessun tipo, potrebbe entrare nel nostro spazio aereo senza essere individuato.
(da Fanpage)
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Aprile 18th, 2024 Riccardo Fucile
E’ QUANTO SOSTENGONO LE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE NELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CON CUI IL 18 GENNAIO SCORSO HANNO DISPOSTO UN PROCESSO DI APPELLO BIS PER OTTO MILITANTI DI ESTREMA DESTRA CHE AVEVANO COMPIUTO IL SALUTO NEL CORSO DI UNA COMMEMORAZIONE A MILANO NEL 2016
Il saluto romano può essere reato anche se fatto durante una commemorazione. A definire il reato la valutazione del contesto ambientale, della ripetitività del gesto, della valenza simbolica e la possibile emulazione.
E’ quanto sostengono le Sezioni Unite della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui il 18 gennaio scorso hanno disposto un processo di appello bis per otto militanti di estrema destra che avevano compiuto il saluto nel corso di una commemorazione a Milano nel 2016. Una vicenda per la quale, precisa la Cassazione, la prescrizione è “maturata” nel febbraio scorso.
Per stabilire la sussistenza di reato, in caso di saluto romano, osserva la Cassazione, il giudice deve “in concreto” e alla luce di valutazioni complessive, accertare “la sussistenza” di una serie di elementi, tra cui “il contesto ambientale, la eventuale valenza simbolica del luogo, il numero dei partecipanti, la ripetizione insistita dei gesti”, idonei a dare concretezza al pericolo di “emulazione”.
Nella sentenza i Supremi giudici affrontano anche il tema del “saluto” in caso di commemorazioni. La Cassazione esclude che “la caratteristica ‘commemorativa’ della riunione possa rappresentare fattore” di “automatica insussistenza del reato”. Nell’atto gli ermellini ribadiscono quanto avevano affermato nel giorno della sentenza: la risposta “alla chiamata del presente” e il saluto romano “integra il delitto previsto” dall’articolo 5 della legge Scelba sulla ricostituzione del partito fascista “ove, avuto riguardo alle circostanze del caso” costituisca un concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista.
Questa condotta, inoltre, “può integrare anche il delitto di pericolo presunto, previsto” dall’articolo 2 della legge Mancino sui crimini d’odio “ove tenuto conto del contesto” sia espressione “di manifestazione delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi” che hanno tra i loro scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
I difensori degli imputati nel giorno della sentenza avevano sottolineato come la decisione degli ermellini sancisse che il saluto fascista “non è reato a meno che ci sia il pericolo concreto di ricostituzione del partito”. Una posizione ribadita anche alla luce della lettura delle motivazioni.
“Le Sezioni Unite confermano l’indicazione della necessità di verifica nel caso concreto del pericolo per l’ordine costituzionale – commenta l’avvocato Domenico Di Tullio – che, se non può essere escluso dalla finalità genericamente commemorativa, richiede certo modalità e caratteristiche che esulano dalle circostanze usuali, composte e solenni, della cerimonia del Presente e dal saluto romano a fini commemorativi in essa adottato”.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2024 Riccardo Fucile
“ARRIVERÀ AL 145% SERVE UN TAGLIO ALLA SPESA”… I CONTI DELL’ITALIA, DOPO IL REPORT PUBBLICATO DALL’FMI, FINIRANNO SOTTO GIUDIZIO DELLE AGENZIE DI RATING: STANDARD & POOR’S DARÀ LA SUA VALUTAZIONE DOMANI; A MAGGIO TOCCHERÀ PRIMA A FITCH E POI A MOODY’S
L’Italia è fra i Paesi “colpevoli” di spingere il debito mondiale e
dovrà fare maggiori sforzi di bilancio per i prossimi due anni. Il Fiscal Monitor del Fondo Monetario Internazionale presentato ieri a Washington nell’ambito degli Spring Meeting […] accende un faro su Roma alla luce dei dati sul debito pubblico, differenti e meno rassicuranti di quelli contenuti nel Def, sempre sotto il 140% del Pil nei prossimi quattro anni. Nel 2024 il debito italiano, invece, si attesterà secondo il Fmi al 139,2 per cento per poi salire progressivamente dal 140,4 del 2025 sino al 144,9% nel 2029.
Una netta risalita dopo il 2021 e il biennio 2022-2023. Sono cifre che fanno dire a Victor Gaspar, il responsabile dei dossier fiscali del FMI, che «sarebbe importante un credibile aggiustamento di bilancio per mettere il debito su una traiettoria di calo sostenibile». L’Italia è insieme a Stati Uniti e Cina uno dei Paesi finiti sotto la lente degli esperti di Washington. Gaspar ha definito il Belpaese «un Paese dove c’è per tradizione una preoccupazione per il mercato delle obbligazioni e per lo spread».
Nel report si sottolinea come quest’anno ben 88 Paesi andranno alle elezioni, e gli anni elettorali sono per consuetudine marcati da un aumento delle spese. Le politiche di bilancio tendono a divenire più flessibili e la conseguenze è un aumento del debito.
Il deficit negli anni elettorali tende a superare le previsioni di 0,4% del Pil se paragonato a quanto accade negli anni con un minor numero di elezioni. Sul caso italiano, il responsabile del Dipartimento degli Affari fiscali del Fondo ha osservato che nel nostro Paese ci «sono pressioni di spesa associate, ad esempio con l’invecchiamento della popolazione, nonché la necessità di investimenti i tecnologie green e nel digitale».
Implicito il richiamo del Fmi a mantenere la barra dritta. Gaspar ha parlato di «sforzi per salvaguardare le finanze pubbliche e ricostruire cuscinetti di bilancio». Nel 2023 il debito globale ha toccato il 93% del Pil, il 9% in più rispetto ai livelli pre pandemia. Il timore del Fmi è che senza un’inversione di tendenza fra qualche anno il livello del debito globale sarà al 100% del Pil. I conti dell’Italia finiranno, dopo quanto pubblicato dall’Fmi, sotto giudizio delle agenzie di rating: S&P darà la sua valutazione domani; mentre in maggio toccherà prima a Fitch e quindi a Moody’s».
(da la Stampa)
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Aprile 18th, 2024 Riccardo Fucile
L’INCREMENTO È DOVUTO AL RECUPERO DELLE VISITE E DEGLI ESAMI CHE ERANO STATI RINVIATI PER IL COVID E ALLE DIFFICOLTÀ NEL RIORGANIZZARE IL PERSONALE SANITARIO
Sono stati circa 4,5 milioni nel 2023 i cittadini che hanno dovuto rinunciare a visite mediche o accertamenti diagnostici per problemi economici, di lista di attesa o difficoltà di accesso, il 7,6% della popolazione, in aumento rispetto al 7,0% del 2022 e al 6,3% del 2019, probabilmente per recupero delle prestazioni sanitarie differite per il Covid-19 e difficoltà a riorganizzare efficacemente l’assistenza sanitaria.
E’ quanto si legge nel Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) dell’Istat, presentato oggi. Secondo i dati c’è un raddoppio della quota di chi ha rinunciato per problemi di lista di attesa (da 2,8% nel 2019 a 4,5% nel 2023), stabile la rinuncia per motivi economici (da 4,3% nel 2019 a 4,2% nel 2023), ma comunque in aumento rispetto al 2022: +1,3 punti percentuali in un solo anno. Torna inoltre ai livelli pre-Covid l’emigrazione ospedaliera extra-regione: nel 2022 l’8,3% dei ricoveri in regime ordinario per acuti.
Basilicata, Calabria, Campania e Puglia sono le regioni con maggiori flussi in uscita non compensati da flussi in entrata; in Sicilia e Sardegna, sebbene l’indice di emigrazione ospedaliera sia contenuto, è molto superiore all’indice di immigrazione ospedaliera. Risulta in continuo aumento la quota di anziani assistiti in Assistenza domiciliare integrata (Adi), dal 2,9% nel 2019 al 3,3% nel 2022, ma resta una forte variabilità territoriale: dal 3,8% nel Nord-est al 2,6% al Sud. Se si considera anche l’assistenza residenziale, rimane il Nord-est l’area con la maggiore presa in carico di anziani fragili (6,2% nel 2021) e il Sud con quella più bassa (2,8% nel 2021).
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2024 Riccardo Fucile
“HANNO RISORSE FINANZIARIE, IL PRODOTTO, COMPETENZE EDITORIALI E NESSUN INTRALCIO BUROCRATICO”
Il Terzo polo televisivo sta nascendo. L’obiettivo finale di
Discovery è di costruire una rete generalista che raggiunga il 10% di share. E Warner Bros Italia ci arriverà in due o tre anni.
Agostino Saccà, in Rai dal 1976 al 2007, vicedirettore di Rai2, direttore di Rai1, direttore generale della fiction, ne parla oggi in un’intervista a Repubblica. Dopo l’addio di Amadeus alla Rai, secondo Saccà, le intenzioni di Nove sono chiare: «Hanno risorse finanziarie, il prodotto, competenze editoriali e nessun intralcio burocratico. Si sono presi una bella ala che è Crozza, poi un’altra ala straordinaria che è Fazio, ora Amadeus, centrocampo di sfondamento sulla generalista».
L’ex dirigente Rai sostiene che TeleMeloni non ha influito sull’addio del conduttore di Sanremo: «Amadeus, da autore, troverà i format. Non si sarebbe mosso se la Rai avesse avuto modo di decidere. E non poteva produrre».
Mentre al servizio pubblico mancano prima di tutto «le risorse. Non hanno aumentato il canone per 12 anni, i vertici amano l’azienda, stimo Giampaolo Rossi. Il canone in Germania e in Inghilterra è più del doppio di quello italiano. Tutto il daytime della Rai costa 90 milioni. Discovery ha messo sul piatto 100 milioni in 4 anni su una persona. Se si va avanti così la Rai è morta. Non si possono spendere neanche duemila euro».
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2024 Riccardo Fucile
“GLI ITALIANI MANGIAVANO POLENTA E MORIVANO DI FAME, NON SI NUTRIVANO COME QUALCUNO VUOLE FARCI CREDERE”… “LA NOSTRA CUCINA NASCE DALLA CONTAMINAZIONE CON QUELLE DI MOLTI ALTRI PAESI E SI È ARRICCHITA SOLO NEGLI ULTIMI 60 ANNI”
Alberto Grandi con Daniele Soffiati ha scritto La cucina italiana non esiste , uscito ieri per Mondadori. Il libro promette di sfatare «bugie e falsi miti sui prodotti e i piatti cosiddetti tipici», cosa che i due autori fanno anche nel podcast Gedi “Doi Denominazione di origine inventata”. Grandi insegna Storia del cibo a Parma e che qualche anno fa osò mettere in discussione la carbonara. «Un giornalista romano mi disse: alla fine dell’intervista le metto le mani addosso. Avevo detto una cosa che ora è sdoganata, cioè che è un piatto più americano che italiano, che di fatto la prima ricetta fu pubblicata negli Usa».
Le presunte tradizioni della nostra gastronomia sono tante, tutte inviolabili: «Toccare un mito della cucina italiana e metterne in discussione le radici centenarie, o millenarie, è visto come un affronto – prosegue Grandi – Anche se noi non critichiamo mai la qualità di questi piatti». Per sfatare i falsi miti serve dimostrare, dati alla mano, quanto siano inverosimili: «Cerchiamo di spiegare – dice Soffiati – come fosse impossibile che gli italiani, che mangiavano polenta e morivano di fame, potessero nutrirsi come qualcuno vuole farci credere ». Un popolo costretto a emigrare in massa verso l’America.
È lì che gli italiani hanno conosciuto «una nuova varietà di cibi, hanno iniziato davvero a mangiare la carne, hanno scoperto una cucina che poi ha iniziato a contaminarsi e a diventare più ricca», prosegue Soffiati. Vale anche per il pomodoro. Perché da noi la salsa un tempo era una rarità. «Il pomodoro è due volte americano – precisa Grandi – È americana la pianta e pure l’uso della salsa come base della nostra cucina. Gli italiani la scoprono Oltreoceano, grazie all’industrializzazione che si è impossessata del settore. Anche la pizza diventa rossa in America, prima era una focaccia, a volte con dei pezzi di pomodoro».
Quindi la cucina italiana “autentica” non esiste? «Per come la intendono i gastronazionalisti, no – spiega Soffiati – La nostra cucina nasce dalla contaminazione con quelle di molti altri Paesi e si è arricchita solo negli ultimi 60 anni». E poi c’è il marketing. La seconda parte del libro è dedicata a sfatare le leggende legate a personaggi storici ai quali è attribuita la passione per ricette e prodotti.
Ma perché, negli ultimi anni, tra gli italiani è nata questa fissazione per la “tradizione” in cucina? Secondo Grandi il motivo è che «non ci è rimasto molto altro. Siamo un Paese in crisi identitaria e il cibo è una delle nostre poche bandiere. E poi è funzionale alla retorica di una certa parte politica: tutto il mondo ci assedia e vorrebbe farci abbandonare il nostro straordinario cibo per mangiare insetti o carne coltivata». Cosa salvare, allora, della cucina italiana? «La vera forza della nostra tradizione gastronomica sta nella capacità di mescolare e fare nostri tradizioni e ingredienti diversi, con semplicità».
(da agenzie)
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