Maggio 31st, 2024 Riccardo Fucile
“E’ SENZA RITEGNO, HA L’ARROGANZA DI VOLER DECIDERE CHI E’ POVERO E CHI NO”,, … “NON LO DICO IO. LO DICE LO STUDIO DI BANKITALIA: MELONI HA LASCIATO SENZA SOSTEGNO UN MILIONE DI FAMIGLIE”
“Giorgia Meloni è senza ritegno”. Schleinattacca la premier: “Ha abolito il Reddito di cittadinanza per rendere l’Italia l’unico Paese d’Europa che non avrà uno strumento universale contro la povertà, quando Istat dice che la povertà assoluta tocca un italiano su dieci, il picco degli ultimi dieci anni. Non io, ma l’Ufficio parlamentare di Bilancio ha spiegato che rimarranno senza sostegno 400mila famiglie. Uno studio di Banca d’Italia parla addirittura di quasi un milione di famiglie che verranno lasciate senza nessun aiuto dal governo Meloni”.
La linea della presidente del Consiglio, riaffermata ieri sera, era stata: “Abbiamo distinto chi poteva lavorare da chi non poteva farlo”. Proprio su questo punto la segretaria del Pd ha insistito: “Potevamo migliorare il Reddito di cittadinanza insieme, ma hanno deciso di smantellarlo, riducendo le risorse e discriminando l’accesso. Dall’alto della sua poltrona a Palazzo Chigi, Meloni ha l’arroganza di voler decidere chi è povero e chi no secondo criteri surreali: la povertà non dipende dalla tua età o da com’è fatta la tua famiglia”.
Infatti, Meloni aveva sottolineato: per chi non è in grado di lavorare “abbiamo mantenuto un sostegno che si chiama reddito di inclusione [in realtà è l’Assegno di inclusione, ndr]”, e invece “per le persone che sono in grado di lavorare abbiamo messo su una piattaforma.
In realtà, la distinzione tra Assegno di inclusione e l’altro tipo di sostegno (il Supporto formazione e lavoro) si basa su requisiti piuttosto stringenti. Possono ricevere l’Adi quelle famiglie con Isee al di sotto dei 9.360 euro in cui almeno una persona ha più di 60 anni, è minorenne, ha una disabilità oppure è inserita in programmi di cura assistenza dei servizi socio-sanitari del territorio ed è in condizione di svantaggio per vari motivi.
Schlein ha criticato questo approccio: “Ho incontrato persone che hanno perso il sostegno e hanno 58 anni senza più figli a carico e non sanno come comprare da mangiare, i corsi di formazione non sono partiti e lavoro non ne trovano”.
Poi ha allargato il discorso: “Per la destra la povertà una colpa individuale, per noi è un grave problema sociale dovuto a politiche che dobbiamo cambiare. Cara presidente del Consiglio, non sono tanto le bugie della sua propaganda a stupire, quanto l’assenza di qualsiasi sensibilità verso l’Italia che fa più fatica. Non si scherza sulla pelle della povera gente”.
(da agenzie)
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Maggio 31st, 2024 Riccardo Fucile
L’ENNESIMA PROVOCAZIONE: UNA CENA NEL BEL MEZZO DELLE CASE DA ESPROPRIARE
Una cena con Matteo Salvini nel bel mezzo delle zone da espropriare. Il vicepremier e ministro dei Trasporti l’ha tenuta ieri sera, tra le proteste, a Torre Faro, la frazione di Messina dove è previsto il pilone siciliano del Ponte sullo Stretto.
Organizzata da Nino Germanà candidato leghista alle Europee, la cena si è tenuta all’Hotel Capo Peloro, una struttura circondata da case, ristoranti, bar e macellerie tutte sotto esproprio. “Salvini e Germanà banchettano accanto a casa degli espropriandi? Una provocazione di cattivo gusto tra centinaia di persone che vivono il rischio di perdere la loro casa e le loro attività”, tuona Daniele Ialacqua, del comitato No Ponte Capo Peloro.
“Un evento privato con militanti e amici della Lega”, sottolinea invece Germanà. Di certo la scelta ha scatenato la protesta all’ingresso dell’hotel, dove i comitati hanno piazzato manifesti contro la grande opera. E si temono contestazioni anche per l’evento di stamattina: l’incontro sulle grandi opere previsto sulla Dattilo, nave della Marina Militare (usata spesso per operazioni di recupero dei migranti) attraccata al porto di Messina.
L’evento paralizzerà la viabilità per tutta la mattina, visto che per sicurezza è stata disposta l’interdizione al traffico per gran parte del centro-nord della città: “Messina in ginocchio e presa in ostaggio, blindata come una zona di guerra. Si ha veramente così paura dei messinesi?”, attacca Alessandro Russo, consigliere comunale del Pd.
L’arrivo di Salvini, con tanto di cena nella zona rossa degli espropri, avviene d’altronde in un momento concitato per gli espropriandi, impegnati proprio nella preparazione delle osservazioni da presentare alla Stretto di Messina spa entro il 2 giugno. Lo scorso 3 aprile, infatti, la società che deve realizzare il ponte aveva pubblicato l’avviso di avvio della procedura di esproprio, dando 60 giorni per presentare le osservazioni. E mentre il progetto è fermo per le richieste dalla commissione Via-Vas, la procedura degli espropri va avanti. Così che nelle due sponde dello Stretto sono stati giorni concitati.
A Villa San Giovanni si è perfino tenuto, lo scorso 27 maggio, un consiglio comunale aperto agli espropriandi in vista della scadenza del 2 giugno. Una data, tuttavia, contestata dal lato siciliano, dove i comitati, più che a presentare le osservazioni, sono pronti a contestare l’intera procedura.
Secondo gli esperti consultati, gli espropri reiterati già un anno fa, con il riavvio della procedura per la realizzazione del Ponte, sarebbero illegittimi perché appunto non si possono reiterare vincoli scaduti. Quello della Stretto di Messina sarebbe un mero avviso, senza una scadenza perentoria, perché nessun vincolo può essere posto prima dell’approvazione del progetto da parte del Cipess. Tanto più che le aree da espropriare sono cresciute rispetto al 2011: “La cena di Salvini è una provocazione, in una situazione così delicata non viene nemmeno a parlarci”, dice Rossella Bulsei, del comitato di Villa San Giovanni, esproprianda anche lei.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 31st, 2024 Riccardo Fucile
IL RITRATTO DELL’INADEGUATEZZA DI UNA CLASSE DIRIGENTE PROMOSSA DAI SOVRANISTI CHE LE SI RITORCE CONTRO
Mazza non sa una mazza e a proposito della fantomatica censura subita da Roberto Saviano alla Buchmesse di Francoforte, tre fatti sono certi: 1) Gli editori di Saviano non hanno proposto Saviano per la Buchmesse 2) Questo significa che nessuno ha espunto il libro di Saviano da una lista e dunque non c’è stata alcuna censura di regime 3) Tuttavia il commissario italiano per la Fiera del Libro, Mauro Mazza – che non sa una mazza – in una surreale conferenza stampa si è attribuito la censura che pure non può avere esercitato.
Di questi tre punti assodati, l’unico misterioso è il terzo. Perché mai Mazza, uomo di destra vicino a Fratelli d’Italia, ha spinto la propria dissipazione al punto di rispondere a un giornalista che gli chiedeva dell’assenza di Saviano con un groviglio di parole che si concludeva con questa frase: “Abbiamo voluto dare spazio ad altre voci”? §
La spiegazione non può che essere una. Quella che già avete indovinato e cioè che il dottor Mazza, come dicono a Roma, non sa una mazza. E nemmeno di come funziona la struttura commissariale che pure dovrebbe governare. Dunque di fronte alla domanda, ha tirato a indovinare, e spinto dall’antipatia per Saviano (il riferimento ellittico a “autori con opere integralmente originali” alludeva alle accuse di plagio subite da Saviano in passato) è finito con l’avvolgersi in un rovo di parole che si è concluso con l’ovvia denuncia di Saviano: “Mi aspettavo questa censura”.
Un capolavoro seguito dal sospetto che in fondo a Mazza, non sapendo una mazza, non dispiaccia affatto passare per il censore di Saviano, anche se non lo è. Perché forse egli pensa di guadagnare così credito negli ambienti di Palazzo Chigi.
C’è tuttavia da dubitare che a Palazzo Chigi possa fare piacere che a Francoforte, dove Saviano va comunque, lo scrittore ci arrivi con l’aura del censurato. In definitiva, se la vicenda racconta del vittimismo savianeo racconta pure – molto – dell’inadeguatezza della classe dirigente promossa dalla destra e che, manco a dirlo, ammazza – povera lei – la stessa destra.
(da ilfoglio.it)
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Maggio 31st, 2024 Riccardo Fucile
“SE SARO’ ELETTA MI BATTERO’ PER I DIRITTI DEI LAVORATORI E DEI PRECARI, PER L’ISTRUZIONE”… “COSA SIGNIFICA PER ME ESSERE MILITANTE ANTIFASCISTA? COMBATTERE LE DISEGUAGLIANZE SOCIALI E LE DISCRIMINAZIONI”
Ilaria Salis parla per la prima volta in prima persona dall’Ungheria, dove è agli arresti domiciliari in un appartamento di Budapest per tre episodi di lesioni ai danni di neonazisti. Ora è candidata con Alleanza Verdi Sinistra alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno. E racconta a Repubblica i 466 giorni di carcere.
Il momento peggiore è stato «quello in cui ho saputo che non potevo comunicare con nessuno, neanche con la mia famiglia». E poi: «Durante i primi periodi il tempo non passava mai, perché ero abituata ai ritmi di una persona libera e attiva. Sola, rinchiusa, senza contatti con l’esterno, non sapevo neppure che ore fossero, la notte era indistinguibile dal giorno. Poi, pian piano, le cose sono un po’ migliorate. Si trova il modo per sopravvivere, si riesce a gestire la monotonia di giornate tutte uguali. Però, certo, che tu sia da sola o con altre sette persone, 23 ore al giorno in cella sono alienanti».
La speranza
Salis dice che non ha mai perso la speranza: «A volte il pensiero di rivedere la luce sembrava irraggiungibile, però devo dire che non ho mai perso la determinazione a resistere. Il pozzo non è soltanto il carcere con le sue mura e le sue sbarre. Il pozzo è anche trovarsi ai domiciliari all’estero ed essere sottoposta a un processo in cui si rischiano 24 anni di carcere. Forse, in questo momento, l’uscita può sembrare più accessibile, ma non sono ancora fuori. È stato compiuto un primo passaggio, il percorso non è concluso».
Però ha passato il tempo: «Mio padre mi ha fatto avere prima l’Inferno di Dante, poi il Purgatorio. Sono libri miei, sono contrassegnati dalle mie note. Li ho letti per ore e ore. Poi fogli di quaderno, su cui ho scritto molto (lettere, alcune delle quali pubblicate da Repubblica, ndr). E ricamavo, anche. Sono a casa da pochi giorni e la percezione del tempo è completamente diversa, ora il tempo vola».
Le catene
Delle catene, dice, la cosa che più la turbava «il rumore orrendo e metallico che facevano, a ogni passo. E l’essere esposta, in quelle condizioni, alla gogna. Qui in Ungheria c’è un’attenzione mediatica esagerata per i processi penali, le immagini delle udienze vengono trasmesse ogni sera sui telegiornali. Gli imputati di solito chiedono che il loro volto venga sfocato mentre, così legati, sono trascinati davanti alla corte».
Mentre il giorno in cui è uscita «avevo tanta energia, mi sentivo curiosa. Mentre la polizia mi portava a casa, dal finestrino del furgone divoravo con gli occhi la città e la sua vita, i palazzi, le strade, il fiume e gli spazi aperti. Ho finalmente riabbracciato le persone a cui voglio bene. E poi ho mangiato una pizza!»
L’elezione e l’insegnament
Dice che se sarà eletta si occuperà dei «diritti umani dei detenuti in Europa e in Italia. Voglio partire dalla mia storia personale, trasformandola in qualcosa di costruttivo. Sono un’insegnante precaria e militante antifascista, mi voglio battere per il diritto all’istruzione, i diritti dei lavoratori e dei precari, per contrastare le destre radicali e ogni forma di intolleranza».
E tornerà a insegnare: «Certo che sì, non appena potrò. Amo il mio lavoro e mi è mancato durante questo anno. Purtroppo per colpa dell’arresto non ho potuto partecipare al concorso pubblico a marzo, quindi continuerò a insegnare come supplente. È stato bello per me ricevere sostegno da colleghi, presidi e genitori, che ringrazio».
L’antifascismo
Spiega cosa significa per lei essere antifascista militante: «Tante cose, tutte ugualmente importanti e complementari. Non significa soltanto contrastare la diffusione di organizzazioni fasciste, ma anche lottare contro le oppressioni, assumendosi la responsabilità storica della lotta per la libertà, nell’uguaglianza dei diritti». E mentre nel governo italiano c’è chi ha difficoltà a dichiararsi antifascista «per me l’antifascismo è qualcosa di vivo e sentito, non è una dichiarazione vuota, formale e, probabilmente, ipocrita. Anche gli appelli alla Costituzione, per quanto legittimi, doverosi e importanti, da soli non bastano. Infatti per me è importante dare vita ad una nuova cultura popolare antifascista, che affondi sì le proprie radici nella gloriosa tradizione dei partigiani, ma che si nutra anche e soprattutto del presente. Una cultura vicina alle grandi questioni di oggi, come la diseguaglianza sociale, le discriminazioni, le guerre e il cambiamento climatico».
(da Open)
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Maggio 31st, 2024 Riccardo Fucile
DAVIGO: “COSTITUZIONE STRACCIATA. LA MIGLIORE GARANZIA PER L’IMPUTATO E’ CHE IL PM RAGIONI COME UN GIUDICE”
Errare è umano, perseverare è diabolico. Con il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere si tenta di portare alle estreme conseguenze la serie di errori avviata con l’approvazione del Codice di procedura penale del 1988 (entrato in vigore nel 1989) che, oltre ad avere messo in ginocchio la giustizia penale, ora induce a stravolgere la Costituzione.
L’inserimento in un ordinamento di civil law (il diritto europeo continentale) di caratteristiche estranee asseritamente ispirate dal sistema di common law (di origine britannica), peraltro nell’immaginaria versione delle serie tv, non solo triplicò la durata dei processi, ma determinò una serie di pronunce di illegittimità costituzionale e fece aumentare esponenzialmente le condanne dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, non solo per la durata dei processi, ma anche per l’inadeguata protezione delle vittime. Andiamo con ordine.
1) Il codice ha violato la premessa contenuta nell’art. 2 comma 1 della legge 16 febbraio 1987, n. 81 che statuiva: “Il Codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale”.
2) L’oralità nel processo da “metodo” art. 2 comma 1 n. 2 legge è diventato dogma. Si pensi all’art. 511 comma 3 cod. proc. pen. “La lettura della relazione peritale è disposta solo dopo l’esame del perito”; cioè, il giudice non può leggere la relazione del perito da lui nominato se prima questo non è stato prima interrogato dalle parti.
3) L’immediatezza, che alla luce della durata dei procedimenti, fa sorridere, ha determinato per anni l’irragionevole ripetizione di atti (anche quando video registrati) in caso di mutamento del collegio giudicante (sempre più frequente per la durata dei procedimenti), nuovamente frutto di un dogma e non di pragmatismo.
4) È stata scelta quale fondamento del giudizio l’ignoranza del giudice col pretesto di non condizionarlo, confondendo il giudice professionale con i giudici popolari. Le conseguenze sono continue contraddizioni fra le decisioni dello stesso giudice, ad esempio, in tema di ammissione e revoca delle prove ed il compimento di atti in larga parte inutili. Fenomeno aggravato dall’abolizione dell’esposizione introduttiva.
5) È stato trascurato il principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.) di per sé incompatibile con un processo accusatorio puro. Il controllo del giudice sulla inerzia del pm è insufficiente e inefficace.
6) Il codice è incentrato sulla prova dichiarativa mentre la realtà processuale si fonda sempre più su prove scientifiche, intercettazioni e sorveglianza elettronica.
7) Le inutilizzabilità soggettive (limitate a un solo imputato, ad esempio, per prove acquisite dopo la scadenza del termine di indagine) hanno un effetto deleterio sulla psicologia del giudice, il quale conosce prove che valuta (per altri imputati) e che non può utilizzare: contraddizione che smentisce il principio del giudice pagina bianca.
8) Sono state mantenute le impugnazioni tipiche del processo con istruzione in evidente contrasto con i principi di formazione della prova in contraddittorio innanzi al giudice, dell’oralità e dell’immediatezza nel giudizio di primo grado.
9) I riti alternativi, com’era prevedibile, non hanno funzionato. Essi erano la condizione per la possibilità del nuovo codice di consentire la celebrazione dei processi in tempi ragionevoli. Peraltro, se avessero funzionato nella misura analoga a quella dei Paesi di common law, vi sarebbe stata la generalizzata riduzione delle pene di un terzo o fino a un terzo per il 90% delle condanne, senza che l’opinione pubblica ne venisse informata. La speranza di funzionamento del codice era legata all’ipotesi che la maggior parte dei procedimenti fosse definita con riti che escludevano l’applicazione del rito ordinario, che si assumeva improntato a principi di civiltà inderogabili.
10) La durata dei processi, in conseguenza di quelle scelte errate, è aumentata a dismisura.
Di fronte al plateale fallimento del codice, alla violazione della Costituzione (che avrebbe dovuto rispettare), della delega e delle convenzioni internazionali, anziché prendere atto che le scelte operate erano in contrasto con la Carta e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, oltre che col buon senso, la legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 modificò l’art. 111 della Costituzione, per adeguare la Costituzione al codice. Oggi, perseverando negli errori, si dice (come fa il ministro Carlo Nordio) che occorre separare le carriere dei magistrati del pubblico ministero da quelle dei giudici per completare il processo accusatorio. Ancora una volta non si sa di che cosa si parla.
Si dice che altrove le carriere sono separate, senza sapere che nei Paesi di common law semplicemente le carriere non esistono. Negli Usa, a livello federale, i giudici sono nominati a vita per il singolo posto (dal presidente con l’approvazione del Senato), mentre i procuratori sono assunti (ed eventualmente licenziati) dal presidente. Quando Bill Clinton fu accusato dal Partito Repubblicano di aver nominato troppi giudici del Partito Democratico, si difese dicendo che li aveva scelti per lo più tra i procuratori federali! Per il processo di Norimberga gli Stati Uniti indicarono come pm un giudice della Corte Suprema: Robert Houghwout Jackson.
Mentre in Italia si discuteva di separazione delle carriere, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa aveva approvato il 6.10.2000 la Raccomandazione Rec (2000) agli Stati membri sul ruolo del pm nell’ordinamento penale che procede in senso contrario. In tale Raccomandazione ai punti 17 e 18 infatti si legge: “17. Gli Stati prendono provvedimenti affinché lo status giuridico, la competenza e il ruolo procedurale dei Pubblici ministeri siano stabiliti dalla legge in modo tale che non vi possano essere dubbi fondati sull’indipendenza e l’imparzialità dei giudici. In particolare, gli Stati garantiscono che nessuno possa contestualmente esercitare le funzioni di Pubblico ministero e di giudice. 18. Tuttavia, se l’ordinamento giuridico lo consente, gli Stati devono prendere provvedimenti concreti al fine di consentire ad una stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di Pubblico ministero e quelle di giudice o viceversa. Tali cambiamenti di funzione possono avvenire solo su richiesta formale della persona interessata e nel rispetto delle garanzie”. Ancora una volta si raccontano favole, smentite dai documenti internazionali.
Poi c’è la versione “garantista” secondo cui la separazione delle carriere assicurerebbe l’uguaglianza delle parti nel processo penale, senza considerare che in nessuna parte del mondo le parti possono essere uguali. Se il pm andasse in udienza sapendo che l’imputato è innocente e ne chiedesse la condanna commetterebbe il delitto di calunnia; se sostenesse questa accusa con atti falsi da lui redatti o da altri (conoscendone la falsità) commetterebbe il delitto di falso ideologico o materiale in atto pubblico o di uso di atto falso. Cioè, commetterebbe delitti se mentisse. Se il difensore dell’imputato, informato dal suo cliente della sua colpevolezza, colto da crisi di coscienza, dovesse dire al giudice “non penserà di assolvere il mio cliente? Se lo scarcera domani ammazzerà qualcun altro”, commetterebbe i delitti di infedele patrocinio e di rivelazione di segreto professionale. Cioè, commetterebbe delitti dicendo la verità! Qualcuno può spiegare che uguaglianza può esserci fra due parti così?
Infine, la stucchevole affermazione che Giovanni Falcone fosse favorevole alla separazione delle carriere è smentita dal fatto che egli svolse sia funzioni giudicanti che requirenti.
Del resto basta il buon senso per capire che la miglior garanzia per un imputato è che il pubblico ministero ragioni come un giudice.
Piecamillo Davigo
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 31st, 2024 Riccardo Fucile
“MINA L’EQUILIBRIO DI POTERI ESISTENTI IN ITALIA”
“Un grave attacco all’indipendenza della magistratura“, capace di “minare l’attuale equilibrio di poteri esistenti in Italia” e di porre il nostro ordinamento “in contrasto con gli standard europei”.
Così, in una risoluzione approvata al meeting di Varsavia del 26 aprile scorso, l’Associazione europea dei giudici (European association of judges, Eaj) definisce i progetti di legge costituzionale in discussione in Parlamento sulla separazione delle carriere, la riforma-bandiera del berlusconismo, che il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha annunciato di voler riproporre in un ddl governativo da presentare a breve.
Nel documento, l’Eaj (organismo di rappresentanza sovranazionale delle toghe, a cui aderisce per l’Italia l’Associazione nazionale magistrati) critica i contenuti delle quattro proposte parlamentari (firmate rispettivamente da Lega, Forza Italia, Azione e Italia viva) non sulle carriere separate in quanto tali, che esistono in molti Stati europei, ma sulle modalità pericolose con cui la riforma si vorrebbe realizzare nel nostro Paese.
I testi depositati, si legge infatti, “includono la sostituzione dell’esistente Consiglio superiore della magistratura, che ricomprende sia i giudici che i pubblici ministeri, con due consigli separati, nello specifico un Consiglio superiore per la magistratura giudicante ed un Consiglio superiore per la magistratura requirente. Si prevede, inoltre, che metà dei membri di ogni consiglio siano nominati dal governo” (mentre ora i “laici” sono un terzo e di nomina parlamentare); che la legislazione ordinaria possa stabilire che i membri scelti tra i magistrati vengano selezionati tramite meccanismi non elettivi, incluso il sorteggio, invece di essere eletti tra i loro pari; che al Consiglio superiore sia sottratta ogni possibilità di difendere l’indipendenza dei singoli giudici”, con l’apertura delle cosiddette “pratiche a tutela“; che i Consigli superiori non possano esprimere pareri su proposte legislative”, come invece adesso hanno la facoltà (e a volte l’obbligo) di fare.
Nella risoluzione, l’Eaj ricorda che “l’obiettivo precipuo di ogni organo di autogoverno”, qual è in Italia il Csm, è quello “di proteggere l’indipendenza della magistratura e del singolo giudice” e per farlo “dev’essere indipendente e libero da influenze politiche del potere esecutivo dello Stato”. Inoltre, “ogni consiglio deve essere improntato al principio democratico e poter svolgere con efficacia il mandato istituzionale, il che comporta che i membri scelti tra i magistrati dovrebbero essere eletti dai loro pari, che si trovano nella posizione di valutare le qualità e le capacità dimostrate dai candidati per contribuire alle funzioni ed alle responsabilità del consiglio. La proposta secondo cui i membri scelti tra i magistrati siano eletti a sorte non è coerente con l’esigenza di una scelta democratica nell’ambito della magistratura”.
Secondo i giudici europei, il progetto di separare le carriere dei magistrati e quello di limitare l’obbligatorietà dell’azione penale (oggetto di un altro disegno di legge parlamentare) sono “tentativi di indebolire la posizione dei pubblici ministeri” e di limitarne l’indipendenza: “Nonostante tali proposte siano descritte dai loro fautori come idonee ad assicurare l’imparzialità del giudice ed a rafforzare il principio del contraddittorio nel processo penale, a un esame obiettivo esse legittimano una ampia estensione degli spazi di influenza che la politica può esercitare sull’attività giurisdizionale, così indebolendo le essenziali prerogative di autonomia ed indipendenza della magistratura, le quali entrambe si qualificano come prerequisiti indispensabili per il corretto esercizio della funzione giurisdizionale in uno Stato di diritto”. L’Eaj, è la conclusione, “sollecita le Autorità italiane a riconsiderare le proposte in esame ed a tenere presente l’esigenza che l’Italia non adotti iniziative che si discostino dagli standard europei”.
(da agenzie)
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Maggio 31st, 2024 Riccardo Fucile
È IMPROBABILE CHE IL TYCOON FINISCA AL GABBIO, PER RAGIONI PRATICHE E DI OPPORTUNITÀ (I SERVIZI SEGRETI DOVREBBERO COMUNQUE CONTINUARE A SORVEGLIARLO), PIÙ FACILE CHE VADA IN LIBERTÀ VIGILATA… E GLI ELETTORI? SECONDO I SONDAGGI, IL 6% SAREBBE MENO DISPOSTO A VOTARE PER TRUMP: UN NUMERO SIGNIFICATIVO IN UN TESTA A TESTA
Se Donald Trump fosse eletto presidente in novembre avrebbe ampi poter per perdonare persone condannate per crimini federali, ma nessun autorità sul caso che da oggi più lo coinvolge direttamente: il verdetto di colpevolezza a New York per aver comprato il silenzio della pornostar Stormy Daniels a scopi elettorali.
L’autorità federale della Casa Bianca non si trasferisce infatti ai capi di imputazione statali di cui Trump oggi è stato riconosciuto colpevole. Solo il governatore dello stato di New York, la democratica Kathy Hochul, avrebbe il potere di passare un colpo di spugna sul parere dei 12 giurati di Manhattan, e questo al momento sembra altamente improbabile..
La condanna di Trump è un fatto storico: è la prima volta che accade ad un ex presidente degli Stati Uniti e al candidato alla Casa Bianca di uno dei due maggiori partiti. La Costituzione non vieta ad un condannato (anche eventualmente in carcere) di correre per la Casa Bianca.
Le conseguenze del verdetto per le elezioni di novembre sono incerte. Un sondaggio della Quinnipiac University del mese scorso, per esempio, diceva che il 6% degli elettori di Trump sarebbero meno disposti a votare per lui se condannato: un numero piccolo, ma che in una elezione testa a testa come quella con Biden potrebbe essere significativo.
Altri credono che tra cinque mesi, questa condanna conterà poco in un’elezione in cui la priorità degli americani è l’economia. Inoltre Trump ha usato questo processo per presentarsi come una vittima del sistema e motivare il suo elettorato.
Decidere la pena toccherà al giudice Juan Merchan, più volte accusato da Trump di essere «corrotto». Lo farà in un’udienza fissata per l’11 luglio: quattro giorni prima della convention repubblicana di Milwaukee che incoronerà Trump come candidato alla Casa Bianca, come sottolinea quest’ultimo sul suo social Truth, dichiarando che si tratta di «Interferenza elettorale». La pena potrebbe andare da una multa di 5000 dollari alla libertà condizionata, fino agli arresti domiciliari o possibilmente (ma è improbabile) tra i 16 mesi e i quattro anni di carcere.
Il giudice dovrà tenere conto di diversi aspetti: l’età di Trump (77 anni), la mancanza di precedenti penali, il fatto che si tratta di un crimine non violento sono a suo vantaggio; a suo svantaggio c’è la violazione da parte dell’imputato dell’ordine di non attaccare i procuratori, i testimoni, il giudice e i loro familiari durante il processo. Per reati come questo e con un condannato senza precedenti, di solito la pena consiste in un mix tra una multa, la libertà vigilata e i servizi sociali, dicono gli esperti.
Mettere in carcere Trump comporterebbe problemi non solo perché è candidato alla Casa Bianca ma è anche una questione pratica: in quanto ex presidente, ha diritto alla protezione dei servizi segreti che dovrebbe continuare anche in prigione. I servizi segreti hanno cominciato ad analizzare questa eventualità, per essere pronti, prendendo in considerazione Rikers Island. Ma sarebbe estremamente complicato per il sistema carcerario, oltre che costoso.
Anche gli arresti domiciliari o la libertà vigilata implicherebbero complicazioni: il candidato alla Casa Bianca dovrebbe essere autorizzato a fare i comizi fuori dallo Stato e chiedere il via libera all’ufficiale assegnatogli anche per esempio per partecipare al dibattito presidenziale con Biden ad Atlanta il 27 giugno.
In ogni caso Trump farà ricorso in appello: ha trenta giorni per presentarne richiesta e sei mesi per consegnare l’intero appello — potrebbero volerci mesi o anni prima di una sentenza che nessuno si aspetta che possa arrivare prima delle elezioni di novembre — e se pure fosse condannato al carcere, rimarrebbe libero su cauzione mentre presenta il ricorso.
L’ex presidente si è spesso lamentato dell’Aula scomoda e fredda al 15esimo piano del tribunale in cui ha dovuto passare sei settimane. Ma adesso gli toccherà un incontro presso il dipartimento per la libertà vigilata di New York, al decimo piano dello stesso edificio. Qui gli verrà chiesto di rispondere a domande sulla sua vita personale, la sua salute mentale e le circostanze che hanno portato alla sua condanna, per un documento che verrà presentato al giudice prima della sentenza.
Se eletto presidente, Trump non può graziare se stesso in questo caso: può usare la grazia in casi federali, come due di quelli ancora in sospeso e che probabilmente non si chiuderanno prima delle elezioni, ma questo è un caso deciso dallo Stato di New York.
(da agenzie)
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Maggio 31st, 2024 Riccardo Fucile
DIETRO I MAXI ROGHI DI LONDRA, DEL PIÙ GRANDE CENTRO COMMERCIALE IN POLONIA, DELL’IKEA IN LITUANIA, DEL DEPOSITO DI MEZZI PESANTI IN FRANCIA E DELLA BASE MILITARE IN BAVIERA, CI SAREBBE LO ZAMPINO DI PUTIN… IN INGHILTERRA IL PIROMANE ARRESTATO HA AMMESSO DI ESSERE STATO ASSOLDATO DAI SERVIZI RUSSI
La guerriglia urbana come strumento del terrore. Il sabotaggio, fisico e non solo cibernetico, come arma nella nuova guerra fredda. Da qualche mese i servizi di sicurezza europea sono al lavoro su una serie di apparentemente piccoli episodi, scollegati tra di loro, ma che invece all’esito delle indagini sembrano avere un punto in comune: la mano della Russia. Che vorrebbe, così, soffiare sulla paura in Europa.
Esempi: un grande incendio a Leyton, nell’Est di Londra. Un altro che ha devastato il più grande centro commerciale in Polonia. In Lituania è andato in fiamme un negozio dell’Ikea. E ancora: fuoco in un deposito di mezzi pesanti nel Sud della Francia. E lo stesso nei pressi di una base militare in Baviera.
Letti così, come si diceva, sembrerebbero punti completamente scollegati tra di loro, se non dalla comune mano di piromani scarsi o magari di estorsori. Ma le indagini avviate nei singoli Paesi hanno invece raccontato alto. E cioè che ci possa essere una regia unica di Mosca, circostanza questa che le varie ambasciate del Cremlino hanno fortemente negato ma che, al contrario, trova conferme nel lavoro delle intelligence europee che da settimane discutono della vicenda.
A Londra l’obiettivo dell’incendio erano due capannoni di proprietà di un cittadino ucraino. E la polizia inglese, come ha raccontato ieri il Guardian, ha arrestato un uomo con l’accusa di essere stato reclutato dall’intelligence russa per appiccare il fuoco. In Polonia le fiamme sono state appiccate almeno due volte, a un centro commerciale e a una fabbrica di vernici. E nove persone sono state arrestate con l’accusa di fare parte di un network guidato dal Cremlino.
Stessa accusa mossa a due russo-tedeschi fermati in Germania per aver appiccato un incendio, questo sostiene la polizia, nei pressi di una base militare. «E hanno condotto operazioni simili anche da noi in Estonia» ha detto il ministro della Difesa, Hanno Pevkur. In Francia a essere scempiato è stato un memoriale dell’Olocausto: anche in questo caso la Polizia sospetta un collegamento con la Russia.
E in Italia? Il nostro Antiterrorismo considera «terribilmente serio» quanto sta accadendo nel resto dell’Europa e in queste settimane sono stati avviati una serie di scambi di informazioni. Non sono stati registrati però atti “a rischio” sul nostro territorio, non per lo meno negli ultimi mesi.
Ora, evidentemente, c’è grande attenzione al G7 che tra due settimane porterà i grandi del mondo in Puglia
(da agenzie)
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Maggio 31st, 2024 Riccardo Fucile
CIRCA IL 23% DELLE PAGINE DI NOTIZIE INCLUDE ALMENO UN LINK NON FUNZIONANTE, IL 21% DEI SITI WEB GOVERNATIVI E IL 54% DELLE PAGINE DI WIKIPEDIA INCLUDE NEI PROPRI RIFERIMENTI PORTALI CHE NON ESISTONO PIU‘
Anche Internet non dura per sempre, una parte del web che conosciamo sta scomparendo. Secondo un’analisi del Pew Reasearch Center, il 38% delle pagine web che esistevano nel 2013 non sono più accessibili e l’8% delle pagine esistenti nel 2023 non sono più disponibili. Nella maggior parte dei casi perché sono state cancellate o rimosse. L’effetto “decadimento digitale”, così lo chiama il centro studi americano, significa che grandi quantità di notizie e importanti contenuti di riferimento stanno scomparendo.
E il fenomeno si verifica in spazi online diversi, dai collegamenti che compaiono sui siti governativi a quelli di notizie, da Wikipedia ai social media. Infatti, circa il 23% delle pagine di notizie include almeno un collegamento non funzionante, il 21% dei siti web governativi e il 54% delle pagine di Wikipedia include nei propri riferimenti un collegamento che non esiste più. Più o meno lo stesso effetto si sta verificando sui social network.
Un quinto dei tweet scompare dalla piattaforma entro pochi mesi dalla pubblicazione. Lo studio è stato condotto raccogliendo campioni casuali di quasi un milione di pagine web, prese da Common Crawl, un servizio che archivia parti di Internet. I ricercatori hanno poi cercato di vedere se quelle pagine continuassero ad esistere tra il 2013 e il 2023.
(da agenzie)
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