Destra di Popolo.net

LA MELONI È NELLA TERRA DI MEZZO TRA CIÒ CHE NON È PIÙ E CIÒ CHE NON È ANCORA

Maggio 20th, 2024 Riccardo Fucile

ALESSANDRO DE ANGELIS: “L’ACCETTAZIONE DEL VINCOLO ESTERNO È TOTALE. COMPENSATA DA FIUMI DI PROPAGANDA INDENTITARIA. SI DICE ‘SUPERARE L’AUSTERITY’ MA QUESTO PERIMETRO È ACCETTATO. SI DICE ‘PROTEGGERE I CONFINI’, MA È SCOMPARSO IL BLOCCO NAVALE”

La verità è che quella di Giorgia Meloni è, nei fondamentali, un’altra vox: l’accettazione del vincolo esterno è totale. Compensata, per fugare l’immagine di un tradimento, da fiumi di propaganda identitaria sui temi più valoriali, dalla famiglia alla cristianità.
Ammicca nei titoli a vecchie parole d’ordine, ma nella sostanza, l’avversario è più la sinistra che l’Ue. Si dice «superare l’austerity» ma, dopo aver sottoscritto un patto di stabilità che prevede un piano di rientro dal debito, questo perimetro è totalmente accettato.
Si dice «proteggere i confini» ma è scomparso dall’orizzonte sia il blocco navale sia il modello Rwanda o Albania, forse anche perché si è rivelato impraticabile (doveva essere pronto per aprile, a maggio neanche una pietra). Si dice «cambiare l’Europa», e lo slogan è tutt’altro che minaccioso.
Questa campagna elettorale fotografa il punto esatto in cui si trova la premier. Culturalmente, e qui c’è l’ambiguità, è nella la terra di mezzo tra ciò che non è più e ciò che non è ancora. Che è poi la terra di mezzo tra l’accettazione del sistema, come necessità per governare, e la piena evoluzione di chi fa di questa adesione il fulcro di una nuova missione.
Va molto di moda il vecchio slogan “Europa delle patrie”, peccato che oggi il vero gollista del terzo millennio sia Macron che sposta la sovranità in Europa e ci sta dentro col protagonismo francese. I singoli Stati, nel mondo attuale, sono dei nani. La perdurante ossessione di Giorgia Meloni è di essere scavalcata a destra. Per questo comizia sui temi identitari e sulle suggestioni disponibili.
Politicamente, nel suo schema bifronte c’è il tentativo di stare dentro il Great Game sistemico su cui, non a caso, si tiene le mani libere. Diversamente da Marine Le Pen, Giorgia Meloni, essendo al governo, non può permettersi di rimanere fuori dagli equilibri della nuova Commissione.
Vedrà, al momento opportuno se entrare con i Conservatori di cui si propone come colei che li fa ragionare un po’ come fece con Orban sull’Ucraina o, in nome dell’interesse nazionale, scendere a patti coi socialisti. Probabilmente sarà costretta a questo secondo scenario, con o senza Ursula ma ricorrendo a qualche arzigogolo retorico per sostenere che è una necessità utile per l’Italia. E che, in fondo, resta quella di sempre. Dunque Vox, ma con juicio.
(da La Stampa)

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MELONI ALL’ULTIMA SPIAGGIA. IL CONSIGLIO DI STATO, CON TRE SENTENZE DEPOSITATE OGGI, HA RIAFFERMATO CHE LE PROROGHE GENERALIZZATE DELLE CONCESSIONI DEMANIALI AGLI STABILIMENTI SONO ILLEGITTIME, ANCHE PERCHÉ CONTRASTANTI CON LA DIRETTIVE BOLKENSTEIN

Maggio 20th, 2024 Riccardo Fucile

I MAGISTRATI RIBADISCONO “LA NECESSITÀ, PER I COMUNI, DI BANDIRE IMMEDIATAMENTE PROCEDURE DI GARA IMPARZIALI E TRASPARENTI”

Le proroghe generalizzate delle concessioni demaniali agli stabilimenti sono illegittime anche perchè contrastanti con la direttive Bolkenstein.
Lo ha riaffermato con tre sentenze depositate oggi – e relative ai giudizi oggetto delle decisioni della Cassazione e della Corte di Giustizia- il Consiglio di Stato ribandendo i consolidati principi della sua giurisprudenza sulla illegittimità delle proroghe generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative stabilite dal legislatore in quanto contrastanti con i principi di concorrenza e di libertà di stabilimento sanciti non solo dalla Direttiva Bolkestein, ma anche dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
“Il Consiglio di Stato – spiega una nota dello stesso Cds – ha chiarito che la disapplicazione delle norme nazionali sulle concessioni demaniali marittime si impone prima, e a prescindere, dall’esame della questione della scarsità delle risorse, che in ogni caso non risulta essere decisiva in quanto anche ove si ritenesse che la risorsa non sia scarsa, le procedure selettive sarebbero comunque imposte dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in presenza di un interesse transfrontaliero certo e dal diritto nazionale anche in assenza di tale interesse”.
Il Consiglio di Stato, prosegue la nota, “ha pertanto ribadito la necessità, per i Comuni, di bandire immediatamente procedure di gara imparziali e trasparenti per l’assegnazione delle concessioni ormai scadute il 31 dicembre 2023”.
In relazione all’avvio della stagione balneare, il Consiglio di Stato “ha richiamato il contenuto dell’espressa disposizione di legge, che consente, in caso di difficoltà nel completamento della gara, la sola proroga c.d. tecnica fino al 31 dicembre 2024 delle concessioni già scadute per i Comuni che abbiano deliberato di avviare o abbiano già avviato le gare per assegnare le concessioni”, conclude la nota.
(da agenzie)

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LA NUOVA DIGA DEL PORTO DI GENOVA, UN PROGETTO DA 1,3 MILIARDI DI EURO, GIÀ IN RITARDO, RISCHIA DI RALLENTARE PERCHE’ SI INTRECCIA CON L’INCHIESTA CHE HA TRAVOLTO TOTI E LA LIGURIA

Maggio 20th, 2024 Riccardo Fucile

IL CONSIGLIO REGIONALE POTREBBE RIMANDARE IL VOTO SUL MUTUO DA 57 MILIONI PER FINANZIARE I LAVORI… I DUBBI DEI TECNICI E L’ALLARME DELL’ANAC SULLA GESTIONE DELL’APPALTO

Difficile pensare a qualcosa di più ingombrante di un cassone di cemento prefabbricato di 40 metri per 25 e 22 di altezza, il primo mattone della futura diga foranea che venerdì prossimo le navi di cantiere adageranno sul fondale marino al largo del porto di Genova. Eppure, almeno fino a due settimane fa, il primo, vero passo avanti dell’opera simbolo del Pnrr era atteso sulla scena politica con la leggerezza dello spot da cartolina che avrebbe potuto, dovuto essere con vista sulle Europee.
Per il governo Meloni e il Mit a guida leghista, per il centrodestra ligure guidato da Giovanni Toti e una classe politica (locale, ma non solo) che già ha fatto copyright elettorale del “Modello Genova” della ricostruzione del ponte Morandi.
Quella di un maxi progetto da un miliardo e 300 mila euro, già appesantito dai dubbi dei tecnici e sulla gestione dell’appalto, sul quale le novità delle ultime ore hanno portato anche la certezza dei ritardi, accuse di opportunità politica e gli intrecci con l’inchiesta che ha travolto la Liguria.
Se la cerimonia è stata comunque confermata nonostante un evidente ridimensionamento (sala secondaria, nessun evento collaterale, tra i ministri il solo Salvini, ancora in forse Zangrillo e Musumeci), gli scossoni seguiti alla Tangentopoli ligure in questi giorni hanno riportato a galla i tanti nodi del progetto, e ne hanno aggiunti di nuovi.
Già note le perplessità dell’Anac sull’appalto e le inchieste di due procure, quella genovese e quella europea, in quota centrodestra si puntava a utilizzarlo per provare a rovesciare l’inquadratura del momento, spostarla dallo scandalo giudiziario all’immagine vincente del «cantiere che non si ferma mai». L’invio degli ispettori del governo nell’Authority guidata fino a un anno fa da Paolo Emilio Signorini, e oggi da Paolo Piacenza (altro indagato), annunciato dal viceministro Edoardo Rixi e atteso a fine mese, doveva servire anche a questo.
Difficile, però, farlo alla luce degli ultimi intoppi del caso. Uno di natura tecnica, rivelato dai due ordini di servizio inviati dall’Autorità portuale al consorzio a capofila WeBuild che realizza l’opera, per esprimere «forte preoccupazione per i ritardi nel cronoprogramma» e certificare la contrarietà al varo del primo cassone «senza test di prova».
L’altro intoppo è politico. Domani è atteso in Consiglio regionale il voto sul mutuo da 57 milioni (3,2 di interessi) che la Regione ha programmato per prestare parte del finanziamento della diga. Pd e M5s hanno già chiesto di stralciarlo per «una questione di opportunità», la maggioranza Toti ha tempo fino a oggi per farlo. A temere il rischio di responsabilità erariali di «un mutuo alla cieca», per un’opera nel mirino delle procure, sono ora per primi i consiglieri di centrodestra.
(da la Repubblica)

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SI CREA IL VUOTO INTORNO A TOTI: IL GOVERNATORE LIGURE NON MOLLA LA POLTRONA. DIMETTENDOSI OTTERREBBE LA REVOCA DEI DOMICILIARI, MA PRIMA PRETENDE “GARANZIE” DAGLI ALLEATI

Maggio 20th, 2024 Riccardo Fucile

ANCHE IL LEGHISTA RIXI LO SCARICA: “DOBBIAMO EVITARE LA PARALISI E CONTROLLARE SE CI SONO PROVVEDIMENTI VIZIATI” – LA FINANZA INIZIA AD ANALIZZARE I TELEFONINI E I COMPUTER SEQUESTRATI

Mail, chat, messaggi, documenti. Da oggi gli uomini della Guardia di Finanza di Genova inizieranno ad analizzare i contenuti dei telefonini, del computer e degli altri dispositivi sequestrati al governatore Giovanni Toti, agli arresti domiciliari per corruzione dallo scorso 7 maggio nell’ambito dell’indagine che ha terremotato la Liguria.
Gli eventuali nuovi elementi d’accusa entreranno nel già ponderoso fascicolo che lo riguarda. Come pure le audizioni di nuovi testi in programma questa settimana, fra i quali potrebbe esserci anche il sindaco di Genova Marco Bucci che si è messo a disposizione dei pm: «Non sono pentito di nulla, o forse di qualcosa sì, magari me lo tengo per me, lo dirò quando parlerò coi magistrati», ha detto criptico nei giorni scorsi.
Mentre Toti rimane ristretto nella sua abitazione, a studiare le carte in vista dell’interrogatorio da lui chiesto ai pm che non hanno ancora fissato una data. L’incertezza che aleggia intorno al faccia a faccia, dopo la decisa presa di posizione della Procura («se e quando interrogare un indagato lo decide il pubblico ministero») surriscalda la politica che in questo caso s’intreccia come non mai alla giustizia e mette Genova e la Liguria in una condizione innaturale di sospensione.
Il confronto potrebbe slittare a giugno, quando si voterà per le Europee. Al centro c’è naturalmente il tema delle dimissioni del governatore, costretto ai domiciliari senza la possibilità di parlare con terze persone.
«Ma prima di prendere qualsiasi tipo di decisione vorrei confrontarmi con la maggioranza», è il mantra di questi giorni filtrato dall’avvocato Stefano Savi che rinvia così la scelta a quando verrà revocata la misura cautelare.
«Faremo un’istanza in questo senso solo dopo l’interrogatorio», ha ricordato il legale. La strada più veloce per uscire dai domiciliari si chiama dimissioni: «Venendo meno la funzione, gli arresti avrebbero ancor meno ragione d’essere», aggiunge il legale. Ma dimettersi significa cadere, e Toti, invece, resiste.
Il Procuratore di Genova Nicola Piacente ha spiegato che l’appuntamento con la giustizia non può condizionare una Regione, ricordando che l’indagato può sempre depositare delle memorie al pm, se ha particolare urgenza di chiarire. «È ciò che gli consiglierei di fare io», suggerisce Mario Mascia, avvocato penalista, già capogruppo di Forza Italia in Consiglio a Genova e ora assessore all’Urbanistica.
Più passano i giorni e più il muro degli alleati di governo si sgretola. «Dobbiamo evitare la paralisi e bisogna verificare se ci sono provvedimenti viziati», ha dichiarato il leghista Edoardo Rixi, viceministro ligure ai Trasporti, che ha annunciato l’invio di una commissione del ministero a Genova. Ci sono di mezzo le grandi opere, la Diga, i milioni del Pnrr. Comunque sia, quella di Rixi sembra una presa di distanza. «Bisogna evitare di interrompere i piani di sviluppo di questa Regione», ha aggiunto il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo.
(da agenzie)

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I GUAI PER LA SANTANCHÈ NON FINISCONO PIÙ, È FALLITA ANCHE “BIOFOOD”, SOCIETÀ DELLA PICCOLA GALASSIA DEL BIO “KI GROUP”. ORA RISCHIANO DI CADERE ANCHE LA QUOTATA “BIOERA” E “VERDEBIO”

Maggio 20th, 2024 Riccardo Fucile

“BIOFOOD” CROLLA SOTTO IL PESO DI 6 MILIONI DI EURO DI DEBITO CON AMCO, LA CONTROLLATA DEL MEF CHE GESTISCE I CREDITI DETERIORATI

Dopo Ki group srl, arriva anche il fallimento anche Biofood. È un’altra società del piccolo colosso del bio che […] rilevato da Daniela Santanchè con l’ex compagno Canio Mazzaro, poi finito sotto la lente della procura di Milano.
Le due pronunce di liquidazione giudiziale potrebbero non restare isolate. A rischio ora ci sono la quotata Bioera e Verdebio, con sede nel Biellese, dopo il licenziamento collettivo dei dipendenti avviato il 30 aprile a causa della “perdurante situazione di crisi aziendale”. Così, dall’oggi al domani, senza un giorno di preavviso, tanto che ora alcuni di loro, con l’avvocato Davide Carbone, sono già sul piede di guerra.
Una tempesta, l’ennesima, che potrebbe travolgere la ministra del Turismo, già colpita dalle indagini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf sulla presunta truffa ai danni dello Stato con la cassa integrazione Covid e il falso in bilancio in Visibilia
Per la sua “creatura”, Santanchè è riuscita a evitare fino a oggi il fallimento che poteva costarle l’accusa di bancarotta fraudolenta. Nel caso del gruppo del bio, il tentativo di salvataggio invece non sta riuscendo. E una dopo l’altra, le società stanno cadendo, rischiando di travolgere anche lei.
Costituita il 19 novembre del 2010, nel 2011 Biofood si era già caricata gli oltre 5 milioni di euro di debito che la quotata Bioera (oggi a rischio fallimento) aveva con Mps, nel tentativo di risanarla. Lo ha fatto tramite un aumento di capitale di Bioera pari al debito, garantito dalle azioni appena sottoscritte.
È riuscita a spuntare dalla banca senese una rateizzazione molto favorevole, con prima scadenza ben otto anni più tardi, nel 2019. Il tempo è passato ma Biofood – che ha visto alternarsi nella carica di amministratore unico la ministra Santanchè (tra il gennaio del 2015 e l’ottobre del 2019) e il suo ex Mazzaro – non ha pagato un euro.
I crediti deteriorati di Mps – che nel frattempo con gli interessi avrebbero sfiorato quota 10 milioni – sono stati acquisiti da Amco, la controllata del ministero dell’Economia che ha provato a riscuoterli e alla fine ha trascinato Biofood davanti al Tribunale con una istanza di fallimento a cui però alla fine ha rinunciato.
Sono così intervenuti la procuratrice aggiunta Laura Pedio con i pm Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi a chiedere la liquidazione giudiziale. Biofood, assistita dall’avvocato Fabio Cesare, ha provato a prendere tempo, ha tentato la strada del concordato in bianco e ha offerto ad Amco 600 mila euro a fronte del debito di 6 milioni, ma l’accordo non è stato trovato.
E la stessa società ha aderito alla richiesta della procura. I giudici, la settimana scorsa, ne hanno dichiarato il fallimento perché di fatto si tratta di una “holding di partecipazione” che “non ha nulla nell’attivo”.
Mentre la difesa solleva dubbi sulla possibilità che il credito di Amco alla fine venga accolto, mercoledì un nuovo match si gioca per Bioera, davanti ai giudici che hanno rifiutato la proroga delle misure di protezione della quotata, scadute il 27 febbraio.
E nonostante un nuovo investitore, Hara immobiliare, si sia fatto avanti offrendo dal nulla un finanziamento 3,6 milioni di euro. A garanzia della caparra confirmatoria da 360 mila euro che Hara ha versato al notaio e Bioera (con un passivo di 6,8 milioni di euro) voleva rilevare per pagare le spese correnti, la società ha offerto parte del ricavato dell’eventuale vendita dei quadri e delle opere d’arte di sua proprietà.
Una mossa bocciata dall’ausiliario nominato dal Tribunale, perché in grado di generare “prededuzione” cioè di danneggiare i creditori in caso di fallimento. Così, rifiutando il rinnovo delle misure di protezione, i giudici hanno paventato il rischio di una truffa ai creditori. Un assist per i pm che sono tornati a chiedere la liquidazione giudiziale della società. Ma in udienza l’avvocato Cesare ha lamentato una “disparità di trattamento” rispetto alla procura che conosceva il contenuto del provvedimento a lui appena notificato. Per studiarlo ha chiesto tempo, e i giudici glielo hanno concesso. Fino a mercoledì, quando si torna in aula per la battaglia finale.
(da agenzie)

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MELONI-LE PEN E LA CABINA DI REGIA NERA: SI RINSALDA L’ASSE TRA LE DUE DUCETTE

Maggio 20th, 2024 Riccardo Fucile

LA TRASFORMISTA MELONI SCOMMETTE SULL’INTESA CON LE PEN PER INCIDERE SUI DOSSIER (E SUI COMMISSARI) UE E COLPIRE SALVINI… MA LA REAZIONE DI FORZA ITALIA, CHE FA PARTE DEL PPE, È GELIDA: “MARINE È OSTILE ALL’EUROPA, COME POTREMMO GOVERNARE INSIEME?”

Il coordinamento nero è partito, benedetto dall’applauso dei post franchisti di Vox. Dove porterà, sarà chiaro dopo il 10 giugno. Ma il piano di Giorgia Meloni è sostanzialmente questo: sommare i voti dei Conservatori e quelli dell’ultradestra di Marine Le Pen per incidere sui singoli dossier che passeranno dal Parlamento europeo. Una sorta di minoranza di blocco da 135 eurodeputati.
Non solo. L’altro obiettivo è condividere con l’ultradestra il profilo dei commissari espressi dai Paesi a guida conservatrice (quattro su ventisette) con l’ambizione di spostare la linea della Commissione su alcuni temi condivisi: ostilità al Green Deal, battaglia contro i diritti civili, immigrazione. Non è invece per nulla detto che nasca un gruppo unitario o che la francese entri in Ecr nel corso della legislatura.
Gli italiani non vorrebbero, la figlia di Jean-Marie ci pensa. Certo è che il piano della fondatrice di Fratelli d’Italia è comunque azzardato. E politicamente rischioso. Può finire nuovamente isolata, esclusa dalla cabina di regia che guiderà l’Unione nei prossimi cinque anni. Di fatto, irrilevante. Nulla a Madrid è lasciato al caso.
Nel suo discorso, Meloni evita critiche aspre all’arcinemico di Le Pen, Emmanuel Macron. Vuole dribblare incidenti diplomatici. Allo stesso modo, non parla mai di Ucraina: i cari amici di Vox non tifano per Kiev.
Semmai, la premier calca la mano sul lavoro della Commissione: è una critica implicita a Ursula von der Leyen, il segnale di una sfiducia nel suo bis, un’apertura a Le Pen. Che è altrettanto attenta a non esagerare, per continuare il percorso di “normalizzazione” in vista della corsa alle Presidenziali nel 2027: dopo aver preso le distanze dall’Afd, adesso pronuncia parole non troppo radicali e non esagera neanche contro l’Eliseo. È la prova che le due delegazioni hanno concordato i discorsi, per evitare reciproci imbarazzi. «È il frutto del dialogo», rileva Antonio Giordano, segretario di Ecr.
Ma quello di Meloni è comunque un azzardo. Una scommessa al buio in cui l’istinto pesa più del calcolo, la pancia più della testa. Trattare con Le Pen cancella in un colpo solo diciotto mesi di politica, equilibrismi e sorrisi diplomatici concessi a malincuore a Macron. Un’inversione di rotta che si fonda sulla speranza che il voto del 9 giugno renda la destra indispensabile e spinga l’architrave della “maggioranza Ursula” — composta da liberali e popolari — a bussare alla porta di Ecr. Il problema — l’azzardo, appunto — è che per ora nessun sondaggio conferma questo schema. E anzi, i socialisti sono determinanti in ogni scenario.
L’ultima rilevazione pubblicata sul sito di Politico lo scorso 15 maggio attribuisce infatti al Ppe 174 seggi e al Pse 144. Ai Liberali di Macron andrebbero 85 scranni, confermandoli terza forza.
I Conservatori si fermerebbero un millimetro indietro, a 84. Più staccati gli estremisti di Id — il gruppo di Le Pen, Salvini e dell’Afd tedesca — con 70 seggi. Popolari, socialisti e liberali sarebbe dunque autosufficienti, ma proverebbe ad allargarsi: a sinistra, con i 40 eurodeputati verdi; oppure a destra, con i pochi euro-atlantisti di Ecr.
Di certo, nessuna Commissione tratterà con la galassia che sta a destra dei Conservatori. E allora, perché Meloni radicalizza comunque dal palco di Vox la sua campagna, al fianco di Le Pen e mettendo la faccia sul “no” all’ipotesi di intesa con il Pse? In parte, perché nelle scorse settimane ha subito un veto analogo dai socialisti e prova a compensarlo.
In parte, perché scommette sul fallimento di Macron e immagina che il collasso elettorale del Presidente francese rimescoli gli equilibri a Bruxelles. Ma sta proprio in questo ragionamento l’azzardo: lo dicono i sondaggi, lo dice l’intesa tra Macron, Scholz e il polacco Tusk da cui partirà ogni possibile accordo per la Commissione.
La radicalizzazione di Meloni allontana Roma da questa cabina di regia, rendendo l’italiana meno spendibile agli occhi delle Cancellerie che contano. Ciononostante, Meloni si sbilancia. E lo fa anche spinta da una necessità di politica interna: colpire Salvini.
Salvini se ne accorge e prova a incunearsi: «Marine è saggia — sostiene — ora tutti i partiti di centrodestra dicano no alle sinistre e a Macron ». La reazione di Forza Italia è gelida: «Marine è ostile all’Europa, come potremmo governare insieme? »
(da La Repubblica)

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COS’E’ SUCCESSO NEL PENITENZIARIO DI BENEVENTO? DOPO LE NOTIZIE DI UNA RIVOLTA DEI DETENUTI E DI AGENTI DELLA PENITENZIARIA FERITI E PRESI IN OSTAGGIO, È ARRIVATO UN COMUNICATO DEL GARANTE DEI DETENUTI PER DENUNCIARE LE NOTE DELLA PENITENZIARIA. E ANCHE IL DIRETTORE DEL CARCERE SMENTISCE: “NON C’E’ STATA ALCUNA RIVOLTA”

Maggio 20th, 2024 Riccardo Fucile

“RITRAGGONO LE CARCERI COME UN FRONTE DI GUERRA, SEBBENE IL BERSAGLIO DELL’OFFENSIVA SIA UNO SOLO: LA POPOLAZIONE DETENUTA”

Un pomeriggio di paura e un’ondata di polemiche dopo le notizie su una rivolta nel carcere di Benevento. L’allarme scatta quando trapelano le prime notizie attraverso i comunicati dei sindacati della polizia penitenziaria. Lo scenario è inquietante: detenuti armati, due agenti in ospedale e altri forse tenuti in ostaggio, un intero piano devastato.
Le note sembrano quasi degli sos: «È in atto una violenta rivolta da parte di alcuni dei detenuti ristretti, la situazione è molto grave», scrive il Sappe intorno a mezzogiorno.
In assenza di notizie ufficiali la tensione cresce anche tra i familiari degli agenti e dei carcerati. Per ore con il fiato sospeso temendo il peggio, finché arrivano le parole del direttore dell’istituto Gianfranco Marcello: «Al rifiuto del medico della Asl di visitare un detenuto è esplosa una protesta vibrata, sfociata in momenti di concitazione con la rottura di alcune vetrate le cui schegge hanno ferito lievemente due agenti di polizia. Non c’è stata alcuna colluttazione, né aggressione da parte dei detenuti verso gli agenti e ora la protesta è rientrata. Nessuna rivolta né sequestro», ha spiegato all’Ansa.
Ugualmente lapidarie le dichiarazioni dei garanti dei detenuti, che in serata hanno emesso una nota congiunta: «Stamattina nel carcere di Benevento si sono registrati momenti di tensione, il motivo sarebbe stato il mancato accompagnamento di un detenuto ad effettuare una visita medica all’interno della Casa circondariale. Si sono verificati attimi di protesta durante i quali è stato mandato in frantumi un vetro e due poliziotti hanno riportato lievi lesioni, poi sono stati prontamente medicati in ospedale e sono poi rientrati a lavoro».
I tre rappresentanti – Felice Maurizio D’Ettore, Patrizia Sannnino e Samuele Ciambriello – hanno poi aggiunto: «Comunicati stampa aggressivi, agenzie di stampa, giornali e telegiornali hanno riportato notizie di rivolta e di sequestri di agenti e di disordine ancora in corso. Sempre più aggressivi i comunicati dei sindacati di polizia penitenziaria, che ritraggono le carceri come un fronte di guerra, non stupiscono chi ha contezza di un conflitto in effetti in atto, sebbene il bersaglio dell’offensiva sia uno solo: la popolazione detenuta. E poi perché comunicare quando l’evento è in corso? Si crea allarme a tutta la comunità penitenziaria».
(da agenzie)

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“VANNACCI SAREBBE UN ESEMPIO DI ITALIANITA’? SEMBRA QUELLO CHE MI VENDE IL KEBAB”

Maggio 20th, 2024 Riccardo Fucile

DRITTO E ROVESCIO, L’INTERVENTO VIRALE DI UNA GIOVANE DEL PUBBLICO CHE HA DISTRUTTO VANNA: “INVECE CHE SCRIVERE LIBRI SI COMPRI UNO SPECCHIO”

È diventato virale nelle ultime ore l’intervento di una ragazza del pubblico di Dritto e Rovescio, che ha smontato con pungente ironia la retorica dell’italianità del generale Roberto Vannacci.
L’autore del Mondo al contrario aveva infatti rivendicato nel suo celebre libro la differenza tra lui che avrebbe «gocce del sangue di Enea, Romolo, Giulio Cesare, Mazzini e Garibaldi nelle vene» e determinati venditori ambulanti che «vendono ciarpame». Chiamando in causa anche la campionessa azzurra di Volley, Paola Egonu: «Italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità».
A rispondere a queste considerazioni è stata una giovane afrodiscendente, negli studi di Rete4: «La prima volta che l’ho visto ho detto: ‘e ‘sto turco che vuole?’. Invece di scrivere libri e venderli, si dovrebbe comprare uno specchio», ha affermato la ragazza. Rincarando la dose: «A livello estetico, non rappresenta per niente l’italianità. Dovrebbe farsi un esame di coscienza e un test del Dna: scoprirebbe che da Vannacci a Mahmood, qui, è un attimo. Lui parla di italianità con riferimento a persone bianche, con tratti caucasici. Ma lui avrebbe tratti caucasici? Mi sembra quello che mi vende il kebab». Parole che hanno presto fatto il giro dei social, scatenando l’ironia del web.
(da Open)

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CAROLA RACKETE ALL’EVENTO DI AVS: “ILARIA SALIS DOVREBBE ESSERE RILASCIATA, NON CI SONO PROVE ATTENDIBILI”

Maggio 20th, 2024 Riccardo Fucile

“SALVINI? INCENTIVA CRIMINI D’ODIO”

Carola Rackete ha partecipato a un evento elettorale di Alleanza Verdi e Sinistra al fianco di Nicola Fratoianni e Roberto Salis, padre di Ilaria, la donna in un carcere ungherese con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra e che la prossima settimana dovrebbe andare ai domiciliari.
L’attivista, ex comandante della Sea Watch, correrà alle elezioni con il partito Die Linke, la sinistra tedesca: “Come ecologista, penso che la crisi climatica sia la più grande crisi sociale e di giustizia che tutte le generazioni dovranno affrontare. Abbiamo bisogno di investimenti massicci in infrastrutture verdi per essere in grado di realizzare una transizione giusta”, ha detto a margine dell’incontro “Per un’Europa libera, giusta e sostenibile”.
Per poi parlare anche del caso di Ilaria Salis. “Penso non ci siano assolutamente prove sufficienti contro di lei e dovrebbe essere immediatamente rilasciata. Dovrebbe essere autorizzata a tornare in Italia e in tribunale dovrebbero essere presentate prove attendibili. Finora non ne ho vista nemmeno una”, ha detto Rackete.
Per poi aggiungere: “Il governo strumentalizza questo caso in modo politico e possiamo aspettarci che questo potrebbe continuare anche in un Paese come l’Italia dove il governo non è amichevole verso alcun tipo di opposizione da sinistra”
Nel 2019 Rackete si scontrò direttamente con Matteo Salvini, quando forzò il divieto di ingresso nel porto di Lampedusa per portare a terra i migranti soccorsi nel Mediterraneo centrale, imposto dal leader leghista.
Ora afferma: “Penso che le parole di Salvini continuino a infiammare l’estrema destra, incentivando i crimini d’odio, e polarizzano la società al posto di creare unità e giustizia sociale”.
(da agenzie)

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