Luglio 13th, 2024 Riccardo Fucile
C’È IL PNRR DA SPENDERE: A OGGI I RITARDI SONO COSÌ MACROSCOPICI CHE NEI PROSSIMI DUE ANNI RESTANO IN TEORIA CIRCA 150 MILIARDI SU 194, DI CUI BEN CENTO DI PRESTITI EUROPEI. E QUESTI ULTIMI NEL DEFICIT E NELLA SPESA PUBBLICA SI CONTANO ECCOME, MINACCIANDO DI FAR SALTARE LA “TRAIETTORIA TECNICA” CHE IL GOVERNO DEVE RISPETTARE
Ancora poche settimane e l’Italia invierà a Bruxelles il suo piano di rientro del deficit e del debito pubblico. Da quel momento saremo in pieno nel nuovo sistema di regole europee, che il governo ha firmato ma nessun eurodeputato dei principali partiti italiani — maggioranza e opposizione per una volta unite — ha accettato di votare. Ora comunque le regole ci sono e dovremo conviverci.
Un punto già chiaro è che sceglieremo un percorso di rientro diluito in sette anni — con precisi impegni di riforme e investimenti — invece del programma concentrato e brutale di quattro. L’intero Paese si sta dunque imbarcando in un viaggio destinato a sfociare nel 2032; eppure, si direbbe, né la destinazione né le tappe interessano granché a nessuno. Forse è fisiologico, per l’Italia. È sempre andata così fin da quando si firmò il trattato di Maastricht nel 1992. Con le implicazioni siamo abituati a fare i conti solo quando ci sbattiamo contro.
E anche stavolta l’attenzione si concentra tutta sull’immediato: la prossima legge di Bilancio e le misure una tantum — dalla decontribuzione alle nuove aliquote sui redditi personali — da rifinanziare in modo stabile per ben 21 miliardi di euro.
Su questo fronte, il gioco a incastri potrebbe rivelarsi meno difficile di quanto si pensasse fino a qualche tempo fa, per almeno due ragioni. In primo luogo è plausibile che la Francia, l’altro Paese problematico, riceva a Bruxelles un trattamento in guanti bianchi vista la fragilità dei suoi assetti politici.
La sostanza non cambia: la prossima legge di Bilancio non si profila come lo scoglio contro il quale sia destinata a sfasciarsi la caravella del governo. Niente di tutto questo. Sarà giusto un passaggio di una navigazione comunque delicata, proprio perché si tratta di un viaggio in sette anni e non su un’unica tappa. È il caso dunque di misurare bene i prossimi appuntamenti e le regole del gioco.
La regola più importante è stata riservatamente comunicata dalla Commissione europea al governo nelle scorse settimane e verrà resa nota in autunno. È la cosiddetta «traiettoria tecnica», frutto di un’«analisi di sostenibilità» del debito pubblico italiano che tiene conto di tutto: la nostra capacità di crescita, l’invecchiamento della popolazione, l’eredità del Superbonus, il livello del debito stesso e i tassi d’interesse.
È un check up dell’Italia fatto a Bruxelles. Il risultato è che — ci è stato «raccomandato» — l’aumento della spesa pubblica sui prossimi sette anni dovrebbe essere dell’1,6% all’anno al massimo, contato in quantità di euro sborsati. Non oltre. E la riduzione «strutturale» del deficit dovrebbe essere dello 0,6% del prodotto lordo all’anno per adesso e dello 0,67% verso la fine del periodo di sette anni.
Che significa? Per il deficit, la riduzione è drastica — 13 o 14 miliardi all’anno fino al 2032 — ma in parte essa è già insita nelle tendenze automatiche dei conti, se non si fanno altre mosse troppo costose. Per la spesa pubblica, la raccomandazione di Bruxelles comporta che le uscite dello Stato di fatto dovranno ridursi o restare bloccate in termini reali (al netto dell’inflazione) e diminuire in proporzione alle dimensioni dell’economia italiana. Fino al 2032. E questa è già una sfida più seria.
Non solo perché ci sono la difesa da finanziare, gli stipendi degli statali da reintegrare dopo il grande carovita e la sanità da rafforzare, prima che l’accesso a esami e cure diventi un privilegio per pochi benestanti. C’è anche il Piano nazionale di ripresa da spendere. Ad oggi i ritardi del Pnrr sono ormai così macroscopici che nei prossimi due anni restano in teoria circa 150 miliardi su 194, di cui ben cento di prestiti europei.
E questi ultimi nel deficit e nella spesa pubblica si contano eccome, andando a gonfiare entrambi e minacciando di far saltare la «traiettoria tecnica» che il governo deve rispettare. A quel punto l’Italia andrebbe in difficoltà. È per questo che Giorgetti chiede un rinvio al 2028 delle scadenze del Pnrr. Ed è probabilmente per questo che Giorgia Meloni pensa di designare il ministro Raffaele Fitto a Bruxelles come commissario europeo, sperando che lui riesca a negoziare il prezioso rinvio.
Per l’Italia questo è uno dei punti critici dei prossimi anni. Siamo indietro e per cavarcela abbiamo bisogno di un grosso favore, dalla Commissione e dagli altri governi. Ciò peserà adesso che Ursula von der Leyen si gioca la riconferma a Bruxelles. Su di lei Giorgia Meloni si è già astenuta al Consiglio europeo. Ma se la prossima settimana neanche gli eurodeputati del partito della premier votassero la fiducia a von der Leyen, di quanto ne risulterà più facile il viaggio dell’Italia nei prossimi anni?
(da Corriere della Sera)
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Luglio 13th, 2024 Riccardo Fucile
TUTTO MERITO DEI FONDI INCASSATI CON IL 2 PER MILLE DELL’IRPEF, A CUI IL PARTITO NATO CON IL VAFFA ALLA CASTA HA ADERITO NEL 2023
Il Movimento 5 stelle è diventato per la prima volta nella sua storia milionario. Il partito guidato da Giuseppe Conte ha infatti chiuso il bilancio 2023 con un avanzo di amministrazione (l’utile nelle società per azioni) di poco inferiore ai 2 milioni di euro, e precisamente di 1.952.196 euro, risultato di 15 volte superiore all’avanzo di 126.120 euro registrato nel 2022.
L’anno dell’oro è confermato anche dalle disponibilità liquide depositate sui conti del M5s: 9,1 milioni di euro di cui 5,1 accantonati su un conto corrente destinato alle devoluzioni verso la società civile.
La svolta ha un solo nome: il 2 per mille dell’Irpef. Dopo grandi dibattiti interni, infatti, il M5s ha deciso solo a partire dal 2023 la prima forma di finanziamento pubblico che nella sua storia era sempre stata tabù
Il 2 per mille, infatti, è pagato con fondi dello Stato sia pure su indicazione dei singoli contribuenti: non finissero al M5s o agli altri partiti che ne sono beneficiari, quei soldi resterebbero nel capitolo dell’Irpef incassata e sarebbero usati per pagare la sanità, le pensioni e i servizi pubblici.
Qualche problemino è arrivato invece nel 2023 dalle spese legali e dai risarcimenti che anche se ha per leader un avvocato il Movimento 5 stelle ha dovuto pagare dopo avere perso i relativi contenziosi.
Se ne sono andate per questo motivo 385.363,77 euro che hanno prosciugato buona parte dell’accantonamento a fondo rischi che era stato appostato in bilancio (500 mila euro). Prudenzialmente nel corso dell’esercizio qui 385 mila euro sono stati rifinanziati nel fondo rischi, segno che le cause non sono finite e qualche contraccolpo potrebbe arrivare anche durante il 2024.
(da Open)
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Luglio 13th, 2024 Riccardo Fucile
A LONDRA OSPITE DI BLOOMBERG TV, CHIASSA’ SE GRATIS (COME POSSA ESISTERE GENTE DISPOSTA A PAGARE PER SENTIRLO PARLARE E’ UN MISTERO)
Siccome alle Europee Renzi col suo partito farlocco ha preso il 3,8% (insieme alla Bonino, quindi da solo varrà sì e no il 2%), è ricercatissimo in tutti i salotti e i consessi europei quale esperto di strategie per vincere le elezioni.
L’altro giorno era a Londra ospite di Bloomberg Tv, chissà se gratis (resta un mistero metafisico e astruso, tipo la consustanziazione, come possa esistere gente disposta a pagare per sentirlo parlare, quando il 98% degli italiani pagherebbe per farlo stare zitto), dove ha sciorinato il suo sapere in 13 minuti di faccette, catastrofi alveolo-palatali, inciampi occlusivi, disastri labiali. La prima notizia è che nell’inglese parlato Renzi è migliorato: se fino a pochi mesi fa era a livello di uno studente di seconda media, adesso supera largamente un ginnasiale con la media del 6. La pronuncia è sempre perforante della barriera ematoencefalica (“evritink” per everything, “uidauz” per without), il because è ancora causa di carpiati, il “th” è la sua bestia nera (“I fink” per I think), ma in grammatica l’uomo da 3 milioni di euro dichiarati ha fatto passi da gigante (deve imparare che in inglese i verbi all’infinito vogliono il “to” davanti, ma ha solo 49 anni). I diciamo contenuti sono sempre gli stessi: io sono all’opposizione di Giorgia Meloni (infatti ne vota tutti gli obbrobri, dalla riforma della Giustizia all’abolizione del Rdc e del reato di abuso d’ufficio), il centrismo è la chiave per vincere le elezioni (lui ne è la prova vivente), Macron ha vinto la sua scommessa (infatti ha perso 86 seggi, Mélenchon e Le Pen ne hanno guadagnati rispettivamente 49 e 53), Starmer ha vinto le elezioni nel Regno Unito (il conduttore lo riprende: “Ma quasi il 70% dei voti è andato altrove”; lui cincischia, cambia discorso). Irresistibile quando dice “credo che Tony Blair sia stato uno dei più grandi leader in termini di risultati” (hai voglia, tra i quali la balla sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con concomitante occultamento di documenti, stando al suo ex ministro della Difesa) e naturalmente non influisce sulla valutazione il fatto di essere appena diventato un collaboratore, si presume prezzolato, del Tony Blair Global Institute.
Naturalmente il conferenziere-consulente-senatore Renzi appartiene a quella parte di umanità che vuole sempre più crescita (in termini di Pil e di sviluppo, mica di progresso): intelligenza artificiale, la Sanità come business che va implementato, i diritti come cosa obsoleta che manco conta nominare; il modello è l’Arabia Saudita, terra dei nuovi Michelangelo (che però verrebbero arrestati in quanto gay) di cui lui è testimonial a suon di petrodollari e che detiene un primato mondiale: condanne capitali, processi sommari, discriminazione contro le donne, torture, sfruttamento del lavoro, abusi sui migranti, sgomberi di massa di residenti le cui case sono state demolite per far posto alle costruzioni faraoniche del principe Mohammed bin Salman, che la Cia e l’Onu ritengono un segatore di giornalisti e che Renzi chiama “Vostra Altezza” e “amico mio”. Comunque, al di là dell’etica (ah: del suo governo si ricorda l’esportazione di un’imponente commessa di bombe verso il regno saudita, che le usa per bombardare i bambini yemeniti), colpisce l’estetica: la cosa più esilarante è l’affettazione che ostenta, imitando quelli che l’inglese lo masticano talmente bene da potersi permettere di calcare vocali, mangiarsi consonanti, aspirare la “h” fino all’iperventilazione (quando dice health care gli si chiudono gli occhi per lo sforzo, si teme l’embolo). Poi siccome è notorio che una volta è stato a cena da Obama, discetta di elezioni americane: “Io ho una grande amicizia per Joe Biden” (che però non ha idea di chi diavolo sia Renzi), e pone il suo diktat: “Not Kamala”, inteso come la Harris, che lui chiama col nome di battesimo perché così usa tra cosmopolitipoliglotti.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Luglio 13th, 2024 Riccardo Fucile
COETANEO DELLA SCHLEIN, E’ ATTUALMENTE IL SINDACO DI RAVENNA: “SARA’ IL PROGRAMMA DI UNA COLAZIONE, NON DI UN PARTITO, PER ME E’ UN ONORE”… BONACCINI: “SARA’ MIGLIORE DI ME”
È Michele De Pascale il candidato del Partito democratico in Emilia Romagna, dopo le dimissioni di Stefano Bonaccini in seguito all’elezione al Parlamento europeo. Classe 1985, è attualmente sindaco di Ravenna.
La prima promessa fatta dopo l’annuncio della candidatura è stata quella di cercare una “coalizione larga” da presentare ai cittadini emiliano-romagnoli. “Sono molto onorato di aver ricevuto dal Pd questa investitura, già nei giorni scorsi ho avuto modo di parlare con tutte le forze della coalizione e le incontrerò nei prossimi giorni. Stiamo ricevendo anche tanti contatti da movimenti civici”, ha detto. Per poi ribadire che il programma sarà comunque di una coalizione e non di un partito.
De Pascale ha ricevuto anche l’endorsement del governatore uscente: “Michele De Pascale lo conosco molto bene, ha grandi qualità sia umane sia amministrative, ha una lunga esperienza sia dal punto di vista politico e amministrativo e non ho dubbi che se eletto sarà meglio di me nei prossimi anni”, ha detto Stefano Bonaccini. “Con lui siamo in buone mani”, ha aggiunto.
Anche la segretaria Elly Schlein gli avrebbe espresso il suo sostegno: “La segretaria Schlein ha accompagnato questo percorso dal primo giorno, è stata un punto di riferimento per tutti noi. Prima ha condotto la battaglia delle amministrative e delle europee, dal giorno dopo si è messa a lavorare sull’Emilia-Romagna. C’è grande sintonia, siamo nati lo stesso anno, siamo della stessa generazione e penso che insieme, lei in primis e noi dal territorio, possiamo anche tracciare una nuova prospettiva”, ha detto De Pascale.
E ancora: “C’è una nuova generazione che si è messa in gioco, nei comuni tanti colleghi sono della mia generazione. Ora giochiamo questa sfida sapendo di avere Bonaccini al Parlamento europeo e presidente Pd, che è un punto di riferimento importante, e una segretaria combattiva, capace e giovane che nonostante qualcuno non tifasse per lei alla fine alle Europee ha conseguito un risultato importante”.
Dalla sezione regionale del partito sottolineano che la candidatura di De Pascale verrà proposta “alla coalizione di centrosinistra e che vorremmo costruire nel solco di quanto è stato fatto in tanti dei Comuni che sono andati al voto lo scorso giugno”, cioè una “una coalizione ampia, plurale, civica e politica”.
(da Fanpage)
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Luglio 13th, 2024 Riccardo Fucile
TRA INABILITA’ AL LAVORO E ASSENZE PER MALATTIA E’ UNA VERA EMERGENZA
Sono sempre di meno e sempre più vecchi: così, tra i medici e gli infermieri fioccano le assenze per malattia e cause varie, mentre più di uno su dieci al lavoro ci va, ma con un certificato in mano di inabilità a fare questo e quest’altro. A svelare l’altra faccia dell’emergenza personale nei nostri ospedali è un’indagine condotta dalla Fiaso, la Federazione di Asl e ospedali.
Gli ultimi dati disponibili dicono che il 56% dei camici bianchi ha più di 55 anni di età, e la percentuale scende di poco quando si parla degli infermieri. Il problema è che fare turni massacranti e turare le falle in pianta organica non è propriamente un mestiere per vecchi. E infatti tra i professionisti sanitari che lavorano nelle strutture pubbliche molti lo fanno a mezzo servizio.
Poi come sempre le cose variano da un’area all’altra del Paese, come lamenta il governatore della Calabria, Roberto Occhiuto. «Qui in Calabria abbiamo scoperto più di mille infermieri inidonei, pagati per non lavorare perché giudicati inabili dai medici. Una scoperta fatta quando ho predisposto il piano di assunzioni e mi sono sentito dire che potevamo assumere solo mille infermieri perché mille erano in pianta organica ma dichiarati inabili».
Quel che insospettisce Occhiuto è il fatto che in alcune aziende c’è una percentuale di inabili 4-5 volte più alta della media nazionale. Che già di per se è di tutto rispetto.
50mila inabili al lavoro in corsia
L’11,8% dei dipendenti inquadrati nei ruoli sanitari del nostro Ssn ha infatti qualche limitazione nel lavoro. Solo nel 2019 era l’8,6%. Calcolando che gli infermieri sono 280mila, i medici altri 110mila e gli operatori socio sanitari 66mila, quell’11,6%, che così dice poco, equivale a un esercito di circa 50mila sanitari parzialmente inabili al lavoro. Limitazioni che in quasi la metà dei casi riguardano l’impossibilità di movimentare pazienti o carichi di qualunque tipo, che per un infermiere o un operatore socio-sanitario equivale a dire poter fare poco o niente.
Al secondo posto viene l’impossibilità di coprire i turni notturni o di garantire la reperibilità. Due cose di cui c’è estremo bisogno in un sistema sanitario a corto di risorse umane. Ma c’è anche un 5% di chi ha limitazioni di tipo psichiatrico, psicosociale o comunque da stress. Dato in crescita del 40% nell’ultimo anno e che trova riscontro in un’altra indagine condotta dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri, Fadoi, che mesi fa rilevava come oltre la metà dei medici fossero in burn-out, ossia soffrisse appunto di stress, oltre che di insonnia e disturbi vari.
Assenze per malattia
Anche in fatto di assenze non si scherza: tra giustificativi vari, l’indagine di Fiaso ne ha contate 83mila, circa un terzo in più di quelle verificatesi nel 2019. In quasi la metà dei casi si tratta di assenze per malattia. Seguono le assenze per maternità, che proiettando i dati del campione Fiaso sul totale dei 456mila dipendenti del ruolo sanitario sarebbero circa 18mila, mentre in 12mila usufruiscono della legge 104.
O per il proprio stato di salute, o per quello dei propri cari, che quando si è in là negli anni si presuppone abbiano un’età così avanzata da avere bisogno di una costante assistenza. E anche questo rende difficile essere sempre efficienti e presenti al lavoro.
Sono invece circa seimila i sanitari che per una ragione o per l’altra si sono messi in aspettativa e quasi 5mila quelli che usufruiscono di permessi vari. Uno stuolo di professionisti che gira a scartamento ridotto, mentre secondo le stime di Fiaso in pianta organica mancherebbero 10mila medici e 20mila infermieri. Numeri tra l’altro lontani da quelli ben più allarmanti forniti fino ad oggi da sindacati medici e Federazione degli Ordini infermieristici. Con i primi che lamentano una carenza di 25mila camici bianchi mentre gli infermieri in meno sarebbero addirittura 80mila, considerando quelli che dovrebbero andare a lavorare nelle nuove strutture territoriali finanziate del Pnrr e gli infermieri di famiglia, sui quali dovrebbe poggiarsi l’assistenza domiciliare ad anziani e fragili.
«Se il quadro della carenza di personale è questo – dice Giovanni Migliore, Presidente di Fiaso – la soluzione non è quella di elevare l’età di pensionamento dei medici a 72 anni, come proposto da un emendamento al decreto liste di attesa. Nei pronto soccorso, dove c’è forte carenza, non manderemo mai a lavorare professionisti di quell’età. Il problema più grave resta però la carenza di infermieri, che certamente non riusciremo formare nel numero che occorre nei prossimi tre anni. Per cui -conclude- è necessario ricorrere a qualsiasi soluzione, anche aprendo le porte agli stranieri, garantendo comunque la sicurezza delle cure».
Ospedali chiusi per ferie
Ma se in tempi normali gli ospedali, tra carenze di organico, inabili e assenti vanno in affanno, con le ferie estive il sistema va del tutto in tilt, come se le malattie andassero in vacanza. Cosa che tra giugno e settembre fa oltre il 91% del personale, secondo una indagine Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri. Questo comporta una riduzione degli organici in reparto che varia tra il 21 e il 30% nel 48% dei casi, tra il 30 e il 50% nel 19,4% dei reparti, mentre la carenza è tra l’11 e il 20% in un altro 21,8% dei casi.
Per chi resta in servizio, il volume di lavoro aumenta nel 42,7% dei casi e ciò incide «abbastanza» sull’assistenza offerta ai cittadini nel 51% dei nosocomi, «molto» in un altro 15,5%, «poco» nel 21,2% dei reparti, «per nulla» soltanto nel 6,3%. A risentirne nello specifico sono le attività ambulatoriali, che diminuiscono le loro attività nel 52,7% dei casi e chiudono del tutto per ferie in un altro 15,1% degli ospedali.
(da lastampa.it)
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Luglio 13th, 2024 Riccardo Fucile
ERA TURNISTA IN ORTOPEDIA… GLI INFERMIERI CHIEDONO IL RIPOSO DOPO IL TURNO DI SERVIZIO
L’infermiera Antonella Cutini, 51 anni, si è sentita male all’Ifo di Roma nella notte tra mercoledì e giovedì. Ha provato a sdraiarsi, è caduta a terra ferendosi. Poi uno dei colleghi si è accorto del suo malessere e ha dato l’allarme. Ma inutilmente.
Cutini era madre, faceva la turnista in ortopedia. Dopo un periodo di ambulatorio, dove si divideva tra cardiologia e sala prelievi, era tornata in reparto.
La collega e dirigente di NursingUp Laura Rita Santoro dice: «Siamo sconvolti. Vediamo cosa dirà la magistratura». Il segretario provinciale di NurSind Roma Stefano Barone chiede «un intervento immediato che consenta ai lavoratori il dovuto riposo dopo il turno di servizio. Non è corretto sfruttare la disponibilità del personale a lavorare in extra orario senza neanche la dovuta retribuzione prevista. Ci è stato infatti segnalato che sono moltissime le ore di extra orario lavorate negli ultimi tempi dagli infermieri degli Istituti Fisioterapici Ospedalieri di Roma». «Antonella ci ha lasciati. Tuttavia, anche in queste ore, gli infermieri subiscono nuove rimodulazioni dei turni per sopperire proprio alla sua assenza», fa sapere il segretario aziendale Vincenzo Lodico.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2024 Riccardo Fucile
IL CAPOLUOGO LOMBARDO È AL PRIMO POSTO PER IL COSTO DI ALLOGGI PER STUDENTI MA GLI AFFITTI NELLE CITTÀ UNIVERSITARIE AUMENTANO IN TUTTA ITALIA (+12% SUL 2023)
Per poter affittare una stanza singola nei quartieri universitari della città di Milano vengono richiesti mediamente 10mila euro all’anno. Una cifra che corrisponde a circa 340 €/mq/anno (ovvero 860 €/stanza/mese). Per la zona di Missori, quella del centro storico, la richiesta arriva fino a 1.000 €/stanza/mese.
É quanto emerge dal rapporto ‘Lo student housing da mercato di nicchia a comparto maturo’, realizzato da Scenari Immobiliari per Re.Uni, l’associazione che riunisce i tre principali player del settore student housing italiano (Camplus, CampusX e Joivy) e bedStudent, presentato nel corso di un convegno a Milano. La seconda città per livello elevato di canone è Venezia con 260 €/mq/anno (650 €/stanza/mese). Il canone per una stanza singola è circa il 45 per cento (per Milano) e il 18 per cento (per Venezia) superiore a quanto richiesto dal libero mercato, l’incremento negli ultimi 5 anni è rispettivamente del 18 e del 17 per cento.
Nel corso dell’ultimo anno, i canoni d’affitto nelle città a forte vocazione universitaria (Bari, Bologna, Brescia, Ferrara, Firenze, Lecce, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Pavia, Roma, Torino e Venezia) hanno registrato variazioni: affittare una stanza costa mediamente il 12 per cento in più rispetto agli scorsi dodici mesi. Bari è la città con la variazione più elevata, sopra al 30 per cento, Lecce, Brescia e Bologna performano sopra la media riportando incrementi compresi tra il 15 e il 13 per cento mentre Padova, Firenze e Milano aumentano di percentuali più contenute.
(da agenzie)
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Luglio 13th, 2024 Riccardo Fucile
IL TERZO BOLLETTINO DELL’ANNO DI PALAZZO KOCH INDICA FATTORI DI RALLENTAMENTO: MANIFATTURA IN DECISA FLESSIONE, INVESTIMENTI CHE CALANO “MARCATAMENTE” E CROLLO DELLE COSTRUZIONI, DOPO LA FINE DEL SUPERBONUS – LE RISORSE PER LA MANOVRA DIVENTANO GIÀ UN REBUS
Crescita lenta e prospettive fiacche, dice Confindustria. Il Pil di quest’anno non andrà oltre lo 0,6%, conferma Bankitalia. Nessun equivoco possibile davanti alle due analisi. E nessuna conferma alle generose stime del governo. Quell’1% ribadito solo qualche giorno fa dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, mentre rassicurava l’assemblea Abi che se il Pil va «non serve una manovra lacrime e sangue»
Torna così quel monito del governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, pronunciato sempre a quell’assise, a «guardare avanti con fiducia», ma «senza eccessivo ottimismo». Via Nazionale conferma lo zero virgola.
Lo fa in un bollettino, il terzo dell’anno, in cui spiega che molti fattori inducono a considerare un rallentamento dell’economia italiana, tale da compromettere l’ultima parte del 2024 dopo aver incassato un doppio aumento da 0,3% del Pil nel primo e nel secondo trimestre. «La crescita rimane contenuta e moderata».
Aggettivi ripetuti per raccontare una manifattura in decisa flessione, il traino assicurato solo da turismo ed export e dai consumi degli stranieri più che degli italiani, tornati a risparmiare oltre i livelli del pre Covid. Gli investimenti calano «marcatamente » e si accentua la flessione delle costruzioni, dopo la fine del Superbonus.
«Vi è l’eventualità che il ridimensionamento degli incentivi alla riqualificazione delle abitazioni comporti un calo dell’attività del comparto edilizio più forte diquanto previsto», nota Bankitalia. La compensazione con le opere del Pnrr sarà solo parziale, questo lo scrive anche Confindustria nel suo bollettino congiunturale di luglio.
Tiene solo la fiducia delle famiglie che hanno recuperato un po’ di potere d’acquisto, sia perché l’inflazione è calata, sia perché molti contratti collettivi sono stati rinnovati aumentando i salari, sia perché l’occupazione va. Ma rallenterà, prevede Bankitalia. Preoccupa la fascia 15-34 anni: la partecipazione dei giovani al lavoro è calata, compensata «dall’incremento in quelle fasce di popolazione più mature, in linea con la tendenza osservata dal 2012, anche per effetto delle riforme previdenziali». Insomma, una parte della maggiore occupazione è in realtà un mancato pensionamento.
Ecco che le previsioni per il Pil nel triennio di Via Nazionale sono sotto quelle del governo: +0,6% quest’anno, +0,9% il prossimo e +1,1% quello dopo. Palazzo Chigi stima invece +1% quest’anno, poi +1,2% e +1,1%. Il traguardo si allinea solo nel 2026, quando a giugno dovrebbe chiudersi il Pnrr. Sempre che l’Italia non chieda e ottenga dall’Europa una proroga. Per Bankitalia su 56 miliardi di bandi giàpubblicati, a giugno ne erano stati aggiudicati tre quarti per circa 42 miliardi.
A settembre sapremo quale “traiettoria” dovrà prendere la nostra spesa pubblica e di conseguenza come si ridurranno il deficit e il debito. Ci sono 20 miliardi di misure che scadono il 31 dicembre e che se non confermate dal governo Meloni nella sua terza legge di Bilancio rischiano di alzare la pressione fiscale. Su tutte: il taglio al cuneo e all’Irpef.
(da la Repubblica)
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Luglio 13th, 2024 Riccardo Fucile
TEME CHE IL SUO VIA LIBERA DIA LA STURA A SALVINI E LE PEN, GIÀ PRONTI A URLARE AL TRADIMENTO. MA SE SI OPPONE, POTREBBE SPINGERE L’ITALIA IN UN MARE DI GUAI… COMUNQUE, FDI NON SARÀ DETERMINANTE: VON DER LEYEN HA GIÀ UN ACCORDO CON I VERDI
C’è una piccola, forse non così piccola, complicazione sulla strada del posizionamento che Fratelli d’Italia terrà a Strasburgo. Se Meloni, anche dopo l’incontro di martedì con Von der Leyen, dovesse constatare che le offerte per l’Italia non corrispondono alle aspirazioni – in particolare se dovesse rivelarsi irrealizzabile l’ipotesi di ottenere una vicepresidenza esecutiva della Commissione, non potrebbe confermare nell’aula dell’Europarlamento l’astensione che ha già espresso nei due vertici che hanno preceduto l’apertura dei lavori.
Per una ragione molto semplice: il regolamento dell’Eurocamera equipara l’astensione al voto contrario. Trovare insomma un modo per esprimere un “ni” alla riconferma di VdL in pratica non sarà così facile per i deputati di Fratelli d’Italia.
A Meloni, se davvero vorrà dare una mano all’amica Ursula, senza incorrere negli strali di Le Pen e Salvini che l’aspettano al passo, non resterà che suggerire ad alcuni dei suoi eletti di approfittare del voto segreto per fare i franchi tiratori all’incontrario e votare nell’ombra per il secondo mandato della presidente della Commissione.
Il lato debole di manovre come queste è che nascono in modo assolutamente riservato, ma prima o poi si vengono a sapere perché c’è sempre qualcuno che parla. Così, se Meloni non vuole scoprirsi il fianco a destra, comportandosi in questo modo correrebbe il rischio di essere scoperta.
E se Von der Leyen dovesse davvero contare sull’aiutino di Giorgia, le converrebbe farsi bene i conti, dato che cinque anni fa fu eletta per soli nove voti e anche stavolta non è che il vento soffi proprio forte nelle sue vele.
(da La Stampa)
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