Luglio 14th, 2024 Riccardo Fucile
ALCUNI MINISTRI HANNO ALLA FINE SCOPERTO CHE E’ UNA PATACCA, MA DIMENTICANO CHE L’AVEVANO GIA’ DETTO IN PASSATO ESPERTI, STUDIOSI, SVIMEZ, CONFINDUSTRIA, SINDACATI, BANKITALIA A UFFICIO PARLAMENTARE DEL BILANCIO
Alcuni ministri hanno alla fine scoperto che l’autonomia differenziata fa male. Oltre che le opposizioni, l’avevano detto esperti, studiosi, Svimez, sindacati, Confindustria, associazioni di ogni tipo e caratura, Ufficio parlamentare bilancio, Bankitalia, persino la Chiesa. Ma il baratto sulla trilogia horror delle riforme era blindato. Lacrime di coccodrillo?
Forse pensavano che l’autonomia differenziata fosse cambiare la targhetta sulla porta di qualche ufficio. Grave errore. Per chi la cerca è un massiccio trasferimento di poteri, funzioni e risorse dal centro alla periferia. Parlamento e ministeri si svuotano, il ceto politico e le istituzioni nazionali – incluso il vagheggiato premier assoluto – sono drasticamente ridimensionati. Diventa difficile o impossibile ridurre con politiche nazionali divari territoriali e diseguaglianze. Si gonfiano invece a dismisura le istituzioni e il ceto politico regionali, a partire dai “governatori”. Si spiegano anche così le ambiguità sulla strategia referendaria, sull’inutile singolo quesito abrogativo parziale di cui ho già detto su queste pagine, e sui ricorsi alla Consulta.
O forse la destra non leghista credeva di giocare un tressette col morto, relegando in quel ruolo Calderoli. Invece, il ministro li ha messi tutti nel sacco. Per qualcuno non c’è da preoccuparsi, perché la 86/2024 è una legge “vuota”, in quanto è solo procedurale, e non concede di per sé la maggiore autonomia. Vero e falso insieme.
La legge Calderoli non è “vuota”, perché disciplina il negoziato che produce l’intesa, compresa la stipula e la firma. Si procede con tempi scanditi, senza potere di interdizione del Parlamento o delle Conferenze. Non si disturbi il manovratore (Calderoli). Ed è proprio nel negoziato che si scrive il danno ad altre regioni o al paese. L’intesa va poi al voto parlamentare a maggioranza assoluta, ma solo dopo la stipula e la firma da parte del Presidente del consiglio. Un diniego di approvazione metterebbe a rischio il governo. Aspettiamoci tormentoni su questioni di fiducia per mettere in riga una maggioranza riottosa. In breve, la legge recante la maggiore autonomia ex art. 116.3 vedrà un voto vincolato, non in diritto ma in politica. Ora a Lombardia e Veneto si accoda il Piemonte. Le schede piemontesi – ben 124 pagine – ci descrivono per tutte le materie il ritorno allo stato sabaudo. L’unica motivazione è l’interesse della regione, senza valutazioni circa l’impatto su altre regioni o sul sistema paese. Per la 86/2024 solo il Presidente del consiglio può limitare il negoziato al fine di tutelare l’unità giuridica ed economica e le politiche pubbliche prioritarie. Ma azionerà ora per le tre regioni il freno, come avrebbe dovuto invece fare molto prima?
Una segnalazione a Meloni per carità di patria. Le tre regioni chiedono funzioni in materie strategiche subito devolvibili, come commercio con l’estero e rapporti con l’UE. Insieme, hanno circa 20 milioni di abitanti. Nell’UE – senza contare l’Italia – sarebbero uno Stato ai primi posti per dimensione, dopo Germania, Francia, Spagna, Polonia e la candidata all’adesione Ucraina. Ancor più con Friuli-V.G., Trentino-A.A., Liguria, Emilia-Romagna. E se, acquisita tutta la maggiore autonomia richiesta, creassero con leggi regionali organi comuni per gestire le funzioni come l’art. 117.8 Cost. consente? Ad esempio, una assemblea rappresentativa emanazione dei consigli, insieme a un direttorio dei presidenti? Cosa rimarrebbe dell’Italia che conosciamo? Roma avrebbe solo la possibilità di un ricorso in via principale contro le leggi istitutive. Con quali argomenti? E certo ci sentiremmo dire, come accade oggi con l’autonomia differenziata, che attuano la Costituzione.
Il punto è che un trasferimento massivo di funzioni dal centro alla periferia rende realistico lo scenario di una macroregione. Calderoli è un fan. Nel marzo 2013 presentava un ddl costituzionale (AS 7) in cui l’autonomia differenziata era condizionata proprio alla istituzione di una macroregione, cui si legava la riserva di non meno del 75% del gettito tributario maturato sul territorio (art. 1). E se il disegno ultimo non fosse quello – davvero demenziale – di un’Italia arlecchino fatta di 21 staterelli? Se fosse, piuttosto, quello di due o tre paesi giustapposti, come nell’originaria idea di Miglio e della Lega? Per questo il contrasto è essenziale fin d’ora, con l’unico quesito totalmente abrogativo e i ricorsi alla Consulta. E non è affatto una guerra Sud contro Nord.
Quanto ai ministri, siano pronti al sacrificio. Suggeriamo per un’estrema resistenza e testimonianza la crocifissione alla scrivania. Nei Tir che portano via faldoni e suppellettili ci siano anche loro, almeno uno per regione. Cosa non si farebbe per la patria.
Massimo Villone, professore emerito di Diritto costituzionale all’Università Federico II di Napoli
(da il Fatto Quotidiano)
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Luglio 14th, 2024 Riccardo Fucile
MANCANO LE COPERTURE PER LA LEGGE DI BILANCIO. CI 20 MILIARDI DI MISURE IN SCADENZA, COMPRESI IL TAGLIO DEL CUNEO E IRPEF
Pil lento e Pnrr lentissimo: i due crucci del governo, palesati dai bollettini di Bankitalia e Confindustria oltre che dalla stessa Ragioneria generale, sono legati. Se non si spendono i soldi del Piano europeo, il Pil si affloscia ancor più di quanto stia già facendo per un’economia in affanno. E se il Pil stenta, il deficit e il debito si alzano in quanto rapportati alla crescita. Ecco perché il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti va in pressing su ministri e sindaci: «Spendete tanto e subito, altrimenti i conti sballano».
Lo spiega lo stesso Def, il Documento di economia e finanza, firmato da Giorgetti a metà aprile. Il 90% della crescita di quest’anno dovrebbe venire dal Pnrr. L’83% di quella del prossimo. E il 73% del Pil previsto per il 2026. Un impatto elevatissimo. Che però la spesa Pnrr, ferma a 49,5 miliardi su 102,5 incassati, come rivelato da Repubblica ieri, rischia di vanificare.
Un problema. L’Italia ha due mesi per presentare a Bruxelles il Piano strutturale di bilancio di medio termine, figlio del nuovo Patto di stabilità che anche il governo Meloni ha votato (ma non i suoi europarlamentari). Se ne comincerà a parlare già domani, alla riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles.
Il nostro Paese è in procedura per deficit eccessivo, per via del disavanzo al 7,4% dell’anno scorso che va riportatosotto al 3% del Pil, al ritmo di almeno mezzo punto in meno all’anno. Succederà, ma solo nel 2026. A partire dal 2027 — e poi per sette anni fino al 2033 — dovremo mettere a dieta anche il debito: un punto in meno all’anno. E nel contempo scendere al livello di sicurezza del deficit pari all’1,5% del Pil. Questo prevede il nuovo Patto Ue.
Come centrare gli obiettivi? Seguendo la quasi mitologica “traiettoria” della spesa che i Paesi dell’Unione dovranno disegnare, in discesa si intende. Per l’Italia significa stringere i cordoni, spendere solo per recuperare l’inflazione che si stabilizzerà attorno al 2%. In termini reali: non spendere. Se però il Pil fosse più basso di quantoatteso dal governo — e già ridimensionato da Bankitalia, dalla Commissione europea, dall’Ocse e dall’Fmi — i tagli alla spesa sarebbero inevitabili e dolorosi.
Il sentiero virtuoso della spesa (e quindi del deficit e più in là del debito) è già nei numeri del Def. Solo però se tutto rimane congelato, come in quelle pagine. Non sta andando così. L’obiettivo di crescita all’1% quest’anno è a rischio: Bankitalia conferma la previsione a 0,6%. Anche fosse allo 0,8%, considerando il giorno in più del 2024 bisestile, siamo sotto le stime del Def.
L’1% è ancora possibile. Giorgetti ci crede. Ma sa — lo ha scritto nel Def — che di quell’1% lo 0,9% viene dal Pnrr. Da quali settori e missioni? C’è scritto anche questo. Principalmente dalla Missione 2: Rivoluzione verde e transizione ecologica. In particolare da due componenti: energia rinnovabile, idrogeno, reti e mobilità sostenibile e poi efficienza energetica e riqualificazione degli edifici.
Se guardiamo alle riforme, quelle che spingono di più il Pil sono le politiche attive del lavoro: significa occupare più giovani e donne e più persone al Sud. Significa anche aumentare i posti negli asili nido. Poi ci sono le riforme della Pubblica amministrazione, della giustizia, della concorrenza e degli appalti.
Il prossimo anno il governo prevede un Pil in crescita dell’1,2% (Bankitalia dello 0,9%). Di questo 1,2%, come detto, un punto viene assicurato, nei calcoli del governo Meloni, dal Pnrr. Così anche nel 2026: lo 0,8% di maggiore crescita, su un totale di 1,1%, proviene dal Piano di resilienza che a Giorgetti piace poco, ma che c’è. Ed è la solo strada per riforme e investimenti esistente in Italia.
Paradossalmente, allungare il Piano oltre il 2026 non conviene. Significherebbe spalmare nel tempo l’unica fonte di crescita. E la crescita ora è l’unica cosa che conta. A meno di non fare una “manovra lacrime e sangue” che però Giorgetti nega, pur sapendo di dover coprire 20 miliardi di misure in scadenza, tra cui il taglio di cuneo e Irpef.
(da la Repubblica)
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Luglio 14th, 2024 Riccardo Fucile
A MENO DI 2 ANNI DAI GIOCHI, TRA RITARDI PAUROSI E SPUTTANAMENTO DI SOLDI DEGLI ITALIANI
Almeno i Signori delle Olimpiadi non potranno dire – in sede di consuntivo delle spese di Milano Cortina 2026 – di non essere stati avvertiti dalla Corte dei Conti.
I costi delle opere sono già cresciuti, a cominciare dalla nuova pista da bob. Il bilancio di Fondazione Milano-Cortina 2026 ha un deficit patrimoniale cumulato “in costante peggioramento”, che ha raggiunto i 107 milioni di euro, senza che vi sia certezza di miglioramento del business plan dei prossimi due anni, con la conseguenza che, in presenza di un passivo, gli enti pubblici saranno chiamati a ripianare le perdite. C’è poi una babele di enti che ruotano attorno ai Giochi Invernali, mentre manca una “struttura terza” che monitori i tempi di realizzazione delle opere da parte di Infrastrutture Milano Cortina (Simico), che provvede in proprio al controllo, facendo riferimento al Ministero con a capo Matteo Salvini. Da non dimenticare la mancanza di finanziamenti per assicurare il completamento di progetti strategici come le Varianti di Cortina e di Longarone (solo in Veneto), che non saranno ultimate in tempo per il febbraio 2026, quando si accenderà il braciere olimpico.
Nonostante il giudizio di parificazione del “rendiconto generale” della Regione Veneto sia stato positivo, emergono pesanti criticità che riguardano le Olimpiadi sia dalla memoria del procuratore regionale della Corte dei conti Ugo Montella, che dalla relazione di sintesi della Sezione regionale di controllo (relatori Elena Brandolini e Amedeo Bianchi). I rilievi non riguardano solo la Regione Veneto, ma coinvolgono anche le due società che si occupano dell’organizzazione dei Giochi (Fondazione Milano Cortina) e della costruzione di impianti e strade (Simico).
“FONDAZIONE: DEFICIT PATRIMONIALE DI 107 MILIONI”
Le annotazioni più severe riguardano Fondazione, che è anche oggetto di un’inchiesta della Procura della Repubblica di Milano, nell’ipotesi di corruzione e gestione opaca delle sponsorizzazioni. “Con riferimento alla situazione economico-patrimoniale e finanziaria di Fondazione Milano-Cortina – scrive il procuratore Montella – si registra nell’esercizio 2023 un risultato economico negativo per euro 33.725.504, che sommato a quello degli esercizi precedenti, porta a un deficit patrimoniale cumulato al 31 dicembre 2023 pari ad euro 107.800.743,00”. È la dimostrazione che “Fondazione continua ad operare in condizioni di deficit patrimoniale in costante peggioramento”, anche se in base “al presupposto della continuità aziendale” (con parere favorevole dell’Avvocatura dello Stato) i costi sostenuti troverebbero “capienza solo all’esito del compimento dell’oggetto della Fondazione”. Quindi “Fondazione sarebbe in grado di recuperare il deficit patrimoniale generato nei primi anni di attività, grazie a risultati economici positivi da generarsi in prossimità della conclusione dei Giochi 2026”, anche se ciò avverrebbe grazie “alle garanzie fornite dagli Enti Territoriali coinvolti nel programma olimpico e paralimpico, nonché quella prestata dallo Stato Italiano”.
I DUBBI DEL PROCURATORE
Le rassicurazioni non bastano. “Purtroppo, nonostante gli auspici, non si rinvengono elementi di certezza sull’eventuale capacità di miglioramento economico dal business plan 2024 – 2026, redatto dalla stessa Fondazione” scrive il procuratore Montella. Il piano, infatti, “soffre ad oggi di una certa aleatorietà sulla effettiva capacità della Fondazione di far fronte alle obbligazioni finora assunte (e ai costi già sostenuti), anche in ragione del complesso e mutevole assetto socioeconomico e politico nel quale la Fondazione medesima si trova ad operare”. Ricorda il magistrato che “ove non dovesse realizzarsi l’equilibrio economico auspicato, i debitori finali, chiamati alla copertura del deficit patrimoniale, saranno lo Stato italiano e gli Enti territoriali a vario titolo coinvolti nella gestione dei Giochi”. La Sezione di controllo ricorda, al riguardo, come nel 2020 sia sorto “un fondo per il concorso della Regione del Veneto alla copertura dell’eventuale deficit del Comitato Organizzatore, che ammonta a 96 milioni e 261mila euro”. Sono soldi pubblici che verrebbero impiegati per pagare eventuali debiti. Lo stesso farebbero, in percentuali diverse, la Regione Lombardia e le province autonome di Trento e Bolzano.
UNA BABELE DI ENTI
Come già nel 2022 e 2023, la Corte dei Conti rimarca “una pletora di organi (Fondazione Milano Cortina, Consiglio Olimpico Congiunto, Simico, il Forum per la sostenibilità dell’eredità olimpica e paralimpica), a cui si affiancano altri soggetti individuati dalla Regione (Fondazione Cortina e società Veneto Innovazione)”. Solo l’11 giugno 2024 è stato costituito il Consiglio Olimpico Congiunto (istituito nel 2020) “con funzioni di indirizzo generale sull’attuazione del programma di realizzazione dei Giochi e di assicurare il confronto tra le istituzioni coinvolte”.
COSTI E RITARDI AUMENTATI
Se il costo totale delle opere è cresciuto a 3,6 miliardi di euro, mentre il bilancio di Fondazione è di 1,6 miliardi, il procuratore Montella si sofferma sui dati del Veneto: “Il valore complessivo delle opere sul territorio del Veneto ammonta a euro 1.375.641.784,00 di cui euro 892 milioni per le opere di natura sportiva ed infrastrutturale con totale copertura finanziaria, ed euro 483 milioni per opere infrastrutturali aventi solo parziale copertura”. Montella rincara: “Nonostante l’accelerazione delle attività, traspare comunque – dati i tempi ristretti – il perdurare di un rischio elevato che non vengano portati a compimento alcuni interventi infrastrutturali di particolare importanza, con il pericolo che l’avvio dei cantieri in coincidenza con i Giochi possa determinare disagi e rallentamenti nell’accesso alle sedi o che, ancora peggio, lo slittamento del loro avvio possa causarne un differimento sine die”. Il riferimento è alle varianti di Cortina e Longarone, in particolare la prima, finanziata solo per metà del valore.
CHI CONTROLLA SIMICO?
Il monitoraggio dello stato di avanzamento dei lavori è stato affidato dal governo a Simico. Montella critica la scelta, perché si tratta dello stesso soggetto attuatore: “La Procura si chiede se non sarebbe più opportuno che tale monitoraggio fosse affidato ad un soggetto terzo. Non risulta tuttavia a questa Procura che di tale monitoraggio venga fornito un report periodico, né sul sito della Società, né altrove”. Il “Report sintetico opere” pubblicato da Simico non indica, infatti, gli stati di avanzamento di ogni opera, solo importi, durata dei lavori e scadenze finali.
UN FARO SULLA PISTA DA BOB
La Procura lamenta la notevole crescita di costi della pista da bob di Cortina: “Si passa dagli 85 milioni del 2002 ai 124 milioni del 2023… senza che, allo stato e in assenza degli atti definitivi, sia dato appurare quante e quali nuove lavorazioni siano state programmate”. Montella conferma di avere aperto un fascicolo “all’esito delle notizie riportate da plurimi organi di stampa che ventilavano un abbandono del progetto, per il danno erariale conseguente alle spese già affrontate per progettazione e per promozione”. A febbraio 2024 i lavori sono cominciati, eppure l’istruttoria resta aperta “in attesa dell’evolversi della situazione relativa all’avanzamento dei lavori”. Se la pista non si farà in tempo per i Giochi, qualcuno sarà chiamato a pagare i danni.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 14th, 2024 Riccardo Fucile
GRATTERI: “ELIMINATI 36.000 REEL DI ARMI E BELLA VITA”
«La mafia ha bisogno per esistere del consenso popolare e per acquisirlo si fa pubblicità esattamente come qualsiasi azienda» Lo ha spiegato il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, presentando il suo libro Il Grifone alla rassegna “La posta letteraria” di Radicofani. Gratteri spiega che come le aziende la mafia è a caccia di consumatori del futuro, e quindi dei giovani. Per questo prima ha usato per anni Facebook, ma da qualche anno ha aperto migliaia e migliaia di account su TikTok.
Prima si promuoveva con i preti e le squadre di calcio
Il procuratore di Napoli ha raccontato come «la mafia sia di fatto nata con l’unificazione dell’Italia» e che fin dall’inizio al contrario di quello che si dice «ha avuto l’esigenza di promuoversi». Prima il capo mafia «si faceva per questo fotografare con il parroco o con il vescovo, dava soldi per rifare il tetto o restaurare la chiesa». Poi «ha acquisito in campionati minori squadre di calcio comprando campioni che le facevano salire in classifica, così la gente andava allo stadio, e in tribuna accanto al capo mafioso o al suo delegato c’era la classe dirigente del luogo. Con i tempi è poi arrivato l’uso sapiente dei social per attrarre giovani a cui fare sognare la bella vita dei mafiosi.
L’incontro con i vertici di TikTok e la cancellazione di 36 mila vide
Gratteri ha raccontato che dopo avere citato in qualche occasione la passione mafiosa per i social, il capo Europa di TikTok gli ha chiesto un incontro per parlare del problema. E dopo quell’incontro, riconosce il procuratore di Napoli, «TikTok ha creato una squadra ad hoc e ha cancellato la bellezza di 36 mila video che inneggiavano alla bella vita, alle armi e alla violenza mafiosa».
(da agenzie)
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Luglio 14th, 2024 Riccardo Fucile
SUCCEDE A BALOS… MA LE AUTORITA’ NON FACEVANO PRIMA A CONTINGENTARE GLI ARRIVI?
Turisti costretti a scendere dal traghetto e camminare in acqua – con tanto di valigie sopra la testa – per raggiungere la spiaggia.
Succede a Balos, una delle località più rinomate dell’isola di Creta, nota per le sue acque cristalline. Un video diventato virale sui social mostra una coda di vacanzieri con zaini e borse sulla testa mentre camminano in acqua.
Poco prima dell’inizio del video, quei turisti sono stati fatti scendere dal portellone posteriore del traghetto. Una situazione definita «inaccettabile» da alcuni turisti, con uno di loro che alla testata locale Zarpanews dichiara: «La maggior parte delle persone è rimasta sulla nave per paura. Solo una quarantina sono scese, ma sono tornate arrabbiate e molto deluse».
Fino a poco tempo fa, il traghetto che ogni giorno porta migliaia di turisti nella spiaggia da sogno di Balos arrivava fino a riva. Adesso, invece, si ferma a qualche decina di metri di distanza, costringendo i passeggeri a camminare in acqua per raggiungere la spiaggia.
Le autorità greche, spiega il portale Flashnews, hanno vietato l’installazione di una piattaforma galleggiante per paura che l’afflusso di turisti a Balos cresca a ritmi ancora più insostenibili di quelli di oggi. Anche la decisione di far scendere i vacanzieri in acqua, però, desta qualche perplessità: «Lo sbarco è stato caotico e frustrante. Ci sono volute quasi due ore per far scendere tutti dalla nave», ha raccontato un altro turista. In seguito alle polemiche generate dal video, diventato virale sui social, pare che le autorità locali abbiano acconsentito alla costruzione di una piattaforma galleggiante per lo sbarco dei turisti.
(da agenzie)
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Luglio 14th, 2024 Riccardo Fucile
LA BARA DELL’ANZIANA SIGNORA INVECE SI TROVAVA ALL’AEROPORTO DI FIUMICINO IN PARTENZA PER L’ASIA… I FAMILIARI DELLA DONNA HANNO CHIAMATO I CARABINIERI E SONO RIUSCITI A INTERCETTARE L’ANZIANA PRIMA CHE VENISSE PORTARTA IN INDIA
Erano pronti a dire addio alla loro cara A.C., 90 anni, morta lo scorso 9 luglio. Hanno così raggiunto l’ospedale di Tor Vergata per salutare il feretro, pronti per il funerale che si sarebbe dovuto svolgere oggi. Una volta arrivati, però, ecco l’amara sorpresa: la bara della loro parente 90enne era sparita, anzi era stata scambiata. Già, la bara che conteneva il corpo di A.C. era stata sostituita con un altro feretro, quello di un uomo indiano, il cui corpo avrebbe dovuto fare rientro in patria.
La surreale, e per certi versi drammatica vicenda, ha così avuto una svolta quando i familiari della 90enne hanno chiamato i carabinieri che hanno raggiunto il policlinico di Tor Vergata. A quel punto è partita una corsa contro il tempo per bloccare la partenza della bara, che ormai aveva già raggiunto lo scalo romano. Grazie a una serie di telefonate il feretro con il corpo della 90enne A.C. è stato intercettato e bloccato dell’ufficio delle dogane poco prima di essere caricato a bordo di un volo diretto ad Amritsar, in India
La famiglia, sentita da RomaToday, ha sottolineato la gravità della vicenda, valutando l’eventualità di ricorrere alle vie legali: “Non aveva mai volato, è assurdo che sarebbe potuto accadere così. Sulla bara c’era il bollino della compagnia aerea che l’avrebbe portata in India. Chi ha autorizzato tutto questo? Vogliamo sapere la verità”. […]
LA RICOSTRUZIONE
Stando a quanto ricostruito dal nostro quotidiano, la donna è morta lo scorso 9 luglio. Era malata da tempo. Durante i suoi ultimi giorni di ricovero al policlinico di Tor Vergata, è risultata positiva al Coronavirus e così quando è deceduta gli operatori sanitari hanno avviato le procedure per riconsegnare la salma alla famiglia, senza permettere l’ultimo addio. Un atto dovuto in casi di Covid, secondo i protocolli sanitari. Oggi, dopo le autorizzazioni, i familiari della 90enne si erano recati in ospedale per salutare il feretro in attesa del funerale.
Proprio nella mattinata di venerdì un altro corpo era stato preparato e chiuso dentro una bara. Lui, però, doveva essere trasferito in India per essere sepolto nella sua nazione. È a questo punto che sarebbe avvenuto l’errore, lo scambio. Dopo i vari ok dall’agenzia delle dogane la bara con all’interno il corpo dell’anziana è stata “liberata” e restituita alla famiglia.
(da RomaToday)
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Luglio 14th, 2024 Riccardo Fucile
LA LEGGE NORDIO PREVEDE DI AVVERTIRE I PUSHER PRIMA DI ARRESTARLI… LA SOFFIATA A CHI SMERCIA RIDICOLIZZA I SOVRANISTI
“Scusi, lei spaccia?”. Quando una frase richiama subito un’immagine. E una voce. L’orecchio di Matteo Salvini vicino al citofono. I microfoni portati alla bocca, la voce con l’inconfondibile cadenza milanese. E una scena che ha fatto il giro del mondo. Era il gennaio 2020, sembra ieri quando il leader della Lega andava in periferia a Bologna a bussare, in favore di telecamera, a casa di presunti spacciatori.
Quegli stessi pusher (i quali in gran parte commerciano hashish e marijuana) che ora il “suo” ministro Carlo Nordio – con l’appoggio incondizionato dello stesso Salvini – vuole sottoporre a interrogatorio preventivo, permettendo loro di avere tutto il tempo per darsi alla macchia prima che scatti l’arresto.
È l’effetto dell’incredibile “buco” nella nuova riforma della giustizia approvata mercoledì in via definitiva dalla Camera. Il regalo era stato pensato su misura per i colletti bianchi che delinquono, a cui si vuole evitare la spiacevolezza di trovarsi la Polizia in casa all’alba. Ma ora rischia di trasformarsi in un favore imprevisto a una categoria ben poco apprezzata dal governo: gli spacciatori.
La falla è stata notata da molti dei magistrati che in questi giorni sono impegnati in riunioni fiume, nelle procure, per riorganizzare tutti i servizi. Per spiegarla serve però un passo indietro: in chiave “garantista”, la riforma del Guardasigilli prevede che d’ora in poi, per arrestare un indagato e sottoporlo a custodia cautelare, sia obbligatorio interrogarlo prima, convocandolo con un anticipo di almeno cinque giorni per ascoltare la sua versione (e magari cambiare idea).
Il rischio di questa trovata è palese: il presunto criminale, avvertito dell’intenzione di metterlo dentro, può darsi alla macchia in tutta tranquillità. Per scongiurare l’ipotesi, la norma detta una serie di eccezioni: l’obbligo di interrogatorio preventivo non vale se c’è il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove, o anche quello di reiterazione del reato se si tratta di fattispecie di particolare allarme sociale. Per individuarle, la norma rimanda all’elenco dei reati per cui i termini di indagine sono estesi a 2 anni, anziché 1 anno e 6 mesi, come mafia, terrorismo.
In quella lista, però, c’è un’assenza che non la rende adatta a essere copiata e incollata tout court a questo scopo. Infatti l’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti, che punisce chi “cede, distribuisce, commercia, trasporta o procura ad altri” tutti i tipi di droga, è citato solo “limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80 comma 2”, cioè i casi di spaccio di “ingente quantità”. Insomma: se la quantità non è ingente l’eccezione non vale, e per arrestare il presunto spacciatore o trafficante bisognerà avvertirlo convocandolo per interrogarlo.
Trattandosi spesso di delinquenti professionisti, non è difficile immaginare come potranno comportarsi di fronte all’invito a comparire, o anche dopo essere stati sentiti dal gip, prima però che scatti l’arresto.
Insomma, il governo di destra rischia di dare un vantaggio siderale proprio a una di quelle categorie che, a parole, dice di voler combattere.
Basta andare a ritroso a recuperare le dichiarazioni di Matteo Salvini, ma anche della premier Giorgia Meloni. Prima ma anche dopo il virale “lei spaccia?”, Salvini, ai tempi del governo gialloverde affermava: “Chiuderò i cannabis shop uno a uno” e “se c’è qualche parlamentare che vuole lo Stato spacciatore il governo su questo può andare a casa”, ignorando che quei negozi sono legali proprio perché vendono prodotti alla cannabis che non violano le leggi italiane.
Ma tant’è, se le droghe “uccidono la nostra società” come disse sempre Salvini a maggio 2014 e se “la droga è merda e chi si droga è un coglione”, come affermato a febbraio scorso, l’attuale ministro non ha avuto alcun problema a stringere la mano a Luca Lucci, l’ultrà del Milan che ha patteggiato 1 anno e 6 mesi per traffico di droga: d’altronde sempre il leader del Carroccio disse: “Meglio un gol di Ibrahimovic di una canna”.
Valori che Salvini condivide anche con Meloni. Nota la battaglia della premier e delle associazioni vicine a FdI contro la tossicodipendenza: “Chi spaccia a minorenni va accusato di tentato omicidio”, arrivò ad affermare nel 2018. Ora la legge Nordio, pur inconsapevolmente, va in altra direzione. In fondo, le antiche simpatie radicali del Guardasigilli sono note.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Luglio 14th, 2024 Riccardo Fucile
L’AZIENDA NON AVREBBE CONCESSO PAUSE AGGIUNTIVE O LIMITI AL SOLLEVAMENTO DI CARICHI PESANTI ALLE DIPENDENTI IN GRAVIDANZA
Un giudice federale di New York ha ordinato ad Amazon di ottemperare a un mandato di comparizione di un’agenzia statunitense per i diritti civili che indaga sulle accuse secondo cui il rivenditore online avrebbe discriminato le lavoratrici di magazzino incinte. Lo riporta l’agenzia di stampa britannica Reuters.
La giudice distrettuale Lorna Schofield ha respinto le affermazioni di Amazon secondo cui il mandato di comparizione della Commissione per le pari opportunità sul lavoro (Eeoc) era troppo ampio e cercava informazioni irrilevanti. L’Eeoc sta cercando dati sulle richieste avanzate dalle lavoratrici incinte di cinque magazzini statunitensi per agevolazioni quali limiti al sollevamento di carichi pesanti e pause aggiuntive, e se Amazon le abbia concesse o negate.
Il portavoce Sam Stephenson ha affermato che la società ha collaborato con l’indagine sin dal suo inizio tre anni fa e non è d’accordo con la caratterizzazione della sua condotta da parte dell’Eeoc. Amazon è orgogliosa dei benefici e del tempo libero che offre alle lavoratrici incinte o ai lavoratori le cui partner hanno partorito, ha affermato Stephenson. “Prendiamo molto sul serio la questione e non vediamo l’ora di dimostrare perché le preoccupazioni dell’Eeoc sono infondate”, afferma l’azienda in una nota.
L’indagine della commissione è stata motivata dalle denunce di cinque donne che affermano di aver subito discriminazioni in gravidanza mentre lavoravano nei magazzini Amazon in New Jersey, Connecticut, North Carolina e California. L’azienda ha affermato di aver fornito all’Eeoc circa 370.000 pagine di dati in risposta alla citazione, ma non nel formato specifico richiesto dall’agenzia
(da agenzie)
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Luglio 14th, 2024 Riccardo Fucile
LEGAMBIENTE: “SE L’ACQUA NON C’E’, LORO DA DOVE LA PRENDONO?”
“Se non c’è acqua a sufficienza, questi signori delle autobotti dove la prendono?” si chiede Beppe Amato, responsabile risorse idriche per Legambiente. Una domanda che fa eco un po’ in tutta la Sicilia e che sta investendo le prefetture e le procure dell’Isola.
L’emergenza siccità ha, infatti, dato il la al grande business dell’acqua: “Si consideri che alcune di queste ditte che hanno autobotti per ogni viaggio ricavano circa 100 euro, facendo più viaggi al giorno, almeno 10, e con più autobotti: in trenta giorni quindi si può calcolare un guadagno di almeno 30 mila euro”, spiega Claudio Guarneri, presidente di Aica, l’azienda idrica dei comuni agrigentini.
Ed è proprio ad Agrigento – una delle città a soffrire di più dell’emergenza siccità – che si sta dando una forte stretta al mercato nero dell’acqua. Sono state tante le riunioni in prefettura, alle quali era presente anche il capo della procura, Giovanni Di Leo, finalizzate a gestire un sistema che finora era completamente privo di regole. E dopo il far west, adesso, per potere rifornire i privati con autobotti, bisogna avere un certificato della prefettura che attesti che si è autorizzati al servizio, e che, di conseguenza, sia nota la provenienza dell’acqua. “Era necessario innanzitutto che fosse accertata la composizione di quest’acqua, una di questa autobotti aveva preso acqua da un fiume”, rimarca Guarneri.
La stretta però non è andata giù ai titolari delle ditte che un mese fa hanno inscenato una vera e propria serrata contro l’improvvisa regolamentazione. Una serrata durata addirittura una settimana, finché l’accordo tra Aica e ditte private è stato trovato.
Uno stop al mercato nero dell’acqua? Non del tutto: solo lo scorso 3 luglio i carabinieri hanno elevato una multa di 3mila euro a un soggetto scovato mentre riforniva abusivamente con l’autobotte un condominio a Porto Empedocle. In alcune parti della Sicilia d’altronde il rifornimento idrico avviene da anni solo con le autobotti: è quello che le autorità hanno scovato a Sciacca, dove è emerso come molti privati non abbiano alcun allaccio alla rete idrica pubblica. “Quando vengono con le autobotti per rifornirsi da noi, unica fonte consentita adesso, diamo loro un modulo da consegnare agli abusivi perché possano essere censiti e inseriti nella rete”, spiega il presidente di Aica.
Che vi sia un mercato abusivo dell’acqua in Sicilia, d’altronde, è stato anche svelato da un’inchiesta della procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia, che lo scorso gennaio ha portato all’arresto di 5 persone, tutte accusate di associazione mafiosa. E qual era il grande affare della famiglia mafiosa di Carini? Non era la droga, non le armi, né le estorsioni: attraverso una condotta idrica abusiva i vertici della famiglia mafiosa fornivano acqua per 115 famiglie. Succedeva ben prima dell’allarme siccità.
Intanto sono proprio le autobotti la risorsa più immediata per la crisi, mentre i dissalatori che potranno dare continuità del servizio anche in assenza di piogge sono considerate una soluzione troppo cara e perché ritornino in funzione quelli già esistenti ci vorranno ancora tra i 12 e i 18 mesi. Gli interventi più a lunga scadenza, invece, come la sistemazione della rete idrica per evitare le perdite che in alcune, registrano ritardi e in alcuni casi hanno portato anche a perdere finanziamenti.
Succede ad Agrigento dove i fondi per sistemare la rete idrica sono andati persi: “Erano previsti 49 milioni di euro disponibili per rifare l’intera rete idrica ridotta ad un colabrodo. Finanziamento disponibile, appalto celebrato, aggiudicazione avvenuta, lavori mai iniziati, soldi persi. Adesso il presidente della Regione (Renato Schifani, ndr) promette che verrà rifinanziata. Bene, lo speriamo, ma intanto possiamo registrare che a gestire la fase emergenziale sono quelli che non hanno saputo farlo con la fase ordinaria”, così rileva Giuseppe Riccobene, ingegnere e dirigente di Legambiente Sicilia, esperto in materia di gestione idrica. E con tutto questo la siccità c’entra pochissimo: “Agrigento vive, da sempre, un perenne disservizio. Da queste parti l’acqua viene distribuita ogni 7 o 10 giorni e dev’essere accumulata nelle cisterne sui tetti o interrate, per poter soddisfare le esigenze di ogni famiglia o di ogni esercizio commerciale ma all’orizzonte non si vede nessuno che sappia o voglia dare vita a un servizio che dia continuità”.
Intanto lo scorso martedì, cioè soltanto il 9 luglio, quando l’estate è ormai in fase avanzata, la presidenza della regione annunciava in un comunicato un intervento straordinario previsto per il giorno successivo su Ancipa, una delle grandi dighe che servono il centro Sicilia, un “intervento che rientra all’interno di un piano di manutenzione programmata per eliminare alcune delle perdite di acqua lungo la rete”. Ma dagli uffici della regione assicurano che non c’è nessuno ritardo. Anzi, tutto il contrario: su un piano di emergenza complessivo che è partito l’8 giugno, il 50 per cento – fanno sapere – o è stato completato o è in fase di completamento, mentre sono al lavoro su un secondo e terzo gruppo di interventi, per un totale complessivo di 68 milioni, questo per l’idropotabile, altra storia è ad uso irriguo dove l’emergenza è gestita dal ministero dell’Agricoltura.
Nel frattempo, altri finanziamenti verranno probabilmente dall’Ue, alla quale la regione si è rivolta per chiedere la “rimodulazione finanziaria del piano di sviluppo rurale 2014-2022”. Una rimodulazione, alla luce della nuova emergenza, che inserisca “da un lato gli interventi mirati a ridurre i rischi di inondazioni/alluvioni/esondazioni causati da piogge eccezionali (bombe d’acqua) e i rischi di esposizione ad alte temperature e a venti sciroccali che possono determinare la perdita del potenziale produttivo agricolo, e, dall’altro, gli interventi mirati, ad incrementare la captazione di risorse idriche utili ai fini irrigui”.
(da ilfattoquotidiano.it)
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