Luglio 16th, 2024 Riccardo Fucile
SALTA LA TESTA DI GENNARO BORRIELLO, CHE SI OCCUPAVA DI ORGANIZZARE LE PRESENZE DI DIRIGENTI MELONIANI NEI TELEGIORNALI E NEI TALK SHOW. AL SUO POSTO DARIO CASELLI, CAPO UFFICIO STAMPA DEL GRUPPO PARLAMENTARE AL SENATO
Giorgia Meloni non è contenta della comunicazione televisiva di Fratelli d’Italia. Troppo poco incisiva sulle politiche del governo, pochi volti giovani e nuovi. Così ecco un “mini-rimpasto” nella squadra: al posto di Gennaro Borriello, da qualche giorno il responsabile di organizzare le presenze di dirigenti di Fratelli d’Italia nei telegiornali e nei talk show è Dario Caselli, capo ufficio stampa del gruppo parlamentare al Senato, dicono fonti di Palazzo Chigi.
Caselli da qualche mese era già responsabile delle presenze nei telegiornali e adesso ha assunto anche il ruolo di organizzare le ospitate nei talk televisivi
Un rimpasto che arriva a soli sei mesi dall’ultimo cambio nella squadra della comunicazione di Palazzo Chigi: a novembre, infatti, la giornalista Federica Frangi – che si occupava proprio di tv – aveva lasciato l’incarico assunto solo da un mese per tornare in Rai. Da allora era stato incaricato proprio Borriello, che su LinkedIn si definisce un esperto in comunicazione.
Ora il nuovo cambio che però avrebbe creato qualche attrito all’interno del governo: la decisione di affidare tutto a Caselli – già portavoce del ministro Adolfo Urso da presidente del Copasir – non convincerebbe il responsabile della comunicazione del governo, Giovanbattista Fazzolari.
Che qualcosa non funzionasse nella comunicazione di Fratelli d’Italia si era capito già a marzo quando Fazzolari aveva dato nuove disposizioni sulle ospitate tv: dare la precedenza alle donne di bell’aspetto, parlamentari e dirigenti giovani e senza difetti fisici.
Con un prerequisito: i parlamentari dovranno conoscere a memoria il verbo meloniano. Obiettivo: “Migliorare le ospitate in televisione”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 16th, 2024 Riccardo Fucile
IL REPORT UE CHE FA A PEZZI IL SISTEMA DI INFORMAZIONE IN ITALIA
L’Unione europea fa a pezzi il sistema informativo italiano. Non solo per i problemi storici della Rai, da tempo assoggettata alla politica e ora vittima di una “operazione di occupazione e spartizione” da parte della destra, ma anche per leggi allarmanti per la libertà di stampa – come il famigerato decreto Cartabia – e per i conflitti di interessi degli editori privati.
Le critiche sono contenute nel durissimo “Monitoraggio del pluralismo dell’informazione nell’era digitale” giunto ieri in Vigilanza Rai e firmato dal Centre for media pluralism and media freedom, un organismo lanciato dall’Unione europea con il compito di monitorare lo stato dell’arte dell’editoria negli Stati membri. In Italia c’è di che preoccuparsi.
Intanto per le condizioni della Rai. Il report parla di un “livello di rischio” del 71 per cento (rischio alto) per un settore che “storicamente presenta più criticità”. Secondo il Centro, dopo la vittoria della destra “la maggioranza ha esplicitamente rivendicato una maggiore influenza sulla Rai e una sorta di diritto ad avere una televisione pubblica allineata con i vincitori delle elezioni”. Motivo per cui, “in conformità con una prassi consolidata”, il 2023 ha visto “una serie di nomine che riflettono il nuovo panorama politico”, con storture come quella che ha riguardato Carlo Fuortes: “Per convincerlo a rassegnare le dimissioni da amministratore delegato, il governo ha offerto a Fuortes il prestigioso incarico di sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli, emanando inoltre un decreto legge per liberare quella stessa posizione, occupata da Stephane Lissner”. Il rapporto imputa alla “influenza della nuova maggioranza” le dimissioni di “alcuni noti e autorevoli giornalisti”, tra cui Fabio Fazio e Lucia Annunziata. Da qui si arriva alla denuncia di “una vera e propria operazione di occupazione e spartizione, soprattutto da parte del principale partito di governo”, ovvero FdI, e nel complesso “la qualità e l’autorevolezza dei media Rai sembrano diminuire nettamente e il pluralismo dell’informazione è fortemente peggiorato”.
Altro capitolo delicato è quello delle leggi. Innanzitutto resta “ancora irrisolto l’ormai radicato problema della disciplina penale della diffamazione”, nonostante la Cedu abbia più volte condannato l’Italia al riguardo. In assenza di una legge sulla querela temeraria, i giornalisti sono più fragili e il documento cita il caso di Gad Lerner, denunciato da Acciaierie d’italia per alcune critiche sull’ex Ilva. Poi ci sono le restrizioni su ciò che si può scrivere e cosa no. In attesa che il Centro si occupi delle ultime novità (l’analisi copre fino a tutto il 2023), l’Ue nota comunque che la riforma Cartabia “ha imposto ai cronisti giudiziari restrizioni relative alla raccolta di informazioni” e “sembra avere effetti negativi sulla libertà di stampa”, visto che “limita la possibilità per i giornalisti di comunicare con le autorità pubbliche, compresi giudici e polizia, prima che un caso sia stato deciso con una sentenza definitiva”. Il fatto che “il procuratore generale è autrizzato a comunicare dettagli dei casi sotto forma di conferenza stampa o comunicati” non è abbastanza: l’interpretazione sulla sussistenza dell’interesse pubblico è lasciata alla discrezionalità dello stesso procuratore: “Si può quindi ritenere che il decreto sia uno strumento il cui scopo è proprio quello di limitare la comunicazione di informazioni alla comunità, con conseguenze negative sia per lo stato di diritto, sia per le vittime di reato che potrebbero ricevere supporto dalla stampa”. Pur non occupandosi degli aggiornamenti del 2024, il report lascia intendere che la situazione sta peggiorando a causa del bavaglio Costa: “Merita poi di essere ricordato che il 24 febbraio 2024 è stata pubblicata la l. 15/2024, che contiene, all’art. 4, la delega al governo per modificare il Codice di Procedura Penale prevedendo ‘il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finchè non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare’”.
Il rapporto si occupa anche del conflitto di interessi nei media privati, inteso come “vicinanza degli editori e dei proprietari ai partiti politici e ai gruppi di interesse”. Si parla ovviamente di Mediaset, perché “nonostante nessuno dei figli o famigliari” di Silvio Berlusconi “abbia finora intrapreso una carriera politica, il problema di un diretto e significativo interesse politico nella proprietà e nella gestione di un colosso editoriale che abbraccia vari media rimane intatto”. Ma allarmanti sono anche altri casi di editori impuri con interessi in altri settori, il report cita Gedi e Il Sole 24 Ore. Altra stortura citata è quella di Mario Sechi, passato alla direzione di Libero poche settimane dopo essere stato capo ufficio stampa di Giorgia Meloni.
Capitolo a sé merita Antonio Angelucci, deputato leghista nonché proprietario di un gruppo editoriale che controlla numerosi quotidiani e che ora, come ricorda il testo dell’Ue, “ha intenzione di acquisire l’agenzia di stampa Agi da Eni”. Se ciò accadesse, “la valutazione del rischio potrebbe essere diversa”. Tradotto: il giudizio sul nostro Paese peggiorerebbe.
Per tutte queste ragioni il Centro mette in fila una serie di raccomandazioni all’Italia. Le più stringenti riguardano la Rai, anche perché l’Ue ha da poco dato il via libera al Media Freedom Act, un testo che sollecita gli Stati membri a garantire nomine trasparenti e meritocratiche nelle tv pubbliche. Perciò il Centro consiglia di “modificare la legislazione riguardante la nomina e la revoca dei membri del cda e dell’ad Rai” e di “provvedere, a partire dal prossimo rinnovo del consiglio di amministrazione della Rai nel 2024, affinché il consiglio venga nominato sulla base di procedure trasparenti, aperte, efficaci e non discriminatorie e sulla base di criteri trasparenti, oggettivi, non discriminatori e proporzionati”. Quanto alla libertà di stampa, il report raccomanda di “approvare una riforma organica della legislazione penale in materia di diffamazione in conformità alle richieste della Cedu e della Corte Costituzionale”, di “introdurre una più ampia protezione dei whistleblowers” e infine di “evitare restrizioni ingiustificate all’accesso alle informazioni dei giornalisti”. L’esatto contrario di quel che la maggioranza ha annunciato di voler fare. Per questo Barbara Floridia, presidente della Vigilanza Rai in quota 5S, accusa: “È urgente invertire la rotta: cancellare la Legge Renzi e dare all’Italia una legge in linea con l’Europa, ma anche una riforma seria sui conflitti di interesse e sulle incompatibilità tra incarichi pubblici e partecipazioni nel settore media”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 16th, 2024 Riccardo Fucile
LE ACCUSE, IL MAGNATE DI SINGAPORE, LE FATTURE
La Guardia di Finanza più di un paio d’anni sta indagando sulle accuse lanciate dall’imprenditore Claudio Vanin contro il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e l’assessore Renato Boraso per le vicende legate al futuro dell’area dei Pili (di proprietà del primo cittadino, ma dal 2017 in un blind trust) e alla vendita dei palazzi Donà e Papadopoli dal Comune al magnate di Singapore Ching Chiat Kwong.
Il fascicolo nasce da un esposto depositato in procura da Vanin il 19 ottobre 2021 con 3.200 documenti allegati ed è seguito dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, che lo hanno sentito più volte, direttamente o tramite le Fiamme gialle.
Vanin era il referente della società Sama Global, che aveva lavorato con Ching su vari progetti, tra cui i Pili e i palazzi: da anni però i rapporti si sono interrotti e prosegue solo una guerra a colpi di carte bollate in tribunale, con entrambe le parti che accusano l’altra di dire bugie e di fare solo del malaffare
Cos’è l’area dei Pili
L’area dei Pili, all’imbocco del ponte translagunare Mestre- Venezia, è una zona di laguna fortemente inquinata dalle lavorazioni di Marghera che fu acquistata da Brugnaro (all’epoca non ancora in politica) nel 2006, per circa 5 milioni di euro. Fu il solo partecipante all’asta del Demanio. Successivamente però, con Brugnaro già sindaco, la zona dei Pili è tornata al centro dell’attenzione perchè individuata nel nuovo Piano comunale urbano di Mobilità Sostenibile come potenziale insediamento di un terminal intermodale e del nuovo palazzetto dello sport.
Progetti che ne hanno aumentato esponenzialmente il valore. La società è ora controllata da `Porta di Venezia´, che fa sempre capo a Brugnaro, ma che, assieme a tutte le altre aziende e partecipazioni del sindaco (dalla Umana, alla Reyer), è in mano dal 2017 ad un blind trust di diritto newyorkese cui l’imprenditore ha trasferito il patrimonio, una volta eletto a Ca’ Farsetti
Le parti in causa e le versioni
La storia dell’interessamento di mister Ching per Venezia è ben nota: un interessamento che nell’aprile 2016 lo porta a un incontro in Comune, dove si parla anche dell’area dei Pili. C’è anche un video trasmesso dalla trasmissione Rai Report lo scorso dicembre in cui il sindaco dice all’investitore «qui è tutto edificabile… questo è un bacino di acqua, non è terra, qui volendo c’è da fare tutto un ragionamento… qua bisogna fare fino a 100 metri», riferendosi alle altezze dei palazzi.
Le due parti hanno sempre dato però versioni diverse. «Il video racconta l’attività di un primo cittadino che risponde alle domande su cosa preveda o no il Prg vigente in una o più aree della città – affermava Brugnaro – Un’attività che ho sempre svolto personalmente con decine di potenziali investitori, nazionali ed internazionali, relativamente a tutte le occasioni di sviluppo dell’intero territorio comunale. E la faccio con orgoglio».
Anche Luis Lotti, l’uomo che segue tuttora Ching in Italia, sminuiva l’accusa. «Eravamo in Comune e c’erano una cinquantina di persone – ricordava – si stava parlando delle varie opportunità e fummo noi a chiedere dei Pili. Non ci sono stati altri incontri con il sindaco, né al Casinò, né tanto meno a casa sua».
Affermazioni fatte invece da Vanin. «Io l’esposto l’ho protocollato anche in Comune, perché pure la minoranza sapesse, ma nessuno ha fatto nulla – afferma – nel frattempo da 5 anni vivo un inferno, sono venute delle persone a minacciarmi».
Il sindaco ricordava che sono stati già fatti tre consigli comunali sui Pili. «In oltre 8 anni della mia amministrazione, non c’è un singolo atto che abbia modificato capacità edificatorie o destinazioni urbanistiche, vigenti già dal 1999», sottolineava Brugnaro.
Il piano per l’area e nuove accuse
Il maxi-piano allo studio prevedeva un investimento di 1,3 miliardi, che avrebbe portato un milione e 100 mila metri cubi di volumetri, con grattacieli, alberghi e il palazzetto che oggi invece è previsto al Bosco dello Sport. La società Sama Global, di cui Vanin è direttore tecnico, ha chiesto 2,8 milioni a Ching per i lavori di progettazione, ottenendo un decreto ingiuntivo che poi è stato sospeso dal tribunale di Venezia. «Non ci fu nessun incarico», diceva Lotti, che poi ammetteva che il piano è «andato»: «C’erano troppe incognite sulle bonifiche, poi c’è stato il Covid», sottolineava
Negli ultimi mesi era emersa un’ulteriore novità: il pagamento da parte di Vanin di due fatture per 72 mila euro all’assessore Boraso (allora al Patrimonio) per una consulenza immobiliare, proprio nei giorni di dicembre 2017 in cui in giunta presentava una perizia che riduceva la stima di Palazzo Papadopoli da 14 a 10,7 milioni di euro.
«Una tangente», era l’accusa di Vanin a Report. «Boraso non ha fatto nulla ma mi dissero di pagarlo con i soldi della Sama – aggiungeva lui – E’ stata una cosa concordata tra Lotti e l’architetto che li seguiva». Accusa sempre respinta da Lotti: «Non è una consulenza nostra». Il sindaco sulla vicenda era sempre stato chiaro: «I palazzi erano già nel piano di alienazioni del centrosinistra e sono stati ceduti con procedure di evidenza pubblica, in piena trasparenza», concludeva Brugnaro.
(da Il Corriere della Sera)
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Luglio 16th, 2024 Riccardo Fucile
SALVINI ORA SI RITROVA COL DUPLEX DEL “RASSEMBLEMENT NATIONAL” MARINE LE PEN-BARDELLA A TUONARE CONTRO LA SCELTA DELL’UFFICIALE INDICATO COME UNO DEI VICEPRESIDENTI DEL GRUPPO DEI PATRIOTI.. I FRANCESI NON VOGLIONO IL GENERALE CONSIDERATO TROPPO POLITICAMENTE SCORRETTO
C’è preoccupazione tra i governatori della Lega per il fatto che il Carroccio si sta “vannaccizzando” e che a Bruxelles il generale farà il bello e il cattivo tempo.
Salvini, che ha ignorato gli appelli di chi gli chiedeva di non candidare Vannacci, ora si ritrova col duplex del Rassemblement National Marine Le Pen-Bardella a tuonare contro la scelta dell’ufficiale indicato come uno dei vicepresidenti del Gruppo dei Patrioti.
I francesi non vogliono il generale considerato troppo politicamente scorretto. Nel mirino le dichiarazioni “omofobe” rese “dal signor Vannacci e che rappresentano un problema”…
Quando c’era Lui, i treni arrivavano in orario. Ora che c’è lui, anche gli aerei fanno ritardo. E non consentono di presentarsi in tempo alle riunioni politiche per l’avvio della Decima (sic!) legislatura. Il “lui” con la elle minuscola è Roberto Vannacci, l’ex generale dell’Esercito con una passione sfrenata per le citazioni del Ventennio che ora è diventato non solo eurodeputato, ma anche vicepresidente del gruppo dei Patrioti.
Il problema è che anche nel gruppo più politicamente scorretto dell’Europarlamento, il generale è considerato troppo politicamente scorretto. E così la delegazione del Rassemblement National ha chiesto di togliergli le mostrine da vicepresidente e degradarlo a semplice eurodeputato, aprendo uno scontro senza precedenti tra il partito di Marine Le Pen e quello di Matteo Salvini.
Ma siccome non tutti i mali vengono per nuocere, il ritardo di ieri ha consentito alla Lega di buttare la palla in tribuna e di congelare la pratica. I francesi – ha rivelato Jean-Paul Garraud, capodelegazione del Rassemblement – volevano un chiarimento su alcune «dichiarazioni che sono state rese dal signor Vannacci» e che «rappresentano un problema».
Le dichiarazioni in questione sono quelle a tinte omofobe che non sono affatto piaciute al partito oggi guidato da Jordan Bardella, che ieri ha schivato i cronisti. Non ci sarebbero problemi da parte delle altre delegazioni, come quella di Fidesz oppure quella degli spagnoli di Vox. È un problema principalmente francese, ma siccome la delegazione del Rassemblement conta 30 eurodeputati su 84, la loro opinione conta.
Anziché paracadutarsi in mimetica sull’Eurocamera come promesso, ieri Vannacci è arrivato molto più modestamente a Strasburgo nel tardo pomeriggio indossando una polo scura e trascinando un trolley come tutti gli altri. Quando si è presentato, la riunione tra i membri del bureau dei Patrioti era praticamente finita.
«Ne abbiamo parlato, ma non molto perché lui è arrivato in ritardo e dunque non abbiamo potuto discutere con lui» ha spiegato Garraud, confermando che la pratica non è ancora chiusa: «Ne riparleremo». La scorsa settimana, l’ex generale era stato eletto vicepresidente in contumacia, su indicazione della Lega. Dunque un confronto vero e proprio con i francesi non c’è mai stato.
(da agenzie)
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Luglio 16th, 2024 Riccardo Fucile
C’È CHI HA RICONOSCIUTO UN ANGELO IN UNA BANDIERA AGGROVIGLIATA AL COMIZIO E SU X SPOPOLA L’IMMAGINE DI “THE DONALD” PROTETTO DA GESÙ… RIAPRITE I MANICOMI
“È stato un intervento divino”. L’attentato a Trump è solo pane per i denti di complottari e fanatici religiosi, convinti che l’ex presidente sia una sorta di unto del signore. Ora gli svalvolati si sono concentrati sull’immagine della bandiera americana aggrovigliata sopra il palco il giorno dell’attentato. Un’immagine insignificante, ma che ha scatenato gli sciroccati che ci vedono un angelo. Lo stesso che avrebbesalvato Trump per volere di una potenza superiore.
«La bandiera si era aggrovigliata al comizio prima che Trump salisse sul palco. Sembra un angelo» ha scritto un utente su X. «Lo Spirito Santo era sicuramente lì a proteggerlo» ha risposto un altro. «Le impronte digitali del divino sono ovunque» ha fatto eco un terzo utente. Altri, invece, hanno sostenuto che la bandiera assomigliasse a un’aquila calva, l’uccello nazionale americano simbolo di forza e libertà.
Quello che è stato accolto ieri sera alla convention da un ceto politico repubblicano ormai in gran parte trasformato in popolo Maga, non è solo un imprenditore e abile comunicatore divenuto presidente e ora leader conservatore che cerca di tornare alla Casa Bianca: per molti di loro Donald Trump è anche una figura messianica.
I riferimenti religiosi, che hanno fatto breccia da anni soprattutto nel mondo evangelico, sono stati ovviamente rilanciati dall’attentato di sabato a Butler, in Pennsylvania: il quasi martirio di Trump come corpo del leader offerto in sacrificio per la redenzione dell’America che, da quando lui ha lasciato la Casa Bianca, è diventata (nelle sue parole) un pezzo di Terzo mondo. E, poi, il leader salvato miracolosamente dalla mano del Signore: l’immagine postata su Instagram e X dalla nuora, Lara Trump, le mani di Gesù sulle spalle di un Donald pensoso. Molti politici repubblicani hanno parlato di un Trump solo sfiorato dalla pallottola grazie all’aiuto di Dio.
L’intersezione tra politica, religione e populismo non è una novità per l’America. Durante la guerra civile Abramo Lincoln fu paragonato da molti nordisti al Messia. E quando fu ucciso, il Venerdì Santo del 1865, in un comizio James Garfield lo paragonò a Gesù.
Nell’infinita tragedia della violenza politica americana, 16 anni dopo Garfield fu il secondo presidente degli Stati Uniti assassinato in un attentato. Per venire ad anni più recenti, quando nel 2004 la permanenza di George Bush alla Casa Bianca sembrava in pericolo per l’impopolarità delle sue guerre, un grosso contributo alla rielezione venne dal suo stratega elettorale, Karl Rove, che andò a cercare negli Stati chiave sacche di evangelici, conservatori ma fin lì estranei alla politica, e li convinse ad andare a votare con un messaggio che mescolava religione e politica.
Questa miscela politico religiosa ha trovato il suo interprete di gran lunga più efficace proprio in Donald Trump: dall’uso dei simboli cristiani per esorcizzare momenti per lui difficili […] a una retorica nella quale si presenta come il Salvatore.
I paragoni tra l’asserita persecuzione giudiziaria di Trump e la crocefissione di Cristo sono aumentati vertiginosamente quest’anno, soprattutto dopo la convocazione dell’ex presidente in tribunale, a New York, durante la Settimana Santa dei cristiani.
The Donald come un nuovo Gesù? L’ex presidente ha sfruttato l’immagine della crocefissione, ma poi, consapevole di essere un peccatore, è stato attento a non paragonarsi al figlio di Dio: meglio il ruolo di messaggero dell’Onnipotente, comunque un altro salvatore.
Ora la sua santificazione accentua un processo di polarizzazione fatto di lotta del Bene contro il Male. Portata ai suoi estremi dalle teorie cospirative dei QAnon (a suo tempo incoraggiate da Trump) per le quali lui è il crociato venuto a combattere contro una setta segreta di pedofili che governa il mondo.
(da agenzie)
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Luglio 16th, 2024 Riccardo Fucile
AD ARDEA L’ULTIMA FRONTIERA DELLO SFRUTTAMENTO: CINQUE ARRESTI
Era una vera e propria organizzazione quella smantellata dalla Guardia di Finanza di Pomezia, che insieme ai colleghi di Roma ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 5 persone accusate a vario titolo di sfruttamento dell’immigrazione clandestina, corruzione e traffico di sostanze stupefacenti. Tra gli arrestati in carcere c’è anche una dipendente comunale di Ardea, in forza al servizio anagrafe. In due anni, tra il 2020 e il 2022, la donna avrebbe fatto regolarizzare oltre 500 extracomunitari senza titoli, più di quanti ne siano stati regolarizzati a Roma nello stesso periodo.
La dipendente comunale era il terminale di una rete di intermediari e procacciatori che si muovevano all’interno delle comunità straniere. C’era un’altra donna tunisina che si occupava di procacciare stranieri del nordafrica, tra cui Marocco e Tunisia, in cerca di documenti. Fra Ardea, Anzio e Nettuno, invece, tre indiani si davano da fare per garantire permessi di soggiorno ai connazionali con tariffe che oscillavano dai 300 ai 5mila euro.
L’indagine della finanza è nata nel 2019 dalla segnalazione di un uomo che, mentre si trovava in un autolavaggio, aveva ascoltato una conversazione sospetta tra due indiani. «Abbiamo pagato il permesso di soggiorno troppi soldi. Agli altri è costato di meno». I due, che si lamentavano per l’eccessiva spesa sostenuta per ottenere i documenti, sono stati intercettati. E presto è emersa la rete che tra il 2020 e il 2022 aveva regolarizzato oltre 500 extracomunitari non aventi diritto.
Uno dei tre referenti indiani, che ora si trova in carcere, avrebbe gestito anche un traffico di droga, importando semi di papavero che venivano portati in Italia, attraverso l’Olanda, e poi venivano venduti ai lavoratori dei campi dell’agro Pontino. Nel corso dell’inchiesta sono stati sequestrati circa 90 chilogrammi di bulbi di papavero da oppio. Oltre ai 5 destinatari della misura cautelare (3 in carcere e 2 ai domiciliari) altre 25 persone restano indagate a piede libero dalla procura di Velletri.
(da agenzie)
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Luglio 16th, 2024 Riccardo Fucile
UN ALTRO DETENUTO DEL CARCERE DI MONTORIO CONFERMA L’ACCUSA: “MI HA CHIESTO DI CONTATTARE MEMBRI DELLA ‘NDRANGHETA PER METTERE A TACERE TRAVAGLIO E LUCARELLI”
Visite sospese e telefonate vietate (tranne quella settimanale all’anziana madre). Questi i provvedimenti adottati nei confronti di Chico Forti, l’ergastolano detenuto nel carcere veronese di Montorio, con l’assenso dell’Ufficio di Sorveglianza, dopo che la Procura di Verona ha avviato un fascicolo contro ignoti per fare luce sul presunto ‘caso ndrangheta‘.
Per la cronaca pare che un altro detenuto a Montorio abbia riferito che Forti gli avrebbe chiesto di contattare malviventi per mettere a tacere il giornalista Marco Travaglio, la scrittrice Selvaggia Lucarelli e una terza persona non identificata.
Secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano, Forti avrebbe promesso al detenuto un aiuto in futuro, non appena riottenuta la libertà, in cambio del contatto con la ‘ndrangheta.
(da agenzie)
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Luglio 16th, 2024 Riccardo Fucile
“BOCCIATO DALLE REGIONI, QUESTO E’ UN DECRETO VUOTO, IL GOVERNO NON CI HA MESSO UN EURO PER RISOLVERE IL PROBLEMA DELLE LISTE D’ATTESA”
Quello sulle liste d’attesa è un decreto puramente “elettorale e lo dimostra il fatto che con le Regioni ci hanno parlato solo dopo le elezioni”, dice il capogruppo Pd al Senato Francesco Boccia, durante la conferenza stampa del partito a Palazzo Madama, a cui partecipa anche la segretaria Elly Schlein.
“Il compromesso al ribasso che in queste ore la destra si illude di raggiungere con le regioni, porta a una toppa che è peggio del buco – aggiunge – e l’emendamento della Lega che chiede la soppressione dell’articolo 2 dimostra che questo era un decreto che non andava presentato”.
“È un testo pasticciato e pericoloso” e “senza risorse”, “che ha fatto già fatto tanti danni e noi chiediamo che venga ritirato. Su questo auspichiamo l’unità della Conferenza delle Regioni”.
“Abbiamo assistito negli ultimi mesi a una legislazione tutta mirata a cercare il colpevole, trovano i capri espiatori per un problema che ha un nome preciso, che è il sottofinanziamento del Sistema sanitario nazionale”, è il ragionamento di Susanna Camusso, che ha accusa il governo di non occuparsi della questione dei doppi turni del personale sanitario, intervenendo con nuove assunzioni. “Se c’è un luogo dove è essenziale che l’orario di lavoro sia proporzionato quello è proprio il Sistema sanitario nazionale”, ha ricordato Camusso.
“Mi sembra chiaro che quello che avevamo denunciato in campagna elettorale si è realizzato. Questo è un decreto vuoto, un decreto fuffa. Questo governo non ci ha messo un euro per risolvere il drammatico problema delle liste di attesa che si allungano, prendendo in giro le persone. Quando dicono che bisogna incentivare gli straordinari vuol dire che non hanno parlato con i medici che fanno già turni massacranti, è la realtà quotidiano dentro gli ospedali pubblici. A cinque giorni dalle elezioni europee hanno raccontato che si potevano accorciare le liste d’attesa senza metterci un euro”, dice la segretaria Schlein durante la conferenza stampa.
“Dopo un mese il decreto fuffa e già diventato il decreto zuffa, zuffa nella maggioranza, con la Lega che ha già fatto un emendamento abrogativo, e zuffa con le Regioni, molte delle quali sono guidate dalla destra. C’è qualcosa che non va. Le Regioni, a eccezione del Lazio, hanno bocciato con un parere negativo un decreto. Noi abbiamo presentato una proposta legge perché la destra la votasse con noi, come è già successo in molte Regioni, come nelle Marche. Si devono mettere d’accordo se votano in modo diverso nei consigli regionali e in Parlamento”.
“Non provino a mettere la fiducia, come ricordava il capogruppo Boccia. Noi chiediamo sostanzialmente due cose: mettere più risorse sulla sanità, arrivando alla media europea, con un incremento della spesa sanitaria fino al 7,5% del Pil nel 2028. E sbloccare il tetto sulle assunzioni, è arrivato il momento di ridiscuterlo. Senza personale non c’è un modo di accorciare le liste di attesa, non c’è. In questo modo si rischia solo di agevolare il privato. Questo è un decreto sbagliato, privo di nuove risorse. Scambiano le cause con i sintomi. Le liste di attesa non si accorciano senza nuove assunzioni. Noi continuiamo a insistere con la nostra proposta di legge. Abbiamo bisogno di rimettere al centro la questione della cura. Non si può aspettare un anno e mezzo per una mammografia o un altro esame specialistico. Significa non fare prevenzione, non ce lo possiamo permettere”.
“Hanno affossato vigliaccamente la nostra proposta dicendo che non ci sono le coperture. Abbiamo chiesto di trovarle ma ci hanno detto di no, non vogliono perché nella loro visione non si deve finanziare meglio la sanità pubblica. È assurdo però che dall’altra parte facciano un decreto a invarianza di spesa”.
“Faccio un appello – conclude – alla serietà nel nome degli italiani, come Pd non accettiamo che si prendano in giro gli italiani”.
(da Fanpage)
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Luglio 16th, 2024 Riccardo Fucile
ERA IL 2016 E IL SUO LIBRO, “ELEGIA AMERICANA”, AVEVA CONTRIBUITO SUO MALGRADO A TIRARE LA VOLATA A “THE DONALD”, DANDO VOCE AGLI “HILLBILLY”, I “CAFONI” BIANCHI IMPOVERITI DALLA GLOBALIZZAZIONE E DELUSI DALLA POLITICA (FUTURA BASE ELETTORALE DEL MOVIMENTO “MAGA”)
In realtà, però, sia prima che dopo la vittoria di Trump nel 2016, Vance era un suo critico feroce: disse una volta di non aver ancora deciso se Donald fosse «un cinico stronzo come Nixon (che alla fine non è così male ma può essere anche utile) oppure l’Hitler americano».
In un post su Facebook aggiunse: «Non sono sorpreso dall’ascesa di Trump, è colpa del partito. Che ci piaccia o no, siamo il partito delle persone a basso reddito, poco istruite e bianche e dico da tempo che se non offriamo qualcosa a queste persone (e magari anche ai neri working class) allora lo farà un demagogo». Quando però decise di correre per il Senato nel 2022, Vance si trasformò in uno dei più fedeli sostenitori di Trump: ha sminuito l’attacco del 6 gennaio 2021 al Congresso, ha messo in dubbio che la vita dell’allora vicepresidente Mike Pence fosse a rischio.Alla conferenza annuale dei conservatori a Orlando, ha detto che consiglierebbe a Trump, se diventasse di nuovo presidente nel 2024, di «licenziare ogni singolo burocrate, ogni funzionario dell’amministrazione, rimpiazzandoli con i nostri uomini». Per ora uno dei suoi compiti più importanti sarà raccogliere fondi, specialmente a Silicon Valley, dove ha lavorato per il fondo di venture capital del miliardario Peter Thiel dopo gli studi a Yale.
«Mio nonno era un ubriacone, mia nonna gli dava da mangiare spazzatura o lo bagnava di nafta per reazione, mia mamma era drogata da psicofarmaci ed eroina, un compagno al giorno, papà presto divorziato, la povertà tradizione di famiglia»: queste le prime memorie di J.D. Vance, 40 anni il prossimo 2 agosto, senatore repubblicano dell’Ohio, ex caporale in Iraq, Second Marine Aircraft Wing, ora candidato vicepresidente con Donald Trump alla Casa Bianca contro Joe Biden e Kamala Harris.
La scelta di Vance rende il ticket del Grand Old Party trumpiano più ostico da attaccare per i democratici, perché nato in miseria in Ohio, autore di una biografia best seller Elegia Americana (tradotta da Garzanti, il titolo originale “Hillbilly Elegy” suona “Elegia del bracciante”), portata sugli schermi dal regista Ron Howard, Gabriel Basso nella parte del protagonista, Vance arriva grazie ai sacrifici della nonna, «dura come un serpente», alla laurea in legge a Yale University, dove nessuno dei “cafoni hillbilly” sogna di studiare.
Vance ha pedigree politico incredibile per la giovane età. Mentre i coetanei, dai monti Appalachiani alle periferie di Cincinati e Middletown, finiscono vittime di droghe e fentanyl, disoccupati, divorziati, alcolizzati, vittime di stress post-traumatico, la fede americana antica, cavarsela da soli, lo porta a giurare Semper FI, sempre fedele ai Marines, e vedere in prima linea la sconfitta della guerra al terrorismo lunga dal 2001 di Bush figlio, alla ritirata da Kabul di Biden, 2021.
Tornato a casa, avvocato, va a lavorare in California per Peter Thiel, uno dei pochi ricchi di Silicon Valley di destra trumpiana. Ma il giovane Vance, registrato democratico fino al 2014, non crede nel 2016 alla crociata del leader di oggi, anzi, la combatte con asprezza scrivendo sul quotidiano progressista The Guardian; «Sono un repubblicano “Mai con Trump”. Trump è droga, eroina culturale che seduce la classe operaia Usa e ne corrompe la cultura politica» fino a votare per il candidato indipendente McMullin fra Clinton e Trump.
Ad avvicinare Trump e Vance è il finanziere Thiel, persuaso delle qualità dell’ambizioso collaboratore. Quando J.D. Vance si candida al Senato, nel 2022, molti repubblicani provano a tagliargli la strada alle primarie, e sono i soldi di Thiel, 17 milioni in spot tv, a riportarlo in testa finché, a due settimane dal voto, Trump dimentica gli insulti e concede l’agognato endorsement all’ex marine. Da allora i due sono inseparabili, con il figlio dell’ex presidente, Donald jr. a battersi perché il posto di vice andasse all’amico J.D.
Brillante, maestro di scrittura e oratoria, aspro sui social (ha indicato in Biden il mandante dell’attentato di Butler) capace di ribattere ai democratici «voi parlate di poveri, io son stato povero, voi date sussidi ai poveri, io dico diamo loro lavoro e scuola», J.D. Vance sarà osso duro nella campagna, portando alla ribalta la generazione nata negli anni ’80 del secolo scorso e offrendo a Trump, figlio di un ricco e per questo criticato, un vicepresidente che si è fatto da solo, in pace e in guerra, e conosce le sofferenze delle famiglie bianche senza laurea, la base formidabile trumpiana
(da agenzie)
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