Luglio 12th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO IL VIDEO DEI BRACCIANTI PICCHIATI DAL CAPORALE, SONO STATI SMANTELLATI TUGURI IN CUI DORMIVANO I LAVORATORI… DIETRO LO SFRUTTAMENTO DEGLI SCHIAVI SPESSO CI SONO ALCUNE COOPERATIVE AL QUALE SI AFFIDANO LE AZIENDE
Quando al mattino i carabinieri arrivano a sgomberare il tugurio a due passi dalla stazione di Alba, che uno stimato medico del posto affitta per 500 euro a brandina a 17 lavoratori stagionali, Demba è già salito sul furgone che lo porta in vigna. Il bracciante, 42 anni, originario del Gambia, è sbarcato 10 anni fa sulle coste della Sicilia. Poi in treno: su fino a Torino, quindi ad Alba. «Dei miei amici erano già qui — racconta Demba, due figlie da mantenere in Gambia — mi hanno detto che c’era lavoro».
Così, insieme agli altri forzati del Barolo, ha iniziato a farsi trovare alle sei del mattino davanti alla Caritas in via Pola, pronto a partire per i campi. «All’inizio mi pagavano poco — ammette — cinque euro l’ora, poi ho imparato il lavoro, e con le cooperative non ci sono voluto più andare». Come lui tanti. Perché i braccianti lo sanno: «Molte cooperative sfruttano».
Adesso Demba condivide un mini appartamento alla periferia di Alba «insieme a un amico». Lancia un’occhiata alla facciata del tugurio sgomberato dai militari poche ore prime. Il proprietario l’aveva battezzato «affittacamere La Stazione». Ma era un inferno. Come la prigione degli schiavi del Barolo ricavata da Demirali «il macedone » al centro di Mango, un borgo di 1500 abitanti sulle colline del Moscato. Il caporale è finito ai domiciliari due giorni fa.
La casa di campagna è la sede di un’altra cooperativa gestita da una caporale macedone, una «maman del Moscato ». Un’altra prigione per migranti. Brandine in fila nel seminterrato, bombole di gas collegate alla caldaia e un gruppo elettrogeno per fare luce.
Belle da togliere il fiato. Vini da capogiro, ristoranti stellati e panorami da cartolina. Il rovescio della medaglia invece fa paura. Sono le bastonate inferte da Nabil, 39 anni, il caporale marocchino, a Lamin, il bracciante tunisino, colpevole di aver rivendicato una paga più alta dei miseri cinque euro concessi da molti ex braccianti, oggi caporali e titolari delle piccole imprese individuali iscritte alla Camera di commercio, tramite le quali vincono le commesse per i lavori tra i filari dalle 600 aziende agricole produttrici nelle Langhe.
«Nelle Langhe ci sono 16mila ettari di vigne, e negli ultimi 10 anni la superficie coltivata è aumentata del 12 per cento — spiega Tommaso Bergesio, il segretario provinciale della Cgil di Cuneo — Ciò richiede una maggiore quantità di manodopera, gli italiani non sono disponibili a lavorare. Ecco perché si pesca tra la popolazione migrante».
Le 600 aziende (400 producono Barolo) per reperire la manodopera si rivolgono a circa 2mila cooperative censite dall’Istat nel 2023. Alcune di queste spremono i lavoratori. […] «Il problema è tecnico, non economico — ragiona Sergio Germano, il presidente del consorzio del Barolo, Barbaresco, Alba Langhe e Dogliani — l’agricoltura è stagionale, se mi servono 15 persone per i tre mesi di vendemmia, non posso assumerli a tempo indeterminato ». Ecco perché esistono le cooperative.
«Con Confcooperative — insiste Germano — abbiamo fatto una “white list” di almeno 10 realtà virtuose e certificate. Stiamo cercando di fare in modo che anche le altre si iscrivano alla lista».
Non sarà certo Demirali «il macedone » che ha minacciato di morte il sindaco di Mango: «Mi ha detto: “Se ti impicci ti faccio fare una brutta fine” — dice Damiano Ferrero — ma era mio dovere “impicciarmi”, il caporalato è diffuso in tutte le Langhe». Chissà che i produttori non ascoltino almeno il Vescovo di Alba Marco Brunetti: «Il vangelo — avverte — ci impone di non tacere».
(da la Repubblica)
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Luglio 12th, 2024 Riccardo Fucile
LO SCAZZO DI “PIERDUDI” CON L’ULTRA’ PAOLO DEL DEBBIO – NICOLA PORRO, SE NON SI TOGLIE IL FEZ, RISCHIA DI PERDERE IL PROGRAMMA: LO STIPENDIO GLIELO PAGA MEDIASET, NON FRATELLI D’ITALIA
Nulla sarà come prima nella prossima stagione televisiva. A partire dall’informazione targata Mediaset. Pier Silvio, d’accordo con l’autorevole pensiero della sorella Marina, vuole un Biscione pluralista, aperto a tutti i partiti, senza tifoserie e ultras di parte. Una linea finora del tutto disattesa dai talk di Rete4 che dal 1998 sono governati dal direttore generale dell’informazione, Mauro Crippa.
All’origine del gran potere che da oltre 25 anni gestisce in maniera gelida e rigorosa il capo di Videonews troneggia il monumentale presidente di Mediaset e amico del cuore di Silvio Berlusconi, Federico Confalonieri. Scrive Carmelo Caruso, su “Il Foglio”: “Crippa chiama ‘l’altro padre’, definisce il ‘tutto’, da cui ha imparato che la ‘vita è solo sorte. Io sono stato incredibilmente baciato dalla sorte nell’incontrare Confalonieri come Confalonieri nell’incontrare Berlusconi. Può accadere che il fato mi chieda il conto. Mi farò trovare’”.
Con Confa schierato sempre e indefessamente dalla sua parte (mentre per Berlusconi era “il male necessario”), Crippa ha inventato il “retequattrismo” d’assalto. Ecco Del Debbio, Porro e Giordano che hanno dapprima favorito e poi fatto loro il verbo leghista fino a quando Matteo Salvini è rimasto in piedi. Una volta che il destino cinico e baro, a colpi di mojito, ha ridotto ai minimi termini il sovranismo padano, il duplex Crippa-Confa non ha fatto una piega ed è saltato velocemente sul carro del populismo alla fiamma di Giorgia Meloni.
Tra un salto della quaglia e un cambio di casacca, la Cricca Crippa ha navigato a vele spiegate, del tutto indisturbata finché ad Arcore c’era Silvio Berlusconi in altre e più piacevoli faccende affaccendato. Con la scomparsa di Sua Emittenza e con un Confalonieri che il prossimo 18 luglio spegnerà 87 candeline, un‘epoca è definitivamente tramontata. E con la presa di potere dei cinquantenni Marina e Pier Silvio, la musica del Biscione non poteva non cambiare radicalmente spartito.
Intanto i due eredi si sono ritrovati “padroni”, in quanto creditori di 99 milioni, di un partito chiamato Forza Italia che grazie al perituro santino di Silvio Berlusconi è rimasto vivo e vegeto. Non solo Lui è semprevivo. L’ottimo successo alle elezioni europee, con tanto di sorpassino sulla Lega, è avvenuto in barba al fatto che il presidente di Forza Italia, Ciccio Tajani, fosse del tutto sconosciuto al “retequattrismo” meloniano della Cricca Crippa.
Magari Porro e Del Debbio, presi dall’entusiasmo per le smorfie e gli occhioni roteanti della Ducetta della Garbatella, a un certo punto si sono convinti che il loro stipendio arrivasse da via della Scrofa anziché da Cologno Monzese. A riportarli con il culo a terra, ci ha pensato un Pier Silvio libero dai fantasmi paterni: recentemente avrebbe avuto, a proposito della linea editoriale di Rete4, uno scambio aspro con Paolo Del Debbio, mentre Nicola Porro, se non si toglie il fez, rischia davvero di perdere il programma.
La linea pluralista di Pier Silvio è stata inaugurata lo scorso anno con il sorprendente arrivo di Bianca Berlinguer, che ovviamente ha fatto storcere naso e orecchie a Crippa. All’ex “zarina“ di Rai3 , dotata di un caratterino assertivo e fumantino, è impensabile imporre ospiti e temi, come è immancabilmente accaduto con i precedenti conduttori. Con Bianca, il “retequattrismo” della Cricca Crippa non tocca palla.
Il conduttore che oggi è più nelle corde del secondogenito di Berlusconi ha lo stile pluralista e garbato, del tutto privo di urla e “vaffa”, totalmente refrattario all’autoreferenzialità, di Giuseppe Brindisi. Senza diventare mai un agit prop di qualche partito, dal 2021 conduce in prima serata su Rete4 ‘’Zona bianca’’ e la rubrica del TG4 intitolata ‘’Diario del giorno’’. Dal 2022 è diventato vicedirettore della testata giornalistica Videonews.
Altre a Brindisi, un altro nome il cui stile pacato di fare informazione piace a Pier Silvio si chiama Dario Maltese, giornalista e conduttore del Tg5, che recentemente è stato “provinato” nell’ultima edizione dell’Isola dei Famosi come commentatore-opinionista in studio, con buoni risultati. Attualmente conduce in solitaria su Canale 5 “Morning News”, il programma di approfondimento giornalistico che per il resto dell’anno è occupata da Mattino 5 di Federica Panicucci e Francesco Vecchi.
(da Dagoreport)
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Luglio 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO FRANCESE SOTTOLINEA COME MELONI “HA INTRAPRESO LA CONQUISTA DEL GRUPPO AUDIOVISIVO PUBBLICO”. TRASMISSIONI SOPPRESSE, NOMINE STRATEGICHE, RIDEFINIZIONE DEI PROGRAMMI… “CON IL PRETESTO DI UN RITORNO AL PLURALISMO, IL POTERE SI È IMPEGNATO IN UNA GUERRA CULTURALE”
‘L’offensiva di Meloni sulla Rai italiana’: questo il titolo di Le Monde oggi in prima pagina, con una foto di un collegamento dallo studio di Bruno Vespa in cui si scorge la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sorridente. Il titolo richiama un lungo servizio nel Magazine settimanale del quotidiano francese, che presenta sulla copertina una foto in bianco e nero dell’ingresso della Rai e il titolo in giallo: ‘L’estrema destra prende la linea’.
All’interno, ‘La Rai teleguidata’: “Gli italiani la chiamano mamma Rai. Vera istituzione della Repubblica, accompagna le evoluzioni dell’Italia dalla sua creazione. Nonostante le alternanze politiche, il gruppo audiovisivo pubblico è rimasto un bastione piuttosto di sinistra.
Una roccaforte della quale la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, eletta nel 2022, ha intrapreso la conquista. Trasmissioni soppresse, nomine strategiche, ridefinizione dei programmi… con il pretesto di un ritorno al pluralismo, il potere si è impegnato in una guerra culturale”.
(da agenzie)
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Luglio 12th, 2024 Riccardo Fucile
“OMESSA LETTURA DEL COMUNICATO SINDACALE DEL 6 MAGGIO”: L’ENNESIMA MEDAGLIA AL DISONORE DI TELEMELONI
Paolo Petrecca, direttore di RaiNews, è stato condannato dal Tribunale di Roma per l’omessa lettura del comunicato dei dipendenti Rai il 6 maggio scorso durante la giornata di sciopero. Contestualmente, hanno assolto il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci per aver predisposto una edizione speciale in quella giornata. Era stata l’Associazione Stampa Romana a rivolgersi al giudice lamentando la mancata comunicazione al Cdr nel caso di Chiocci mentre nel caso di Petrecca l’omessa lettura del comunicato sindacale.
Nel caso di Chiocci, spiegano i giudici, «il direttore del TG1 ha verificato di avere sufficienti giornalisti in servizio, anche presso la sede di Palermo». Poiché a condurla non sono stati giornalisti scioperanti non «si ravvisa comportamento antisindacale», spiega Il Foglio.
Cos’era successo durante lo sciopero Rai del 6 maggio
Il 6 maggio il direttore del Tg1 decise di realizzare una edizione speciale del telegiornale per dare notizia dell’incidente di Casteldaccia, dove morirono cinque operai per l’esalazione di gas. In quella occasione si resero disponibili a lavorare i dipendenti che non aderirono allo sciopero. Per questo, i giudici hanno ritenuto la sua condotta non punibile. Ma erano giorni caldi per la Rai.
Il giorno precedente sindacato Usigrai diffuse un duro videomessaggio in cui spiegava le ragioni della protesta, alle quali replicarono i vertici dell’azienda. Il 6 maggio andarono comunque in onda regolarmente le edizioni del Tg1 e del Tg2 delle 13 e delle 13.30. Secondo Usigrai, «pur di dare l’impressione che lo sciopero fosse fallito, i direttori di Tg1 e Tg2 hanno concentrato i pochi al lavoro in una sola edizione, facendo saltare le altre», con servizi «insolitamente lunghi».
Cosa prevede la condanna a Petrecca
Il sindacato Usigrai ha diffuso un comunicato subito dopo la notizia della condanna a Petrecca, sottolineando come i giudici abbiano ravvisato una condotta antisindacale da parte del direttore di RaiNews. E ha ricordato lo scontro in seno alle redazioni in quei giorni: «Nella foga di adoperarsi attivamente a boicottare lo sciopero della larga maggioranza dei giornalisti e delle giornaliste Rai (il 75% dei presenti ha scioperato), più di uno ha fatto cose che la legge non consente, e il ricorso alla giustizia del lavoro lo ha confermato».
Il tribunale ha quindi condannato la Rai «a pubblicare la sentenza per due giorni consecutivi sui quotidiani La Stampa, la Repubblica e il Corriere della Sera (edizione cartacea e on line) e sui siti Rai.it e Rainews.it. Dovrà anche pubblicare il comunicato sindacale Usigrai nei tg Rai dove non era stato mandato in onda, con la dicitura: “Il presente comunicato sindacale viene letto oggi, in virtù di provvedimento giudiziale, in quanto la sua lettura era stata illegittimamente omessa nella giornata di sciopero proclamata per il 6/5/2024″».
RaiNews, il caso della copertura delle elezioni in Francia
Paolo Petrecca è finito al centro delle polemiche anche negli ultimi giorni per la mancata copertura del risultato del ballottaggio in Francia. Mentre Mediaset e La7 trasmettevano i primi risultati in diretta, con commenti in studio e trasmissioni sul nuovo corso della politica francese, la Rai ha dedicato solo uno speciale su Rai3, iniziato tra l’altro alle 23.15 dopo una replica di Report. : «Chiediamo al direttore come sia possibile prevedere un approfondimento diverso quando tutte le tv del Continente hanno gli occhi puntati sulle elezioni d’Oltralpe. Verrebbe da pensare che alla debacle della destra il direttore preferisca non dedicare troppo spazio», ha scritto in un comunicato il comitato di redazione, «Petrecca ritiene opportuno, in una serata come questa, dare spazio a un evento non scevro da interessi e legami personali. Una scelta che qualifica la deriva che ha preso da tempo la testata e per la quale ci sentiamo indignati». Un riferimento alla diretta da Pomezia – al posto di un approfondimento sul voto francese – del “Festival delle città identitarie” condotto da Edoardo Sylos Labini e Incoronata Boccia, con Petrecca in prima fila e la moglie Alma Manera – scriveva Dagospia – a esibirsi. Un riferimento che aveva fatto infuriare il direttore: «Presenterò diffida formale nei vostri confronti all’Ordine dei giornalisti e chiederò difesa legale per calunnia».
(da agenzie)
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Luglio 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL NUMERO UNO DEL MONDO È SINNER UNO SPILUNGONE ROSSO CHE PARLA BENE TEDESCO ED È PIÙ COMPASSATO DI UN LORD INGLESE, LA FINALISTA DEL SINGOLARE FEMMINILE PAOLINI HA BABBO TOSCANO, MAMMA POLACCA E NONNO GHANESE E MUSETTI È UN PAPA’ DI VENTIDUE ANNI CHE ALTERNA IL BIBERON ALLA RACCHETTA
Non ci stanno a capire più niente. Gli inglesi, dico, e non soltanto loro. Sui prati di Wimbledon sfila un’Italia che sembra fatta apposta per confondere le idee a chi è abituato a orientarsi con la bussola degli stereotipi. Dov’è finito l’italiano mediterraneo, indisciplinato, vittimista e mammone?
Il numero uno del mondo è uno spilungone rosso che parla bene tedesco ed è più compassato di un lord inglese, la finalista del singolare femminile una combattente solare con babbo toscano, mamma polacca e nonno ghanese, e il semifinalista di quello maschile un ragazzo-padre di ventidue anni che alterna il biberon alla racchetta, da lui impugnata ancora come un pennello e non come una clava.
Sinner, Paolini, Musetti: ma che Italia è?
Inedita nelle facce e nei comportamenti, oltre che nei risultati.
La realtà, adesso, è quella che va in scena a Wimbledon e che tra meno di un mese sarà replicata alle Olimpiadi.
Soltanto lì, però. I nuovi eroi dello sport sono le avanguardie di un’Italia solida e aperta che purtroppo non esiste ancora, ma almeno per quest’estate cercheremo di farcele bastare.
(da Il Corriere della Sera)
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Luglio 12th, 2024 Riccardo Fucile
LA CGIL RACCOGLIE FIRME PER INTITOLARE L’AEROPORTO A CARLA FRACCI
Sei giorni. È il tempo che è bastato a Matteo Salvini per far sì che l’annuncio dell’intitolazione dell’aeroporto di Milano Malpensa al quattro volte presidente del Consiglio si trasformasse in realtà.
Ora la palla passa a Sea, la società partecipata del Comune di Milano che gestisce i tre hub lombardi (anche Linate e Orio al Serio oltre a Malpensa) e che, secondo il sindaco Beppe Sala, non era stata coinvolta nella procedura di intitolazione. «Ci sono solo stati dei messaggi Whatsapp, neanche una pec», aveva detto nei giorni scorsi il sindaco. Rincarando la dose: «Incredibile che a decidere l’intitolazione sia il presidente di Enac».
Ma il dicastero, nella nota di ieri in cui Salvini ha espresso «grande soddisfazione» per l’intitolazione all’alleato di governo scomparso il 12 giugno 2023, ha lasciato proprio a Sea il disbrigo delle pratiche: «La società di gestione provvederà agli adempimenti di competenza connessi alla nuova denominazione».
Adempimenti che — da quanto si apprende — potrebbero tradursi in un una insegna con il nome «Aeroporto di Milano Malpensa- Silvio Berlusconi» posta fuori dal Terminal (come, per esempio, accaduto a Bergamo) o in altre modalità: Fiumicino, che porta il nome di Leonardo da Vinci, ha dedicato allo scienziato e artista una statua. Nelle prossime ore Sea dovrà dunque valutare, insieme a Enac, quale possa essere la formula migliore
Ma l’accelerazione imposta da Salvini riceve critiche non solo dagli avversari, ma anche dallo stesso centrodestra. Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, «siamo fieri di questo riconoscimento ad un uomo che per tanti anni ha servito le istituzioni del nostro Paese».
Tuttavia, rileva Lupi, «rimane qualche perplessità sul modo in cui si è arrivati a questa decisione, che, secondo noi, andava costruita con un percorso più condiviso, per non alimentare polemiche pretestuose su quello che resta il nome più giusto per Malpensa».
Dalle opposizione si levano invece proteste e minacce di ricorsi.
Il Pd proverà a interpellare il Tar e presenterà, contestualmente, una interrogazione parlamentare al governo per chiarire quale sia stata la procedura: «La legge — mettono in evidenza i dem — richiede un periodo di 10 anni dalla morte della persona prima di intitolare un luogo pubblico».
Più caustico è il M5S che accusa il governo Meloni di aver «perentoriamente restaurato la repubblica delle banane: se frodi il fisco e vieni condannato in via definitiva, una volta passato a miglior vita ti intitolano persino un aeroporto internazionale».
Per Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi Sinistra questa è «una scelta che farà ridere il mondo, una scelta arrogante di chi pensa di comandare l’Italia imponendo con la forza un nome che invece divide il Paese».
Critica anche la Cgil che ha raccolto le firme — tra cui quella del sovrintendente del Teatro alla Scala Dominque Meyer — per intitolare lo scalo alla ballerina Carla Fracci. «Il governo ignora migliaia di cittadini. Chiediamo un passo indietro».
(da Il Corriere della Sera)
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Luglio 12th, 2024 Riccardo Fucile
UN AFFARONE PER LORO VISTO CHE, PER UNA DATA DEL TOUR DELLA CANTANTE NEGLI STATI UNITI, SI ARRIVA A SPENDERE ANCHE PIÙ DI 2 MILA DOLLARI MENTRE A MILANO, CON QUELLA CIFRA, NON SOLO SI ASSISTE AL CONCERTO,MA CI SI PAGA ANCHE VIAGGIO E SOGGIORNO
«We are Swifties in Italy». E se per arrivare ci sono volute ore di viaggio e tribolazioni, poco importa. Volare dagli Usa a Milano per il concerto di Taylor Swift non è solo un piacere. È anche un risparmio economico. Ebbene sì. Per una data del tour negli Stati Uniti si possono spendere anche più di 2 mila dollari solo per l’ingresso. Ecco perché quasi 18 mila fan hanno acquistato un biglietto per assistere al debutto della popstar a San Siro, domani e domenica. «I biglietti per il tour americano costavano dagli 800 ai 2 mila dollari», racconta Dana Marlowe che è arrivata a Milano ieri mattina da Washington.
Con 2 mila dollari, qui, non solo si assiste al concerto, ma ci si paga persino aereo e hotel. «Anche se avessimo acquistato i biglietti di rivendita più economici nei nostri Usa, il costo sarebbe vicino a quanto abbiamo speso per arrivare qui in Europa, viaggiare e trascorrere una fantastica vacanza estiva». Parola di Jonathan Hesler che domani festeggerà l’anniversario di matrimonio con il suo partner Mark proprio durante lo spettacolo.
Numeri alla mano, gli organizzatori della società d’Alessandro e Galli dicono che la fetta degli americani rappresenta il 14 per cento della platea che riempirà San Siro sui circa 128 mila spettatori attesi. Secondo gli ultimi dati di Airbnb, a livello globale, le prenotazioni effettuate nel 2023 e nei primi mesi del 2024 per venire a Milano durante il tour di Taylor Swift sono cresciute di oltre il 250 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Considerando anche i fan provenienti dall’estero, più di una prenotazione su quattro arriva dagli Stati Uniti, con un aumento di quasi il 600 per cento dei turisti statunitensi a Milano rispetto allo stesso periodo a luglio 2023.
Ma in queste ultime ore i numeri potrebbero persino crescere. Oltreoceano i fan si stanno mobilitando per organizzarsi all’ultimo. Sui social sono nate famiglie virtuali per scambiarsi informazioni e trovare biglietti last minute.
L’ufficio studi di Confcommercio Milano stima che l’indotto complessivo sulla città sarà di quasi 180 milioni di euro, tra alloggi, ristoranti e spostamenti. Anche i turisti in arrivo dagli aeroporti milanesi crescono dell’8,7% rispetto all’anno scorso, con oltre 540 mila passeggeri in arrivo e in partenza tra Linate e Malpensa. «La mia vita nell’ultimo anno — dice Faith Bocorz — è stata solo una lunga attesa per Taylor». Per Faith e gli altri l’attesa è finita.
(da La Repubblica)
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Luglio 12th, 2024 Riccardo Fucile
WASHINGTON PENSA DI INSTALLARE DIFESE SIMILI ANCHE IN ITALIA PER ALLARGARE L’OMBRELLO PROTETTIVO SULL’EUROPA… I NUOVI MISSILI RUSSI (COME IL KINZHAL E LO ZIRKON) SFIORANO I 10MILA CHILOMETRI L’ORA E DA KALININGRAD, CON GLI ISKANDER, PUTIN TIENE SOTTO SCACCO BERLINO, COPENAGHEN, VARSAVIA, VILNIUS E RIGA
Ricostruire la deterrenza della Nato contro la Russia, non solo per l’allarme generato dall’invasione dell’Ucraina, ma soprattutto per una serie di iniziative prese da Mosca che mettono a rischio la sicurezza dei Paesi membri dell’Alleanza. Così si spiega la decisione di schierare nuove armi a lungo raggio in Germania, nell’ambito di un piano che riguarda l’Italia per almeno due ragioni: primo, nell’immediato, la necessità di potenziare la nostra base industriale dedicata alla difesa, in modo da essere tutti più pronti; secondo, la possibilità che diventi utile o necessario schierare simili sistemi anche nel nostro Paese, a seconda della piega che prenderanno gli eventi strategici
Washington non ha fatto richieste a Roma e quindi non c’è un negoziato in corso, ma due autorevoli fonti notano che in futuro potrebbe avere senso aprire questo ombrello anche in Italia. La condizione irrinunciabile è ovviamente il consenso del governo e della popolazione, anche per evitare di ricreare le tensioni che durante la Guerra Fredda avevano accompagnato l’arrivo degli euromissili a Comiso. Gli Usa inizieranno lo spiegamento “episodico” di sistemi missilistici a lungo raggio della Multi Domain Task Force in Germania nel 2026.
Quando saranno pienamente schierate, queste forze includeranno SM-6, Tomahawk e armi ipersoniche in via di sviluppo, con «un raggio significativamente più lungo di quelle attualmente basate in Europa ». Ciò «dimostrerà l’impegno degli Usa in favore della Nato e i loro contributi alla deterrenza integrata europea».
Un segnale di lungo termine a Putin, la Nato avverte Mosca che non si farà trovare scoperta, se il Cremlino decidesse di spingere le proprie aggressioni verso i confini dell’Alleanza. I missili schierati in Germania hanno una gittata sufficiente a proteggere tutto il territorio Nato, quindi non c’è l’urgenza di aggiungere altro nell’immediato.
Allo stesso tempo, però, notano che avrebbe senso farlo, primo perché sul piano strategico non è mai saggio concentrare tutte le proprie capacità in un solo luogo; secondo perché l’Italia, come peraltro accadeva anche durante la Guerra Fredda, offre la possibilità geografica di coprire meglio alcune regioni. I Balcani, senza dubbio, ma anche il Southern Flank, che il vertice di Washington ha elevato nell’ordine delle priorità
Ciò non nasce solo dalla preoccupazione dell’Italia e di altri Paesi per l’emergenza delle migrazioni, ma anche dalla penetrazione sistematica condotta dalla Russia in Medio Oriente, vedi la base di Tartus in Siria; in Africa, vedi la presenza di Wagner in Libia, Mali, Sudan e oltre; e nel Mediterraneo, tornato per varie ragioni al centro del risiko strategico globale.
Ricomincia il grande duello missilistico. Una sfida di gittate che mira a tenere reciprocamente sotto tiro le capitali, riproponendo l’equilibrio del terrore che era stato cancellato alla fine della Guerra Fredda. Washington e Berlino rispondono alle minacce sempre più esplicite del Cremlino, cercando di recuperare il terreno nell’unico settore in cui i russi hanno dimostrato un vantaggio: i missili a medio raggio.
Siamo davanti a una rincorsa agli armamenti. Mosca dal 1999 ha investito le migliori risorse tecnologiche per sviluppare una generazione di ordigni, concepiti per superare le difese della Nato. Sono stati così progettati nuovi modelli di missili balistici, di cruise e di ipersonici: oggi dispongono di due sistemi operativi, il Kinzhal e lo Zirkon, con velocità che sfiorano i 10mila chilometri l’ora.
I russi hanno valorizzato l’ultimo rimasuglio dell’impero sovietico: la penisola baltica di Kaliningrad, incastonata all’interno della Polonia per volontà di Stalin. Putin l’ha trasformata in una fortezza, rendendola letteralmente una spina nel fianco della Nato. Da lì i missili balistici Iskander, che si sono rivelati particolarmente precisi, possono piombare sopra Berlino, Copenaghen, Varsavia, Vilnius e Riga. Spesso vi vengono trasferiti pure i caccia Mig31 con gli ipersonici Kinzhal che estendono l’ombra di morte pure a Stoccolma ed Helsinki, ultime entrate nell’Alleanza atlantica.
Il Baltico è un mare con fondali bassi e spazi ristretti, che offre margini di manovra limitati ai sottomarini e agli incrociatori statunitensi o britannici, i soli nella Nato a imbarcare ordigni a lungo raggio. Ed ecco che l’unico modo per introdurre un deterrente è portare i missili sul suolo tedesco, in modo probabilmente da esporre Mosca e San Pietroburgo a una rappresaglia.
Il condizionale è d’obbligo, perché negli ultimi venticinque anni nessun Paese occidentale ha costruito armamenti di questo tipo: dopo la scomparsa dell’Urss, i cruise Tomahawk sono stati convertiti nello strumento per punire dittatori e jihadisti,da Saddam Hussein a Slobodan Milosevic, da Osama Bin Laden a Bashir Assad. Soltanto nel 2019, con gli occhi rivolti alla Cina, il Pentagono ha riaperto le ricerche.
Poiché tutti gli euromissili erano stati rottamati e l’Us Army ne era completamente priva, si è deciso di prendere un lanciatore delle navi e infilarlo in un mega-container, trainato da una motrice. Una soluzione chiamata Thypon: può scagliare l’ultima versione dei Tomahawk, che non superano i 900 chilometri orari e arrivano a 1800 chilometri di distanza.
O in alternativa i recenti SM-6 Standard, nati come intercettori che volano a due volte e mezzo la velocità del suono. Di Thypon però ce ne sono pochissimi: una batteria è stata testata nelle Filippine lo scorso aprile, un’altra è in fase di completamento. Si tratta comunque di un “tappabuchi” in attesa che gli Usa riescano a mettere a punto il loro ipersonico: il Dark Eagle dovrebbe entrare in servizio nel 2025.
In questa competizione adesso vuole inserirsi pure l’Europa. Italia, Francia, Germania e Polonia hanno annunciato ieri il piano per realizzare un cruise con mille chilometri di portata […] La febbre dei missili ha un lato oscuro. Quelli russi sono tutti predisposti per colpire con testate nucleari tattiche, esibite dal Cremlino nell’esercitazione di un mese fa e presenti pure a Kaliningrad. La Nato invece nel territorio europeo ha solo tradizionali bombe americane “a caduta libera”, dislocate pure ad Aviano e Ghedi. Per questo motivo all’interno dell’Alleanza da un anno si è aperto un dibattito tra esperti sulla necessità di rinforzare lo “scudo atomico”, con l’ipotesi di dotare Tomahawk e Dark Eagle di ogive tattiche. Sarebbe il ritorno all’incubo della “mutua distruzione assicurata”, in sigla inglese Mad
(da agenzie)
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Luglio 12th, 2024 Riccardo Fucile
IL DECRETO AGRICOLTURA VIENE SMONTATO PER LA TERZA VOLTA, E’ UN MOSTRO GIURIDICO
Il caso è disperato: Lollo, il giurista. Lezione tre. Il Quirinale boccia il dl Agricoltura ma Lollobrigida ci riprova con gli emendamenti. Il Quirinale lo avvisa la seconda volta e il ministro ritira gli emendamenti. Il decreto arriva in Aula per il voto finale e arriva preceduto dal terzo rilievo, tecnico.
E’ del Comitato per la legislazione, un organo parlamentare che vigila sulla qualità delle leggi. Nella sua relazione scrive che il testo “non risulta corredato né di analisi tecnico-normativa né di analisi di impatto della regolamentazione”. Manca in pratica l’impatto economico del provvedimento. Quanto costa? Non c’è. L’allievo non si applica, i professori del suo gabinetto non seguono l’allievo. Cassese, aiutalo!
Ormai è prassi: a ogni provvedimento del ministro dell’Agricoltura, un giurista sviene, i capi di gabinetto temono di finire nelle serre, tutti i dottori della legge d’Italia si sfregano le mani. Siamo a tre, tre note sul registro. Il 10 maggio il Quirinale tira le orecchie agli uffici del ministro perché la sua opera omnia, il dl Agricoltura (è stata votata alla Camera la fiducia, 181 sì, e 111 no) non presenta i requisiti d’urgenza. Il ministro rimuove le parti contestate, ma prova a farle ripresentare sotto forma di emendamento. E qui siamo a due note. Il Quirinale sgrana gli occhi, gli emendamenti vengono tolti nuovamente. Ma c’è il rilievo tre. E’ di questo Comitato per la legislazione. E’ un organo composto da dieci deputati, e lo presiede Catia Polidori di Forza Italia, ma i pareri che esprime sono pareri terzi, stilati da funzionari di rispetto, che hanno come missione quello di valutare “l’omogeneità di contenuto, la specificità, e l’efficacia per la semplificazione legislativa”. Si metta da parte il giudizio politico sul decreto, qui di interessante c’è il metodo, la scrittura delle leggi da parte del gabinetto del ministro. E’ una task force. C’è un capo del legislativo e ben due vice. Il Comitato prende la matita rossa e blu ed evidenzia che il decreto originario era di 16 articoli e 66 commi ma si è ingigantito (altro che semplificare, missioni stabilita per legge) fino ad arrivare a 33 articoli e 140 commi. Sembra polvere di legge ma pone una grande questione interna: i più stretti collaboratori di Lollobrigida stanno sabotando il ministro o è il ministro a fare delle richieste impossibili ai funzionari? Il decreto per sua stessa natura è un atto d’urgenza ma per il Comitato si rilevano tante microfinalità e dunque potrebbe essere “approfondita la riconducibilità di alcuni articoli”. Mettono le mani avanti, è un modo per dire: noi avevamo avvisato. Uno di questi articoli riguarda la carta “Dedicata a Te”, operazione a ridosso della campagna elettorale europea, per consentire l’acquisto di beni di prima necessità. L’aspetto buffo di questo decreto urgente è un altro, ancora uno: ha bisogno di più rimorchi di un treno merci. Per l’immediata applicazione, ben 23 dei 140 commi necessitano di tre ulteriori dpcm, 15 decreti ministeriali, 5 provvedimenti di altra natura. Non se ne esce. Ci sarebbe poi la chiarezza della legge, una delle battaglie di tutti i ministri della Pubblica amministrazione e bisogna dire anche di Meloni che fa del parlar spiccio la sua cifra. L’articolo 2 quater, comma 1, capoverso 5 bis (serve già l’analgesico), un articolo che istituisce un sistema informativo per la lotta al caporalato, prevede che questo sistema, a sua volta, integri, trattenete il fiato, uno strumento di condivisione delle informazioni tra le amministrazioni statali e le regioni, anche ai fini del “lavoro sommerso in generale”. Ma come? Uno strumento di precisione e poi “lavoro sommerso in generale”? Non è finita. Vale la pena raccontare un altro cortocircuito formidabile tra Lollobrigida e il presidente di Commissione, di FdI, Luca De Carlo, il predestinato a fare il governatore del Veneto, vorrebbe, al posto di Luca Zaia. De Carlo aveva fatto sua una delle richieste degli agricoltori: l’istituzione di un registro dei crediti di carbonio. Sono agevolazioni per la categoria, aiuti per chi è virtuoso e riduce emissioni in agricoltura. Era una norma nel decreto legge 13/2023, altro decreto urgente. Esito? Era tanto urgente, così urgente ma non è mai stato emanato il decreto legge di adozione delle linee guida, anzi, il termine è scaduto il 21 ottobre 2023. Questa è invece la cronaca parlamentare: le ultimissime, quasi. Ieri il dl Agricoltura non era stato ancora approvato ma alle 15,46 (era stata votata solo la fiducia) Lollobrigida freme e scrive su X e Facebook: “Il decreto è legge, il governo è dalla parte degli agricoltori e pescatori con fatti concreti”. Dopo pochi minuti il post scompare ma le agenzie battono le parole del ministro. E’ stato ex capogruppo ma ha dimenticato che una cosa è la fiducia e un’altra il voto finale. Il ministro dell’Istruzione, Valditara, ha capito tutto: niente telefonini in Aula, ma da domani solo il diario, la Smemoranda, la Smemolollo.
(da ilfoglio.it)
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