Maggio 2nd, 2024 Riccardo Fucile
ERA PRESENTE ANCHE NEI SOPRALLUOGHI NELL’ABITAZIONE DI REGENI E DOVE È STATO RITROVATO IL CADAVERE… SI TRATTA DEL COLONNELLO EGIZIANO UHSAM HELMI, INCASTRATO DA ALCUNE FOTO E IDENTIFICATO IN AULA DAL COLONNELLO DEL ROS, LORETO BISCARDI… HELMI SAPEVA TUTTO DEGLI SVILUPPI DELL’INDAGINE, HA AVUTO IL TEMPO DI TUTELARSI E DI DILEGUARSI
C’era agli incontri tra investigatori italiani ed egiziani. Anche durante i sopralluoghi congiunti nell’abitazione di Giulio Regeni o quando la polizia ha percorso la strada che conduce fino alla metropolitana di piazza Tahir, dove il 25 gennaio 2016 il ricercatore è stato sequestrato.
Il colonnello Uhsam Helmi era presente sempre, anche quando il 10 febbraio la squadra di esperti italiani è stata accompagnata sul luogo dove è stato fatto ritrovare il cadavere di Regeni, lungo un cordolo di cemento armato, sul cavalcavia che incrocia la Cairo Alessandria Desert Road.
“Quello con gli occhiali da sole è il colonnello Helmi, era presente molto spesso”, conferma in aula il colonnello del Ros dei carabinieri Loreto Biscardi, mentre sullo schermo scorrono le immagini dell’imputato sulla scena del crimine, in prima linea con i colleghi egiziani e italiani.
Il testimone, spronato dalle domande del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, rivela che uno dei quattro imputati del processo ha seguito le indagini da vicino. Sapeva gli sviluppi, aveva il tempo di tutelarsi. Non c’è da stupirsi dunque se al momento opportuno si è volatilizzato, quando le accuse di sequestro, tortura e omicidio hanno puntato verso gli agenti della National Agency del Cairo.
E non sorprende dunque neanche il fatto che agli investigatori italiani siano state fornite le piste investigative più disparate, nessuna minimamente vicina alla verità alla quale è poi arrivata la procura di Roma. “La primissima ipotesi prospettata dalla National Agency – conferma in aula il direttore dello Servizio Centrale Operativo della polizia Vincenzo Nicolì – era relativa a un incidente stradale”.
“Ma era incompatibile sia per la posizione del cadavere sia per le condizioni del ritrovamento del corpo”, prosegue. “Al team investigativo italiano – spiega – man mano che si andava avanti furono prospettate diverse ipotesi tutte corroborate verbali di sommarie informazioni o da attività giornalistiche che ci venivano prospettate come ipotesi”. Ancora: “Una delle piste più suggerite fu quella di un ipotetico coinvolgimento di Giulio Regeni in un traffico di opere rubate”.
Fonti confidenziali, sostenevamo gli egiziani, dicevano che il ricercatore italiano era stato sequestrato e torturato nell’ambito di un giro di opere d’arte trafugate. “Altro tema riguarda la sfera sessuale”, ha detto Nicolì riferendosi all’ipotesi “che Regeni si era mostrato interessato a una ragazza” e che questo fatto “avrebbe suscitato la reazione degli amici” della donna. E ancora gli egiziani hanno fatto riferimento a una “sorta di litigio avvenuto nei pressi dell’ambasciata”.
Erano depistaggi, si scoprirà dopo. Arrivati al culmine il 24 marzo, quando proprio mentre il team italiano stava rientrando in patria, magicamente l’Egitto annuncia di aver trovato i colpevoli. Erano cinque rapinatori, criminali comuni. Nulla a che vedere con la morte di Regeni. Piuttosto sembrano agnelli (ma non troppo) sacrificali. Tutti uccisi in un conflitto a fuoco.
“Secondo loro quella mattina una batteria di rapinatori ricercati avrebbe occasionalmente incrociato pattuglia polizia egiziana e ne scaturisce un conflitto a fuoco” ha ricostruito Alessandro Gallo, del team investigativo italiano. È un esperto, un professionista con anni di esperienza alle spalle. E nota subito che c’è qualcosa di strano. Le foto del pulmino crivellato di colpi dimostrano che la polizia ha sparato frontalmente, ma dai corpi delle vittime si nota che i proiettili li hanno colpiti da dietro. I tabulati dei rapinatori erano “carenti”.
Tuttavia quanto gli stessi egiziani hanno consegnato agli italiani dimostra che durante il sequestro Regeni il capo era a 100 chilometri di distanza e non ci sono contatti tra tutte le persone coinvolte. Impossibile, come impossibili sono le fantomatiche testi fornite dagli egiziani mentre il principale indagato, il colonnello Helmi, “quello con gli occhiali da sole” seguiva le indagini passo per passo.
E la prima settimana di aprile, durante un incontro italo egiziano, tutto divenne chiaro. “Un punto di volta fu la riunione che si svolse in due giorni, il 7-8 aprile 2016 – spiega Nicolì – La parte italiana in quell’occasione ha dato conto delle richieste fatte dal nostro Paese rimaste inevase, soprattutto sui dati tecnici. Nel corso dell’incontro, dopo l’intervento del professor Fineschi (il medico legale ndr) che aveva eseguito l’autopsia eseguita sul corpo del ricercatore, il clima divenne più rigido. Dopo questo incontro ci fu il ritiro dell’ambasciatore da parte dell’Italia”.
(da La Repubblica)
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Maggio 2nd, 2024 Riccardo Fucile
IL NUMERO DI ELETTI SI E’ RIDOTTO DEL 36,5%, MA LE DOTAZIONI FINANZIARIE DI CAMERA E SENATO NON SONO CALATE DI UN CENTESIMO
Le nuove gestioni delle Camere in formato ancien régime debuttano come si faceva una volta. Con un grazioso presente agli onorevoli. Un paio di mesi dopo le elezioni del 25 settembre 2022 il bonus per l’acquisto di smartphone e tablet viene innalzato da 2.500 a 5.500 euro. Ma sono strumenti di lavoro, che diamine! Senza i social media che cosa farebbero i nostri eletti? Il presidente del Senato porta a casa ogni mese poco meno di 19.000 euro netti, compresi 3.500 di diaria e 5.830 di rimborsi. Il suo collega della Camera sta invece intorno ai 18.000 euro netti, perché i rimborsi sono meno ricchi.
Un deputato normale, qual è per esempio Piero Fassino, guadagna una cifra più bassa, naturalmente. Ai circa 5.000 euro netti al mese dello stipendio non può infatti sommare l’indennità aggiuntiva spettante al presidente (4.223 euro netti). Ma neppure quella che tocca ai vicepresidenti delle Camere, ai questori e ai presidenti delle commissioni. Per questi ultimi la cifra da aggiungere alla paga mensile è di 2.227 euro lordi, corrispondenti a 1.269 netti. A luglio 2023 il beneficio di un’indennità aggiuntiva identica a quella stabilita per i presidenti delle commissioni è stato esteso ai capi dei gruppi parlamentari.
Molti di loro hanno però rinunciato, anche perché i soldi dovrebbero essere presi non dalle risorse del Parlamento, bensì dai fondi degli stessi gruppi. E qui si svela il primo clamoroso bluff del taglio del numero degli onorevoli. Lo stipendio di deputati e senatori è fermo da anni e l’inflazione ne ha mangiato un discreto pezzo. Ma 5.000 euro netti al mese, più annessi e connessi che portano il totale fra quota 12.000 e 14.000 secondo i casi, non si possono considerare una paga da miseria. Anche in rapporto ai risultati del lavoro di molti fra gli eletti.
Così non la pensa evidentemente Fassino, che il 2 agosto 2023, mentre si vota il bilancio interno di Montecitorio, si alza in piedi sventolando il cedolino: «L’indennità che ciascun deputato percepisce ogni mese dalla Camera è di 4.718 euro al mese. Si tratta di una buona indennità ma non è certamente uno stipendio d’oro». E si astiene.
Un tafazzismo che fa correre un brivido lungo la schiena di tutta la sinistra, dove si rivedono balenare i forconi di chi una somma simile la vede in sei mesi. Quando va bene. Ma se l’ex segretario dei Democratici di sinistra avesse letto con attenzione il bilancio della Camera prima di quella discutibile iniziativa, avrebbe magari potuto apprezzare su un altro piano la generosità dei contribuenti italiani verso i loro eletti.
Perché con 230 deputati in meno, come conseguenza del taglio dei seggi voluto dal Movimento 5 Stelle nella legislatura precedente, ma votato con masochistico entusiasmo anche dal Pd, i soldi destinati ai gruppi parlamentari sono rimasti gli stessi.
Alla Camera presieduta da Lorenzo Fontana lo stanziamento è di 30.870.000 euro: esattamente come nel 2022, nel 2021, nel 2020. E se dividiamo questa somma per 400, quanti sono i deputati, fanno 77.175 euro a cranio. L’anno, ovviamente. Cioè 28.175 euro in più rispetto ai 49.000 pro capite della Camera con 630 seggi. L’aumento reale è del 57,5 per cento. Ancora meglio al Senato. Lo stanziamento per i gruppi, rimasto identico, è di 22.120.000 euro.
La divisione per 205, quanti sono i senatori (compresi quelli a vita) dopo la sforbiciata dei seggi, dà un risultato di 107.902 euro. (…) Sebbene il numero dei parlamentari sia ridotto del 36,5 per cento, le dotazioni finanziarie di Camera e Senato non si riducono di un centesimo. Cioè per i 600 deputati e senatori attuali il Tesoro dà gli stessi soldi di prima, come fossero ancora 945. Complessivamente poco meno di un miliardo e mezzo: 943.960.000 euro alla Camera, 505.360.500 euro al Senato. (…) Il peso sull’Erario di ogni seggio, tutto compreso, è di 2.359.900 euro: 861.559 euro in più. Mentre al Senato il costo è di 2.465.173 euro: 885.922 euro in più.
Ancora abbiamo davanti agli occhi quello striscione imbracciato dai deputati del Movimento 5 Stelle davanti al palazzo di Montecitorio in favore di telecamera dopo che la riduzione del numero dei parlamentari è diventata legge. Prima riga: «Meno 345 parlamentari». Seconda riga: «1 miliardo per i cittadini». Che per ora non hanno visto un centesimo. (…) I compensi del personale di ruolo del Senato raggiungono i 120 milioni.
Per 595 persone: tanti sono i dipendenti fissi al 1° gennaio 2023. Se la matematica non è un’opinione, la media pro capite sfonda lo spettacolare tetto dei duecentomila euro. Esattamente 201.680 euro lordi l’anno. Quasi il doppio della paga di un primario ospedaliero con venticinque anni di anzianità. E almeno due volte il costo medio del personale del Parlamento europeo. Vi chiederete: ma non esiste in Italia il tetto di 240.000 euro lordi alle retribuzioni dei dipendenti pubblici? Se la media è quella, chissà quanti stipendi superano di slancio quel limite. Giusta deduzione.
Pochi sanno che nel Parlamento vige una regola che si chiama «autodichìa». È un principio in base al quale nella Camera e in Senato ogni decisione viene presa autonomamente e nessuno ci può mettere bocca. Né il governo né la Corte dei Conti. Vale per tutto ciò che riguarda il funzionamento delle Camere, dal trattamento economico degli onorevoli a quello del personale. Che può quindi accedere a benefici inimmaginabili per i comuni mortali.
Figurarsi per gli altri dipendenti pubblici, anche di livello dirigenziale. Quando viene introdotto il tetto dei 240.000 euro, nel 2014, anche il personale del Parlamento mastica amaro. Il tetto viene però introdotto in un modo così singolare che consente di superarlo. Per esempio, i segretari generali con stipendi da mezzo milione e oltre si accontentano di scendere intorno ai 360.000 euro. A differenza degli altri dipendenti pubblici, inoltre, il tetto è a scadenza. Dura solo tre anni. Poi, dal 2018, l’incubo finisce.
Secondo i bilanci del Senato, fra il 2001 e il 2023 il compenso medio pro capite dei dipendenti passa da 96.650 a 201.680 euro lordi l’anno. L’aumento reale delle paghe, considerando quindi l’inflazione, è del 36,2 per cento. Non così bene va alla Camera, dove lo stipendio medio sale nello stesso lasso di tempo da 91.745 a 175.986 euro lordi l’anno. Con un incremento reale nettamente inferiore: più 25,2 per cento. Ma fantascientifico per il resto del genere umano statale. (…) Brutta bestia, l’autodichìa. Brutta per le finanze pubbliche, s’intende. Non per chi se la gode.
I vitalizi, per esempio. Nella legislatura dominata all’inizio dal Movimento 5 Stelle era arrivata una stretta. Probabilmente abbastanza discutibile dal punto di vista tecnico. Dopo tante esagerazioni bisognava comunque aspettarsela. Ma a salvare le cose c’è sempre l’autodichìa. Perché con quel sistema non soltanto le decisioni vengono prese in autonomia, ma pure i ricorsi. Per capirci, a giudicare sulle rimostranze verso un provvedimento preso dal Parlamento sono gli stessi parlamentari.
C’è in Senato un organo apposito, il Consiglio di garanzia. Ne fanno parte cinque senatori: uno è presidente, e in caso di parità il suo voto vale doppio. A luglio dello scorso anno gli tocca decidere sul taglio dei vitalizi stabilito nel 2018 dalla maggioranza a Cinque Stelle, che incideva sui senatori con almeno cinque anni di mandato all’attivo prima del 2012. Sempre a partire dal 2012 sulle pensioni degli ex onorevoli, perché di pensioni in piena regola si tratta, viene applicato il metodo di calcolo non più sulla base dello stipendio, ma dei contributi effettivamente versati.
Il problema è che il taglio viene fatto applicando il metodo contributivo anche ai periodi precedenti al 2012, con il risultato di ridurre drasticamente alcuni assegni già in pagamento. Fioccano i ricorsi e si arriva fatalmente al Consiglio di garanzia, presieduto da un ex senatore di Forza Italia, Luigi Vitali, che è stato sottosegretario di un governo di Silvio Berlusconi. Non è uno sbaglio: si tratta proprio di un ex senatore. Dalle elezioni sono trascorsi ormai nove mesi ma il collegio di garanzia non è stato mai rinnovato. Quindi è ancora in carica quello precedente, nonostante alcuni suoi componenti non siano stati rieletti.
Fra cui, appunto, il presidente. Che oltre ad avere l’età per incassare il vitalizio (ha 68 anni) è stato parlamentare per quasi quattro legislature prima del 2012, data fatidica dell’entrata in vigore del metodo contributivo. Al dunque, i rappresentanti della Lega e di Fratelli d’Italia si dicono contrari, mentre l’esponente del Partito democratico si astiene. Ai due voti contrari si contrappongono i due voti favorevoli di un ex senatore del Movimento 5 Stelle (!) e di Vitali. Siccome il voto del presidente vale doppio in caso di parità, il ricorso viene accolto. E il taglio dei vitalizi eliminato.
Il brano è un’anticipazione dal libro “Io so’ io. Come i politici sono tornati a essere intoccabili” (Solferino)
Sergio Rizzo
(da lespresso.it)
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Maggio 2nd, 2024 Riccardo Fucile
LE RESPONSABILITA’ DELL’AD DELLO STRETTO DI MESSINA SPA
Risulta, da indiscrezioni di stampa, che il 17 aprile scorso l’amministratore delegato della Stretto di Messina SpA Pietro Ciucci abbia fatto una telefonata di fuoco al ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini in una pausa dei lavori della Conferenza di Servizi, convocata per dare il via libera al cosiddetto progetto definitivo (PD) 2024 del Ponte sullo Stretto di Messina.
Gli erano saltati i nervi dopo aver letto, incredulo, che fosse stato reso noto un pesante documento della Commissione Tecnica di Valutazione di Impatto Ambientale che demoliva il PD.
Infatti, il 15 aprile scorso la Commissione Via del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha richiesto 237 integrazioni di documenti alla Società Stretto di Messina SpA, nell’ambito della valutazione del cosiddetto progetto definitivo del Ponte.
Ciucci si è sentito tradito, perché il progetto del ponte sullo Stretto di Messina lo vede proprio come una sua creatura. Il ministro Salvini ha messo la sordina sul ponte nella campagna elettorale per le Europee, quando ha capito che non ci sarebbe stato alcun nastro da tagliare prima dell’8 e 9 giugno.
Il ponte di Ciucci è una creatura più vicina a Frankenstein che a Bella Baxter. Sui tavoli tecnici arriva nel 2003 il progetto preliminare (PP) del ponte a campata unica di 3,3 km di lunghezza sorretta da torri alte 400 metri. che passa una prima fase di Via, solo perché nel 2001 era stato innescato il turbo delle procedure derivanti dalla legge Obiettivo.
Poi, un errore dietro l’altro: nel 2011-2012 viene elaborata la prima versione di PD. Persino la pavida Commissione di Via nel 2013 non ebbe il coraggio di dare il suo assenso e, comunque, rese una Valutazione di Incidenza negativa. E ora le bordate della Commissione Via sul PD 2024 e le 534 pagine di Osservazioni, che demoliscono sistematicamente la presunta sostenibilità ambientale del progetto, redatte ad associazioni ambientaliste (Italia Nostra, Kyoto Club, Legambiente, Lipu, WWF) e comitati locali (Associazione “Invece del Ponte” e Comitato No Ponte Capo Peloro).
I disegnini e i progetti si succedono, ma se c’è una certezza è che Ciucci da 2002 al 2013 è sempre lì, amministratore delegato di Stretto di Messina SpA. Votato al martirio, Ciucci è stato riesumato insieme alla concessionaria pubblica SdM SpA nel 2023, dopo il lungo sonno della stessa concessionaria che nel 2013 era stata messa in liquidazione a seguito del passo falso del General Contractor Eurolink (capeggiato da Webuild) che non riuscì a produrre entro il 1° marzo 2013 i documenti tecnici ed economico-finanziari.
Insomma, è su Ciucci che ricadono le maggiori responsabilità passate, presenti e future; passate perché è stato l’ad di SdM SpA, il padre dell’atto integrativo 2009 al contratto 2006 tra SdM SpA ed Eurolink. Atto integrativo che la Corte dei Conti ha valutato nel 2016 che abbia favorito il privato. Inoltre, è stata la SdM SpA a dare ad Eurolink (capeggiata da Impregilo e ora da Webuild) gran parte di quei 213 milioni di euro in studi, ricerche e progetti inconcludenti dal 1981 al 2013.
Non risulta, poi, che Ciucci abbia fatto qualcosa nel 2012 per scongiurare la costruzione della bretellina ferroviaria di Cannitello (costata 26 milioni di euro) che è stata realizzata per aggirare un pilone del ponte fantasma, trasformatasi ora in ecomostro.
Nel 2013, con ad Ciucci, la concessionaria pubblica SdM SpA viene messa in liquidazione e avanza una scandalosa richiesta di indennizzo allo Stato per 300 milioni di euro (!)
Sempre la Corte dei Conti freddamente rileva che si tratta di una richiesta in contrasto con i principi di proporzionalità, razionalità e buon andamento dell’agire amministrativo. Ma nonostante tutto ecco che il ministro Salvini, per premio, nel 2023 rimette in campo Ciucci di nuovo come ad della SdM SpA.
Ciucci è tornato a dirigere l’orchestra, ma il cosiddetto PD 2024 del ponte, che l’ad SdM SpA ha contribuito convintamente a rilanciare, ha incassato il 29 gennaio scorso 68 punti critici persino dallo stesso Comitato Scientifico della SdM SpA (su aspetti rilevanti quali la resistenza del ponte a terremoti devastanti e a venti turbolenti).
Ciucci era in Conferenza di Servizi il 16 aprile, sinora non bloccata, a sostenere un PD già morto (la richiesta di integrazioni alla Via è del 15 aprile). Sempre Ciucci, intemerato, ha cominciato un giro per parlare con i Comuni interessati dei vincoli preordinati di esproprio. Ci domandiamo, ingenui, come possa Ciucci, in tutta coscienza, andare in giro a promuovere qualcosa di indifendibile.
Per il futuro ci auguriamo solo che non voglia avallare l’idea della costruzione di piccole opere complementari (la bretellina ferroviaria lì, la tangenziale stradale là, il raddoppio di una galleria o anche un dissalatore, il muraglione…) ad un ponte che non sarà mai costruito. Ci auguriamo che questo destino da commesso viaggiatore imbarazzi l’ad di Stretto di Messina SpA. Anzi, ci permettiamo di suggerire, visto che le valigie sono già pronte: perché non mettere fine a questo viaggio tribolato? Non è mai troppo tardi.
Ufficio relazioni istituzionali WWF Italia
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Maggio 2nd, 2024 Riccardo Fucile
“CHI VOTA VIENE TRATTATO COME BALUBA CON L’ANELLO AL NASO”
“Io e Giorgia Meloni abbiamo questa particolarità in comune: un soprannome che è uguale al nome. Una cosa rarissima, forse unica al mondo”. È la risposta ironica che il direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio dà a Lilli Gruber nella trasmissione Otto e mezzo (La7) sul suo editoriale del 30 aprile, che reca il titolo “Giorgia detta Giorgia” e la firma “Marco detto Marco”.
Travaglio spiega: “La mia era una battuta per cercare di sottolineare la tripla truffa elettorale di cui gli italiani sono vittime. La prima truffa elettorale è condivisa da Giorgia Meloni con Elly Schlein, con Antonio Tajani e con Carlo Calenda, perché sono tutti parlamentari che non lasceranno il Parlamento italiano per andare al Parlamento europeo. Quindi, nel caso della Meloni, l’elettore che sulla scheda scrive Giorgia Meloni o Giorgio Meloni o Giorgia o quel cavolo che gli pare ha già la certezza matematica che quel nome è una truffa“.
E continua: “La seconda truffa elettorale è che ‘Giorgia detta Giorgia’ è anche primo ministro e in Europa non esistono primi ministri che si candidano alle europee, perché altrimenti dovrebbero smettere di fare i primi ministri. Visto che in Europa a nessuno mai verrebbe in mente di candidarsi a un posto che non andranno a occupare e per giunta fanno i primi ministri (peggio mi sento quando sono parlamentari come la Meloni), a maggior ragione non si candidano”.
“La terza ‘truffettina’ di Giorgia Meloni – aggiunge Travaglio – riguarda persone quasi decerebrate, credo, perché mi chiedo: che idea ha la Meloni dei suoi elettori se pensa che non siano in grado di scrivere per intero il suo nome e il suo cognome? Insomma, è una tripla truffa elettorale. Io mi auguro che gli elettori si ribellino sia alla truffa tripla della Meloni, sia a quelle singole di Schlein, di Calenda e di Tajani, perché vengono davvero trattati come dei baluba con l’anello al naso“.
Circa Matteo Renzi, infine, il direttore del Fatto chiosa: “Su di lui sospendo il giudizio perché, tra quelli che si sono candidati avendo il seggio sotto le terga, è stato l’unico a dire che lascerà il Parlamento in caso di sua elezione alle europee. Vedremo se sarà di parola, sarebbe la prima volta”.
(da agenzie)
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Maggio 2nd, 2024 Riccardo Fucile
“IL GENERALE E’ UNA SCELTA DI SALVINI, IO CONTRARIO A CLASSI SEPARATE E A MUSSOLINI STATISTA”
“Vannacci in lista? Nessuna battaglia. Il generale, come ama farsi chiamare, non è capolista ma sono scelte che ha fatto il partito”: commenta così il presidente del Veneto, Luca Zaia, che tuttavia si dice in disaccordo con alcune dichiarazioni di Vannacci.
“Non condivido – rileva – la proposta delle classi separate e la concezione di Mussolini come Statista”. Poi ricorda che Il generale è candidato indipendente, non è con la Lega “che ha i suoi valori”, mentre Vannacci “ne avrà altri”. “Se lo voterò? Mi sentirei un traditore – conclude – a non votare un veneto”.
“I suoi ideali sono la Costituzione e la Costituzione prevede l’autonomia quindi questo vale per tutti. L’autonomia è prevista anche da Costituzione. Tutto il resto sono divagazioni sul tema”. Così il presidente del Veneto a chi gli chiedeva un commento circa la posizioni patriottiche e centraliste del generale Vannacci, candidato per le Europee a Nord Est in penultima posizione.
Il 25 Aprile “non penso sia un amarcord e che sia attualissimo, ma non diventi ogni anno motivo di scontro. Io mi metto nei panni dei ragazzi che vedono questo dibattito tutti gli anni. Parliamo del 25 Aprile per parlare di libertà, di democrazia, di tutto quello che possiamo trasmettere ai giovani. Parliamo di Resistenza, dei valori della Resistenza, di Tina Anselmi che è una figura quasi mitologica”. Così Zaia. “L’appello è che diventi la festa di tutti, a prescindere dalle polemiche. C’è anche chi approfitta del 25 Aprile per fare polemica, non è neanche rispettoso nei confronti di chi è morto”, ha aggiunto.
(da agenzie)
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Maggio 2nd, 2024 Riccardo Fucile
STAVA FACENDO UN SOPRALLUOGO A TAVERNANOVA PER DENUNCIARE LO STATO DI ABBANDONO DA PARTE DELLE AUTORITA’… L’AGGRESSIONE NONOSTANTE LA SCORTA
Il deputato di Avs Francesco Borrelli è stato minacciato da alcuni giovani malviventi durante un sopralluogo a Tavernanova, tra Casalnuovo di Napoli e Pomigliano d’Arco. «Ti spariamo due botte nelle gambe», gli hanno urlato contro. Borrelli era nel napoletano per «mostrare e denunciare la situazione di inciviltà di persone che quotidianamente consumano cibi e bevande del McDonald’s gettando poi cibo, carte, involucri, bicchieri e contenitori di plastica nel parcheggio dell’autolavaggio limitrofo al locale».
«Ad un certo punto – si legge in una nota del parlamentare, che si trovava con il giornalista Pino Grazioli – quando l’area parcheggio ha cominciato ad affollarsi di ragazzini e giovani, l’aria si è fatta tesa. Alcuni soggetti hanno rivolto insulti e minacce a Borrelli e alla scorta. Due ragazzi in scooter coperti da cappucci si sono avvicinati urlando, `Ti spariamo due botte nelle gambe´.
Poi altri giovani sono arrivati con delle auto a tutta velocità sgommando nel parcheggio e minacciando. Gli uomini della scorta hanno chiamato rinforzi, ma intanto hanno valutato la pericolosità della situazione e deciso di allontanarsi.
Sia l’auto degli agenti che quella del giornalista Grazioli sono state però inseguite con macchine e scooter per un lungo tratto da un gruppo di soggetti il cui scopo era quello di intimidire e provocare danni».
«Due ragazzi in moto senza casco hanno minacciato di spararmi. A un certo punto siamo stati letteralmente circondati da soggetti minacciosi che non temono nulla visto che ci hanno anche inseguito. Nell’incredibile inseguimento uno scooter e due auto hanno tentato di affiancarci e hanno colpito con un oggetto contundente l’auto di Grazioli cercando di farla andare fuori strada. È stata una serata assurda che dimostra quanto in questi luoghi occorrano più controlli e come certi ragazzini si sentano padroni di intere aree ritenendosi intoccabili. Se pensano di avermi intimidito – conclude Borrelli – si sbagliano di grosso visto che ho chiesto immediatamente interventi frontali per bonificare l’area e ci tornerò a breve. Non possiamo permettere che questi delinquenti facciano vivere nel terrore gli abitanti del posto e chi vuole passare una serata di svago».
(da agenzie)
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Maggio 2nd, 2024 Riccardo Fucile
LA RIVOLTA INTERNA AL PARTITO
Il vicepremier italiano Matteo Salvini sta affrontando una rivolta aperta contro la sua leadership, all’interno del suo partito di estrema destra, la Lega, dopo aver scelto un omofobo e filo-russo come candidato principale per le prossime elezioni europee.
Il malcontento, soprattutto nella tradizionale roccaforte nel prospero nord Italia, è cresciuto negli ultimi mesi, quando Salvini ha perso il sostegno di gran parte della base del partito a favore dell’arci-conservatore Primo Ministro Giorgia Meloni.
Ma questa rabbia che ribolliva da tempo è esplosa la scorsa settimana quando Salvini ha scelto il controverso generale dell’esercito italiano Roberto Vannacci – recentemente sospeso dal servizio attivo a causa di un libro incendiario da lui pubblicato – per guidare la lista di candidati della Lega alle elezioni parlamentari dell’UE di giugno.
Negli ultimi anni molti esponenti si sono allontanati dalla Lega, per arruolarsi nel partito della Meloni, Fratelli d’Italia o nel più centrista Forza Italia, fondato dal defunto Silvio Berlusconi. Questa tendenza è destinata ad accelerare dopo l’ultima mossa di Salvini.
“Salvini è un egoista”, ha dichiarato l’imprenditore milanese Paolo Grimoldi, ex deputato della Lega fino al 2022. “Tutti hanno capito che con lui non abbiamo un futuro politico. Non prendiamo più voti e stiamo andando abbastanza velocemente verso un disastro elettorale e politico. Ma lui non vuole dimettersi”.
A seguito di questa agitazione, il mese scorso il fondatore del partito Umberto Bossi ha fatto una rara apparizione pubblica per chiedere un nuovo leader e un reset politico per impedire alla Lega di perdere consensi tra gli elettori.
“Salvini è nei guai, guai seri”, ha dichiarato Daniele Albertazzi, esperto di politica italiana presso l’Università del Surrey. “Gli stanno praticamente sparando addosso da tutte le direzioni”.
I sondaggi danno Forza Italia potenzialmente in grado di superare la Lega nel voto di giugno, mentre la Meloni rimane la stella indiscussa della destra italiana e leader di una coalizione di tre partiti con Forza e la Lega.
“Berlusconi è un leader migliore dal cielo di quanto lo sia Salvini dalla terra”, ha detto Grimoldi. “Salvini ha un problema di coerenza e credibilità”. Le radici politiche della Meloni affondano in un movimento neofascista, ma negli ultimi due anni ha virato verso il centro per ampliare il suo appeal elettorale. Salvini ha risposto alla sua ascesa cercando di affiancarla all’estrema destra – e ha raddoppiato questa strategia nominando Vannacci, un “guerriero culturale” polarizzante, come candidato principale del suo partito.
Ex membro di un’unità d’élite di incursori, Vannacci era l’addetto militare di Roma a Mosca quando il presidente russo Vladimir Putin ordinò l’invasione su larga scala dell’Ucraina nel 2022. Dopo il suo ritorno in Italia, il generale ha pubblicato un libro molto controverso che critica il liberalismo occidentale, intitolato “Il mondo alla rovescia”.
In esso descrive i gay come “anormali”, chiama le femministe “streghe moderne”, si lamenta del fatto che l’atleta di colore Paola Egonu non “sembra italiano” ed esalta il fascino della Russia di Putin. Il ministero della Difesa lo ha sospeso per 11 mesi per cattiva condotta in relazione al libro.
Più di recente ha anche descritto il dittatore fascista Benito Mussolini come “uno statista” e ha sostenuto che i bambini con disabilità devono essere educati separatamente dagli altri studenti.
Membri di vecchia data della Lega, come il ministro delle Finanze Giancarlo Giorgetti, hanno espresso il proprio disappunto per l’allontanamento del partito dal suo programma storico di federalismo fiscale, riduzione delle tasse e della burocrazia.
“Non si può essere alternativi alla Meloni andando all’estrema destra”, ha detto Grimoldi. “Il mio partito è nato per parlare di tasse, meno Stato e più libertà, non per allearsi con [politici] che pensano che i bambini disabili non debbano andare a scuola”.
Utilizzatore compulsivo ed esperto di social media, ammiratore sfegatato di Putin, Salvini ha guidato la Lega dal 2013, riorientandola da movimento regionale favorevole agli affari nel nord del Paese a partito populista di estrema destra.
Indugiando su quello che descrive come il flagello dell’immigrazione clandestina, ha portato la Lega a una sorprendente vittoria nelle elezioni europee del 2019, quando ottenne il 34% dei voti. Ma da allora la sua stella è in declino.
Poco dopo le ultime elezioni europee, Salvini ritirò il sostegno del suo partito al governo di Giuseppe Conte, sperando di scatenare un voto lampo per il Parlamento italiano, sfruttare la sua popolarità e andare al potere. Annunciò la sua decisione da una località balneare, indossando un costume da bagno e con un Mojito in mano.
Ma il gioco si è ritorto contro di lui: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si rifiutò di indire elezioni anticipate e, dopo la pandemia di Covid-19, l’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi è stato incaricato di guidare il Paese attraverso la crisi.
Alle elezioni generali del 2022, molti elettori conservatori erano stati conquistati dalla Meloni, che, a differenza di Salvini, si è impegnata a sostenere l’Ucraina dopo l’invasione su larga scala da parte della Russia ed è apparsa nel complesso come un politico più serio. Nel voto che ha portato all’attuale governo di coalizione, il partito della Meloni ha ottenuto il 26%, mentre la Lega è scesa sotto il 9%.
“Ha commesso errori madornali… non ha credibilità nemmeno tra gli elettori di destra”, ha detto Albertazzi. Salvini sta lottando per la sua sopravvivenza politica, in vista del congresso della Lega, che ha promesso per l’autunno, quando gli scontenti del partito faranno quasi certamente pressione per spodestarlo.
Se alle elezioni di giugno il suo partito scenderà “sotto il 10%” e dietro Forza Italia “sarà evidente che si tratta di un partito senza scopo”, ha detto Albertazzi. “È una questione esistenziale”.
Amy Kazmin
(da ft.com)
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Maggio 2nd, 2024 Riccardo Fucile
LA FOTO MENTRE IMBRACCIA UN FUCILE E LO PUNTA VERSO CHI GUARDA
L’europarlamentare di Fratelli d’Italia Pietro Fiocchi ha deciso di ricandidarsi alle elezioni per il Parlamento europeo. E fino a qui non c’è nulla di strano. A far nascere la polemica, però, sono i manifesti di un suo evento elettorale: lo raffigurano mentre imbraccia un fucile e punta verso una simbolica preda. L’immagine ha attirato non poche critiche, eppure Fiocchi aveva già scatenato polemiche per un cartellone simile.
Polemiche per il manifesto di Pietro Fiocchi
Il primo a sollevare dubbi sull’opportunità del manifesto di Fiocchi è stato il portavoce e deputato di Europa Verde, Angelo Bonelli. “È la destra di Giorgia Meloni che odia animali e natura. È un’immagine di una violenza inaudita! Quel fucile puntato non è una minaccia solo per gli animali ma per tutti noi! Dietro Giorgia si nascondono questi personaggi che provocano solo vergogna e disgusto. Ricordatelo”.
Con queste parole Bonelli ha commentato su X (già Twitter) il manifesto di un evento elettorale che ritrae Fiocchi, già eletto al Parlamento europeo e ricandidato per le elezioni del prossimo 8 e 9 giugno, con un fucile in mano. Proprio lui che proviene da una famiglia proprietaria di una azienda di munizioni. E che non ha mai negato la sua passione per le armi.
Gli auguri di Natale con bossoli e cartucce da sparo
Fiocchi non è infatti la prima volta che realizza e diffonde sue immagini che inneggiano alle armi. Lo scorso Natale ha tappezzato la sua città d’origine, Lecco, con manifesti in cui lo ritraevano seduto davanti a un albero natalizio decorato con bossoli e cartucce al posto delle più tradizioni e consone palline.
All’epoca si difese dicendo: “Intendevo semplicemente fare gli auguri ai cacciatori e, in generale, al mondo rurale”. Chissà, invece, questa volta come intenderà motivare la scelta di presentarsi sui manifesti con un fucile, mentre è intento a mirare una non precisata preda, proprio dalla parte di chi guarda.
(da Fanpage)
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Maggio 2nd, 2024 Riccardo Fucile
UN GENERALE CHE NON CONOSCE NEANCHE IL CODICE SULL’ORDINAMENTO MILITARE
Roberto Vannacci, si trova al centro di un complesso dibattito legale e politico riguardo alla sua candidatura alle prossime elezioni europee. Nonostante il forte sostegno di Matteo Salvini, vicepremier e leader della Lega, il Codice sull’Ordinamento Militare impedisce la sua partecipazione nelle elezioni nella circoscrizione del Centro Italia, dove ha precedentemente prestato servizio. Questo dettaglio è confermato dall’avvocato e professore di diritto mi
litare Massimiliano Strampelli della Link University, che ha rilasciato un’intervista a Repubblica per motivare il suo parere.
Il Codice militare specifica che ufficiali che hanno comandato in una certa circoscrizione non possono candidarsi in quella stessa area. Secondo Strampelli, ciò è suffragato dall’articolo 1485 del codice e dall’articolo 7 del d.p.r. 361/57, che stabiliscono chiaramente l’ineleggibilità degli ufficiali in tali circostanze. La Guida tecnica del Ministero della Difesa conferma ulteriormente questi limiti.
Nonostante l’ambiguità su norme specifiche per il Parlamento europeo, Strampelli suggerisce che le norme nazionali su potenziali conflitti di interessi e condizionamento delle scelte dovrebbero applicarsi anche a livello europeo.
Le elezioni potrebbero quindi presentare ostacoli legali non superabili per Vannacci, considerando anche il suo status di sospensione cautelare dal servizio che non mitiga la causa originaria di ineleggibilità.
Infine, l’avvocato sottolinea la necessità di un dialogo tra gli organi tecnici del ministero della Difesa e gli uffici elettorali per chiarire questi complessi aspetti del diritto militare e garantire la corretta applicazione delle norme in contesti elettorali così delicati.
(da agenzie)
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