Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
CHIAMA DIRETTORI DI TG, INFARCISCE I PROGRAMMI DI LEGHISTI E MEZZE CALZETTE: VITA E OPERE DELL’EX DIRETTORE DI RADIO PADANIA
Nella vita tutti ne incontrano almeno uno: è lo “sgherro”, il sottopancia del capo, il generaletto. L’ultimo di Salvini è Alessandro Morelli, sottosegretario al Dipe, ex direttore di Radio Padania, il leghista che fa della Rai carne di porco.
Alza il telefono, chiama i direttori, ordina: “Il segretario mi chiede di…”. Porta le smorfie di Salvini e se serve le inventa. Da mesi riempie il palinsesto della tv pubblica di mezze calzette, allontana i leghisti che si occupano di tv, pretende che si tolgano spazi al Pd per darli alla Lega. Riceve in un ristorante romano, il Cuccurucù, e scambia il programma “Agorà” per la sua Paloma. Ogni lunedì riunisce i vicedirettori Rai di area ed esamina il fatturato politico: “Avete fatto la vostra parte?”. Impaurisce la Rai, i dirigenti, con le forbici: “Guardate che togliamo il canone”. Minaccia e munge.
Siamo di fronte a un altro prodotto del vivaio Salvini, del primo Salvini milanese. Erano tre amici al bar. Erano lui, Igor Iezzi, il pugilatore della Camera, e poi Morelli.
Quando Salvini lascia la sua Radio Padania viene nominato direttore questo bravo, 47 anni, già presidente di commissione Trasporti, viceministro, sottosegretario, senatore. La famiglia possedeva un distributore di benzina e oggi lui distribuisce ordini. Ha chiesto e ottenuto da Salvini di togliere la delega Rai a Igor De Biasio, il consigliere cda Rai uscente (che non vuole incontrare i volti Rai se non accompagnato da un assistente), in precedenza aveva allontanato Paolo Tiramani, altro membro in commissione Vigilanza che aveva capito il mestiere, mentre un altro leghista ancora, Massimiliano Capitanio, per non doverci averci a che fare, si è fatto eleggere all’Agcom.
Da quando è a Roma ha il pallino della tv, ma non tollera che si dica che di “Rai non ci capisce nulla”. E’ il teorico del “fuori FdI” dall’ultimo cda e durante il governo gialloverde se la intendeva filosoficamente con il campione di distopie, l’ex presidente Rai, Marcello Foa.
Nel 2017 offriva banane in piazza Duomo, a Milano, per protestare contro i banani piantati dal sindaco Sala. C’è ancora il video di una signora che lo prende in giro: “Le banane sono buonissime”.
Ha proposto il Daspo per gli artisti che al Festival di Sanremo fanno propaganda, voleva consegnare l’Ambrogino d’oro a Povia, regalava prodotti made in Milano, ma erano in realtà made in Bangladesh. Attenzione, non è folklore. A Mediaset e La7, per uno così avrebbero chiesto il Daspo, il divieto di avvicinarsi a centro metri da un’antenna, e invece in Rai manca poco e gli offrono una scrivania. Lo chiamano “lo sgherro”.
A marzo ha convocato Antonio Marano, l’ex direttore leghista di Rai 2, per farlo incontrare con Salvini: “Matteo, puntiamo su di Marano in cda”. Marano è un vecchio leghista che disprezza la nuova Lega ma allo sgherro serve solo per umiliare Casarin il direttore del Tgr, altro leghista, il predestinato, che doveva andare in cda. Nessuno deve fargli ombra.
Ha rimproverato perfino il mezzobusto Rai, Francesco Giorgino, colpevole di aver invitato poche volte i ministri leghisti. Lo sgherro dello sgherro è un vicedirettore Rai, un ex gentiloniano, Giovanni Alibrandi, vicedirettore Approfondimento di Paolo Corsini, che aveva la delega sul programma di Serena Bortone.
C’era Alibrandi quel sabato mattina, il sabato che la Rai ha fatto il giro del mondo per il caso Scurati. Parlare di una “struttura” sarebbe un complimento. E’ la carcassa lambda, l come Lega. Oltre ad Alibrandi ne fa parte Gianfranco Zinzilli, vicedirettore di Rai Italia. Vengono adunati settimanalmente da Morelli che gli dice: “Io non vi regalo programmi, avete un ruolo in Rai grazie alla Lega dunque dovete fare la vostra parte. Chiaro?”. E loro eseguono. Infarciscono i programmi di mogli, figli e compari. Quando non vengono accontentati, Morelli telefona ai componenti cda Rai Lega: “Fate una nota dura”. L’ultima contro Corsini, stranissima, ha una spiegazione: Corsini non si è piegato, non ha voluto affidare la conduzione di Agorà estate a Lisa Marzoli, un’altra delle nouvelle Morelli. Per il sottopancia non è sufficiente aver ottenuto una rubrica per Margherita Basso, sempre ad Agorà (nome della rubrica “Se mi lasci non vale”) un programma per Simona Arrigoni (in Rai si parla di oltre ventimila euro a puntata di budget), un altro per Vittoriana Abbate, moglie del leghista Simone Billi (per lei altra rubrica ad Agorà estate) altre presenze Rai per Beppe Convertini, il belloccio del Carroccio, la figlia del senatore Bergesio, la Miss Italia, o la guida di Filo Rosso Revolution per Federico Ruffo, un’altra rubrica per Mario Benedetto, sempre dentro il programma di Arrigoni.
Grazie alla carcassa lambda, Agorà viene scavalcata da Omnibus di La7. Ma che importa? Ignazio La Russa ha appena dichiarato che a differenza della Camera, al Senato, alla conferenza dei capigruppo, non si è parlato di un eventuale voto cda Rai. Evidentemente alla destra di Meloni piace avere questo nuovo alibi: vedete? In Rai peggio di noi c’è la Lega. La premier la privatizzi piuttosto che lasciarla saccheggiare da sgherri e ciucci altrimenti non ci sarà che una sola parola per raccontare i suoi occhi chiusi: correità.
(da ilfoglio.it)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
E GLI UTENTI SUI SOCIAL GLI RISPONDONO: “VACCI A VIVERE TU CON LA FIDANZATA”
Per Matteo Salvini è “una bella vittoria della Lega, una promessa mantenuta”. Da festeggiare rivendicandola sui social. Dove però l’innovazione voluta dal vicepremier, cioè l’abitabilità dei micro appartamenti da 20 metri quadri e di quelli con soffitti alti solo 2,4 metri, non è stata accolta con altrettanta soddisfazione.
Il leader del Carroccio martedì mattina ha rilanciato una card con le novità introdotte durante il passaggio in commissione Ambiente attraverso emendamenti riformulati dal governo, commentando: “Una misura che rimette sul mercato numerosi appartamenti andando incontro alle necessità di studenti e lavoratori – specialmente nelle grandi città – oltre a favorire la riduzione del consumo del suolo“.
Sotto i suoi post sono comparsi centinaia di commenti critici.
Qualcuno parla di favore a chi può contare su rendite immobiliari – “Gioiranno i proprietari di topaie milanesi da affittare a prezzi esorbitanti agli studenti” – , altri paventano un ulteriore rialzo dei prezzi – “Ora 20mq verranno affittati come ora si affittano i 60, con conseguenti aumenti in tutte le altre metrature” – e non manca chi invita il ministro a provare in prima persona la vita in pochi metri quadri, insieme alla fidanzata.
Più di uno rispolvera immagini tratte dalla scena cult di Renato Pozzetto che nel Ragazzo di campagna visita un minuscolo monolocale con “angolo cucina”, “angolo doccia”, “angolo tv”, “angolo pranzo-cena” – un tavolo ribaltabile – e letto a scomparsa.
Su X si evocano anche, come alternativa, soluzioni cimiteriali: “Io non mi fermerei qui, onorevole Ministro. Anche un loculo 1×1 dovrebbe essere adibito ad abitazione. Non sia mai che il loculo-de-nonna venga lasciato infruttuoso”.
Molti parlano di “presa per il culo” e avvertono: “Di questo passo andremo ad abitare nelle stie dei polli. Gli speculatori edilizi non aspettavano altro”. Su Instagram la stragrande maggioranza degli utenti accusa Salvini di aver legalizzato “tuguri” e “topaie”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
EX FORZISTA, ELETTA IN CONSIGLIO COMUNALE A VITERBO, È STATA ANCHE ASSESSORE AI SERVIZI SOCIALI. POI L’INCONTRO CON ARIANNA MELONI, LA QUALE SE NE INNAMORA POLITICAMENTE. ALLE EUROPEE A SORPRESA HA AVUTO UN BOOM DI VOTI. E I RAMPELLIANI MASTICANO AMARO
Alla fine la fiamma non ha divampato in Europa, come profetizzava in un comizio in Molise Arianna Meloni. Ma di sicuro nella Tuscia ha sfavillato parecchio. Roccaforte nerissima, Viterbo. FdI scavalla il 40%. E va spiegato anche così, come un riconoscimento a un territorio che le sorelle Meloni le apprezza, le omaggia e soprattutto le vota, la carta giocata alla prima mano di nomine Ue da via della Scrofa: piazzare un’eurodeputata alla prima legislatura, il cui massimo ruolo istituzionale finora è stato quello di assessore viterbese ai servizi sociali, su una delle poltrone più alte dell’Eurocamera: vicepresidente. Un gradino più su c’è Roberta Metsola. Per FdI, a Strasburgo, è il primo vicepresidente di sempre.
«Antonella farà strada, vedrete », scommettono sornioni i meloniani di Roma. Difficile dar loro torto, oggi. Antonella Sberna, 42 anni da Viterbo, ha saputo fiutare il vento a destra come pochi. Pure nei momenti di burrasca. Il treno della vita, per lei, passa cinque anni fa. Sberna, primo tirocinio all’Europarlamento nel 2005, subito dopo la laurea in Relazioni pubbliche epubblicità, ha sempre bazzicato i moderati del centrodestra. Collaboratrice in Senato con Forza Italia, eletta al Consiglio comunale di Viterbo sempre intruppata fra gli azzurri.
Poi lo strappo, nel 2019, e il trasloco nel melonismo. Operazione favorita dal marito, Daniele Sabatini, che oggi è il potente capogruppo di FdI nella Regione Lazio capeggiata da Francesco Rocca. È lui , Sabatini, che la mette in contatto con Arianna Meloni. La quale, raccontano alcuni “Fratelli”, se ne innamora politicamente. Tanto da volerla in lista alle Europee.
Certo i forzisti viterbesi non l’hanno salutata proprio con affetto, della serie “buona fortuna e auguri”, al momento del divorzio. «Il trasformismo di Antonella Sberna è una delle pagine più brutte della politica viterbese», la congedava così Andrea Di Sorte, all’epoca commissario provinciale dei forzisti.
Anche dentro FdI non tutti la amano, diciamo. Pesano gli strascichi post-Europee. Perché è vero che Arianna Meloni viaggiò nella Tuscia (come faceva Almirante con la sua Renault Dauphine negli anni ‘80), solo per annunciare una candidatura «viterbese», senza fare nomi, anche se tutti già sapevano di chi si trattasse. Ma molti, a Roma, si erano convinti che quella di Sberna fosse poco più che una corsa di servizio. Perché in teoria – da accordi a via della Scrofa – il suo seggio sarebbe dovuto andare a un rampelliano, il consigliere municipale Stefano Tozzi, lunga gavetta, Colle Oppio etc.
Invece, a sorpresa, Sberna ha sbancato nella lotteria delle preferenze. Tanto che nel giro dei Gabbiani c’è ancora chi mastica amaro: «Qualcuno il 9 giugno ha tradito, ma non Arianna». Sprizza di felicità invece il deputato viterbese Mauro Rotelli, giro Lollobrigida, che già l’aveva arruolata alla Camera, nella commissione di cui è presidente, Ambiente e Lavori pubblici.
Ieri Socialisti e Liberali hanno provato a impallinare la meloniana, ma senza successo. Avevano pesato, in questo gioco di antipatie e sgambetti, le posizioni antiabortiste di Sberna.
(da La Repubblica)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
LIBERI TUTTI: IL TESTO MOLTIPLICA PER 8 IL LIMITE DI PENA ENTRO CUI SI GODE DELLA SEMILIBERTA’
Svuotare le celle moltiplicando di otto volte, da sei mesi a quattro anni, il limite di pena entro il quale si può accedere alla semilibertà, includendo anche i residui di condanna ancora da scontare.
È la soluzione proposta da Forza Italia in un emendamento al decreto carceri, il micro-intervento varato dal governo per attenuare il sovraffollamento penitenziario.
In quel provvedimento, approvato dal Consiglio dei ministri a inizio luglio, non ci sono misure capaci di far uscire subito una parte dei detenuti attualmente reclusi nel nostro Paese: in particolare, non c’è l’“indulto mascherato” proposto dal deputato renziano Roberto Giachetti, che con il suo ddl vuol risolvere il problema aumentando i giorni di “sconto di pena per buona condotta”, da 45 a sessanta o addirittura a 75 ogni sei mesi.
Quella soluzione, che aveva convinto una parte della maggioranza, è stata bloccata dalla premier Giorgia Meloni in persona. Così, ora che il testo è arrivato in Commissione Giustizia al Senato per la conversione, i berlusconiani provano un’altra strada, su cui sperano di trovare l’accordo dell’esecutivo e degli alleati di FdI e Lega: un super-potenziamento della semilibertà, la misura alternativa che consente ai condannati di uscire dal carcere durante il giorno per rientrarci la notte.
L’emendamento porta la firma di Pierantonio Zanettin, capogruppo azzurro in Commissione. L’articolo 50 della legge sull’ordinamento penitenziario, che al momento consente di scontare in semilibertà “la pena della reclusione non superiore a sei mesi”, è modificato così: “Possono essere espiate in regime di semilibertà le pene detentive, anche residue, non superiori a quattro anni”, cioè un limite otto volte più alto. Se invece la condanna, inflitta o residua, supera questa soglia, si potrà chiedere la misura alternativa in anticipo rispetto a quanto previsto adesso: basterà aver scontato un terzo della pena e non più la metà, oppure la metà – invece dei due terzi – per i reati più gravi. A decidere sarà sempre il giudice di Sorveglianza, che dovrà valutare i “progressi compiuti nel corso del trattamento” e “le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società”.
Se la modifica passasse, però, è scontato che il numero di detenuti ammessi a trascorrere le giornate fuori dal carcere si gonfierebbe a dismisura. Proprio questo d’altra parte è l’obiettivo di Zanettin, come traspare dalla relazione tecnica alla proposta: “La semilibertà è relegata a misura Cenerentola, pur costituendo il primo passaggio utile dalla detenzione alla libertà. L’elevazione del tetto di pena consente di far rientrare nella misura una fetta non trascurabile di condannati per reati di più modesto allarme sociale”, si legge. Una definizione, quest’ultima, abbastanza discutibile: l’esperienza insegna che nel nostro Paese una condanna a quattro anni si riceve solo per aver commesso delitti piuttosto gravi. Per fare un esempio, l’omicidio colposo è punito con il carcere fino a cinque anni: se l’emendamento passasse, anche con una condanna al massimo della pena, dopo appena 12 mesi si potrebbe accedere alla semilibertà.
Nella relazione si spiega come il senso della norma sia di allineare la disciplina della misura alternativa a quella della messa alla prova, causa di estinzione del reato a cui (dopo la riforma Cartabia) possono accedere gli imputati di delitti puniti non oltre i quattro anni. Secondo Zanettin, non c’è “alcuna ragione che giustifichi la differenziazione” dei due istituti. A ben vedere però la ragione c’è eccome: mentre il limite per la messa alla prova è calcolato sulla pena in astratto, e riguarda soggetti ancora sotto processo, la semilibertà “regala” l’uscita parziale e anticipata dal carcere a condannati definitivi anche per reati molto gravi. Sulla proposta del senatore c’è già l’ok informale del viceministro azzurro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto: perché dal governo arrivi il parere positivo, però, sarà necessario convincere Fratelli d’Italia e nello specifico la premier. Su cui però crescono le pressioni dal mondo del carcere: ieri la garante dei detenuti di Roma Valentina Calderone ha denunciato che nel carcere di Regina Coeli il sovraffollamento è arrivato al 180%, con 1129 presenze contro i 628 posti disponibili. “Il governo si dia una mossa, perché la situazione è insostenibile ed esplosiva”, attacca il leader di +Europa Riccardo Magi.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
“LA SOLIDARIETA’ SIA IL FARO DELL’EUROPA”
«Ciao mondo! Sono Ilaria Salis e questo è il mio nuovo account X». In occasione della sua prima sessione plenaria al Parlamento europeo, l’eurodeputata eletta tra le fila di Sinistra Italiana saluta i propri elettori aprendo un profilo anche sul social di proprietà di Elon Musk.
«Oggi è il mio primo giorno al Parlamento europeo a Strasburgo. Sono stata detenuta nell’Ungheria di Orbán per oltre 15 mesi, dove i miei diritti fondamentali non erano garantiti a causa delle mie convinzioni politiche di antifascista», racconta Salis a chi non conosce la sua storia personale.
E poi aggiunge: «Se sono qui adesso è grazie a tutte le persone che mi hanno sostenuto votando e impegnandosi nella campagna per la mia liberazione e per la libertà di tutti gli antifas. Sono molto grata a tutti voi, continuiamo a lottare insieme».
«La solidarietà sia il faro dell’Europa!»
Nel suo primo post pubblicato su X, Ilaria Salis spiega anche come intende affrontare il suo nuovo ruolo nelle vesti di eurodeputata: «Credo fermamente che se vogliamo superare la crisi economica, sociale ed ecologica, l’Europa e il mondo intero debbano abbracciare i valori della solidarietà e dell’uguaglianza. Per realizzare questo cambiamento, dobbiamo fare affidamento sulla meravigliosa energia e sulla forza collettiva dei movimenti sociali e di tutti coloro che sperano e lottano per un mondo migliore. La solidarietà sia il faro dell’Europa!».
Il bivio del voto a von der Leyen
Intanto, alla prima sessione plenaria della nuova legislatura europea, i sei eurodeputati di Alleanza Verdi-Sinistra si preparano a votare in modo diverso sul bis di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. Ilaria Salis e Mimmo Lucano, espressione di Sinistra Italiana e membri dell’eurogruppo The Left, voteranno contro. Ignazio Marino, Benedetta Scuderi, Cristina Guarda e Leoluca Orlando, espressione dei Verdi, dovrebbero invece votare a favore. In ogni caso, il differente orientamento sulla presidenza della Commissione europea non sembra destare preoccupazioni per la tenuta di Avs: «Gran parte delle volte voteremo insieme», assicura una fonte interna al gruppo.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL LEADER DI AZIONE AVEVA PARLATO DI “CULTURA MAFIOSA”
Carlo Calenda è indagato per un tweet e si ritrova appeso alla decisione del Senato. Il gip di Roma Costantino De Robbio ha chiesto a Palazzo Madama se concedere l’immunità al leader di Azione. Altrimenti dovrà andare a processo per difendersi dall’accusa di diffamazione.
La storia comincia il 3 aprile, quando in vista della campagna elettorale per le elezioni europee Calenda critica su X la scelta di Emma Bonino di dar vita alla lista Stati Uniti d’Europa insieme a Matteo Renzi e ad altri centristi. «Non ha alcun senso portarsi dietro, sia pure per interposta persona, Cuffaro, Cesaro e Mastella. La cultura della mafia è l’opposto dei valori europei», scrive.
Il sindaco di Benevento e leader centrista Clemente Mastella replica: «Querelo Calenda».
«Non arretrerò di un millimetro per rispetto alla mia famiglia, alla mia etica e ai miei elettori. Se ha il coraggio rinunciasse all’immunità parlamentare», aggiunse il primo cittadino riferendosi al leader di Azione.
Calenda cercò di correggere il tiro. Dal suo partito fecero sapere che il riferimento alla cultura mafiosa «era fatto nei confronti della condanna di Totò Cuffaro». «Per quanto riguarda Mastella – sottolinearono – certamente un politico molto distante dai valori di Azione, mai lo si è definito mafioso». Spiegazioni che non sono state sufficienti a far recedere il sindaco di Benevento dalla decisione di querelare il senatore.
E così Calenda finisce indagato dalla Procura di Roma con l’accusa di diffamazione aggravata. Davanti alla richiesta di dichiarare quel tweet insindacabile, il pm ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di valutare se considerare tali le espressioni oggetto della querela, dunque posizioni di un parlamentare nell’esercizio del suo mandato.
Il gip De Robbio, però, ha ritenuto che al momento non sia possibile dichiarare d’ufficio l’insindacabilità delle opinioni espresse dal leader di Azione e ha chiesto al Senato di pronunciarsi sull’immunità.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DELLA PROCURA DI VENEZIA: UN TERRENO COMPRATO PER 5 MILIONI E DA RIVENDERE PER 159… E UNA PROPRIETA’ SCONTATA DI 4 MILIONI… LE INTERCETTAZIONI INGUAIANO IL SINDACO
L’indagine per corruzione nei confronti del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro parte da un palazzo svenduto. L’assessore alla Mobilità Renato Boraso, all’epoca dei fatti responsabile del Patrimonio, avrebbe fatto scendere la stima di Palazzo Papadopoli da 14 a 10 milioni. In cambio di 73.200 euro per agevolare l’acquisto dell’immobile da parte di Chiat Kwong Ching, magnate cinese con base a Singapore. E per agevolare l’accordo sull’area dei Pili. Che lo stesso Brugnaro aveva comprato dal Demanio per cinque milioni quando ancora non era sindaco nel 2006. E che avrebbe voluto rivendere a Kwong per 150 milioni. In cambio della promessa del raddoppio dell’edificabilità e dell’adozione di varianti urbanistiche per l’approvazione del progetto edilizio.
L’area dei Pili e Kwong
L’area dei Pili è una striscia di terreno che si protende fino alla laguna dalle parti di Marghera. È inquinata, proprio a causa della vicinanza con la zona del porto. La proprietà degli ettari è in mano alla società del sindaco Porta di Venezia. Mentre negli ultimi anni proprio lì si volevano costruire un terminal di scambio, il nuovo palazzetto dello Sport e alcune abitazioni. Sotto indagine oltre al sindaco ci sono il suo capo di gabinetto Morris Ceron e il vice Derek Donadini. Quando è arrivato a Ca’ Foscari Brugnaro ha affidato tutte le sue attività imprenditoriali e le partecipazioni a un blind trust con sede a New York. Che avrebbe dovuto tenerlo lontano dai conflitti di interesse. Secondo le carte della procura di Venezia non è andata così. Anzi. L’accordo prevedeva «la maggior somma di 70 milioni di euro come sovrapprezzo che remunerava la promessa di adozione dei provvedimenti edilizi».
Un palazzo in svendita
La seconda vicenda di corruzione riguarda la stessa area. Stavolta si puntava sul raddoppio dell’edificabilità dei terreni e sull’approvazione di varianti urbanistiche. Per costruire 348 mila metri quadri di volumi commerciali e residenziali. Al prezzo di 150 milioni. Infine, c’è la storia di Palazzo Poerio Papadopoli. Da vendere per 10,7 milioni di euro invece dei 14 stimati per il suo valore. Per deprezzarlo Boraso impegna tutte le sue capacità in cambio dei 73 mila euro dell’imprenditore cinese. Lo aiutano Luis Lotti, Claudio Vanin e Fabiano Pasqualetto. Il gip Alberto Scaramuzza scrive: «Brugnaro, Ceron e Donadini concordavano con lui il versamento di 150 milioni in cambio della promessa di far approvare il raddoppio dell’edificabilità e l’adozione delle varianti urbanistiche necessarie per l’approvazione del progetto edilizio».
Le intercettazioni
Poi ci sono le intercettazioni. «Tu non mi ascolti, tu non capisce un c… mi stanno domandando che tu domandi soldi, tu non ti rendi conto, rischi troppo… Se io ti dico di stare attento, ti devi controllare», dice Brugnaro a Boraso il 17 marzo 2023.
E ancora: «Ascoltami… ho guardato un poco di lottizzazioni quella di Luca che ha un sacco di robe… non ci sono gli accessi sulle strade… le ho prese in mano… adesso le sblocco il prima possibile! Gli ho dato in mano tutto a lui…Tu cerca di non intrometterti. Lascia che la veda lui». Secondo il Gip così il sindaco conferma «di aver preso in mano delle lottizzazioni e che le sbloccherà il prima possibile citando espressamente quella di Luca (Gianluca Vidal – Rione Pertini) però intimando perentoriamente Boraso di non intromettersi avendole affidate ad altra persona».
(da Open)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
LE PERSONE CHE DEVONO SCONTARE LA LORO PENA IN UN CARCERE SONO 61 MILA A FRONTE DI 51 MILA POSTI UFFICIALI
La media da inizio anno è di un suicidio ogni tre giorni. Ma il triste record è adesso: tre persone in tre giorni si sono tolte la vita in carcere. È successo negli istituti penitenziari di Verona, Monza e l’ultimo detenuto, un 37enne arrestato per rapina e che sarebbe tornato in libertà nel 2029, si è impiccato con un lenzuolo nella notte tra domenica e lunedì nel carcere di Venezia.
Secondo i dati del Garante nazionale dei detenuti, nel 2024 sono 54 le persone, con un’età media di 40 anni, che hanno deciso di uccidersi dietro le sbarre. Sbarre troppo strette per chi deve viverci ogni giorno, troppo affollate e prive, spesso, di spazi essenziali. E il caldo estivo sta trasformando le celle in luoghi ancora più disumani, dove i più fragili soccombono: sei nei soli primi quindici giorni di luglio.
Per l’Uilpa, il sindacato della polizia penitenziaria, i suicidi sarebbero ancora di più. Ne conta almeno 56 perché ci sono casi di carcerati che decidono di non mangiare e di non bere, chi per protesta, chi per lasciarsi morire. Sulla carta risultano deceduti per cause naturali e non tra coloro che hanno deciso di ammazzarsi. Nei primi sei mesi e mezzo del 2023 i suicidi erano stati 37, significa che quest’anno sono aumentati del 50%. Sono 800 a cui si aggiungono gli atti di autolesionismo.
Una condizione drammatica a cui il decreto denominato “Carcere sicuro”, approvato dal governo, non pone alcun rimedio, limitandosi a snellire semplicemente alcuni aspetti burocratici. Il testo ha già iniziato il suo percorso parlamentare dalla commissione Giustizia del Senato, la cui vicepresidente Ilaria Cucchi di Avs, insieme al Pd, chiede al ministro Carlo Nordio di riferire in Aula su questo «inferno in terra, indegno di uno Stato di diritto».
Italia Viva ha depositato, sotto forma di emendamento, il testo a firma Roberto Giachetti che invece sarà discusso dall’Aula della Camera il 23 luglio. Si chiede di elevare la detrazione di pena ai fini della liberazione anticipata da 45 a 60 giorni per ogni semestre di pena scontata, così da alleggerire il sovraffollamento delle prigioni, dal momento che oggi ci sono oltre 14 mila detenuti in più rispetto alla capienza. Le persone che devono scontare la loro pena in un carcere sono 61 mila a fronte di 51 mila posti ufficiali, che scendono a 47 mila se si considerano celle e padiglioni inagibili
A Palazzo Madama i senatori di Forza Italia, unico partito della maggioranza che si è detto sensibile al tema, rimangono piuttosto tiepidi. Presenteranno alcune proposte di modifica ma rimanendo nel perimetro del decreto, per evitare anche frizioni all’interno del governo. Discorso diverso alla Camera, dove gli azzurri hanno già aperto al testo Giachetti chiedendo di escludere dallo sconto di pena dei 60 giorni i reati di mafia, terrorismo, violenza sessuale e di genere. Una mediazione che può essere accolta, anche se la proposta di legge non avrebbe comunque i numeri necessari per essere approvata.
Il vicepresidente della commissione Giustizia di Montecitorio, l’azzurro Pietro Pittalis, è convinto che «sia necessario trovare soluzioni immediate. Nelle carceri c’è uno stillicidio continuo – dice – dobbiamo tenerne conto. La proposta del governo va nella direzione giusta ma richiede tempo, mentre oggi la realtà è drammatica».
Il testo Giachetti, secondo alcuni calcoli, farebbe uscire dal carcere, a stretto giro, fra le tremila e le quattromila persone.
(da La Repubblica)
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Luglio 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL DOCUMENTARIO SULLA STAR, COLPITA DALLA TERRIBILE SINDROME DELLA PERSONA RIGIDA: “LA SUA STORIA È TOCCANTE, ISTRUTTIVA, HA TANTO DA DIRCI E DA INSEGNARCI, PER LA SPIETATA SINCERITÀ CON LA QUALE LA CANTANTE RACCONTA LA SUA DISAVVENTURA”
Una cantante, anzi una brava cantante, che non può cantare. Sembra una tragica metafora dell’impossibilità, della sconfitta che può infliggerti la vita, una punizione crudele, ed è anche una amara e purtroppo reale casualità umana. Si può anche non essere ammiratori sconfinati di Céline Dion, io stesso posso dire di non essere mai stato un suo fan, pur ammettendo le sue indiscutibili doti vocali, eppure la sua storia, splendidamente raccontata nel documentario Io sono Céline Dion, diretto da Irene Taylor, ora visibile sulla piattaforma Prime, è toccante, istruttiva, ha tanto da dirci e da insegnarci, per la spietata sincerità con la quale la cantante ha accettato di raccontare la sua disavventura, per la forza, la dignità con cui affronta la sua attuale condizione.
Iniziò 17 anni fa e le prime avvisaglie andarono guarda caso proprio a colpire la voce, il suo orgoglio, il suo strumento dorato. Il racconto è dettagliato e drammatico. Le successe di notare un irrigidimento nell’emissione del canto, note che rimanevano bloccate, le corde vocali che perdevano elasticità, proprio lei che era capace di virtuosismi, di proverbiali salti funambolici. Erano i primi segni di una rara e poco decifrabile malattia, la Spr, ovvero sindrome della persona rigida, una brutta e pesante malattia neurologica che attacca i muscoli, compromette gradualmente lo sviluppo di attività fisiologiche.
Céline Dion aveva conquistato quello che aveva sempre desiderato fin da piccola, quando cresceva in una fredda cittadina del Québec nelle difficoltà materiali della sua umile famiglia che doveva crescere e nutrire ben 14 figli.
Era riuscita a conquistare il mondo col suo talento, accumulando successo e platee adoranti
Una diva molto “normale”, classica, ma alla fine capace di arrivare ovunque, e di saper attraversare mondi, per non dire di My heart will go on, la canzone d’amore più struggente che si possa immaginare, se non altro perché è quella che accompagna la storia d’amore che ha commosso il mondo nel film Titanic.
Ma l’amara conclusione del documentario è che la sua vita sembra una favola al contrario, quella di una bimba che realizza i suoi sogni oltre ogni previsione e alla fine proprio lei va a incrociare un iceberg maligno che le porta via la bellezza del suo talento.
(da La Repubblica)
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