Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
ASSICURATOSI IL VOTO DEI VERDI, SARA’ CERTIFICATO CHE L’ITALIA MELONIANA NON CONTA UNA MAZZA IN EUROPA
Se Ursula von der Leyen dovesse impostare una nuova suoneria per la sveglia di domattina, sarebbe certamente The Final Countdown. Successo iconico di una band svedese, d’altronde, chiamata Europe. Il conto alla rovescia è quello delle ore che la separano dal voto di fiducia per un secondo mandato alla guida della Commissione, certo. Ma anche quello degli eurodeputati pronta a sostenerla nell’Aula di Strasburgo. L’appuntamento è fissato per domani alle 13, come ormai arcinoto, anche se molto – se non tutto – si capirà già ore prima. Von der Leyen farà il suo ingresso nel nuovo Parlamento europeo domattina alle 9 per pronunciare il discorso d’indirizzo politico che tutti attendono come «rivelatore». Le delegazioni dei partiti lo avranno tra le mani già dalle 8, e dopo aver ascoltato quelle political guidelines in Aula avranno ancora qualche ora per prendere la decisione finale: votarle la fiducia o negargliela.
Come andrà a finire? Sui giornali italiani sono scorsi per settimane fiumi d’inchiostro, soprattutto sulla scelta cui è attesa Giorgia Meloni. Più importanti di interviste e retroscena sono però i fatti, quelli avvenuti in queste prime 48 ore di legislatura. Che dicono, sino a qui, una cosa piuttosto chiara: un embrione di maggioranza si è già formato.
Cordone sanitario e Ucraina: i primi indizi politici
I primi test chiave erano in programma dopo l’elezione di Roberta Mestola, e hanno funzionato: i partiti europeisti hanno fatto blocco comune per votarsi a vicenda i primi 11 vicepresidenti del Parlamento, e per tenere fuori da ogni incarico i candidati “impresentabili” dei Patrioti (Orban/Le Pen/Salvini) e degli ultra-sovranisti di Afd & co. Cordone sanitario steso, c’è da giurare, di qui ai prossimi cinque anni.
Quindi, ma solo al secondo scrutinio – come ha fatto notare con malizia Pina Picierno, rieletta vice di Metsola per il Pd – hanno lasciato che ascendessero alla stessa carica anche i due candidati dei Conservatori – il lettone Roberts Zīle e la meloniana Antonella Sberna – e quello della Sinistra – il francese Younous Omarjee.
Come a dire, implicitamente, che la maggioranza che «comanda» è fatta e formata: Ppe, Socialisti, Renew (liberali) e Verdi. Poi, su temi o ruoli di natura istituzionale, si può dialogare ed «associare» anche le due ali: a destra i Conservatori, a sinistra The Left.
Gli altri – gli estremisti veri – possono accomodarsi sui loro seggi di eurodeputati, e da nessun’altra parte. Anche nel secondo voto politico della sessione, quello svoltosi stamattina sul tema del sostegno all’Ucraina, il blocco dei partiti europeisti ha retto, facendo passare con maggioranza oceanica una risoluzione molto forte, che condanna esplicitamente i viaggi a cuor leggero per il mondo di Viktor Orban (altra randellata ai sovranisti) mentre promette a Kiev assistenza militare «per tutto il tempo necessario e in qualsiasi forma necessaria». Non era scontato che Verdi e Socialisti avrebbero serrato i ranghi su parole così forti, invece è successo (al netto di una manciata di defezioni – tra cui quelle di Cecilia Strada e Marco Tarquinio dal gruppo Pd). Più scontato era il sì dato in gran parte anche da Ecr.
La scommessa dei Verdi
Il dato politico è però che l’asse tra «vecchi cari nemici» Popolari e Socialisti regge, e soprattutto che i Verdi confermano di avere una gran voglia di entrare nella nuova maggioranza. Tra esponenti e dirigenti della famiglia ecologista, oggi a Strasburgo, era tutto un sorriso, se non proprio un brindisi. Atmosfera che fa a pugni con gli ostinati silenzi e indizi contrastanti che sparpagliano gli esponenti di Fratelli d’Italia, in attesa della decisione di domani.
I Verdi, secondo autorevoli fonti interne consultate da Open nel pomeriggio, sono ottimisti in vista di domani, ragionevolmente convinti che il discorso di Von der Leyen tradurrà nero su bianco le garanzie date nei giorni scorsi: sulla prosecuzione dell’impegno per la transizione ecologica da un lato, per il rispetto dello stato di diritto dall’altro. E se così sarà, continuano le fonti, «sarà ben difficile che quel discorso possa portare a votare sì anche Fratelli d’Italia».
La scommessa dei Verdi, insomma (e un bel pezzo di socialisti e liberali europei ne sarebbe altrettanto felice) è quella di spingere di fatto Meloni gentilmente fuori dalla porta della nuova maggioranza. Un po’ come hanno fatto, con metodo forse perfino più brutale, Scholz, Tusk, Sanchez e Macron all’indomani delle Europee quando hanno di fatto deciso le alte cariche dell’Ue senza neppure consultare Meloni.
Cosa rischia Meloni
Se così sarà – le parole di Von der Leyen che in questi minuti il suo team sta limando lo dovranno confermare – la scelta di voto della premier italiana diventerà del tutto ininfluente. Una maggioranza a 4 fondata su Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi può contare infatti sulla carta su 452 eurodeputati. Anche al netto di qualche decina di contrari e astenuti in dissenso dai loro gruppi, considerate fisiologiche, la maggioranza di 361 dovrebbe risultare ampiamente superata. E gli ecologisti contribuirebbero in tal modo alla seconda «incoronazione» di Von der Leyen, forse con un apporto numerico (e politico) decisivo.
Meloni ne uscirebbe con ogni probabilità per la seconda volta nell’arco di poche settimane infuriata. Ma anche consapevole che, passata la sbornia sotto l’ombrellone di agosto, da settembre l’Italia non potrà che collaborare con la nuova Commissione europea: sui miliardi ancora da incassare del Pnrr e quelli da investire nelle prossime manovre di bilancio, il filo diretto con Bruxelles sarà comunque troppo importante. A meno di non volersi lasciar andare a una nuova deriva nazional-populista già in sintonia col ritorno negli Usa di Donald Trump. Ma sarebbe, quella sì, una strada suicida.
(da Dagoreport)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
LO STATO FRANCESE HA SPESO OLTRE 1,4 MILIARDI DI EURO PER PULIRE IL CORSO D’ACQUA
Come annunciato nei giorni scorsi, la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, il presidente del comitato organizzativo dei Giochi Olimpici Tony Estanguet e il prefetto della regione Ile-de-France Marc Guillaume, si sono immersi questa mattina nella Senna, un tuffo simbolico a nove giorni dall’avvio delle olimpiadi parigine.
A nove giorni dalla cerimonie inaugurale di Paris 2024, sembra dunque rientrare – almeno per ora – l’allarme sull’inquinamento del fiume parigino e le autorità d’Oltralpe si mostrano fiduciose sulla possibilità di disputarvi, come previsto, le prove olimpiche di nuoto di fondo e triathlon.
La scommessa sulla balneabilità della Senna ha radici antiche. Venne proibita a causa dell’inquinamento nel 1923. Nel 1998 l’allora sindaco Jacques Chirac promise di rendere balneabile il fiume in cinque anni, ma senza successo.
Nel 2016 Hidalgo ha fatto propria la proposta e ha promesso che lei stessa si sarebbe tuffata nelle acque della Senna nel 2024, promessa mantenuta questa mattina. Dal 2016, lo stato francese ha investito 1,4 miliardi di euro per “pulire la Senna”.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
UN VOTO ESPLICITO PER URSULA POTREBBE ATTENUARE QUALCUNO DEI TANTI GUAI ECONOMICI CHE ATTENDONO IL GOVERNO DUCIONI AL RITORNO DALLE VACANZE ESTIVE, A PARTIRE DALLA FINANZIARIA, DIVENTATA UN CAPPIO AL COLLO CON LE REGOLE DEL NUOVO PATTO DI STABILITÀ
Entro stasera, una tranquilla Ursula von der Leyen (grazie all’accordo con i Verdi, portatori di 54 voti a suo favore), aspetta una telefonata di Giorgia Meloni, curiosa di conoscere quale sarà domani alle ore 13 il voto dei 24 europarlamentari di Fratelli d’Italia: a favore della sue rielezione a presidente della Commissione oppure avranno libertà di voto.
In ambedue le opzioni le truppe del partito dei Due Meloni (Giorgia e Arianna), abituati a un regime di sudditanza militare, saranno costrette ad accettarle. Diverso, invece, potrebbe essere la reazione dello zoccolo duro, post-fascio, che ricorda bene le parole della premier all’indirizzo dell’Unione Europea (“La pacchia è finita”) o il più recente “Mai con i socialisti”, alleati del Partito Popolare insieme al detestato Macron, a capo dei liberali.
D’altro canto, un voto esplicito alla sua amica tedesca di tanti viaggi potrebbe risolvere o attenuare qualcuno dei tanti guai economici che attendono il governo Ducioni al ritorno dalle vacanze estive.
A settembre, gettato alle spalle il duello infernale delle elezioni europee, la riforma del premierato e l’autonomia differenziata torneranno in una dimensione più sfumata, perché irromperà sulla scena il ciclone della finanziaria, diventata un cappio al collo con le regole del nuovo Patto di Stabilità, che Meloni spera di alleggerire accodandosi al deficit della Francia.
Se la situazione economica del paese dovesse aggravarsi e aumentassero ancor di più le diseguaglianze tra ricchi e poveri, la Ducetta si troverà ad affrontare per la prima volta un elettorato deluso e incazzato. E lei sa bene che in Italia, finita l’epoca del collante ideologico, la scheda elettorale è mobile: il voto di protesta ha prima premiato i grillini del M5S, poi ha traslocato a favore della Lega di Salvini, quindi è approdato tra le braccia tese di Fratelli d’Italia.
A settembre, con il trasloco di Fitto commissario a Bruxelles, e l’eventuale caduta della Santanché dal dicastero del Turismo, potrebbe aprirsi per Meloni uno scenario per nulla gradito: il rimpasto del governo. All’indomani della costituzione della Fiamma Magica (Giorgia, Arianna, Scurti e Fazzolari), i fratellini d’Italia che avevano raggiunto, come Donzelli, posizioni apicali nel partito, ora si sentono esclusi.
Ma, prima di correre con la ciambella e la paletta al mare, attende la Ducetta un’altra bruttissima questione: il nuovo assetto della Rai. Più volte rinviato per la sua capacità di far deflagrare la maggioranza di governo, venerdì prossimo dovrebbe planare sulla scrivania della Melona a Palazzo Chigi, dove sarà probabilmente l’Ad in pectore Giampaolo Rossi per vedere insieme la composizione delle caselle, e già si preconizza il sacrificio di qualche esponente di Tele-Meloni (Mellone?).
Dopodiché, partirà la settimana prossima la piedigrotta di botti e vaffa con la convocazione di Salvini e Tajani, con il leader della Lega pronto a fare casino per ottenere la poltrona della Direzione Generale per qualcuno dei suoi (Antonio Marano). Una nomina a cui Rossi si oppone a piedi giunti: non vuole nessuno che possa fargli ombre o mettergli il bastone tra le ruote.
(da Dagoreport)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
CONFISCA DI 644.000 EURO PER L’IMPRENDITORE
Giovanni Canio Mazzaro, ex compagno della ministra Daniela Santanchè, è stato condannato a 2 anni e 6 mesi a Milano nel processo per sottrazione fraudolenta di beni e dichiarazione infedele dei redditi, commessi quando era amministratore di Bioera e Ki Group.
A deciderlo è stato il giudice del Tribunale Emanuele Mancini, che ha disposto anche la confisca di oltre 644mila euro. La vicenda riguarda una presunta “schermatura” della vendita dello yacht Unica per aggirare il Fisco. La vicenda per la quale è stata archiviata in passato la posizione della senatrice di FdI.
L’indagine
Tutto ha inizio nel 2018, quando Mazzaro riceve dal Fisco un avviso di accertamento per 589mila euro. L’anno successivo, vende all’azienda maltese Flyingfish Yachting Ltd il suo yacht per 393mila euro. In questa operazione interpose però la Biofood Italia Srl, società di cui all’epoca era presidente proprio Santanchè. L’allora senatrice aveva precisato però di non avere «alcun ruolo gestionale, operativo o strategico» nella società. Così, nel 2022 la procura chiese l’archiviazione per l’attuale ministra del Turismo. Lo stesso non è accaduto per Mazzaro, che oggi è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Milano.
«Ci aspettavamo un esito diverso ovviamente, leggeremo le motivazioni ed è ragionevole ritenere che proporremo appello», così l’avvocato Matteo Mangia, legale di Canio Mazzaro, ex compagno di Daniela Santanchè, ha commentato la sentenza.
Il pm Paolo Filippini, titolare dell’inchiesta condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano, aveva chiesto una condanna a 3 anni. Il giudice ha riconosciuto col verdetto entrambe le imputazioni contestate. Le motivazioni della sentenza tra 90 giorni.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
ANCHE A PALERMO DA LUNEDI RUBINETTI A SECCO PER ALCUNE ORE. SI DISCUTONO PIANI PER NAVI CISTERNA E DISSALATORI
La Sicilia è travolta da una siccità che non accenna a placarsi. Il simbolo dell’emergenza è il lago di Pergusa, in provincia di Enna. Si tratta di un piccolo bacino salmastro, unico lago naturale dell’isola. Si alimenta con l’acqua piovana, di norma. Ma dopo mesi senza pioggie e con temperature record l’acqua non c’è più. Sui social impazzano le foto del lago vuoto, ridotto a terra e fango. Dal 22 luglio inizierà il razionamento dell’acqua a Palermo per uso domestico.
Il livello degli invasi siciliani, le riserve d’acqua di una regione priva di ghiacciai, è più basso del 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. In dodici mesi si sono persi 261 milioni di metri cubi, e ci sono bacini dove il riempimento è sotto del 90%. Il Consiglio dei Ministri da maggio ha dichiarato lo stato di emergenza per l’isola, stanziando contestualmente venti milioni di euro per rispondere alla crisi. Il presidente Schifani, però, di milioni ne aveva chiesti 130. La Regione ha annunciato l’intenzione di riaprire a Porto Empedocle un dissalatore – un impianto che rende potabile l’acqua marina– e ha chiesto alla marina militare di rifornire Agrigento e Gela con una nave cisterna. Molti comuni, intanto, hanno iniziato a razionare l’acqua per gli usi domestici.
Le cause di questa emergenza sono da ricercare nell’assenza di pioggia e nel caldo eccezionale. «Come ormai è prassi in Italia, un promontorio di origine sub-tropicale convoglia aria calda di origine africana su di noi», spiega a Fanpage il metereologo Federico Grazzini. «Anno dopo anno le masse d’aria sono sempre più calde, e quindi si superano agilmente i 40°C. In Sicilia quest’anno – ma anche in Puglia, in Calabria – tutto ciò si somma all’assenza di pioggie invernali e primaverili, che invece hanno investito il nord».
Giorgio Micale è docente di chimica dell’Università di Palermo è membro del tavolo regionale di contrasto all’emergenza siccità. «La situazione si è fatta via via più grave col passare dei mesi – ci spiega – la Protezione Civile ha elaborato un piano, ma si tratta di misure emergenziali, che affrontano il qui e ora». Quali sono queste misure? «Innanzitutto si cercano nuove fonti idriche: pozzi e sorgenti. Poi si lavora ad efficientare le reti, per ridurre le perdite. Infine, è stata approntata una strategia specifica per le zone in maggiore difficoltà, che stanno venendo rifornite con autobotti. Dopodiché, il problema è strutturale. Il cambiamento climatico sta assetando tutto il Mediterraneo, Sicilia in primis». Anche il suo collega Giuseppe di Micieli, che all’Università di Palermo insegna agraria, esprime la medesima preoccupazione. «La produzione di frumento duro, la più grande per estensione nella nostra Regione, è calata del 60% a causa della siccità. E se manca il frumento, manca anche il foraggio per gli animali: la produzione è scesa dell’80%» ci spiega. «La zootecnia è in crisi. C’è un’azienda in Sicilia che ha selezionato una varietà bovina eccezionale, e ora rischiano di abbattere i capi per mancanza di cibo e acqua. Ma quel bestiame mica si ritrova sul mercato. Per rimediare servirà un decennio!».
La siccità non è un problema nuovo per la Sicilia. Ma la crisi climatica la rende sempre più frequente e più violenta. Secondo uno studio del CNR pubblicato nel 2019, l’isola è la regione italiana con la più alta percentuale di territorio a rischio desertificazione: il 70%. In vent’anni il livello medio delle piogge è diminuito del 40%. «Un terzo della Sicilia rischia di essere un deserto entro il 2030», scriveva pochi giorni fa il quotidiano britannico The Guardian. Nell’immediato bisogna rispondere all’emergenza, nel medio periodo è il riscaldamento globale a preoccupare. Il contrasto alla crisi climatica si compone di due parti: adattamento e mitigazione. La prima consiste nel rendere i territori adatti alle nuove temperature. La seconda riguarda invece l’azzeramento delle emissioni climalteranti – quelle che vengono da petrolio, gas, carbone – per evitare che gli effetti della crisi climatica raggiungano livelli insostenibili. «Le soluzioni le conosciamo – prosegue Grazzini – da un lato bisogna installare rinnovabili, ridurre consumi, cambiare alimentazione e passare alla mobilità elettrica e pubblica. Dall’altra bisogna adattarci. Le nostre case, ad esempio, devono essere in grado di rimanere fresche anche quando fuori permangono per giorni temperature pericolose per la salute umana». Secondo Micale, la Sicilia dovrebbe iniziare a pensare anche all’uso di dissalatori. «Non si tratta dell’unica soluzione, ma possono aiutare nei momenti d’emergenza. Quando le fonti tradizionali, nonostante i lavori di efficientamento che pure dobbiamo fare, scarseggiano per via della crisi climatica, ripulire l’acqua marina o salmastra diventa indispensabile». I dissalatori sono ampiamente usati in Israele e nei paesi del Golfo Persico, ma preoccupano per la quantità di energia necessaria a farli funzionare. Un consumo elettrico che li rende costosi e, paradossalmente, rischia di contribuire alla stessa crisi climatica che promettono di mitigare. «Chiaramente l’acqua dissalata è strutturalmente più costosa di quella degli invasi. Ma con la tecnologia le spese si sono molto ridotte. E poi dobbiamo calcolare il costo dell’acqua mancata: quando perdiamo bloccando fabbriche, perdendo raccolti, perdendo bestiame per via della siccità?».
La Sicilia, priva di grandi fiumi o ghiacciai, ha imparato fin dall’antichità a conservare l’acqua. Ma le temperature più alte e le piogge più scarse, frutto della crisi climatica di origine fossile, rendono le conoscenze accumulate nei millenni sempre meno valide. Per i cinque milioni di abitanti della Sicilia, le foto del lago di Pergusa in secca rischiano di diventare la nuova normalità.
(da Fanpage)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
SERVIREBBERO ALMENO ALTRI DUEMILA PERMESSI, MA LA LOBBY DEI TASSINARI SI OPPONE – IL PARAGONE IMPIETOSO CON PARIGI, MADRID E LONDRA
Eppur si muove, ma è ancora troppo poco. Dopo venti anni di immobilismo, arrivano mille nuove licenze di taxi a Roma, a cui si legherà l’aumento delle tariffe e forse l’aumento delle doppie guide. Pronto anche il via a 2mila nuove auto di noleggiatori senza conducente, ingaggiati tra gli altri da Uber.
Ma i numeri rischiano di essere inadeguati per rispondere alle necessità dei romani e una goccia nel mare rispetto alle esigenze determinate dai maxi flussi turistici di questi mesi e del Giubileo nel 2025. Mancherebbero infatti almeno altre 1800 licenze per la domanda quotidiana in città e fino a 20mila auto bianche per i turisti e i pellegrini che potrebbero arrivare nel 2025 in occasione del grande evento religioso. Vetture extra che però andrebbero poi equilibrate ai flussi ordinari di medio e lungo periodo dei viaggiatori nella Capitale.
Ad elaborare queste stime è Andrea Giuricin, docente della Bicocca e tra i massimi esperti in Italia del trasporto aereo e su strada, che reputa «del tutto insufficiente» l’aumento delle licenze previsto dal Campidoglio. Al momento nella città metropolitana di Roma ci sono solo mille Ncc e 7800 taxi: 28,52 ogni 10mila abitanti.
L’area cittadina è la più estesa d’Italia e la popolazione è di circa 4,2 milioni di persone, con circa 35 milioni di pernottamenti lo scorso anno (previsti in forte crescita nel 2024).
Nell’anno in corso, poi, negli aeroporti di Fiumicino e Ciampino si potrebbero superare i 50 milioni di arrivi, mentre per il Giubileo si attendono fino a 30 milioni di pellegrini nella Città eterna. In tutto il Paese fa meglio solo Milano, con 35,85 taxi ogni 10mila abitanti (ma in tutto sono solo 4.800), mentre per Napoli si scende a 25,88 e poi tra i 15 e i 20 a Firenze, Torino, Bologna e Genova.
«Nella comunità autonoma di Madrid – spiega Giuricin – ci sono circa 6 milioni di abitanti e circa il 75% in meno di presenze turistiche rispetto a Roma. Eppure, in questo caso, ci sono circa 16mila taxi (46,9 ogni 10mila abitanti) e 9mila Ncc».
Nel mercato madrileno le licenze dei taxi possono essere rivendute (cosa che non succede in diversi mercati europei) e c’è la possibilità di acquistare le autorizzazioni direttamente dal settore pubblico a un prezzo fissato dal pubblico. In Italia, invece, la maggior parte delle licenze dei taxi è stata data gratuitamente ai tassisti, che poi le hanno rivendute ad altri colleghi.
Non solo: a Madrid è forte la concorrenza con e tra le piattaforme digitali (oltre a Uber e Bolt, ci sono altri nomi come Freenow o Cabify).
La città europea in cui ci sono più taxi, però, è Londra, con 106 auto bianche ogni 10mila abitanti, tant’è che trovarne uno in strada in quasi tutti i punti della città non è difficile.
Anche qui vige il modello della forte concorrenza con le piattaforme. Per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, oltre a prevedere molte più licenze di taxi a Roma e non solo, «servirebbe migliorare il servizio dei mezzi pubblici e fare una vera liberalizzazione, altro che decreto Asset, per mettere in concorrenza tassisti e Ncc».
«Non ci dovrebbero essere più differenze tra le due categorie – aggiunge – eliminando i vincoli territoriali. I tassisti e gli Ncc dovrebbero poter svolgere il servizio dove e quando vogliono e il lavoro per i tassisti non si ridurrebbe vista l’ingente domanda».
(da il Messaggero)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
UN ANNO FA IL PIENONE, OGGI I TURISTI GIRANO ALLA LARGA E LE SPIAGGE RESTANO DESERTE … LA MANCANZA DI PARCHEGGI E LA STRADA PEDONALE LUNGHISSIMA PER ARRIVARE AL MARE METTONO IN GINOCCHIO IL SETTORE: “PRESENZE IN CALO DELL’80%”… E NEI RISTORANTI SCOPPIANO LE RISSE PER I CONTI TROPPO SALATI
Bello e impossibile: parafrasando il refrain di un successo intramontabile di Gianna Nannini, lo si potrebbe associare al mare di Gallipoli, splendido, cristallino, tanto attrattivo quanto difficile da raggiungere per centinaia di turisti che in questi giorni si imbattono nella pressoché totale mancanza di parcheggi.
Ad oggi ce ne sono appena 500 a nord del litorale, a monte della cosiddetta strada parco pedonale: una striscia di conglomerato cui si è data una pennellata di colore verde nel tentativo di mitigarne l’impatto con lo spettacolare paesaggio duna.
Ma se i propositi erano buoni, i risultati si stanno rivelando disastrosi: la strada parco che, a dirla tutta, per molti aspetti non rispetta lo spirito della compatibilità ambientale cui avrebbe dovuto ispirarsi (basterebbe osservare le tonnellate di brecciolino sversate ai margini del tracciato, fino ai piedi delle dune, o le aiuole riempite di terra rossa e abbellite, si fa per dire, con piante grasse già disseccate), senza una adeguata dotazione di aree a parcheggio, si trasforma inevitabilmente in una cesura.
Spiagge deserte: «Non era mai accaduto»
Un impedimento che, di fatto, impedisce o rende assai arduo raggiungere le spiagge. Ieri gli arenili gallipolini erano quasi completamente deserti. «Non era mai successo», lamentano i gestori degli stabilimenti balneari. Mentre i bagnanti imprecano. Perché, anche trovando un posto auto nel parcheggio Praja, poi resta da fare una lunga marcia, anche di un chilometro, nella canicola di questi giorni, col rischio di colpi di sole e insolazioni. La cosa diventa parecchio più complicata per le famiglie con bambini e il carico di ombrelloni, ciambelle e secchielli.
Sta di fatto che in migliaia rinunciano al mare di Gallipoli, davanti alla prospettiva di una sfiancante Via Crucis per conquistare due metri quadrati di spiaggia. Non tutti i balneari parlano. La maggior parte di essi sembra abbia ricevuto la consegna del silenzio.
Il calo delle presenze
Ma quelli che accettano di sfogarsi snocciolano dati drammatici: 60-70-perfino 80 percento di calo delle presenze, denunciano alcuni. Cifre confermate anche dal loro principale rappresentante di categoria, Giuseppe Mancarella, presidente di Federteziario Balneari che la scorsa settimana ha parlato al Corriere di «situazione drammatica a Gallipoli».
(da corriere.it)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
“LA POLITICA E’ CAMBIARE IL MONDO DAL BASSO”
Giacca, cravatta, scarpe eleganti, e magari occhiale di ultima tendenza. Al Parlamento europeo è tutto un ribollire di riunioni, votazioni, conciliaboli, da cui dipenderà il destino di questa legislatura, e per quasi tutti gli eurodeputati è tempo d’indossare la “divisa” d’ordinanza e il tono serio di chi deve dedicarsi a duri negoziati politici.
E poi c’è un marziano, sbarcato a Strasburgo direttamente da Riace: Mimmo Lucano: polo azzurra, sguardo speranzoso ma disorientato. Alla guida del “suo” Comune calabrese Lucano è tornato da un mese esatto, dopo sei anni di lontananza forzata a causa dei processi subiti per i presunti reati nella costruzione di quel sistema d’accoglienza che lo ha reso famoso in tutto il mondo.
Inchieste da cui alla fine è uscito infine in gran parte pulito – la sentenza-choc a 13 anni e 2 mesi di reclusione per truffa, peculato, falso ideologico e abuso d’ufficio ridimensionata in appello a un anno e mezzo, con pena sospesa, per falso in atto pubblico; l’assoluzione da tutte le altre accuse.
Una riabilitazione giuridica e politica che gli ha consentito nei mesi scorsi di accettare la proposta di Alleanza verdi e sinistra di correre per uno scranno da eurodeputato. 150mila i voti con cui ha contribuito all’exploit della lista di Fratoianni e Bonelli, e che l’hanno portato da dritto al Parlamento europeo. Un mondo nuovo, diverso, in cui ora dovrà farsi strada – tra buoni propositi e scetticismo. Con una compagna di strada che già sembra essersi scelto: Ilaria Salis.
La politica dal basso e i dilemmi in Europa
«Sono pieno di emozioni», confessa Lucano a Open. «Tante emozioni come in ogni cosa nuova, e come in tutto quel che è per me la politica». La matrice chiave del suo operare resta quella locale, del territorio, del rapporto con le persone e col «riscatto sociale», dice a più riprese: «La prima volta che ho fatto il sindaco è stata per me un’esperienza indimenticabile. La consapevolezza di dare a poco a poco il proprio contributo per cambiare il mondo, questo per me è il senso della politica. E più i villaggi sono piccoli, più c’è questo senso: la politica in fin dei conti è un rapporto umano diretto con le persone». Quando gli facciamo notare che potrebb’essere più difficile mantenere questo tipo di concezione della politica da europarlamentare, Lucano allarga le braccia, la risposta resta sospesa. Si rifugia nella rievocazione della sua traiettoria umana e politica, poi viene all’oggi, e a tutti i dubbi collegati: «Io non ho chiesto il voto a nessuno. Sapete quanto ho speso per le mie due campagne elettorali? Per quella da sindaco 50 euro per le fotocopie, per il Parlamento europeo praticamente nulla, ci ha pensato il partito». Lascia intendere di essersi lasciato convincere, Lucano, per dar forza alla proposta di Avs, anche se il cuore sta altrove. «Questo marketing politico asfissiante ha stancato, la gente non va a votare, anche io tante volte sono stato uno che non ha votato», dice Lucano, sempre controcorrente. Insopportabile, ai suoi occhi, «la politica fatta come fosse l’apertura di un’attività commerciale».
Il no a Von der Leyen e la linea su Ucraina e Medio Oriente
Ora che è in ballo, però, Lucano deve ballare. E immergersi quindi nei dossier, fare scelte politiche, stringere amicizie e alleanze a livello Ue. Che farà giovedì al momento del voto su Ursula von der Leyen? Voterà senza dubbio no, come ampiamente annunciato. E con scarso imbarazzo per il fatto che una buona fetta di chi è stato eletto nella sua stessa lista italiana – i Verdi – probabilmente invece voteranno sì («Chiedete a loro»). Che cos’è che rende invotabile Von der Leyen, gli chiediamo? «Per me l’Europa che resta silente, indifferente rispetto al genocidio del popolo palestinese, e continua a produrre e inviare armi», risponde Lucano. Che stamattina, in tema di politica internazionale, dovrà fare la sua prima vera scelta politica, quando si troverà a dover votare sulla proposta di risoluzione di sostegno all’Ucraina predisposta dai partiti “di governo” Ue. Che farà? «Devo confrontarmi con il mio gruppo su questo», risponde il sindaco di Riace, quasi scusandosi subito dopo dell’espressione troppo “diplomatica”. Di certo, in questa ed altre scelte complicate, avrà al suo fianco due giovani donne ora parte dello stesso gruppo politico come Ilaria Salis e Carola Rackete. «Con entrambe c’è stata da subito una spontanea empatia, istintiva, ma poi supportata anche dalle parole che ci siamo detti. È come appartenere ad uno stesso orizzonte».
(da Open)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
“ENTRARE IN POLITICA? SAREBBE UN SUICIDIO”… “LA DIFESA DEI DIRITTI CIVILI E UNA BATTAGLIA DI DIGNITA’ E DI CIVILTA'”
“L’aeroporto di Malpensa intitolato a mio padre? Ovvio che qualunque cosa per ricordarlo a noi figli fa solo piacere, perché se lo stramerita. Ma andando dritto alla questione non siamo stati informati e coinvolti, non mi sono piaciute le modalità. Nessuno ci ha interpellati ed è chiaro che si sarebbero accese polemiche. Leggo poi chi fa le polemiche sulla polemica, lo trovo terribile ed è quello che sta succedendo. Penso a chi si rivolge a mia sorella, fa ridere” (si riferisce al sindaco di Milano Giuseppe Sala, senza citarlo mai, ndr).
L’amministratore delegato di Mediaset Pier Silvio Berlusconi non usa mezzi termini per commentare l’iniziativa del ministro Matteo Salvini, che ha fatto intitolare l’aeroporto all’imprenditore, fondatore di Forza Italia, ex presidente del Consiglio. Decisione che ha scatenato polemiche feroci. “Berlusconi politico non lo meritava”, spiega ancora il figlio “polemizzare con questi toni, in questo modo, non mi è piaciuto”.
La serata della presentazione dei palinsesti di Mediaset, com’è consuetudine, è l’occasione di parlare a ruota libera fino a notte fonda di tutto, dall’ottima annata (“Siamo il primo broadcaster europeo”), alla notizia per cui il figlio dell’ex premier sarebbe interessato a fare politica, pronto a fare il grande passo per contribuire al rafforzamento di Forza Italia. Le voci circolano, lui smentisce che la politica sia il suo futuro. “La politica sarebbe un suicidio”, dice, ricordando quando il padre – nel 2013 – gli chiese di pensarci. Ora sono cambiate le cose? “Non ho mai mai mai mai commissionato un sondaggio che riguardi me e la politica, vado a Roma qualche giorno, ogni due o tre settimane, perché c’è una grandissima parte della nostra produzione: c’è Fascino (la società di Maria De Filippi che realizza i grandi successi di Mediaset). Ma i miei viaggi a Roma non c’entrano nulla con la politica”.
Sua sorella Marina in un’intervista al Corriere della sera ha espresso una sintonia con “la sinistra di buon senso”, specie sul tema della difesa dei diritti, che ha pensato? “Marina” risponde “ha espresso la sua opinione personale, la difesa dei diritti civili è nel Dna di ciò che ci ha tramandato mio padre, deve essere una battaglia di dignità e civiltà. Non mi piace dire che i diritti sono di destra o di sinistra, ci sono battaglie che appartengono a tutti”. Ma prende ironicamente le distanze dalla sinistra: “Sono interista come sono comunista”.
Poi uno sguardo alla politica internazionale: “Povera Francia” risponde a chi gli chiede un commento sulle elezioni. “Meno male che in Italia c’è un governo stabile, fa bene alle aziende e ai cittadini dà stabilità. Le elezioni negli Stati Uniti? Faccio fatica a esprimermi sulla leadership della politica americana oggi”.
Nuova stagione con reality, tanta musica (da Vasco Rossi a Il Volo), si guarda al grande pubblico. “La Rai” dice Berlusconi “è molto forte, cosa di cui, non solo da concorrente ma da cittadino sono contento. Ha risorse per resistere, ci sono momenti più facili e altri più difficili ma non sono preoccupato per le sorti del servizio pubblico. TeleMeloni? Non vedo il problema: si scrive quello che si vuole, a me sembra che ci sia libertà. Poi, che alcune scelte che sono state fatte possono essere sbagliate, mi sembra che sia stato sottolineato. Penso che Mediaset sia un editore ecumenico, quando chiedono: come siete posizionati?, rispondo che Mediaset non è un giornale è come un’edicola: offre tutto. Ci sono Tg5, Tg4, Bianca Berlinguer, Mattino 5, Pomeriggio 5, diverse tonalità. C’è assoluto pluralismo, le voci nuove sono sempre le benvenute, indipendentemente dal fatto che siano a destra, a sinistra, al centro. L’importante è che siano brave. Comunque si tratta di aggiungere e non di togliere, arricchire vuol dire mettere pezzi di informazione in più”.
(da agenzie)
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