Luglio 20th, 2024 Riccardo Fucile
CONTE LO SPERNACCHIA: “NON È SERIO”… DUBBI ANCHE NELL’ALA SINISTRA DEM CHE HA DICHIARATO GUERRA CON LA CGIL AL JOBS ACT RENZIANO: “L’ALTERNATIVA SI COSTRUISCE SUI CONTENUTI, LA SOMMA NON SEMPRE FA IL TOTALE”… E PURE CALENDA PUNGE L’EX SOCIO: “MATTEO SI METTEREBBE PURE CON I NAZISTI DELL’ILLINOIS”
L’ennesima mossa del cavallo di Matteo Renzi ha l’effetto di una folata di vento nel campo dell’alternativa. L’abbraccio calcistico e politico dell’ex premier a Elly Schlein scuote sia il Pd che Italia viva, tra dubbi e malumori.
E indispettisce, per usare un eufemismo, Giuseppe Conte: il presidente M5s è l’unico a far capire chiaramente di non volere Renzi in squadra. Il leader Iv ora si paragona a De Gasperi e vuole rappresentare un «centro che guarda a sinistra», spiega nella sua Enews. Insomma, «si chiude un ciclo, non vedo spazi per un terzo polo», addio sogni centristi e rottura del bipolarismo.
Visto il flop alle Europee e gli attuali rapporti di forza, ormai la strada è una sola: «Alle prossime Politiche l’unica possibilità per cambiare rispetto al governo Meloni e Salvini è costruire un centrosinistra, con un patto di governo alla tedesca, sui temi programmatici», spiega Renzi. Che porterà questa sua proposta all’assemblea del partito a settembre, per formalizzare la svolta.
Schlein incassa senza commentare, non si aspettava nulla di diverso, ne avevano parlato negli spogliatoi dello stadio dell’Aquila, mentre le immagini dei loro abbracci già invadevano i social.
La segretaria Pd conferma la linea «testardamente unitaria», che prevede di «non mettere veti e non subirne». Vale per tutti, compreso Renzi. Non potrebbe fare diversamente, anche se è consapevole di quanto l’ex premier sia poco amato (altro eufemismo) dagli elettori Pd che hanno votato lei alle primarie.
Per averne conferma basta scorrere i commenti sui suoi profili Facebook o Instagram, sotto alle foto incriminate: «è il bacio di Giuda» recita uno tra i più teneri. «Ma non è un problema da porsi oggi, le Politiche sono lontane – spiega un parlamentare vicino alla segretaria – il dialogo si porta avanti con tutti, poi il punto di arrivo si vedrà in base ai temi, come dice anche Renzi». Insomma, il fatto che non ci siano veti non significa che l’alleanza vada concretizzata a tutti i costi.
Salario minimo: Italia Viva è l’unico partito di opposizione a non aver sottoscritto la proposta di legge. Jobs act: Renzi rivendica la sua riforma, Schlein ha firmato il referendum della Cgil per abolirla. Giustizia: dall’abuso d’ufficio alle intercettazioni, Italia Viva vota con il centrodestra. Liguria: Italia viva non era in piazza l’altro ieri a Genova per chiedere le dimissioni di Toti ed è nella giunta di centrodestra del sindaco di Genova Bucci. Ovviamente Renzi preferisce far sapere che anche lui e i suoi oggi inizieranno a lavorare (come Schlein, Conte e gli altri) per il referendum abrogativo dell’autonomia differenziata.
Ma tra i dem affiorano le perplessità. Da Base riformista, l’area di Lorenzo Guerini, gli ex renziani accolgono con favore l’avvicinamento, ma sottolineano che «occorrerà passare dalle parole ai fatti».
Mentre gli ex Articolo 1, quelli usciti dal Pd durante la stagione renziana, non nascondono i dubbi: «Bisogna fare i conti con i fallimenti delle politiche neoliberiste di cui Renzi è stato tra i protagonisti in questi anni – avverte Arturo Scotto –. L’alternativa si costruisce in primis sui contenuti, perché la somma non sempre fa il totale, come diceva Totò».
Stessa riflessione di Conte, che non dimentica il recente passato: «Renzi prima mi attaccava sulla gestione della pandemia, si è vantato di aver mandato a casa il governo Conte e ora dice che sono un interlocutore privilegiato – sottolinea il leader M5s –. La politica per noi è una cosa seria». Parole che bissano quelle consegnate a La Stampa sotto al palco di Genova: «Ci servono alleati affidabili». E Renzi, evidentemente, non è considerato tale. Un sospetto che avanza anche l’ex alleato Carlo Calenda: «Ho iniziato che Renzi faceva il partito liberaldemocratico e faceva votare La Russa presidente del Senato – ricorda il leader di Azione – poi si è proclamato erede di Berlusconi, ora dice che gli vanno bene i 5 stelle. Questo è il modo di fare politica di Matteo, che un giorno vuole allearsi con i nazisti dell’Illinois e un altro con i marxisti-leninisti».
(da agenzie)
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Luglio 20th, 2024 Riccardo Fucile
SQUADRACCE DI DELINQUENTI IN AZIONE DOCUMENTATE DA VIDEO
Nello stesso giorno in cui la Corte di giustizia dell’Aja dichiara illegali le colonie israeliane in Cisgiordania, nei territori palestinesi, è arrivata una nuova violenta aggressione a un villaggio palestinese. Nella regione del Masafer Yatta, la più colpita negli ultimi mesi dalla violenza dei coloni israeliani, nel villaggio di Sheab Botom, a sud della città di Yatta, un gruppo di coloni con il volto coperto e armato di bastoni, ha compiuto un raid contro i palestinesi.
Le fasi dell’aggressione sono state documentate in un video grazie alla presenza degli attivisti italiani di Mediterranea Saving Humans e di Operazione Colomba, che fanno un lavoro di interposizione pacifica tra i residenti dei villaggi palestinesi e i coloni.
Il raid: coloni a volto coperto con bastoni, ferita una donna
I fatti si sono consumati nel tardo pomeriggio del 19 luglio, quando un gruppo di coloni, tutti di età molto giovane, si è presentato all’ingresso del villaggio di Sheab Botom con il volto coperto da passamontagna e fazzoletti ed armato di bastoni. Poco prima un colono aveva portato al pascolo le sue pecore in un pezzo di terra palestinese, ed era stato invitato a lasciare l’area.
Sul posto anche gli attivisti internazionali, tra cui gli italiani, che hanno notato subito come il colono israeliano avesse contattato altre persone per chiedere supporto. Dopo poco c’è stato l’arrivo del gruppo incappucciato che armato di bastoni ha fatto irruzione nel villaggio assalendo la prima casa che si sono trovati davanti.
Come mostrano le immagini girate dagli attivisti, i coloni israeliani hanno aggredito immediatamente le prime persone che hanno trovato fuori a una casa colpendo dapprima un uomo più volte al corpo con bastoni di legno. Poi quando sua moglie ha provato a difenderlo la stessa donna è stata aggredita da due coloni incappucciati, gettata in terra e colpita almeno tre volte alla testa con colpi di bastone.
Una scena davvero cruenta che purtroppo nella regione del Masafer Yatta rappresenta la quotidianità. La donna, Wahab, 55 anni, ha subito diverse ferite alla testa e ha perso molto sangue. È stata poi trasportata all’ospedale di Yatta dove è ricoverata. L’aggressione si è conclusa prima con la fuga dei coloni incappucciati, e poi con l’arrivo di alcuni militari che, come si vede nelle immagini, hanno puntato i fucili contro gli abitanti del villaggio, per poi sparare in aria, coprendo in questo modo la ritirata dei coloni.
Subito dopo sul luogo sono arrivati altri militari e poliziotti che hanno provato in tutti i modi a prendere i video della scena dai dispositivi degli attivisti che sono poi riusciti a scappare. In serata si è appreso di alcuni fermi di cittadini palestinesi del villaggio di Sheab Botom da parte dell’esercito. Non è chiaro in verità con quale accusa.
Lo scorso 4 luglio si era registrato l’assalto e l’incendio da parte dei coloni israeliani del villaggio di Khallet Athaba, sempre nella regione del Massafer Yatta, in cui venne ferito un attivista italiano di Mediterreanea Saving Humans. Grazie alla presenza degli attivisti internazionali si sta alzando il velo di silenzio su ciò che sta avvenendo in Cisgiordania ad opera dei coloni israeliani, lo zoccolo duro elettorale del potente ministro Ben Gvir, che da qualche mese sono stati armati ed a cui sono stati concessi poteri di polizia. Assalti, aggressioni, incendi, proprio mentre la giustizia internazionale definisce l’esistenza stessa delle colonie israeliane illegittima secondo il diritto internazionale.
Poche settimane fa la Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato la costruzione di altre 6000 residenze nelle colonie, tutte in Cisgiordania, molte delle quali concentrate nella regione del Massafer Yatta dove i villaggi palestinesi sono ormai completamente circondati da colonie ed avamposti, protetti dai militari dell’esercito.
“Siamo stati avvisati da un contadino palestinese perché per l’ennesima volta un giovane colono portava le pecore sulla sua terra per distruggergli gli ulivi – spiega Diego, attivista di Mediterranea Saving Humans a Fanpage.it – noi seguivamo tutta la scena a pochi passi con le videocamere. Aveva con sé i documenti di proprietà ma il colono, giovanissimo, era arrogante, insistente e telefonava di continuo. È arrivato per primo un colono soldato direttamente col quod, mentre si stringevano la mano un gruppo di coloni con bende sul viso assaltava alcune case palestinesi del circondario”.
Una scena quella descritta dall’attivista italiano, e ben visibile dai video, che dimostra la complicità tra militari e coloni. “Gli uomini bendati hanno raggiunto la prima abitazione e aggredito con manichi di piccone un uomo di mezza età e poi sua moglie colpiti più volte alla testa e alla schiena” prosegue Diego. “A quel punto sono arrivati altri militari che hanno esploso un colpo in aria e puntato le armi contro le vittime per difendere la fuga degli aggressori. Penso che scene del genere ricordino davvero l’Alabama degli anni ’50, il suprematismo, l’impunità, il razzismo di Stato sono il tratto comune. La pulizia etnica si realizza tenendo le vittime in un costante stato di assedio e di ansia. In questo senso la resistenza dei contadini e pastori palestinesi sulle proprie terre è incredibile”.
(da Fanpage)
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Luglio 20th, 2024 Riccardo Fucile
“HO 28 ANNI, LAUREATA, STUDIANDO E LAVORANDO PER NON GRAVARE SUI MIEI, POI UN ANNO E MEZZO DI COLLOQUI IN ITALIA CON PROPOSTE ECONOMICHE INDECENTI”… “IN GERMANIA C’E’ RISPETTO PER I GIOVANI, CONTRATTI REGOLARI CHE TI PERMETTONO DI VIVERE CON DIGNITA'”
Ci ha scritto una ragazza siciliana di 28 anni che, dopo anni di studi e formazione, ha cercato un lavoro in Italia trovando però solo contratti precari e stipendi che le consentivano a malapena di pagare l’affitto. Così, alla fine, ha deciso di andare all’estero, esattamente come suo padre tanti anni prima aveva lasciato la Sicilia per lavorare e garantire un futuro ai figli: “Qualche tempo fa mio padre mi ha detto quanto gli sia dispiaciuto non vedermi crescere giorno dopo giorno, ma a pezzi. Esattamente come dispiace a me non vederlo invecchiare. E dopo 28 anni, il motivo è sempre lo stesso”.
Sono una ragazza siciliana di 28 anni, anch’io come tanti e tante scappate all’estero, in Germania. Nessuna storia speciale, spero solo che le tante testimonianze di questo tipo aiutino a far riflettere un po’. Come molti sono figlia di un padre operaio che ha sempre lavorato fuori dalla Sicilia per mantenere la famiglia, quindi diciamo che il “sacrificio della lontananza” lo conosco già da piccolina. Già allora mi chiedevo il perché e mio padre mi diceva che era un sacrificio che doveva fare. Continua a farlo ancora oggi, a 60 anni.
Io ho studiato da fuorisede, ho una laurea triennale e magistrale in lingue. Come tanti studiavo e lavoravo, cercando di dare sempre gli esami in tempo per poter mantenere la borsa di studio. Ho sfruttato tutte le opportunità per aprirmi più possibilità lavorative, master, corsi extra offerti dall’università o a pagamento, Erasmus, ho fatto anche un tirocinio in Germania. Sono riuscita a pagarmi tutto sola, con sacrifici e rinunce, com’è giusto che sia, ed ero felice di farlo.
Ho corso tanto per finire, non vedevo l’ora di arrivare al fatidico mondo del lavoro e quando finalmente ci ero arrivata ero pronta, carica. Ero sempre stata convinta di voler andare via dall’Italia e durante il tirocinio pensavo di restare in Germania, poi invece ci ho ripensato, ero convinta che qualcosa avrei trovato anche in Italia e sono tornata. A me piace scrivere, mi interessa il settore turistico, ma ho sempre lasciato tutte le porte aperte, anche nel settore export mi sarebbe piaciuto.
Ho fatto un anno e mezzo di colloqui, nel frattempo facevo il servizio civile, ma ricevevo solo offerte con contratti precari e stipendi con cui a malapena mi ci pagavo l’affitto, sentendo ripetere che non avevo abbastanza esperienza, qualcuno voleva sapere anche la mia vita privata, se ero fidanzata o sposata o avevo figli. Per non parlare di quando chiedevo la retribuzione. Una volta mi è stato detto che quello non era assolutamente il momento adatto per parlare di soldi. Ero senza parole.
Ironia della sorte, l’azienda in cui lavoro fornisce anche questa italiana. Iniziavo a pensare che era stato tutto inutile e che forse avrei potuto fare di più. Finché mi sono stufata e ho iniziato a cercare all’estero. Dopo qualche mese ero di nuovo in Germania. Durante un colloquio, con una frase avevano ridato senso ai miei sforzi.
Già al primo anno guadagnavo più di 2.000 euro netti, dopo un anno ho avuto l’indeterminato e l’aumento. Ogni anno danno un piccolo aumento. Pensate che per sbaglio ho scoperto di guadagnare qualcosa in più rispetto ad altri proprio perché ho una laurea. Questa cosa mi ha colpito molto. Sapete la contraddizione con cui devo convivere? Li aiuto a esportare in Italia qualcosa che hanno imparato da noi, forse una delle nostre eccellenze. A volte mi vergogno pure a dirlo.
A parte lo stipendio, ci sono altre differenze: ad esempio l’orario di lavoro è molto flessibile e tra le 16.00 e le 17.00 gli uffici chiudono, se hai ore di straordinario puoi recuperarle con ore/giorni liberi, il venerdì si lavora mezza giornata e questo lo trovo un buon compromesso tra settimana lunga o corta. Ed è una caratteristica di quasi tutte le aziende, non solo la mia. Ma soprattutto, noto più fiducia nei giovani, laureati e non. Ho colleghe e colleghi coetanei o anche più piccoli, c’è chi alla mia età ha già 7-8 anni di esperienza alle spalle.
Chi decide di non fare l’università può fare formazione e lavoro, imparano un mestiere senza il bisogno di dover fare la cosiddetta gavetta, hanno diritto alle ferie e soprattutto hanno più possibilità di trovare lavoro molto presto e avere la propria indipendenza prima di 30 anni. Questo in Italia non è comune, anzi abbiamo la paura di non farcela economicamente. E ogni volta che mi fermo a pensare su quello che ho qui mi chiedo sempre perché non posso avere tutto questo a casa mia. Perché dopo anni siamo ancora costretti a scegliere tra una vita lavorativa dignitosa o restare accanto ai nostri cari? Perché siamo costretti ancora a convivere con questo conflitto e ai saluti strazianti?
In fondo qui non c’è niente di speciale, nessun “lusso”, è solo quello che deve essere la normalità, un lavoro retribuito adeguatamente e diritti. C’è chi parte per motivi personali, ma ogni italiano andato all’estero per motivi di lavoro e conosciuto finora tornerebbe in Italia se avesse quello che ha qui, anzi, non sarebbe neanche partito. Io in primis.
E allora mi chiedo ancora, perché un’azienda estera può pagare un neolaureato più di 2.000 euro e, in generale, sa offrire più opportunità a tutti, giovani, adulti, laureati e non, e le italiane no, cosa hanno di più le aziende estere? Tecnicamente niente, anzi.
L’Italia ha del potenziale sotto tanti punti di vista che proprio l’estero ci invidia, e non parlo solo di gastronomia e cultura. Qui ad esempio le ricette elettroniche devono ancora arrivare, non tutti conoscono e usano la PEC, dobbiamo pagare l’assicurazione sanitaria eppure spesso devi aspettare mesi per ottenere un appuntamento, in Italia abbiamo la sanità pubblica, che arranca lo so, ma vi prego salvaguardatela perché è preziosa! Ma allora mi chiedo perché non si riesce a cambiare anche da altri punti di vista?
Chi tutte le mattine si alza per lavorare va ricompensato nel modo giusto e soprattutto vanno rispettati i suoi diritti. A volte ho l’impressione che, in Italia, chi ti assume è come se ti stesse facendo un favore. Ma in realtà ci si fa un favore a vicenda, no? È questo il motivo per cui ce ne andiamo e abbiamo paura di tornare. Anche il mio ragazzo è venuto con me, non conosceva la lingua, lo stato l’ha aiutato a pagare il corso per integrarsi e faceva lavoretti qua e là, con contratto e paga regolare. Nessuno ci ha regalato niente, come tanti e come è giusto ci siamo dati da fare, anche qui si fanno rinunce, ma alla fine del mese ci arriviamo con la tranquillità di riuscire a pagare quello che dobbiamo e risparmiare qualcosa.
Ci tengo a dire che la mia non è un’esaltazione dell’estero perché i problemi, economici e non, così come i “furbetti” esistono ovunque e c’è chi ha avuto esperienze negative anche qui. Però è da anni che siamo in tanti a fuggire e questo vuol dire che qualcosa lì è rimasto fermo. Tutte le volte che mi chiedono “e tu perché dalla Sicilia te ne sei venuta qui?” per me è una sconfitta perché mi sento l’ennesima testimonianza di un paese che in questo ha fallito.
Non dobbiamo essere apprezzati dopo che l’hanno fatto all’estero ma ora, subito. Bisogna darci fiducia. Perché penso che sacrifici accettabili debbano essere alzarsi presto la mattina e lavorare duro, ma lasciare la famiglia per la ricerca di un futuro e la mancanza di condizioni lavorative dignitose è un sacrificio che non può e non deve esistere. Perché nonostante valigie e macchina piene ti porti dietro un vuoto tanto, troppo grande che i soldi non colmano.
Per quanto utile, non basta un telefono per accorciare le distanze, non una videochiamata per dirti quanto sia cresciuto tuo nipote né quanto siano invecchiati i tuoi. Una volta messo giù, tu sei sempre qui e loro sono sempre lì. Proprio qualche tempo fa mio padre mi ha detto quanto gli sia dispiaciuto non vedermi crescere giorno dopo giorno, ma a pezzi. Esattamente come dispiace a me non vederlo invecchiare. E dopo 28 anni, il motivo è sempre lo stesso.
(da Fanpage)
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Luglio 20th, 2024 Riccardo Fucile
ALL’INCONTRO ANCHE GIANNI LETTA PER DETTARE LA NUOVA LINEA
Non è stato «un chiarimento», perché «non c’era niente da chiarire», assicura Antonio Tajani. Ma ha comunque un valore chiarificatore, almeno per l’esterno, il pranzo che si è tenuto ieri nella casa di Marina Berlusconi tra il leader di Forza Italia, Gianni Letta, la figlia dell’ex premier e suo fratello Pier Silvio. Nulla di anomalo, specificano tutti, incontri del genere si tengono «almeno una volta al mese», per fare il punto sulla situazione politica, per tenere informati i figli del Cavaliere — i primi finanziatori di FI — delle dinamiche tra partiti in corso, per fare il quadro economico e internazionale «come avviene sempre anche con altri imprenditori, essendo io il ministro degli Esteri», assicura Tajani.
Stavolta però la doppia uscita a pochi giorni di distanza di Marina e Pier Silvio — la prima aveva detto di sentirsi più vicina alla sinistra che alla destra sui temi etici, il secondo si era lamentato che «i moderati sono in maggioranza, ma manca un riferimento» — aveva fatto molto parlare e sospettare che la famiglia del Cavaliere non vedesse più di buon occhio la gestione del partito.
«Più coraggio, più innovazione, non solo resistenza ma anche attacco», è sembrato il messaggio partito dai Berlusconi. Per questo, dicono alcuni, anche se il ruolo di Tajani non è in discussione, la politica condotta fin qui lo è. A quanto raccontano, però, «nell’incontro si è riso parecchio su certe ricostruzioni: le parole di Marina e Pier Silvio sono state utilizzate per attaccare FI, ma la pensiamo tutti allo stesso modo».
Intanto, precisano, non si è affatto parlato di far fuori mediaticamente personaggi della vecchia guardia come Barelli e Gasparri, o di far scendere in campo volti giovani per attrarre audience e novità: «Non se ne è parlato, non si è fatto alcun nome. Sono imprenditori loro, non seguono certo le dinamiche interne delle nomine del partito», spiegano i bene informati.
Viceversa, si è discusso a lungo di come valorizzare e rilanciare FI perché sia realistico l’obiettivo più volte annunciato da Tajani: ottenere «il 20% alle prossime elezioni». E allora sì, è vero che «non ci si deve appiattire su Meloni, e non lo facciamo, si è visto con il voto su von der Leyen», è vero che servono volti nuovi e allargamento ai mondi di riferimento — sindacati, associazionismo, categorie — ma non servono figurine, bensì alti profili professionali e riconosciuti.
Un’operazione come quella di Berlusconi e i «professori», quando candidò intellettuali come Colletti, Melograni, Pera, Vertone, Mathieu, Rebuffa e altri. Un allargamento quindi sia sul territorio, sia al civismo, ma soprattutto al mondo delle idee perché «vogliamo adeguare messaggi e proposte al mondo del futuro». Serve quindi trovare idee forti «liberali», temi chiave che sappiano attrarre l’elettorato moderato, anche bandiere: «Una — annuncia Tajani — sarà la battaglia per carceri più civili». Poi, rafforzare la tolda di comando: «E a me va benissimo — dice il ministro — voglio che ci sia più gente che mi aiuti nel lavoro di partito».
Potrebbero emergere volti nuovi dai congressi cittadini, che si terranno a breve, con porte aperte a chi voglia aderire anche da provenienze diverse. Giovani (uno è già vice segretario, Stefano Benigni) e no. E se l’operazione non riuscisse? Sullo sfondo resta sempre l’ipotesi di una discesa in campo di Pier Silvio, che però ieri come la sorella ha ribadito che non ha intenzione di farlo. E comunque, sussurra un azzurro di peso, se accadesse «non è che dovrebbero prepararsi prima il campo, lo annuncerebbero e basta».
(da Il Corriere della Sera)
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Luglio 20th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO LO SCHIAFFONE RICEVUTO DALLA NATO CHE HA NOMINATO LO SPAGNOLO JAVIER COLOMINA COME RAPPRESENTANTE SPECIALE PER IL FIANCO SUD DELL’ALLEANZA ATLANTICA, LA DUCETTA HA GLI OTOLITI IN SUBBUGLIO E NELLA PARTITA DELLE DELEGHE CON URSULA È INDECISA SE PUNTARE SU UN COMMISSARIO ECONOMICO O SU QUELLO AL MEDITERRANEO
Una partita persa nel Mediterraneo fa venire una tentazione a Giorgia Meloni: chiedere a Bruxelles la delega sui migranti. Il clima a Palazzo Chigi non è dei migliori, la premier rivendica la mossa di non aver votato il secondo mandato di Ursula von der Leyen, ma al tempo stesso fatica a digerire lo schiaffo ricevuto dalla Nato.
L’Italia aveva chiesto di nominare un rappresentante speciale dell’Alleanza Atlantica per il fronte Sud. La settimana scorsa, durante il vertice di Washington, la premier ha annunciato la candidatura. Il segretario uscente Jens Stoltenberg, invece, ha optato per lo spagnolo Javier Colomina, già vice Segretario generale aggiunto della Nato.
La vicenda ha provocato grande risentimento nel governo italiano, tanto da indurre il rappresentante permanente presso l’Alleanza Atlantica, Marco Peronaci, a inviare una lettera al segretario. Nella missiva, rivelata da Il Foglio, si esprime «sorpresa e disappunto» per la tempistica della nomina, che giunge alla fine del mandato del norvegese, che a ottobre sarà sostituito dall’ex premier olandese Mark Rutte, con il quale Meloni aveva parlato dell’argomento.
La questione del commissario europeo è, però, la più urgente. Dopo il voto di Strasburgo a von der Leyen è stato recapitato un messaggio, «niente di personale», nel senso che pur ribadendo l’impossibilità di sostenere una maggioranza europea allargata di fatto ai Verdi, la premier ha voluto tenere aperto un canale. E per esplorarlo in questa fase decisiva, utile può rivelarsi il ruolo di Antonio Tajani.
Ieri la premier ha visto a Palazzo Chigi il ministro degli Esteri, un incontro che all’ordine del giorno aveva le crisi internazionali, ma nel quale ovviamente si è parlato di Europa. Il vicepremier ha digerito, il ruolo lo impone, il no di Meloni a von der Leyen e ora è al lavoro per non far crollare i ponti. Quelli che invece Matteo Salvini vuole far saltare, partendo all’attacco della nuova Commissione. Tajani, poi, consiglia di «evitare le vicepresidenze esecutive», ovvero una delle richieste dell’Italia, per garantire «equilibrio» nella Commissione.
Nelle ultime ore Meloni è tentata di sparigliare: se la trattativa dovesse incagliarsi perché non tentare di farsi assegnare il Mediterraneo, il nuovo “ministero” che von der Leyen ha ideato per i prossimi cinque anni? Molto dipende da quante competenze saranno previste per quella casella. Da Bruxelles si spiega che non si tratterà di un commissario dal valore esclusivamente simbolico e se davvero ci fossero poteri in campo dell’immigrazione, e della cooperazione con i Paesi africani allora il governo potrebbe farci un pensiero, magari vendendola all’opinione pubblica come una sorta di estensione del Piano Mattei.
Questa strada, però, incontra più di una resistenza. L’ala del governo di FdI più attenta ai mondi produttivi e chi conosce meglio i meccanismi dell’Ue hanno messo in guardia la premier da questa ipotesi, che rischia di essere una scatola vuota, chiedendo di spostare tutte le energie su un portafoglio più pesante.
In ogni caso la priorità assoluta sarà che il commissario al Mediterraneo non vada alla Spagna, dopo lo screzio sull’inviato Nato sul Sud, ma al limite alla Grecia o a Malta. C’entra, ovviamente, anche il profilo del candidato che l’Italia vuole proporre.
Meloni non ha cambiato idea: a Bruxelles deve andare il ministro Raffaele Fitto e se Von der Leyen imporrà ai governi una rosa che prevede anche una donna, si tratterà di una segnalazione puramente formale e verrà probabilmente dalla società civile.
E proprio sulla figura di Fitto si sta ritagliando la proposta che arriva da Bruxelles: le politiche di Coesione. Per l’attuale ministro agli Affari europei sarebbe, per biografia, la casella ideale. Ma a Palazzo Chigi si crede che si tratti di un portafoglio dal campo d’azione limitato, persino se dovesse comprendere la gestione del Pnrr.
(da La Stampa)
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Luglio 20th, 2024 Riccardo Fucile
VIVIAMO IN UN MONDO IN CUI TUTTO E’ COLLEGATO E DIPENDE DA POCHI PRIVATI
Una vecchia abitudine fra chi si occupa di informatica è di non fare mai aggiornamenti di giovedì sera o di venerdì, che poi c’è il weekend di mezzo e se qualcosa va storto c’è meno tempo per intervenire. Evidentemente questa legge non può valere per i grandi produttori di software, che in effetti fanno piccoli aggiornamenti costanti, di solito senza che gli utenti se ne accorgano.
Se ne sono accorti venerdì 19 luglio, quando Crowdstrike – un sistema di sicurezza che dovrebbe impedire gli attacchi cyber – ha paradossalmente bloccato per qualche ora i sistemi informatici di tutto il mondo: i server di Microsoft, i voli negli aeroporti, le banche e gli ospedali. In Italia i problemi sono stati più limitati, in genere dettati solo dalle conseguenze del caos globale. L’aeroporto di Fiumicino non aveva i sistemi in tilt, ma molti aerei non potevano comunque decollare, a causa dei problemi nelle città di destinazione.
Quello che il mondo ha affrontato ieri è stato “semplicemente” un “bug”, un errore tecnico che è stato risolto nel giro di poche ore, con la “medicina” che poi in poco tempo è stata distribuita anche nei singoli sistemi. Ma, ancora di più, tutti si sono accorti di una potenziale fragilità che gli appassionati di tecnologia già conoscono. Si possono usare mille metafore, dal classico battito d’ali di una farfalla che provoca un uragano dall’altra parte del mondo, fino alla palla di neve che inizia a rotolare trasformandosi in una valanga.
Ma il senso è sempre lo stesso: in un sistema fortemente connesso, e troppo dipendente da pochi grandi colossi, un singolo problema può avere conseguenze disastrose.
L’APOCALISSE RIMANDATA
In un libro del 2008, intitolato L’apocalisse rimandata (Guanda), Dario Fo immagina che d’improvviso il mondo viva una regressione tecnologica. In ogni città non funzionano più le lampadine, i frigoriferi, non ci sono più caffè nei bar o benzina nelle pompe. Crollano banche e assicurazioni, pure il denaro non ha più valore, si usano solo le biciclette e l’energia prodotta dal sole. Le città si svuotano e si riempiono le campagne.
Nel suo stile paradossale, Fo sostiene che il nuovo mondo senza tecnologia non è poi tanto male. Al di là della finzione letteraria, e con tutte le proporzioni del caso, quello che abbiamo vissuto ieri è stato esattamente un assaggio di “apocalisse rimandata”.
Singole attività che normalmente immaginiamo come scollegate – i trasporti, il sistema sanitario, i canali televisivi e le linee d’emergenza – hanno iniziato all’improvviso a non funzionare più, tutte nello stesso momento e a livello globale. Dal punto di vista tecnico il motivo era facilmente spiegabile: Crowdstrike da sola ha migliaia di clienti in tutto il mondo e soprattutto ha una piattaforma che deve essere particolarmente invasiva per permettere di intercettare le minacce informatiche. Il legame con Microsoft, l’azienda che produce il sistema operativo più utilizzato al mondo, ha fatto il resto.
Dal punto di vista filosofico, invece, la questione ha sollevato dubbi maggiori: e se dovesse succedere di nuovo? E se in futuro il problema fosse più grosso ancora, più difficile da risolvere, e con conseguenze persino peggiori?
PREPARARSI AL CROLLO
Quello di ieri è stato probabilmente il più importante disastro informatico della storia recente, ma soprattutto ha reso più popolari questioni che fra gli addetti ai lavori si dibattono da decenni. Almeno dai tempi del cosiddetto “Millennium bug”, quando si temeva che allo scoccare del primo gennaio del Duemila potessero saltare i sistemi informatici di tutto il mondo. In quel caso l’allarme fu effettivamente superiore alle reali conseguenze, ma l’allora presidente di Microsoft, Bill Gates, disse alla Cnn che ci si doveva aspettare che problemi simili si sarebbero ripresentati in futuro.
Durante la pandemia ci siamo accorti che un fatto inaspettato può all’improvviso sconvolgere il nostro mondo. E se succedesse lo stesso per colpa della tecnologia?
Nel 2021 la giornalista spagnola Esther Paniagua ha scritto Error 404 (Einaudi), un libro in cui sostiene che l’esistenza di Internet non debba essere data per scontata. Il problema è che oggi soffriamo il peccato originale del nostro sviluppo digitale, costruito sulla dipendenza da pochi colossi digitali.
In caso di una grossa crisi, come ad esempio un attacco informatico, un black out di Internet o della rete elettrica, o appunto una “bug”, l’intera infrastruttura pubblica digitalizzata sarebbe nelle mani di pochi attori privati. Siamo davvero disposti a fidarci? E se quello di ieri fosse stato solo l’assaggio di un’apocalisse rimandata?
(da agenzie)
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Luglio 20th, 2024 Riccardo Fucile
NON SONO D’ACCORDO SU NULLA CHE NON SIA RESTARE AGGRAPPATI AL PONTE DI COMANDO
Poiché le parole sono importanti, ancor di più se pronunciate da una formazione politica, conviene scolpire ciò che ha scritto Forza Italia sui suoi canali social dopo la conferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, fortemente sostenuta dal Partito popolare europeo di cui i forzasti fanno parte. “Avevamo chiesto voti per far contare l’Italia in Europa – recita il messaggio dei berlusconiani -. Abbiamo mantenuto la promessa. Con l’elezione di Metsola e von der Leyen ogni voto dato a Forza Italia è un voto utile a Bruxelles. Grazie a noi l’Italia conta in Europa”.
Senza troppo sforzo di interpretazione il partito guidato dal ministro e vice premier Antonio Tajani ritiene quindi che il voto contrario del partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni contro von der Leyen vada contro l’Europa ma soprattuto vada contro gli interessi dell’Italia. Delle gesta politiche di Matteo Salvini non serve nemmeno scriverne poiché è risaputo come Tajani ritenga il gruppo dei Patrioti, di cui la Lega fa parte, un vero abominio politico. Volendo arrivare a una sintesi si potrebbe dire senza nessun timore di smentita che Tajani ritiene la presidente del Consiglio che guida il governo di cui fa parte nemica degli interessi degli italiani in Europa. È un giudizio preciso che dovrebbe fare cadere il governo un minuto dopo. Invece si risolve in un rimpiattino di politici che non sono d’accordo su nulla che non sia restare aggrappati al ponte di comando.
(da lanotiziagiornale.it)
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Luglio 20th, 2024 Riccardo Fucile
PER IL PM: “VASTO CATALOGO DI ANOMALIE”… 32 INDAGATI E 14 AZIENDE COINVOLTE
Un blind trust fittizio e inefficace, una continua commistione tra interessi pubblici e privati, la piena consapevolezza da parte del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, che il suo assessore Renato Boraso chiedeva soldi agli imprenditori, il tentativo di eludere possibili controlli comunicando su Signal o facendo le riunioni lasciando fuori della stanza i telefonini, proprio come emerso nell’inchiesta che in Liguria ha portato all’arresto del governatore Giovanni Toti.
E’ il quadro disegnato dalle carte dell’inchiesta della procura di Venezia che ha portato all’arresto per corruzione dell’assessore Boraso e, tra i 32 indagati, vede anche il sindaco e i suoi due più stretti collaboratori – il capo di gabinetto Morris Ceron e il vice Derek Donadini – accusati di corruzione in concorso per atti contrari ai doveri d’ufficio per le trattative di vendita di un terreno di 41 ettari, di proprietà del sindaco, all’imprenditore di Singapore Ching Chiat Kwong.
“Vasto catalogo di anomalie”
Dalle oltre 900 pagine con le quali i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini hanno chiesto al gip Alberto Scaramuzza un pacchetto di misure cautelari – solo in parte accolte – per politici, funzionari e imprenditori, emergono un «vasto catalogo di anomalie» nella gestione amministrativa, «frequenti interferenze e commistioni con gli interessi economici delle molte società appartenenti al reticolo facente capo all’imprenditore Brugnaro», ripetuti «conflitti di interesse» del sindaco e dei suoi più stretti collaboratori, Ceron e Donadini, scelti tra i dipendenti delle società di Brugnaro gestite di fatto dal sindaco anche dopo la costituzione, alla fine del 2017, del blind trust che avrebbe dovuto, a detta dello stesso sindaco, eliminare il conflitto di interessi tra l’imprenditore e l’amministratore pubblico. Trentadue gli indagati, 14 le aziende coinvolte soprattutto per aver pagato tangenti a Boraso in cambio di appalti aggiustati o varianti urbanistiche ad hoc. Il comportamento dell’assessore, stando alle indagini, era ben noto sia al sindaco che ai suoi due collaboratori. Nessuno è mai intervenuto per fermarlo perché garantiva voti e consenso elettorale in una Municipalità importante della terraferma veneziana, Favaro Veneto.
Colloqui su Signal e riunioni senza telefono
Dall’indagine emerge anche che dal marzo del 2023, dopo un’acquisizione di atti della Finanza nella vicenda di Palazzo Poerio Papadopoli per il sospetto che fosse stato ceduto dal Comune a un prezzo di favore all’imprenditore Kwong, Ceron e Donadini temevano di essere intercettati iniziando a comunicare con l’app Signal. Dalle riunioni con il sindaco invece venivano allontanati i telefoni, per paura che vi fossero installati trojan. Già a gennaio 2023, Brugnaro si era arrabiato con Ceron che gli stava raccontando delle cose al telefono. «Se accendi il cervello tipo me…magari ci svegliamo un attimo, insomma… Ma non devi dirmelo così…ti ho detto vieni qui». In un’altra occasione, rivolgendosi a Boraso, Brugnaro era sbottato: «Pensa prima di parlare, soprattutto al telefono, c’è gente seria come me che shhh (sembra fare il segno del silenzio, annota la Finanza) …ricordati la gente parla…e di te hanno parlato tanto…te l’ho già detto un’altra volta».
Sponsor alla Reyer e appalti
Le carte raccontano anche come nel corso degli ultimi anni la qualifica di società sponsor della Reyer, la squadra di basket del sindaco, sia stata ritenuta dagli alti amministratori, funzionari e dirigenti di Ca’ Farsetti o delle società partecipate, come elemento di aiuto per le aggiudicazioni di gare e per il mantenimento dei rapporti di fornitura. Emblematico un episodio che riguarda Giovanni Seno, il direttore generale di Avm-Actv, l’azienda del trasporto locale. Prima di estromettere una ditta inadempiente dall’elenco dei fornitori, decide di consultarsi con lo staff del sindaco dato che «la situazione potrebbe avere profili di delicatezza» e poi decide per una posizione di favore dell’imprenditore inadempiente.
Nel mirino anche gli affidamenti diretti di Avm ad Alilaguna per il trasporto pubblico locale e i finanziamenti alla Reyer dell’impresa di costruzioni Setten che, come ricostruito dalle verifiche del nucleo di polizia tributaria della Finanza, dal 2015 a oggi ha ottenuto 11 commesse per oltre 150 milioni di euro mentre nel precedente decennio gli incarichi erano stati per 37 milioni di euro. Approfondimenti che per ora non hanno portato a contestazioni.
L’affare dei Pili, area contaminata
La commistione di interessi tra il Brugnaro imprenditore e il Brugnaro sindaco emerge, soprattutto, proprio dalla vicenda dei Pili. Tra il 2016 e il 2017, nel dialogo aperto con l’imprenditore Kwong e i suoi rappresentanti in Italia, Brugnaro e i suoi collaboratori, nella doppia veste di amministratori e funzionari pubblici e di rappresentanti della proprietà avrebbero garantito a mr Kwong la possibilità (nelle vesti di amministratori) di raddoppiare l’edificabilità dell’area così da alzare il prezzo di vendita del terreno (di proprietà del sindaco) a 150 milioni di euro, a fronte dei 5 spesi nel 2006 per comprare i terreni. Una trattativa, con le bozze contrattuali già pronte, che si sarebbe fermata solo perché Kwong aveva scoperto che i terreni, all’ingresso di Venezia e a ridosso dell’area industriale di Porto Marghera, erano contaminati da fosfogessi e andavano pesantemente bonificati. E perché la proprietà dell’area avrebbe richiesto a Kwong un anticipo di 10 milioni sull’operazione. Se nessuna misura cautelare è stata chiesta per il sindaco è perché sono passati ormai sei anni dai fatti contestati.
(da repubblica.it)
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Luglio 20th, 2024 Riccardo Fucile
LASCIO’ LA MADRE SENZA ALCUN SUPPORTO FACENDOLA MORIRE DI STENTI
I fatti risalgono a giugno, e sono avvenuti a Montelibretti, a due passi da Roma. La donna venne messa ai domiciliari, in attesa che venisse ulteriormente definita la sua posizione. Gli investigatori avrebbero ritrovato appunti con riferimento all’acquisto di un biglietto che facevano ipotizzare che stesse pianificando una fuga.
I fatti risalgono a giugno quando è stato trovato il corpo senza vita dell’anziana a Montelibretti, vicino Roma. Dalle indagini dei carabinieri era emerso che la figlia invece di accudirla si era allontanata per trascorrere un periodo di vacanza in Abruzzo, lasciandola senza le dovute cure.
La Procura di Tivoli aveva emesso nei confronti dell’indagata un fermo di indiziato di delitto, ritenendola gravemente indiziata del reato di abbandono di persona incapace, condizione a seguito della quale l’anziana madre è deceduta. In virtù del provvedimento la 49enne è stata sottoposta agli arresti domiciliari, in attesa che venisse ulteriormente definita la sua posizione.
I carabinieri, che hanno proseguito le indagini anche dopo l’applicazione del provvedimento, avrebbero trovato alcuni appunti nei quali la donna faceva riferimento all’acquisto di un biglietto per allontanarsi e ad alcuni oggetti necessari a camuffare la propria identità. Per gli investigatori stava programmando una fuga per sottrarsi al provvedimento restrittivo cui era sottoposta. Per questi motivi la Procura ha richiesto nei giorni scorsi l’aggravamento della misura e i carabinieri della compagnia di Monterotondo hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Tribunale di Tivoli, con l’accusa di omicidio volontario aggravato
(da agenzie)
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