Giugno 30th, 2024 Riccardo Fucile
PREMIERATO: CONTRO IL 43%, A FAVORE IL 33% , AUTONOMIA: CONTRO IL 41%. FAVOREVOLE IL 35%
A 20 giorni dallo spoglio del voto europeo, una sostanziale stabilità è ciò che si rileva tra l’opinione pubblica italiana. Tra i dibattiti ritornati in auge nell’ultima settima c’è sicuramente l’Autonomia differenziata, soprattutto dopo che il disegno di legge è stato approvato definitivamente alla Camera con il voto del 19 giugno.
Il 25 giugno Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha difeso il disegno di legge con un video sui suoi canali social.
Su questo disegno di legge i cittadini si pongono su 3 posizioni differenti. I “favorevoli” (35%) si concentrano principalmente tra i partiti di governo, con una media che sfiora il 66%, e al nord con una specifica attenzione e una netta prevalenza nel nord est (51,5%).
Sono convinti che una maggiore autonomia regionale possa portare una gestione più efficiente delle risorse locali e credono che le diverse regioni abbiano esigenze specifiche locali che meritano attenzione definite. I “contrari” (40,6%) che raccolgono le maggioranze dei partiti di opposizione e dal centro Italia fino alle isole. Principalmente temono che l’autonomia possa aumentare le disparità tra le regioni più ricche e quelle povere e manifestano una certa preoccupazione che si possa compromettere l’unità del Paese. Il terzo cluster che si delinea sono gli “scettici”.
Rappresentano un italiano su 4, mentre sulle isole questo rapporto si traduce in 1 su 3 (29,6%). In molti denunciano di non avere informazioni sufficienti per formarsi un’opinione chiara,
Il disordine si interpreta più facilmente tra vantaggi e svantaggi che l’applicazione di questo disegno di legge potrebbe portare. Qui 1 cittadino su 4 si divide su ogni opzione proposta. Mentre gli elettori dei partiti di opposizione si schierano principalmente sugli svantaggi, tra i partiti di governo emerge Forza Italia con un 27% dei loro supporter convinti che con l’applicazione del nuovo decreto non potrà cambiare nulla.
All’alba delle elezioni francesi, dove circa 50 milioni di elettori saranno chiamati alle urne per rinnovare l’Assemblea nazionale, sono stati interrogati gli italiani da Euromedia Research anche sul Premierato scoprendo che anche su questa riforma costituzionale esiste un’importante mancanza di informazione che porta 1 intervistato su 3 ad essere dubbioso (27,9%).
Il totale dei contrari è il 43% e attraversa la maggioranza dei partiti di opposizione con punte di dissenso vicino all’80% tra gli elettori del Pd e Alleanza Verdi e Sinistra. Meno marcati e più timidi sono i dissensi per Azione (47,5%) e Stati Uniti d’Europa (33,3%). Un cittadino su 3 si dichiara favorevole al Premierato e appartiene principalmente ad un partito dell’alleanza di governo.
Alessandra Ghisleri
per “la Stampa”
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Giugno 30th, 2024 Riccardo Fucile
ALTRO CHE “MANIFESTO PATRIOTTICO”, SONO I TRADITORI VENDUTI AGLI INTERESSI DI MOSCA
Si va delineando un nuovo gruppo sovranista al Parlamento europeo, lo hanno annunciato Herbert Kickl, leader del Partito delle Libertà austriaco (Fpö), l’ex primo ministro ceco Andrej Babiš, della formazione liberal-populista Ano e il primo ministro ungherese, Viktor Orban. L’obiettivo, dicono: “Coinvolgere altri partiti europei per poi uniti ridare all’Europa un futuro”.
Per costituire un nuovo gruppo politico europeo al Parlamento sono necessari almeno 23 eurodeputati appartenenti ad almeno sette Paesi. L’Fpö di Kicklha 6 seggi, l’Ano di Babiš ne ha 7 mentre Fidesz di Orban ne ha 10. Il termine per costituire i gruppi è il 4 luglio, in vista della prima plenaria dell’Eurocamera dal 16 luglio.
Ad oggi il gruppo di destra più forte al Parlamento europeo è ECR (Conservatori e Riformatori Europei), il terzo per dimensioni con 83 deputati, subito dietro al PPE conservatore e ai socialdemocratici.
L’FPÖ apparteneva in precedenza alla fazione euroscettica più piccola del Parlamento europeo, “Identità e Democrazia” (ID). L’ANO ha lasciato il gruppo liberale dopo le elezioni europee. Fidesz ha lasciato il Partito popolare europeo (PPE) nell’ultima legislatura dopo anni di dispute sullo stato di diritto in Ungheria e da allora non si è più iscritto.
“Presentiamo oggi questo gruppo composto da 3 partiti e i loro rappresentanti che stabilizzeranno questo nuovo movimento patriottico” in Europa e avvieranno “questa necessaria svolta politica”, ha detto Kickl. “Tutte le forze politiche che lo desiderano e vogliono unirsi ai nostri sforzi di riforma “saranno accolte con un caloroso benvenuto: sta già diventando evidente che ce ne saranno più di quanti alcuni di voi probabilmente sospettino in questo momento”.
“Questa nuova alleanza patriottica rappresenta una via della ragione”, ha aggiunto. Significa che “le competenze nazionali sono nuovamente ancorate alla patria”, contro “il postulato della sussidiarietà, l’escalation dell’immigrazione clandestina e chiedono anche una soluzione pacifica alla guerra tra Russia e Ucraina”, ha affermato il politico austriaco.
Anche l’ex primo ministro ceco Andrej Babiš ha salutato festante sui social la nascita della nuova formazione: “Preferiremo la sovranità nazionale al federalismo, la libertà all’ordine e la pace alla guerra”.
Oggi la Lega fa parte del gruppo dei sovranisti di Identità e Democrazia insieme al partito di Marine Le Pen Rassemblement National (che rappresenta il peso massimo con 30 eurodeputati), ma oggi a una nota affida l’auspicio per qualcosa di nuovo. “Davanti all’arroganza di Bruxelles, che sulle nomine si comporta come se nulla fosse dopo il voto dei cittadini, e che non aspetta l’esito delle elezioni francesi, è quanto mai necessario unire le forze di chi vuole cambiare l’Europa e offrire una alternativa alle sciagurate sinistre. Come auspicato più volte da Matteo Salvini, non è più rinviabile un grande gruppo per radunare i patrioti europei”, questo il contenuto della nota.
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2024 Riccardo Fucile
ROBERTO “RED SOX” MANTOVANI, IL TASSISTA DI BOLOGNA MINACCIATO PER AVER DENUNCIATO I COLLEGHI “NO POS”: “ SPESSO I TASSISTI SONO COMPLICI. GONFIANO IL COSTO DELLA CORSA, SMERCIANO RICEVUTE IN BIANCO. A MILANO E A ROMA C’È UNA COMPRAVENDITA DI BLOCCHETTI PER I FURBETTI”
Il caso della manager di Fincantieri Sabrina di Stefano, che prima ha chiesto a un conducente di taxi romano di gonfiare la ricevuta e davanti al rifiuto, è passata agli insulti, non è un episodio isolato. Lo sa bene l’integerrimo tassista bolognese Roberto Mantovani, meglio noto come Red Sox, in prima linea contro i colleghi “No Pos”.
Red Sox, lei la scena filmata l’ha vista?
«Sì, e bene ha fatto il collega a reagire così. Poi per fortuna la maggior parte dei clienti di fronte al rifiuto a questo genere di richieste si limita ad abbozzare, non insulta. […] Infastiditi, loro. Sapesse il mio di fastidio. Che è enorme sempre, sia che vogliano rubare ad aziende private che pubbliche. Perché di questo si tratta. Nel pubblico peggio. Sono soldi nostri».
Capita spesso?
«Tutti i giorni. E certo non da oggi. E se la richiesta di gonfiare la ricevuta è all’ordine del giorno, c’è chi pretende addirittura la ricevuta in bianco».
Quali sono le richieste più truffaldine?
«Io faccio spesso il turno notturno e non sa quanti clienti si fanno accompagnare alle 2 – 3 di notte in giro, in cerca di escort, poi mi chiedono di segnare un orario diurno nella ricevuta. A quel punto mi scappa proprio: “ma lei davvero si vuole far rimborsare questa cosa?”. Di solito ammutoliscono».
E i suoi colleghi?
«Spesso sono complici. Per 20 euro di mancia, gonfiano il costo della corsa, smerciano ricevute in bianco. Addirittura a Milano ma pure a Roma c’è una compravendita di blocchetti».
Ma nessuno controlla? Non sono numerate?
«Le ricevute classiche, quelle compilate a penna dai tassisti, sono carta straccia. Non hanno alcun valore fiscale. Andrebbe inserito almeno il numero del taxi o di licenza ma lo fanno in pochi. La mia ex cooperativa, da cui sono stato espulso proprio per le mie battaglie sul fronte della legalità, a onor del vero, ha creato un sistema di ricevute di qualità, stampate con i dati reali e precisi al momento del pagamento. Ma non è obbligatorio usarla da parte dei conducenti. E così sul taxi in tanti hanno anche il classico blocchetto per venire incontro alle richieste dei furbetti. Io, ora che sono autonomo, non ho altre possibilità che usare blocchetti di ricevute acquistati dal tabaccaio. Per chi lavora in proprio non esistono alternative».
Le è mai capitato che qualcuno controllasse?
«Mai. E comunque né le aziende e nemmeno l’Agenzia delle entrate possono verificare la veridicità delle ricevute perché, se non è indicato, non si può risalire al tassista e al numero di licenza».
(da “la Repubblica”)
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Giugno 30th, 2024 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DELLA LIPU, CHE GESTISCE L’ISOLOTTO: “IN QUESTO PERIODO CI SONO SPECIE CHE NIDIFICANO NELL’ISOLA E DAL PRIMO MARZO AL 30 GIUGNO LE VISITE SONO SOSPESE. UNO SCEMPIO: TANTE CICCHE DI SIGARETTE, BOTTIGLIETTE DI VETRO, DI PLASTICA E TANTI BICCHIERI. HANNO ACCATASTATO DELLA LEGNA E VOLEVANO FARE UN FALÒ”
Erano circa duecento e non erano autorizzati a festeggiare in una delle aree protette, un isolotto privato sull’Isola delle Femmine. L’evento di sabato, riportano le testate locali, è stato fermato dalla guardia costiera e dalla guardia di finanza che, armati di motovedette, hanno raggiunto il luogo identificando i presenti.
I militari hanno fatto scattare le denunce per i presenti, persone della borghesia palermitana, imprenditori e professionisti molto conosciuti in zona.
Inizialmente il folto gruppo aveva partecipato a una festa in un club della zona, poi, a fine serata l’idea: raggiungere in barca 15 ettari di roccia, dove spicca la torre di Isola delle Femmine. Un post party esclusivissimo, in un a iserva e area marina protetta, istituita nel 1997 dalla Regione Sicilia e gestita dalla Lipu dal 1998.
Cicche e bottiglie di vetro lasciate a terra
«Dal 1998 a ieri a nessuno era venuto in testa di prendere d’assalto l’isolotto riserva naturale – afferma basito Vincenzo Di Dio, direttore dello spazio gestito dalla Lipu -. Una cosa davvero molto grave. Anche perché in questo periodo ci sono specie che nidificano nell’isola e dal primo marzo al 30 giugno le visite sono sospese, come si trova scritto sull’isola dove c’è in più punti affisso il regolamento. Ho fatto un sopralluogo sull’isola. Un vero scempio. Tante cicche di sigarette, bottigliette di vetro, di plastica e tanti bicchieri. Hanno accatastato della legna e volevano fare un falò. Mi dicono che si tratta di imprenditori e professionisti conosciuti. Un vero disastro. La riserva è fruibile, ma attraverso i percorsi e i sentieri. In tanti arrivano sull’isolotto e lasciano questa zona di riserva meglio di come la trovano non certo in questo modo».
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2024 Riccardo Fucile
AL VITTIMISMO MELONIANO E ALLE ACCUSE IN GIURIDICHESE, FANPAGE REPLICA IN PUNTO DI DIRITTO
La reazione di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia contro l’inchiesta su Gioventù Nazionale si basa su una strategia piuttosto semplice: rimbrottare, più o meno blandamente, il movimento giovanile sul merito, per poi attaccare i giornalisti sul metodo, parlando di violazioni deontologiche, mancato rispetto della privacy e perfino di attacchi ai diritti politici. Il vittimismo retorico si unisce così ad accuse in giuridichese, che vanno confutate per giungere a una conclusione già chiara a chiunque conosca il diritto, i diritti e il giornalismo: l’inchiesta di cui si discute è giuridicamente legittima, oltre che sostanzialmente opportuna.
Il giornalismo ha limiti? Certo!
Partiamo dalle basi: il giornalismo si basa su un diritto (e su un dovere, come vedremo), ossia quello di esprimersi liberamente. Questo diritto è tutelato non solo dalla Costituzione, all’articolo 21, ma anche dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dall’articolo 11 della Carta di Nizza.
Come ogni libertà, però, anche il diritto di cronaca ha dei limiti, che la Corte di Cassazione ha spiegato e ribadito in più occasioni: verità, continenza, pertinenza.
L’informazione giornalistica deve allora essere vera, deve essere comunicata con un linguaggio adeguato, senza trascendere in insulti, allusioni o espressioni offensive, e deve riguardare notizie di interesse pubblico. Questa è la teoria, da applicare alla pratica.
Tolte le prime accuse di frasi estrapolate e video rimaneggiati, nessuno dubita della verità di quanto denunciato nell’inchiesta su GN. Quanto alla continenza, le uniche offese contenute nei video sono quelle fieramente recitate da diversi aderenti a Gioventù Nazionale. È quindi sulla pertinenza, ossia sull’interesse pubblico alla divulgazione della notizia, che si soffermano le critiche della destra al potere, con un appello (pretestuoso) al diritto alla privacy.
La confusione tra denuncia oggettiva e privacy soggettiva
Per capire se ci sia o meno un interesse pubblico nell’inchiesta occorre guardare al focus della denuncia giornalistica, che non riguarda le personali opinioni politiche di questo o quel giovanissimo militante, ma il fatto che nel movimento giovanile legato a Fratelli d’Italia, partito al governo, fondato dall’attuale presidente del Consiglio, ci siano idee fasciste, esibite con saluti romani, commenti antisemiti, cori neonazisti. Ed è questo un fatto meritevole di attenzione, di interesse pubblico.
La denuncia dell’inchiesta è quindi oggettiva, ossia su un fatto, commesso da una indistinta pluralità di soggetti. La maggior parte di questi soggetti restano, per l’appunto, una indistinta pluralità: le immagini originali della giornalista sotto copertura proteggono l’identità individuale delle persone coinvolte. Gli unici soggetti di cui viene fatto il nome non sono anonimi militanti del movimento giovanile, ma dirigenti di Gioventù Nazionale, in stretto contatto con importanti esponenti di Fratelli d’Italia e con prospettive di crescita nel partito al governo. Che la dirigenza del gruppo giovanile sia parte integrante, quando non diretta organizzatrice, di esibizioni fasciste è un fatto di interesse pubblico, una notizia che merita di essere diffusa.
L’interesse pubblico non è per forza di rilievo penale
Nonostante l’organizzazione para-partitica, diversi difensori di Gioventù Nazionale e di Fratelli d’Italia si affrettano a garantire che, comunque, le esibizioni cameratesche denunciate nell’inchiesta non costituiscono apologia di fascismo, né si configurano come un tentativo di riorganizzazione (costituzionalmente vietata) del disciolto partito fascista. Lo stesso consigliere giuridico di Giorgia Meloni, Francesco Saverio Marini, in un’intervista al Corriere, esclude che possano configurarsi reati e sostiene comunque che, in caso di attività criminale, “interviene la magistratura. L’informazione si deve fermare fuori.”
Ma l’interesse pubblico non deriva mica soltanto dai reati: se così fosse, non dovremmo nemmeno commentare le dichiarazioni dei politici, o l’approvazione di leggi, o il raggiungimento di accordi sociali, dal momento che sono tutte questioni che non hanno un rilievo penale. La cronaca non è infatti solo crimine ed è l’importanza per la pubblica opinione a rendere tale una notizia: il furto di una bicicletta è certo un reato, ma è meno interessante, per un giornale che intenda fare informazione, di quanto emerso nel movimento giovanile del partito di governo, anche qualora quel fascismo esibito non costituisca reato.
La scriminante dell’esercizio del diritto vale anche per quello di cronaca
Dal diritto penale, però, arriva un’argomentazione giuridica che merita di essere citata. L’articolo 51 del codice penale prevede infatti una scriminante, che stabilisce che l’esercizio di un diritto, così come l’adempimento di un dovere, “esclude la punibilità”. In presenza di questa causa di giustificazione, quello che all’apparenza sarebbe un fatto penalmente rilevante (cioè un reato) risulta invece lecito: organizzare un corteo può apparire come reato di blocco stradale (nella nuova versione salviniana), se non si tiene conto del diritto di riunione, costituzionalmente tutelato; o, ancora, astenersi dal lavoro, per spingere gli imprenditori ad accettare e concedere un miglioramento delle condizioni di lavoro, può sembrare la coercizione alla base del reato di violenza privata, ma è invece perfettamente lecito, dal momento che la Costituzione all’articolo 40 garantisce ai lavoratori il diritto di sciopero.
Allo stesso modo, quando la diffusione della notizia rispetta i citati criteri di verità, continenza e pertinenza, la lesione della reputazione o la violazione della privacy sono, al più, effetti collaterali: nell’esercizio del diritto di cronaca non è commesso né il reato di diffamazione (art. 595 c.p.), né quello di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.).
La libertà di espressione tra spazio pubblico e privato
Proprio sulla tutela della vita privata e della riservatezza si concentrano molti degli attacchi contro il giornale. Alla base di queste aspre critiche c’è una concezione piuttosto opportunistica della libertà di espressione, che viene mischiata alla tutela della riservatezza e della segretezza, così creando una confusione con cui si pretende il diritto di affermare nefandezze senza predersene la responsabilità.
Per capire il trucco del ragionamento bisogna precisare che le libertà comprendono sia una dimensione positiva, sia una dimensione negativa. Si ha il diritto di iscriversi a un sindacato o a un partito, ma anche il diritto di non aderirvi; si può scioperare come non scioperare; manifestare o non manifestare; esprimere un’opinione o tacere.
L’esercizio di una libertà è una facoltà assegnata agli individui: la ragione per cui si decide di non esprimere un’opinione, di non iscriversi a un partito, di non aderire a uno sciopero, di non partecipare a un corteo, non è, in sé, sindacabile, perché riguarda lo spazio privato della coscienza dell’individuo. Ma l’uso che si fa di una libertà può invece avere un risvolto attivo, perché si esprime in una dimensione sociale, con delle conseguenze, per quanto limitate da un complesso equilibrio di posizioni giuridiche soggettive: il lavoratore in sciopero non può essere licenziato ma non viene retribuito, l’aderente a un partito o a un sindacato, al di fuori delle tutele antidiscriminatorie garantite, risponde delle idee politiche che incarna. E chi esprime un’opinione, esercitando la sua libertà di espressione, rivendica una posizione, afferma una tesi, ma se ne deve assumere la responsabilità. L’espressione del pensiero non è infatti una libertà unidirezionale, una performance insindacabile, ma è una modalità di relazione, in cui l’opinione esce dallo spazio privato della coscienza per entrare in una dimensione collettiva, grande o piccola che sia.
Se così non fosse, non dovrebbe esistere il reato di diffamazione, quando l’offesa avvenisse in assenza della vittima e in una dimensione ristretta: se in un teatro, davanti a una platea di invitati, ci si mettesse a insultare e accusare falsamente qualcuno, si potrebbe forse rivendicare la segretezza delle affermazioni espresse davanti a una collettività, per quanto piccola possa essere?
Diritti politici e partiti: la mancata attuazione della Costituzione
Un rimprovero ancor più severo viene mosso dal consigliere giuridico di Giorgia Meloni, che, nella citata intervista al Corriere, sostiene che «Nessuna attività giornalistica si deve spingere fino a partecipare segretamente alla vita di un partito o di un’associazione politica». L’inchiesta, secondo il giurista (tra gli estensori della riforma sul premierato), metterebbe in pericolo i diritti politici, la tutela delle regole democratiche, il funzionamento dei partiti.
Nel citare la Costituzione, e la tutela che essa assegna ai partiti, si omette però un dettaglio non trascurabile: nonostante i dibattiti nell’Assemblea Costituente, e le discussioni degli anni successivi, non è mai stata approntata una disciplina speciale che definisse i partiti politici, che tuttora utilizzano la forma giuridica di associazioni e a cui si applicano le norme generali del codice civile.
La tutela costituzionale è quindi soltanto quella dell’articolo 49, secondo cui “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Questa affermazione però non è un diritto del gruppo partitico, ma si configura come una libertà per i singoli individui di aderire a un’associazione di partito, senza che questa venga definita costituzionalmente, se non per il metodo democratico e per la funzione politica.
Le uniche previsioni relative ai partiti politici riguardano le forme di finanziamento e la trasparenza sulle elargizioni ricevute e sulle biografie dei candidati: una disciplina opposta rispetto alla pretesa di totale segretezza che viene rivendicata di fronte alle immagini dell’inchiesta.
L’inganno è rilevante solo se c’è vizio di volontà
Sullo sfondo di accuse e critiche c’è quella di aver ingannato i militanti di Gioventù Nazionale, convinti di accogliere una giovane di idee liberali, collaboratrice (non retribuita) di un giornale di destra. Ma davvero è obbligatorio presentarsi sempre con la propria reale identità?
Da un punto di vista logico (e deontologico), non ci sarebbe giornalismo undercover, sotto copertura, se esistesse un obbligo assoluto di presentarsi sempre e solo con le proprie generalità e le proprie reali opinioni. “I «Sieg Heil» nazisti, le mani tese nel saluto romano, i «Duce, Duce!», i coretti fascisti, gli schifosi discorsi xenofobi e antisemiti sarebbero mai venuti alla luce davanti ad un taccuino o ad una telecamera? La domanda è retorica, la risposta è scontata: assolutamente no”, scrive Ciro Pellegrino.
Ma anche da un punto di vista giuridico, usare generalità false non configura necessariamente un illecito o un reato. Gli unici soggetti verso cui si ha l’obbligo di identificarsi sempre secondo verità sono i pubblici ufficiali, in ragione dell’articolo 4 del Testo Unico sulle Leggi di Pubblica Sicurezza (e, qualora non lo si faccia, si incorre nel reato di falsa attestazione, di cui all’art. 495 c.p.).
La fiducia dei privati cittadini non è però priva di tutela: le dichiarazioni false sulla propria identità o sul proprio stato sono punite dall’art. 494 c.p. con il reato di sostituzione di persona. Ma è questo il caso? No.
Perché si configuri il reato di sostituzione di persona non basta che ci si presenti con informazioni false, ma occorre che queste informazioni siano tali da indurre in errore l’interlocutore. Se ci si presenta come proprietari di qualcosa, per vendere a un ignaro acquirente, se ci si spaccia per agenti di polizia, per obbligare qualcuno a fare qualcosa, se, insomma, le informazioni sull’identità inducono qualcuno a fare qualcosa che non avrebbe fatto senza la bugia, si configura il reato in questione.
Allora la domanda da porsi è: se la giornalista sotto copertura non ci fosse stata, i saluti romani, i «Sieg Heil» nazisti, i discorsi antisemiti ci sarebbero stati comunque? La domanda è retorica, la risposta è scontata: assolutamente sì. Senza l’inganno, i fatti si sarebbero svolti lo stesso, a mancare sarebbe stata solo la testimonianza della loro sussistenza.
La funzione del giornalismo è un dovere costituzionale a tutela della democrazia
Torniamo quindi al principio, alle basi: l’informazione non è solo un diritto, è anche un dovere. Se il diritto discende dalla libertà di espressione, di veicolare idee, di divulgare pensieri, affermata dall’articolo 21 della Costituzione, il dovere di dare testimonianza, di svelare segreti, di denunciare misfatti si lega strettamente all’articolo 1 e al suo assegnare la sovranità al popolo.
Il popolo è infatti sovrano solo se è pienamente consapevole, se riceve una puntuale, corretta, completa informazione, senza la quale non può esercitare effettivamente il potere della (e il diritto alla) sovranità. A spiegarlo così non sono solo cronisti coraggiosi o editorialisti orgogliosi: è la Corte di Cassazione ad averlo chiarito, a chiare lettere, con la sentenza 16236 del 2010.
Ribadiamo ancora, allora, in conclusione. Un’inchiesta che denuncia fatti veri e di interesse pubblico è un lavoro giuridicamente legittimo, oltre che sostanzialmente opportuno. L’informazione è un diritto e un dovere, il giornalismo ha una funzione democratica, strettamente legata alla sovranità popolare, che può essere esercitata solo se il popolo è consapevole e informato. E, in ogni caso, la sovranità popolare non è un potere assoluto, assegnato a una maggioranza, ma si esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione”. E la Costituzione italiana, è il caso di ricordarlo, è antifascista.
(da Fanpage)
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Giugno 30th, 2024 Riccardo Fucile
E’ VISTA COME UN’OPPORTUNITÀ PER DEDICARE PIÙ TEMPO A FIGLI, FAMILIARI E AL BENESSERE PERSONALE, ANCHE SE SOLO IL 10% SAREBBE DISPOSTO A UNA LEGGERA RIDUZIONE DELLO STIPENDIO… LA SETTIMANA BREVE È GIÀ STATA INTRODOTTA IN DIVERSI PAESI EUROPEI, CON RISULTATI PROMETTENTI
Il mondo del lavoro è in costante evoluzione, e la possibile introduzione della settimana corta dopo l’affermazione ormai consolidata dello smart working, possono essere strumenti di salvaguardia del benessere dei lavoratori così come dell’ambiente. Una nuova indagine realizzata per Pulsee luce & gas, brand digitale di Axpo Italia, dalla società NielsenIQ, ha portato in luce i punti di vista su questo importante aspetto di un campione rappresentativo della popolazione italiana.
Esperimento dopo esperimento, la «Four Days Week» sta diventando realtà in alcuni settori di diversi paesi europei e non. Ha iniziato l’Islanda, una delle prime tra il 2015 e il 2019 a testare la settimana di quattro giorni per 35-36 ore di lavoro: i risultati sono stati buoni, con le imprese che hanno registrato una maggior produttività e l’86% dei dipendenti che ha scelto i quattro giorni all’insegna del «meno stress». In Nuova Zelanda le sperimentazioni sono iniziate nel 2018, introdotte da società come Unilever e poi rilanciate dal Governo.
L’indagine offre spunti di riflessione sull’impatto sociale della settimana corta (quattro giorni di lavoro a settimana) voluta dall’80% degli intervistati. Tre intervistati su quattro ritengono che la settimana corta possa generare benefici, dando la possibilità di gestire con maggiore autonomia i propri figli.
Per quanto riguarda invece la cura di familiari anziani o con disabilità, il 35% degli italiani afferma di occuparsene da solo, contro il 65% che ricorre a un aiuto esterno. Per l’85% degli intervistati ‘caregiver’ la settimana corta offre l’opportunità di curare i propri familiari con maggiore autonomia.
Per la cura domestica, solo il 13% del campione afferma di doversi rivolgere a professionisti, spendendo, in media, 107 euro al mese. Anche in questo caso la settimana corta viene percepita come un valido supporto, come dichiara l’80% degli intervistati. Avere un giorno libero in più, inoltre, permetterebbe di dedicare maggiore tempo al benessere personale.
Per ottenere questo beneficio, i compromessi che i lavoratori sono più propensi ad accettare sono una maggiore flessibilità sull’orario di lavoro durante la settimana lavorativa (52%), un aumento della produttività durante i giorni lavorativi (47%) e un minor numero di pause (45%). Soltanto il 10% sarebbe disposto ad una leggera riduzione dello stipendio.
Tra gli aspetti critici sono invece elencati l’aumento del carico di attività durante i giorni lavorativi (51%), la maggior pressione e stress associato al raggiungimento degli obiettivi (37%) e i problemi di coordinamento (27%).
GLI ESPERIMENTI ALL’ESTERO
In Gran Bretagna è stato condotto il test più corposo. Tra giugno e dicembre dell’anno scorso ben 61 imprese con quasi tremila dipendenti hanno sperimentato la «Four Days Week»: […] Delle 61 che avevano iniziato il test, 38 hanno esteso la sperimentazione della settimana corta e 18 hanno deciso di adottarla per sempre.
Anche la Spagna ha avviato un test triennale, nell’autunno del 2021, con l’obiettivo di ridurre a 32 ore su quattro giorni la settimana lavorativa. E anche il Belgio l’anno scorso ha introdotto la settimana corta, ma senza tagliare le ore: l’idea è concentrarle in quattro giorni, previo accordo tra datore di lavoro e dipendente, con un periodo di prova di sei mesi. Infine, anche la Svezia, gli Stati Uniti e il Giappone stanno sperimentando l’adozione di questa formula lavorativa. Anche la Germania ha sperimentato la settimana di 4 giorni lavorativi, l’iniziativa ha coinvolto 45 società di tutto il Paese.
IL CASO DELLA GRECIA
La Grecia, in controtendenza, ha deciso in favore di un allungamento. Nel dettaglio, non si tratta di un obbligo bensì di una forma di incentivo, riconoscendo a partire dal mese di luglio delle forti integrazioni salariali per coloro che prestano attività lavorativa nel fine settimana.
Vi è quindi la possibilità di lavorare per 48 ore straordinario, rivedendo così la normativa sull’orario di lavoro. In questo modo la Grecia conta di risolvere due grandi problematiche che interessano anche altri Paesi (Italia compresa): da una parte la necessità di garantire un aumento di stipendio ai lavoratori, dall’altra l’aumento della produttività.
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2024 Riccardo Fucile
GLI INSEGNANTI IN VENETO PAGATI PIU’ DI QUELLI IN CALABRIA… FONDI AI PRIVATI IN CRESCITA E PROGRAMMI LEGATI AL TERRITORIO
Docenti che insegnano in Veneto pagati di più di chi entra in aula in Calabria. Uffici scolastici regionali non più alle dipendenze di viale Trastevere ma dei governatori. Il sistema scolastico privato che potrà rafforzarsi sul modello della sanità lombarda. Programmi piegati alle esigenze del territorio della libertà di insegnamento e dell’unità culturale del Paese. È la scuola della Repubblica che va in frantumi. Gli effetti dell’autonomia differenziata, ora legge Calderoli, sull’istruzione vengono prefigurati da intellettuali, sindacati, comitati e opposizioni pronti al referendum. Siamo sul piano delle ipotesi e dei rischi. Due in particolare: contratti regionali per i prof e crescita delle diseguaglianze tra i banchi.
I Lep della scuola
L’Istruzione è una delle materie di competenza concorrente per la quale la legge Calderoli rimanda alla definizione dei Livelli essenziali di prestazione (Lep), ovvero standard minimi di servizi garantiti su tutto il territorio nazionale. Con una riforma a costo zero, difficile sarà finanziarli stabilendo gli investimenti necessari alle regioni per adeguarsi agli standard. Che la Gilda degli insegnanti stima per la scuola in almeno dieci miliardi.
«I Lep della scuola rimarranno sempre in capo allo Stato e saranno uguali in tutta Italia», assicura il ministro Giuseppe Valditara indicando che ci sarà un tavolo di esperti, «è un tema che ci impegnerà a lungo». In questa indeterminatezza — il governo ha due anni di tempo — per capire le conseguenze bisogna leggere cosa hanno già chiesto Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna, regione che ora contesta. Le pre-intese del 2019 di Veneto e Lombardia prevedono l’attribuzione della “potestà legislativa in materia di norme generali sull’istruzione”, quelle che derivano dagli articoli 33 e 34 della Costituzione. Tra le voci: reclutamento, formazione e contratti integrativi degli insegnanti, offerta formativa, rete scolastica, riconoscimento della parità e assegnazione fondi alle scuole private, valutazione del sistema educativo. «Nessuno vuole strappare funzioni essenziali», ripete il leghista Luca Zaia, governatore del Veneto e padre della riforma. Ma alcune funzioni potrebbero già essere delegate senza attendere i Lep. La Flc-Cgil in audizione alla Camera ha fatto l’elenco: reclutamento e formazione del personale, organi collegiali, programmi — sui quali peraltro Valditara sta lavorando a livello nazionale — formazione delle classi.
Il personale scolastico
Docenti assunti dalle regioni e pagati di più? Zaia ora frena, il contratto è nazionale. Ma i sindacati non si fidano. «Questo è il tema principale sul quale non ci sono garanzie — osserva Luca Bianchi, direttore di Svimez — Svincolare gli stipendi dal contratto nazionale reintrodurrebbe le gabbie salariali e sarebbe disastroso: una maestra è tale a Scampia come a San Babila e non c’entra il costo della vita». Osserva Gianfranco Viesti, economista dell’università di Bari, autore del libro “Contro la secessione dei ricchi”: «Si arriverebbe nella scuola a dipendenti ministeriali o regionali e se uno vince un concorso in Veneto potrà andare a insegnare fuori? Tutte incognite sul potere che si trasferirà. Intanto la trattativa va avanti tra regioni e governo, con una riforma che mette all’angolo il Parlamento».
Gli squilibri territoriali
Un bambino che vive a Napoli frequenta un anno di scuola in meno, senza mense e tempo pieno, rispetto al suo coetaneo di Milano. La regionalizzazione della scuola rischia di accentuare le disuguaglianze tra i banchi. «Non solo tra Nord e Sud, ma tra centro e periferia», dice Gianna Fracassi, segretaria della Flc-Cgil. «Venti potenziali sistemi scolastici a marce differenti configurano l’accesso ad un diritto universale sulla base della residenza e la possibilità, per il potere politico locale, di gestire ai fini del consenso un bacino rilevantissimo tra studenti, lavoratori, famiglie», spiega Marina Boscaino portavoce del Comitato “No autonomia differenziata”.
Lo Stato finanzia direttamente le scuole statali con una spesa che vale 50 miliardi. Se tutte le funzioni delegabili sulla scuola fossero trasferite, calcola Svimez, alla Lombardia arriverebbero 5,3 miliardi, al Veneto 2,6. Risorse che sarebbero sottratte al bilancio complessivo e potrebbero determinare negli anni successivi extragettiti. Infatti, le aliquote di compartecipazione in caso di maggiore crescita sono oggetti di trattativa bilaterale tra governo e regione. Il monito viene dalla preside Lucia Bonaffino dell’Istituto Salvo D’Acquisto di Bagheria: «Bisognerà vigilare sull’equità. Altrimenti gli altri correranno, noi arrancheremo».
(da repubblica.it)
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Giugno 30th, 2024 Riccardo Fucile
ORMAI I SOVRANISTI PASSANO LA GIORNATA A FARE I GUARDONI E A INSULTARE GLI AVVERSARI E I MERIDIONALI
«Una cameriera di Catanzaro: la cosa più bassa che si possa immaginare». Così il direttore del Giornale Vittorio Feltri, in un video pubblicato ieri sul profilo TikTok della testata, descrive l’abbigliamento sfoggiato dalla neoeletta eurodeputata Ilaria Salis commentando una foto in cui indossa un abito estivo bianco a fiori e della scarpe aperte a zeppa. «Una fotografia sensazionale», commenta Feltri senza celare l’ironia. «Di solito si dice che l’abito non fa il monaco, però fa il cretino», rincara la dose il giornalista bergamasco che non si fa remore a giudicare l’aspetto fisico dell’eurodeputata. «Dal vestito spuntano due belle gambotte robuste, da atleta, ma il resto è inguardabile».
La risposta del sindaco di Catanzaro
Il body shaming e i commenti di Feltri hanno fatto infuriare il sindaco di Catanzaro Nicola Fiorita, che pubblicando il video sul suo profilo Instagram ha attaccato il direttore del Giornale: «Vittorio Feltri il vero volto della Padania. Lo porteremo in tribunale per le sue inaccettabili offese alla nostra città e per le sue frasi razziste. Questi sono i campioni dell’autonomia differenziata. Si vergogni e se ha un minimo di decenza chieda scusa a Catanzaro e alle donne che sgobbano nei bar e nei ristoranti con grande dignità. Sempre più deciso alla resistenza contro la prepotenza e l’arroganza dei padani», raccogliendo solidarietà da chi ha commentato il post, condannando a più riprese le idee di Feltri.
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2024 Riccardo Fucile
IL COMMENTO SULLE PAROLE DI MARINA BERLUSCONI, CHE SI E’ DETTA VICINO ALLA SINISTRA SU ABORTO E DIRITTI: “SONO FELICE”
«I cittadini hanno il diritto di sapere quello che succede dentro al partito che esprime la presidente del Consiglio di questo Paese. Ed è incredibile che Giorgia Meloni non abbia trovato la forza di prendere le distanze e cacciare queste persone dal suo partito». Lo ribadisce ancora una volta Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, arrivando al Pride di Milano, prima di salire sul carro del Pd. Schlein è tornata sul tema dell’inchiesta sotto copertura di Fanpage che ha messo in luce frasi antisemite e nostalgiche del fascismo nella giovanile di Fdi.
«È gravissimo – prosegue Schlein – che la presidente del Consiglio, anziché rispondere, affrontare e prendere provvedimenti nel merito abbia colto l’occasione per un attacco molto forte alla libertà di stampa e alla libertà dei giornalisti. È come se avesse detto che sarebbe stato meglio non venisse fuori».
Poi aggiunge: «Durante questo anno e mezzo di governo Meloni l’Italia è scivolata alla 36esima posizione su 48 nella classifica sui diritti Lgbt. Non lo possiamo accettare, vogliamo portare l’Italia nel futuro e pienamente in Europa. Vogliamo il matrimonio egualitario perché l’amore non si discrimina e non lasceremo decidere alla destra chi abbiamo il diritto di amare».
Poi torna sul riconoscimento dei figli di coppie omogenitoriali: «Serve una legge per non lasciare soli i sindaci. Al G7 si è persa un’occasione per colpa del governo italiano, mancano le parole identità di genere e orientamento sessuale nella dichiarazione finale». Risultato che la segretaria definisce «un passo indietro clamoroso».
Infine un commento sulle dichiarazioni di Marina Berlusconi, che nei giorni scorsi si era detta «più vicina alla sinistra su aborto e diritti»: «Sono sempre felice quando c’è il riconoscimento dell’eguaglianza. Dovrebbe essere una cosa molto più trasversale di quella che è perché ci sono altri Paesi dove pure le destre sono arrivate al governo e non hanno modificato gli avanzamenti importanti come il matrimonio egualitario, quindi non si capisce perché la destra italiana è decisa a rimanere quella più indietro in assoluto in Europa su questi temi e a contrastare questi diritti fondamentali
(da agenzie)
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