Maggio 9th, 2024 Riccardo Fucile
“IL NUOVO STRUMENTO PROVOCHERA’ UN AUMENTO DELLA POVERTA’ ASSOLUTA E INFANTILE, RISPETTIVAMENTE DI 0,8 E 0,5 PUNTI PERCENTUALI”… E’ LA DESTRA ASOCIALE, SERVA DELLE LOBBY E DEI POTERI FORTI
L’analisi condotta dalla Commissione Europea nell’ambito del semestre europeo rivela che l’assegno di inclusione introdotto in Italia determinerà un aumento dell’incidenza della povertà assoluta e infantile, rispettivamente di 0,8 e 0,5 punti percentuali, rispetto al regime precedente. Questo è quanto emerge dal rapporto sulla convergenza sociale dedicato al nostro Paese, in cui si evidenzia il rischio di una diminuzione dell’impatto nel contrasto alla povertà a causa di criteri di ammissibilità più stringenti introdotti con il nuovo regime. L’analisi della Commissione Europea si è focalizzata su più ambiti, dall’istruzione all’occupazione, dalla povertà alla questione meridionale, mettendo in luce potenziali rischi per la convergenza sociale nel paese. Nonostante sforzi e progressi, soprattutto nell’ambito dell’occupazione, viene sottolineato che con ulteriori azioni l’Italia potrebbe affrontare meglio le sfide che incombono nell’ambito del mercato del lavoro, della protezione sociale, dell’inclusione e dell’istruzione.
«Il Decreto Lavoro? Insufficiente»
Per quanto riguarda il lavoro, la Commissione Europea segnala che, nonostante lievi miglioramenti nel 2023, «la percentuale di contratti a tempo determinato rimane tra le più elevate nell’Unione Europea». Questo, combinato con l’alta incidenza di forme di lavoro non standard (tra cui il lavoro stagionale), «contribuisce a una diminuzione del numero di settimane lavorate all’anno e alimenta l’ineguaglianza e la volatilità dei guadagni annuali». Le recenti riforme, come il decreto Lavoro, non sono ancora considerate sufficienti nel risolvere il problema dei contratti precari.
I salari bassi
Anche le retribuzioni, «strutturalmente basse», rappresentano una grande criticità, con una crescita inferiore rispetto alla media dell’Unione europea e un potere d’acquisto in diminuzione. «Tra il 2013 e il 2022, la crescita dei salari nominali per occupato è stata del 12%, metà della crescita a livello dell’Ue (23%), e mentre il potere d’acquisto nell’Ue è aumentato del 2,5%, in Italia si è ridotto del 2%», si legge nel report. «La stagnazione salariale, la bassa intensità di lavoro e i bassi tassi di occupazione, insieme a un’elevata percentuale di famiglie monoreddito, comportano significativi rischi di povertà lavorativa», nota l’esecutivo Ue.
(da agenzie)
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Maggio 9th, 2024 Riccardo Fucile
L’AD AMMETTE: “SERVONO APPROFONDIMENTI CON INDAGINI DI CAMPO”
Slitta ancora l’iter di approvazione del progetto del Ponte sullo Stretto caro al ministro Matteo Salvini.
Con una nota ufficiale il presidente della società Stretto di Messina Pietro Ciucci chiede al ministero dell’Ambiente una sospensione di quattro mesi per rispondere alle oltre 270 richieste di chiarimento fatte dalla commissione Via-Vas al progetto consegnato dai privati e approvato dal cda della Stretto di Messina. Richieste di chiarimenti su cose fondamentali, come i materiali, le prove antisismiche e del vento, i piano di cantieri, lo smaltimento die rifiuti, il rischio inquinamento dell’area.
“Risponderemo in tempi brevi”, aveva assicurato il ministro. Ma i 30 giorni previsti dalla commissione Vis-Vas del ministero dell’Ambiente non bastano più.
“Alcuni approfondimenti prevedono indagini di campo, come ulteriori rilievi faunistici terrestri, batimetrici e subacquei, ai quali la Società intende dedicare la massima attenzione utilizzando pienamente i tempi consentiti dalla normativa”, dicono dalla Stretto di Messina.
La fretta all’iter per realizzare il Ponte impressa dal governo Meloni e in particolare dal ministro Matteo Salvini che puntava ad aprire i cantieri questa estate si scontra con la realtà di un progetto aggiornato in pochi mesi e vecchio di oltre dieci anni.
Adesso solo avere le autorizzazioni per il progetto definitivo non se ne parla prima dell’inizio del prossimo anno e per quello esecutivo i tempi sono altri 90 giorni almeno.
Significa che i cantieri non apriranno prima della fine del prossimo anno. Forse.
Scrive in una nota Sdm: “La società Stretto di Messina, nell’ambito della procedura in corso di valutazione di impatto ambientale, di concerto con il Contraente Generale Eurolink, ha ritenuto opportuno di richiedere al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica – MASE, ai sensi della normativa vigente una sospensione di 120 giorni dei termini per la presentazione della documentazione integrativa richiesta che, con i nuovi termini temporali, sarà consegnata entro metà settembre 2024”.
“La decisione – spiega l’amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci – è motivata dalla eccezionale rilevanza dell’opera e riflette la volontà e il massimo impegno della Società nel fornire puntuali ed esaurienti risposte alle richieste di integrazioni e chiarimenti sugli elaborati tecnici del progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina, presentate dalla Commissione VIA e VAS del MASE. Alcuni approfondimenti prevedono indagini di campo, come ulteriori rilievi faunistici terrestri, batimetrici e subacquei, ai quali la Società intende dedicare la massima attenzione utilizzando pienamente i tempi consentiti dalla normativa”.
(da agenzie)
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Maggio 9th, 2024 Riccardo Fucile
LE ULTIME TRE NELL’ULTIMA SETTIMANA: L’EX MINISTRA E SINDACA DI BERLINO, FRANZISKA GIFFEY, L’EURODEPUTATO MATTHIAS ECKE, 41 ANNI, CAPOLISTA SPD ALLE EUROPEE, E UNA POLITICA DEI VERDI
Nuovo attacco ai politici, stavolta nella capitale. L’ex sindaca di Berlino, Franziska Giffey, è stata aggredita alle spalle martedì pomeriggio da un uomo che l’ha colpita con una sacca riempita di oggetti pesanti. Giffey, 46 anni, è stata medicata e le ferite sono lievi.
L’aggressore, 74 anni, è noto per «precedenti crimini d’odio». Ma l’episodio ha avuto un’ampia eco. Perché Giffey (Spd) è nota, ex ministro di Merkel e tuttora super-assessora all’economia a Berlino. Soprattutto però perché è il terzo attacco ai politici in meno di una settimana, e l’improvviso clima di aggressività — che era rimasto sottotraccia, confinato ai social e semmai discusso dagli attivisti — sembra essere uscito alla vista di tutti.
Venerdì scorso è stato attaccato l’eurodeputato Matthias Ecke, 41 anni, capolista Spd alle europee in Sassonia: picchiato da un gruppo di quattro teenager mentre attaccava manifesti a Dresda, ha riportato molteplici fratture che hanno richiesto un intervento chirurgico.
I quattro sono stati identificati: sono membri del gruppo Elblandrevolte (Rivolta nella terra dell’Elba, ndr), fazione che aderisce a Heimat (patria), a sua volta organizzazione giovanile del partito neonazi Ndp. E sempre martedì, un’altra politica verde è stata picchiata mentre faceva volantinaggio. Il cancelliere Olaf Scholz ha definito l’aggressione a Giffey «rivoltante e codarda».
Lei stessa ha scritto un post su Instagram, dicendo che c’è un limite chiaro che non si può superare, ed è «la violenza contro le persone che esprimono un’opinione diversa, per qualsiasi motivo e in qualsiasi forma».
(da agenzie)
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Maggio 9th, 2024 Riccardo Fucile
IN UNA RIUNIONE PER LE AMMINISTRATIVE DI GENOVA DI FEBBRAIO 2022, TOTI IMMAGINA DI CHIEDERE UN AIUTO AI TESTA E IL SUO CAPO DI GABINETTO, MATTEO COZZANI, CHE AVEVA DISATTESO LA PROMESSA DI ASSUMERE UNA PERSONA A LORO VICINA, TREMA: “QUESTI MI SQUARTANO”
Che i finanziamenti elargiti dalla comunità “riesina” di Genova attraverso i gemelli Italo Maurizio e Angelo Arturo Testa avessero una provenienza quantomeno opaca doveva essere chiaro un po’ a tutti. Probabilmente anche al governatore della Liguria Giovanni Toti, visto che al suo capo di gabinetto Matteo Cozzani aveva precisato che i «possibili» soldi donati da quell’ambiente «vanno ritirati a mano» e non con bonifico, come si fa per tracciare le erogazioni a sostegno politico-elettorale.
Il problema dei fratelli Testa è che risulterebbero intrecciati a doppio filo con ambienti mafiosi, in particolare con il clan Cammarata del Mandamento di Riesi (Sicilia), sodalizio che ha infiltrato tutta la provincia di Genova anche attraverso la comunità “riesina”, particolarmente numerosa in Liguria.
I Testa sono uno snodo fondamentale nei presunti accordi politici con i clan di cui risponde solo Cozzani, accusato di corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso. Eppure, in una riunione del 13 febbraio 2022 sembra che la loro provenienza sia abbastanza nota agli interlocutori. Un particolare che emerge dagli atti della Procura di Genova che martedì ha svelato la presunta rete corruttiva all’interno della Regione Liguria.
A quell’incontro di febbraio, svoltosi nell’ufficio regionale del presidente, partecipano con Toti e Cozzani il sindaco di Genova Marco Bucci ma anche la segretaria e la portavoce di Toti, Marcella Mirafiori e Jessica Nicolini. Gli investigatori della Guardia di finanza ascoltano tutta la conversazione grazie alle cimici ambientali. I quattro — riassumono i magistrati — discutono sulla «pianificazione della imminente campagna elettorale in favore della ricandidatura del primo cittadino», Bucci.
Il «cuore della conversazione» riguarda «la quantificazione del budget necessario per la campagna elettorale, stimato in circa 250mila euro». Si ragiona su come reperire quel denaro, sulle cose da fare e si pensa a «cene a pagamento, che vedrebbero la partecipazione del sindaco» destinate a una rete di «grandi e piccoli finanziatori».
Sempre nel corso della riunione del 13 febbraio, il governatore, scrivono i pm, «chiedeva agli interlocutori di valutare anche il sostegno dei “riesini”». Un’affermazione che per i magistrati avrebbe provocato «una reazione preoccupata» nel capo di gabinetto Cozzani, che esclama «oh mio Dio». Lo stesso, inoltre, ricorda a Toti «stacci lontano da quelli lì ci mettono in galera…i Riesini quelli di…», con il governatore che risponde «…i Testa!».
Secondo la Nicolini, però, i Testa avevano già partecipato a una precedente cena elettorale, tanto che lo stesso Toti «raccomanda che — riassumono gli investigatori — possibili erogazioni avrebbero dovuto essere prelevate “a mano” (“vanno ritirati a mano”)».
Tuttavia, continua ancora la Nicolini, ad occuparsi del rapporto con i Testa non poteva più essere Cozzani, che aveva disatteso la promessa di assumere una persona a loro vicina, tanto che lo stesso capo di gabinetto esclama «se no mi squartano», con il governatore che risponde «ma perché non gli abbiamo dato dei soldi?».
Ma qual era esattamente il rapporto tra Cozzani e i Testa? Per chiarirlo bisogna andare indietro di due anni, al 2020, in occasione delle elezioni regionali vinte da Toti. Cozzani, attraverso l’onorevole Alessandro Sorte — deputato di centro-destra tra il 2018 e il 2022, nonché presidente dell’associazione riesini nel mondo — entra in contatto con i fratelli Testa. Dal contenuto degli atti e delle intercettazioni […] «si comprendeva chiaramente che Cozzani agiva su mandato di Toti».
I fratelli Testa avrebbero avuto un ruolo determinante nel far convergere su Toti i voti «contigui ad ambienti della famiglia di Riesi, consorteria mafiosa radicata a Genova». Un sistema di presunte «corruttele elettorali» per ottenere voti in cambio di promesse di posti di lavoro rivolte a persone vicine alle consorterie.
Così è per l’assunzione di Gaetano Genco, fidanzato di Anna Maurici, figlia di Venanzio Maurici, fratello di Vincenzo Maurici, sindacalista «legato da vincoli di parentela con la famiglia Cammarata». Di tutto questo sistema opaco che passava dai Testa e dalla comunità di Riesi a Genova, Cozzani sembra esserne a conoscenza. Nel 2020, infatti, ne parla con l’onorevole di centro-destra Manuela Gagliardi, deputata tra il 2018 e il 2022.
Cozzani, è riassunto negli atti, «palesava a Gagliardi una certa preoccupazione, evidentemente rappresentandosi una possibile contiguità dei suoi interlocutori con ambienti mafiosi, tanto da confidarle “me ne frega soltanto che un bel giorno…una mattina non vorrei trovarmi la Dia in ufficio”».
(da agenzie)
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Maggio 9th, 2024 Riccardo Fucile
“NESSUNA TRACCIA DI MINACCE E INTIMIDAZIONI, SOLO CORI LEGITTIMI DI PROTESTA PER CONTESTARE LE TESI DELLA MINISTRA”…. ANCHE OGGI STESSA SITUAZIONE, NESSUNO HA OBBLIGATO LA ROCCELLA AD ANDARSENE, E’ STATA UNA SUA SCELTA PER POTER POI FARE LA VITTIMA
Era solo una protesta, legittima, contro un’esponente politica. E’ la motivazione, in estrema sintesi, per la quale la Procura di Torino ha deciso di archiviare le 23 denunce per violenza privata alle attiviste di Extinction Rebellion, Non Una Di Meno e Fridays for Future scattate dopo la contestazione alla ministra per le Pari Opportunità Eugenia Roccella al Salone del libro, il maggio scorso.
All’arrivo della ministra attivisti dei movimenti si erano alzati in piedi, intonando cori e reggendo dei cartelli con scritto “Giù le mani dai corpi e dalla terra”, interrompendo di fatto l’intervento di Roccella. “Una protesta – ricordano le associazioni – volta a denunciare le posizioni anti-abortiste della ministra e le politiche climatiche e sociali del governo nazionale e regionale”.
Le motivazioni dei giudici sottolineano: “Non vi è traccia di condotte implicitamente o esplicitamente minacciose, violente o intimidatorie poste in essere dalle manifestanti” e “non è stato posto in essere nessun comportamento latamente minatorio, se non intonare cori e sovrastare con la propria voce la voce dei relatori”.
“È passato un anno, Torino tra qualche settimana ospiterà – afferma Extinction Rebellion – il G7 Energia, clima e ambiente. Mentre l’Italia annuncia l’ennesimo piano di investimenti in combustibili fossili in Africa, si parla già di zona rossa e di intere città militarizzate. Non sembrano essere i ministri coloro a cui viene tolta la parola. E questa vicenda ne è l’ennesima conferma”.
“L’inserimento del finanziamento alle associazioni antiabortiste nel decreto Pnrr – proseguono i movimenti – rafforza le motivazioni di quella protesta, l’evidenziare lo squilibrio tra il potere di chi legifera sul corpo delle donne e lo sfruttamento del pianeta e chi ha solo la propria voce e il proprio corpo per esprimersi”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 9th, 2024 Riccardo Fucile
CI VOGLIONO RISORSE, NON CHIACCHIERE IDEOLOGICHE: MELONI CACCI 2.000 EURO AL MESE FINO A 18 ANNI E VEDRA’ CHE GLI ABORTI SI DIMEZZERANNO (FACCIA PAGARE LE TASSE AGLI EVASORI)
A Roma tornano gli Stati generali della natalità, a cui partecipano anche diversi membri del governo e dove è protagonista la retorica tutta meloniana sul valore della genitorialità e in particolare della maternità. Ma è davvero la “narrazione” il motivo per cui si fanno pochi figli in Italia?
Se così fosse, non si spiegherebbero questi dati: secondo l’Istat, il 45,4% delle donne in età compresa tra i 18 e i 49 anni non ha figli, ma soltanto il 17,4% di loro non ha intenzione di averne perché non rientrano nei propri progetti di vita. Il restante 27% delle donne non va convinto con una storiella accattivante sulla necessità di mettere al mondo un figlio, perché lo vuole già ma evidentemente non lo può avere.
Se ci fossero condizioni di vita migliori, se gli stipendi fossero più alti, se i contratti fossero a tempo indeterminato, se esistesse una rete di welfare efficiente, se i fondi per gli asili nido non fossero stati ridimensionati, gli italiani farebbero tutti i figli che desiderano (cioè tanti, secondo l’Istat).
E li farebbero come coppie e come famiglie, senza scaricare la responsabilità della denatalità sulle sole donne.
Ogni volta che questo governo mette bocca sull’autonomia delle loro scelte, sembra pensare che le donne possano essere semplicemente convinte a rivedere le priorità della loro vita. Se non vuoi figli, una fiction Rai ti può far cambiare idea mostrandoti quanto è cool la maternità.
Se vuoi interrompere una gravidanza, devi prima passare da una serie di figure autorizzare dal governo che ti fanno terrorismo psicologico su ciò che ti stai perdendo.
E allora via, con le tavole rotonde, i convegni, i regolamenti, addirittura gli “Stati generali” per capire come organizzare al meglio questa opera di convincimento.
Ma quel 17,4% di donne non cambierà idea sulla maternità perché glielo suggerisce lo Stato o un panel di giornalisti. Pensare di poter modificare le scelte riproduttive delle donne agendo sulla narrazione, in altre parole sulla propaganda, forse è attuabile in regimi illiberali come quello ungherese. Un Paese democratico, invece, farebbe di tutto per far sì che le persone che già hanno progetti di genitorialità possano realizzarli davvero.
(da Fanpage)
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Maggio 9th, 2024 Riccardo Fucile
“SI COMPRA CON TRE FAVORI PIDOCCHIOSI” (LA MATTINA FARÀ DIETROFRONT DANDO L’OK ALLA CONCESSIONE)… IL NO ARRIVA DA RINO CANAVESE: “LA DELIBERA È FASULLA. HO AVUTO PRESSIONI MA NON MI SENTO DI VOTARLA”… IL GIORNALISTA GIORGIO CAROZZI, INIZIALMENTE CONTRARIO, DICEVA AL TELEFONO: “HAN PRESO IN TANTI LA STECCA CHE FACEVANO DI TUTTO PER FARLA PASSARE, E’ UNA DELIBERA TRUFFA”. MA POI CAROZZI DISSE SI’
“Il membro del comitato portuale non vuole firmare la concessione a Spinelli? È un ragazzetto saccente che vuole solo visibilità. È uno che si compra come carta unta». È il 13 ottobre del 2021 e per Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, è un momento di tensione e fatica. Da una parte ci sono i contributi di Spinelli che riempiono il portafoglio del suo comitato elettorale, ma dall’altra c’è l’assoluta necessità di accontentare l’amico imprenditore. Che non transige e vuole la concessione trentennale del terminal Rinfuse.
La parola decisiva spetta ai tre saggi del comitato portuale che dovranno pronunciarsi proprio la mattina successiva ma Andrea La Mattina, avvocato dello studio Erede Bonelli che nel board rappresenta la Regione Liguria, non ne vuole sapere di firmare l’ok alla concessione. Toti è agitato. Convoca proprio La Mattina per un pranzo. Sceglie il ristorante Santa Teresa di via Porta Soprana, si fa accompagnare dal suo fidato Pietro Paolo Giampellegrini.
Del contenuto dell’incontro i militari del nucleo di polizia economica e finanziaria della guardia di finanza vengono a conoscenza grazie alla telefonata che Toti ha con il presidente del porto Paolo Emilio Signorini. Lo definisce un ragazzino «saccente», lo deride dandogli del «professore». In realtà lo scopo è convincere il presidente dell’Autorithy ad incontrare proprio La Mattina «per dargli un po’ di “considerazione».
«Sperava di entrare in autorità portuale e di avere un mimino di visibilità», insiste Toti con Signorini. Uno che si può comprare con «tre favori pidocchiosi». Toti è particolarmente nervoso. Accusa il presidente Signorini di «dare scarsa visibilità alla Regione». «Ci avete invitato i ministri – attacca il governatore – e non ci avete neanche invitato, del porto non caga nessuno».
E ancora. «Ho chiesto una cagata per conto dei miei. Non so se Benveduti (Andrea, ex assessore allo sviluppo economica ora in Ansaldo) e Rixi (Edoardo, viceministro al trasporti ndr) su una associazione di pescatori…Piacenza (Paolo, direttore generale Autorità Portuale ndr) non mi ha mai risposto. Micragnose piccolezze». Signorini è in balia di Toti, quasi si scusa. E promette lunedì di «prenderci un caffè».
Toti rincara la dose, lo incita ad assecondare ogni sua possibile richiesta proprio per ammorbidire la posizione del membro del comitato che si è maggiormente imputato: «Se c’è tre piaceri pidocchiosi da fare su tre gozzi da spostare da qualche banchina di Pra’ per Edoardo Rixi dagli un interlocutore che glielo faccia fare…uno che non faccia figure di merda». L’incontro ci sarà e La Mattina rivedrà la sua posizione dando l’ok alla concessione trentennale per Spinelli.
A dire sì sono l’avvocato e Giorgio Carozzi (ex giornalista de Il Secolo XIX) che nel board rappresenta il Comune. Il no arriva da Rino Canavese che è il referente per Savona e che la mattina dopo parla duramente proprio con la Mattina. «Sono molto preoccupato per quella delibera – dice- non ci sta, è fasulla. Anche io ho avuto pressioni ma non mi sento di votarla». Definisce la documentazione presentata da Spinelli: «Una presa per il culo». «Sono piani industriali – spiega – che non stanno né in cielo né in terra perché sono fasull», attacca. Anche Carozzi è scettico prima del voto.
«Ma è totalmente chiara questa porcata -dice a La Mattina – che solo Piacenza ci poteva cadere come un… E Toti perché poi non so per quali motivi non mi interessa neppure saperlo». Al telefono Carozzi rincara la dose parlando con un giornalista: «han preso talmente in tanti la stecca che facevano di tutto per farla passare, che è una cosa allucinante da ogni punto di vista…». Carozzi la definisce «una delibera truffa». E aggiunge: «Signorini ha spinto fino all’ultimo, lo ha fatto però su indicazione di Toti».
E ancora: afferma che l’entourage dell’Autorithy era composto da «pazzi, venduti, corrotti, incapaci» e rimarca il concetto con un «c’è… tutto e di più». I tre sembrano così contrari alla decisione favorevole Spinelli che Signorini in una call li prende in giro per le loro posizioni. Li definisce: «I tre dell’Ave Maria». Ma la pratica voluta dal governatore va avanti. E nel frattempo La Mattina dopo l’incontro con Toti e Signorini in un certo senso si ammorbidisce, cambia parere rispetto alla fase iniziale quando non ne voleva sapere di cedere a Spinelli la concessione trentennale.
Precisa di non aver avuto pressioni particolari e di aver meglio compreso il contesto di quel pronunciamento proprio dopo un incontro con il Governatore. «Ma guarda io non ho ricevuto pressioni particolari – ammette – semplicemente mi è stato meglio spiegato il contesto e il senso di certe cose». Alla fine la concessione finirà allo società riconducibile ad Aldo Spinelli e in cui Msc di Gianluigi Aponte ha il 45 per cento delle quote. Votano tutti a favore il comitato portuale (compresi proprio Carozzi e La Mattina) ma non Rino Canavese che, invece, resta sulle sue posizioni iniziali.
(da Il Secolo XIX”)
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Maggio 9th, 2024 Riccardo Fucile
TOTI SI E’ MONTATO LA TESTA FINO A PERDERLA, COME ACCADE AI MONARCHI
Anche da Re Sole della Liguria, Giovanni Toti, detto l’Ammorbidente, non ha mai perso la faccia da scolaro con il grembiule bianco e il fiocco blu, seduto al primo banco nella classe che fu di Silvio Berlusconi, il mentore della sua vita, che tra una barzelletta e l’altra, tra una pupa in tacchi a spillo e uno scandalo ad personam, insegnava la grammatica del potere, l’apoteosi pubblicitaria del consenso, gli oscuri traffici di denari e altre utilità, che i teorici d’alta politica contemporanea chiamano “sangue e merda”, indispensabili ingredienti a confezionare pasti caldi per il pregiato pubblico degli elettori. I liguri, in questo caso, che dal 2015 si sono stesi al sole del Re Sole. Anche se non tutti, a onor del vero.
Non è mai elegante dire “io l’avevo detto”, ma l’ostinato Ferruccio Sansa, ex giornalista del Fatto, nonché consigliere regionale di opposizione in Liguria, oggi ha tutto il diritto di alzare il dito, schiacciare il tasto Rewind e mettere in fila i cinque anni di dichiarazioni quotidiane, settimanali, mensili, su e contro il regno decennale di Giovanni Toti.
I favori ai supermercati Esselunga. Gli abbracci conturbanti con l’Autorità portuale di Genova. La predilezione per la Sanità privata. L’idiosincrasia per quella pubblica. La permanente sponsorizzazione politica, anzi sentimentale, di Primocanale, la tv locale che regna incontrastata sulla intera fetta d’anguria della Liguria e che parlava del governatore con tutti i violini della devozione. E pure noialtri liberi dispensatori di ritratti concludevamo – cinque anni fa – le nostre tre cartelle dedicate a Toti, segnalando che i troppi guai della Regione “rischiavano di lasciarlo senza rete”, circondato da nemici seduti intorno al suo seggiolone, “ad aspettare il botto”.
Il botto è arrivato l’altro giorno un po’ prima delle 7 del mattino, la stessa ora in cui le agenzie – una trentina d’anni fa – battevano i nomi degli arresti di giornata, durante il lungo bradisismo di Tangentopoli che pure Toti Giovanni, all’epoca redattore semplice del Tg4, annotava con l’inchiostro televisivo del cronista. E oggi che l’arresto lo riguarda, non è cambiato neppure il copione di polvere e parole che viene dopo le manette. In primis quelle dell’avvocato difensore che dichiara: “Il presidente è tranquillissimo”, beato lui. E tutti i suoi colleghi politici in coro: “Siamo garantisti, aspettiamo che l’inchiesta faccia il suo corso” salmodiato specialmente a Roma, insieme con il segno della croce e un segreto pensiero che dice: mamma mia che guaio.
Perché a forza di esercitare la quotidiana ginnastica contro i magistrati matti & malvagi, contro le inchieste a orologeria, contro l’abuso di ufficio diventato “arbitrario abuso di potere”, contro il codice degli appalti che va abolito, anzi disintegrato, contro le intercettazioni troppo facili, facciamole a cronometro, arriva questo colpo di scena che è come una secchiata di acqua fredda, che si porta via tutti i chiodi a tre punte che va spargendo il volenteroso Carlo Nordio, il ministro di Giustizia, che da ex pm ha in uggia tutti i pm, e prima o poi dovrebbe seguire il consiglio di Nicola Gratteri, fare i test psicoattitudinali, antidoping compreso.
In quanto al malcapitato governatore, riassumiamo la sua vicenda umana. Toti non è un refuso e non ha mai giocato al calcio. Nasce a Viareggio nell’anno formidabile del 1968, padre albergatore, madre casalinga. Infanzia e adolescenza attutite dalla sabbia del litorale. Studia poco, ma sempre il giusto. Si iscrive a Scienze Politiche alla Statale di Milano dove fa tutti gli esami meno uno. Gli piace viaggiare, bere, mangiare. Cresce contento degli anni 80. Dice: “Io credo che il riflusso, l’individualismo e il disimpegno siano stati fattori positivi”. Per questo diventa craxiano, “anche se moderatamente”, oltre che “paninaro” nel tempo libero. E siccome gli piacciono “la competitività aziendale e il merito”, nei primi anni 90 entra in Mediaset raccomandato dal padre della fidanzata per arruolarsi nella battaglia anti-giudici. Che Toti pratica fino all’apoteosi de La guerra dei vent’anni, anno 2013, uno speciale tv in difesa di Silvio B e delle sue cene eleganti che andrebbe studiato in ogni scuola di giornalismo, come modello esemplare di disinformazione pop.
La prestazione gli vale i galloni di caporedattore, poi vicedirettore, infine doppio direttore. Prima di Studio Aperto, poi di Rete 4, dove sgombera l’anziano Emilio Fede con la sua zavorra di Meteorine e meteoriti come Lele Mora e Valter Lavitola. Da “Bianco Gabibbo” (Striscia la notizia, dixit) diventa il Delfino.
Incoronato su un balcone di Villa Paradiso, una di quelle cliniche dove si fabbricano lattughe per la dieta, direttamente con un abbraccio del Capo che gli conferisce lo scettro di plastica di Forza Italia, immortalando quella investitura in una fotografia che ancora oggi fa molto ridere. Era il 2014 e a tutti sembrava una buona idea sostituire le fiamme peccaminose che Ruby ancora emanava, con le guance illibate dello scolaro.
Non funzionò. Volato in Europa con 150 mila preferenze, l’angioletto Toti cominciò a studiare da satanasso. Ricevute in dono da Berlusconi le mappe della intera Liguria – che dai tempi del Boom economico mastica cemento, devasta le sue coste, i suoi borghi, nel cupio dissolvi del progresso esentasse – Toti s’avvale dell’alleato migliore, la solita sinistra divisa in tre liste, e nell’anno 2015 diventa governatore. Fabbrica il suo regno a suon di appalti, amicizie, propaganda. Si mette nella scia di Matteo Salvini, ma solo fino al disastro del Papeete, salendo sul salvagente che gli offre l’ex democristiano Maurizio Lupi, quello del Rolex. Dichiara: “La Liguria diventa il laboratorio nazionale dei moderati”.
Ma il laboratorio si inceppa. L’economia della Regione rallenta, i giovani non fanno figli, e quando possono, emigrano. Le panchine davanti al mare si riempiono di concittadini “non indispensabili allo sforzo produttivo”. A ogni cambio di stagione arriva la frana, l’incendio, l’alluvione a rallentare il bed & breakfast collettivo. A rinsaldare quel che la politica divide, arriva la tragedia nazionale del Ponte Morandi che distribuisce le carte della rinascita. Il cantiere è un successo. L’orgoglio della inaugurazione diventa la nuova fanfara del governatore che ormai frequenta solo le grandi barche e i grandi affari. Si è montato la testa, come capita ai re, che qualche volta all’improvviso la perdono.
(da il Fatto Quotidiano)
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Maggio 9th, 2024 Riccardo Fucile
CORI CONTRO LA MINISTRA: “VERGOGNA, VERGOGNA”
La ministra della Famiglia Eugenia Roccella è stata contestata stamattina in apertura degli Stati Generali della Natalità, l’evento annuale promosso dalla Fondazione per la Natalità a Roma.
Nel momento in cui Roccella ha preso la parola per il suo indirizzo di saluto iniziale, in platea sono stati alzati dei cartelli a formare la scritta «Decido io» e sono partiti gli analoghi cori: «Sul mio corpo decido io» e «Vergogna, vergogna», ha urlato un gruppo di giovani. Roccella a quel punto si è alzata e ha provato a interloquire con i dimostranti: «Ma guardate che io sono d’accordo con voi, è proprio quello che diciamo. Le donne oggi non sempre decidono del proprio corpo, se vogliono fare figli».
La contestazione è proseguita. A quel punto il “padrone di casa” Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità, ha dato la parola a una delle ragazze che protestavano.
La giovane, salita sul palco, ha letto un volantino con le rivendicazioni femministe: «Sui nostri corpi decidiamo noi. L’attuale governo decide di convocare questo convegno mentre nessuno del governo, in un anno, ha risposte alle nostre richieste. Non ci stiamo alla triade Dio-padre-famiglia». A dire il vero «l’evento e’ convocato da una Fondazione e non dal governo», ha precisato De Palo a quel punto. Quando la ragazza ha terminato di leggere il volantino ed è scesa dal palco, la ministra Roccella ha provato di nuovo a pronunciare il suo intervento ma a quel punto sono ripresi i cori «Vergogna, vergogna! dei giovani. La ministra a quel punto se n’è andata dall’Auditorium della Conciliazione dove si tiene l’evento in programma oggi e domani
Chi sono e cosa vogliono i contestatori
Dopo la contestazione i ragazzi e ragazze che hanno interrotto la ministra sono stati identificati dalla polizia e fatti uscire dalla sala convegni. Sono attivisti di collettivi studenteschi come “Collettivo Transfemminista, Assemblea Aracne e Collettivo Artemis. «Non siamo macchine per la riproduzione, ma corpi in lotta per la rivoluzione», è lo slogan stampato a caratteri cubitali sui loro volantini.
(da Open)
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