Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
L’ANTICIPAZIONE DELLA TESTATA NEWSWEEK CHE CITA FONTI DEL PARTITO DELL’EX PREMIER POLACCO
Dopo aver perso la sfida con Ursula von der Leyen, esponendosi così alle ritorsioni della nuova maggioranza europea, Giorgia Meloni dovrà rinunciare anche alla sua leadership all’interno dei Conservatori europei. Secondo quanto riporta la testata polacca Newsweek, che cita fonti del partito Diritto e Giustizia, la presidente del Consiglio italiana dovrà cedere la presidenza del partito europeo all’ex premier polacco Mateusz Morawiecki.
Non è ancora una notizia ufficiale, dato che le elezioni del presidente sono previste in estate e che il leader del PiS ancora non è candidato.
Ma gli esponenti della formazione di estrema destra polacca, l’altra grande forza all’interno di Ecr insieme, appunto, a Fratelli d’Italia, danno l’intesa per raggiunta: “Vedremo se gli italiani manterranno la parola data”, ha commentato una fonte interpellata dalla testata.
Così, il principale partito di governo italiano, proprio adesso che può vantare ben 24 eurodeputati, il numero più alto all’interno del suo gruppo dato che i polacchi ne esprimono 20, dovrà cedere la guida di Ecr ai colleghi dell’est Europa.
La sequenza degli eventi è particolarmente penalizzante. Meloni ha giocato la sua partita sulle nomine europee e, al momento, ne sta uscendo sconfitta, in attesa dell’ufficializzazione dei commissari. In Parlamento, la nuova ‘maggioranza Ursula‘ le ha fatto la guerra concedendole una vicepresidenza della Plenaria con Antonella Sberna, eletta come 13esima su 14, nessun presidente di commissione e qualche vicepresidente. Anche all’interno dei Conservatori, gli equilibri di forza non sono stati rispettati. E adesso arriva anche l’obbligo di cedere la corona ai colleghi polacchi.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
GIÀ PIOMBATA DA MEGA INCUBI DOMESTICI (FINANZIARIA PER ARIA, MES DA RATIFICARE, PNRR IN GRAVE RITARDO), CON I TRE PARTITI DI GOVERNO IMPEGNATISSIMI A SFANCULARSI OGNI GIORNO, E’ ORMAI CHIARO CHE, DOPO IL SUO NO A URSULA, IL QUARTETTO AL COMANDO, SCHOLZ-MACRON-SANCHEZ-TUSK, MIRA APERTAMENTE A INDEBOLIRE IL GOVERNO DUCIONI
Se Trump si riprende la Casa Bianca, per Giorgia Meloni la situazione si fa difficilissima. Già piombata da tanti incubi domestici (finanziaria per aria, Mes da ratificare, Pnrr in grave ritardo) – roba da far tremare le vene e i polsi con tre partiti di governo impegnatissimi a sfancularsi ogni giorno – sul quaderno dei dolori deve aggiungere quelli di politica europea e quelli di politica internazionale.
E’ ormai chiaro che, dopo il suo no masochista a Ursula del 18 luglio, il quartetto Scholz-Macron-Sanchez-Tusk conduce le danze e non nasconde che mira apertamente a indebolire il suo governo, mettendo in moto ogni “rappresaglia’’ economica possibile per farlo cadere prima del 2027, fine della legislatura.
(Se non ci pensa prima un colpo di testa del “vannaccizzato” Matteo Salvini, apparecchiando un secondo Papeete – cosa che potrebbe accadere in caso di sconfitta del suo Edoardo Rixi alle prossime regionali liguri per la sostituzione del reietto Toti – i sondaggi sono a favore della sinistra).
Con l’uscita di Santiago Abascal e dei suoi camerati di Vox verso il novello gruppo di Orban-Salvini-Le Pen, si è indebolito il gruppo dei conservatori di Ecr, che lei presiede, col sorpasso dei Patrioti, amici di Putin e di Trump.
Anche sul fronte Nato, la Giorgia nazionale ha ricevuto uno schiaffone in faccia dal segretario uscente Jens Stoltenberg con la nomina dello spagnolo Javier Colomina come rappresentante speciale per il fronte Sud dell’Alleanza Atlantica.
Con l’arrivo a Downing Street di Keir Starmer, che ha subito cassato la deportazione di migranti in Ruanda ideata dal suo amico Sunak, la 47enne ex compagna di Andrea Giambruno si è ritrovata sola e isolata con il suo strombazzato progetto di aprire per chi sbarca a Lampedusa campi di segregazione in Albania, in combutta con Edi Rama.
Ancora guai: Ursula vuole i nomi di un uomo e di una donna dai governi per ogni commissario e sarà poi lei a scegliere, a suo insindacabile giudizio.
Quindi il nuovo Parlamento, che dovrà esaminare i vari commissari, non aspetta altro che di bocciare Raffaele Fitto che, quando va bene, parla un inglese maccheronico.
Ma sulla testa del ministro del Pnrr grava la nube di ricevere da Ursula un ruolo di commissario di secondo piano che Meloni rifiuterà sdegnata, preferendo tenerlo alla gestione del Pnrr, in gravissimo ritardo.
Se poi a novembre Trump si riprende la Casa Bianca, per la Melona non basterà cambiare casacca, avendo contro il Donald italiano della prima ora, Matteo Salvini. Una volta arrivata a Palazzo Chigi, la premier della Garbatella ha sempre sbandierato la bandiera atlantista, sposando da subito la causa Ucraina, con abbracci a Volodymyr Zelensky e viaggi a Kiev in compagnia del fedelissimo Fazzolari – molto sensibile al conflitto dividendo la sua vita, come il ministro Urso, a fianco di una compagna ucraina.
“Metterò fine alla guerra”. E’ stato il perentorio messaggio consegnato dal ricandidato presidenziale Donald Trump all’ex comico ucraino, ribadito in un comizio dal suo vice JD Vance in maniera più spiccia: gli Stati Uniti ‘’non hanno alcun interesse’’ a sostenere economicamente e militarmente la causa ucraina, già costata agli americani, dal febbraio 2022 ad aprile 2024, la sommetta di 175 miliardi di dollari, secondo i dati del CFR (Council of Foreign Relations). Bagno di sangue anche per i 27 paesi dell’Unione Europea: 156 miliardi di euro in aiuti militari, finanziari e umanitari.
Ecco perché la Ducetta, dentro di sé, fa il tifo per la vittoria di Kamala Harris. Con lei, che si manterrà fedele alle linee guida di Biden (è probabile la riconferma del segretario di Stato Antony Blinken), la Meloni avrebbe un colloquio più agevole rispetto all’”America First” di Trump e Vance.
Intanto, approfittando di un’America distratta dalle presidenziali, la nostra “Giovanna d’Orco” decollerà per Pechino dove incontrerà il presidente Xi e il premier Li Qiang, ancora irritati con palazzo Chigi per aver fatto slittare di una settimana un incontro stabilito da tempo (per la Melona viene prima il problema Rai).
Comunque, non sarà una trattativa eclatante. Di grosso, in ballo, c’è soprattutto lo sbarco in Italia delle auto elettriche cinesi che dovranno vedersela con quelle di Stellantis. Un negoziato che arriva in un momento in cui una pesante crisi ha investito il settore – vedi il tonfo della Tesla, che ha visto crollare l’utile del 45% nel secondo trimestre del 2024.
(da Dagoreport)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
“RUBINETTI A SECCO, L’ISOLA PERDE I SUOI TURISTI, ANCHE FARE UNA DOCCIA E’ UN PROBLEMA”
“Dopo aver perso i raccolti, la Sicilia teme di perdere anche il turismo”. Dopo il reportage del quotidiano britannico Guardian nelle campagne desertiche dell’Isola, tra animali assetati e campi bruciati dal sole, l’emergenza della siccità irrompe anche nelle pagine del New York Times. Il quotidiano americano ha dedicato l’apertura del sito alla Sicilia senza acqua e ai rischi di perdere i flussi turistici dei visitatori che cancellano le prenotazioni spaventati dalla prospettiva di trovare una terra dove non è possibile farsi una doccia. Il Nyt descrive i terreni agricoli della Sicilia meridionale, tra “pendii bruciati che somigliano a dune del deserto” e la disperazione degli allevatori che guardano le proprie mucche “dirigersi al macello”.
Ma il focus del reportage è l’alta stagione turistica “a key economic lifeline”, “un’ancora di salvezza economica, che le autorità temono sia minacciata dalle notizie sulla scarsità dell’acqua e che per questo cercano di proteggere”. Alcuni B&B di Agrigento, una delle zone più colpite dall’emergenza idrica e dal razionamento – scrive il Nyt – hanno dirottato le prenotazioni verso altri hotel, mentre il presidente provinciale di Federalberghi Francesco Picarella lamenta “un calo significativo delle prenotazioni” da quando si sono diffusi i rapporti sulla siccità.
“Cioè che ha più fatto male – ha detto – sono state le notizie dei media che avvertivano che i turisti stavano scappando via a causa della mancanza d’acqua”. Ma c’è anche il settore del lusso come il Verdura Resort di Sciacca: “Non possiamo certo dire ai turisti di razionare le docce”, ha detto al Nyt Isidoro di Franco, direttore generale della struttura del gruppo di Rocco Forte.
La realtà, incontrovertibile, raccontata dal quotidiano americano ha fatto arrabbiare la ministra del Turismo Daniela Santanchè. “Nessuno nega il dramma della siccità in Sicilia ma inaridire anche il turismo quasi colpevolizzandolo come fa il New York Times aggiunge danno al danno per la Sicilia”, scrive su X Santanchè. In realtà il Nyt ha solo raccontato l’emergenza sete esattamente come avevano fatto nei giorni scorsi altri organi di stampa stranieri.
Il New York Times riporta anche le rassicurazioni che arrivano dalle autorità regionali: “I turisti non si accorgono della siccità”, ha detto l’assessora regionale al Turismo di Fratelli d’Italia Elvira Amata. E poi le contromisure della Protezione civile. “Siamo costretti a sacrificare i danni nell’agricoltura, ma dobbiamo cercare di non danneggiare il turismo perché sarebbe ancora peggio”, ha detto il capo della Protezione civile siciliana Salvatore Cocina. Aggiungendo poi che l’agricoltura consuma la stragrande maggioranza dell’acqua, mentre la popolazione ne utilizza solo una frazione, anche quando include milioni di turisti durante l’estate.
Ad accorgersi degli effetti della siccità in Sicilia sul turismo è stata anche la Cnn, che ha fatto un report ad Agrigento, città Capitale italiana della cultura nel 2025, e ha scritto senza giri di parole: “L’acquedotto e altri costruiti in tempi moderni sono così asciutti che i piccoli hotel e le pensioni della città e della costa sono costretti a mandare via i turisti”. E poi ha aggiunto: “Non hanno abbastanza acqua per garantire agli ospiti un wc con lo scarico o una doccia, dopo una giornata trascorsa nella calura estiva”.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
GIORDANO BRUNO GUERRI TROVA “TREMENDA” L’AGGRESSIONE AL GIORNALISTA ANDREA JOLY: “NON SCIOGLIEREI ‘CASAPOUND’ MA AVREI SGOMBERATO LA SEDE OCCUPATA DI ROMA GIÀ 20 ANNI FA. SI SENTONO PIÙ IMPUNITI COL GOVERNO MELONI? NON CREDO, MA L’ATTUALE ESECUTIVO STIMOLA CERTE IMPUDICIZIE, COME QUELLA DEI GIOVANI DI FDI CHE URLANO FRASI ANTISEMITE”
«Dirò le stesse cose che ha detto ieri Gianrico Carofiglio, perché contro la violenza siamo tutti d’accordo e non ci devono essere destra e sinistra, ammesso che io sia di destra».
Giordano Bruno Guerri, 73 anni, storico, saggista e presidente del Vittoriale, trova «tremendo quando un giornalista come Andrea Joly viene picchiato mentre fa il suo lavoro. Per di più è stato pestato solo perché raccoglieva immagini e informazioni, senza neanche sapere chi fosse, e questo è ancora più grave perché non si trattano così i cittadini curiosi. È segno di una violenza indiscriminata, quando i picchiatori non dovevano temere nulla».
Ora ha senso lasciare aperti circoli come quello di Torino?
«Ha senso fino a che non violano le leggi. Non entriamo nelle questioni sul braccio alzato o sulla ricostituzione del partito fascista, perché non credo siano il problema. Se certi posti ospitano regolarmente abusi, non pagano le bollette e sono occupati illegalmente vanno penalizzati. Anche perché la politica è l’arte della conciliazione e non della violenza».
Si riferisce anche alla sede di Casa Pound a Roma, occupata da vent’anni?
«Personalmente l’avrei sgomberata vent’anni fa e andrebbe fatto subito».
Anche il movimento politico andrebbe sciolto?
«Finché non manifesta atteggiamenti aggressivi o di ricostituzione del partito fascista direi di no. Fa anche, tra virgolette, delle cose buone come attività sociali o culturali.
Non credo che vada temuto dal punto di vista ideologico perché manifesta un pensiero debole. Povero Ezra Pound, così tirato per la camicia: non sarebbe contento di avere simili adepti».
Gli estremisti di destra avvertono un senso di impunità con questo governo?
«Non credo che Casa Pound si senta più impunita ora, perché è durata con qualsiasi governo. Certamente l’attuale esecutivo stimola certe impudicizie, come quella dei giovani di FdI che tranquillamente urlano frasi antisemite. CasaPound però è ben oltre il governo Meloni».
Forse la premier non convince veramente i suoi quando lancia certi appelli?
«No, credo che proceda per gradi come ogni buon politico: prende le distanze, fa qualche provvedimento disciplinare, senza mollare una base che la segue da vent’anni prima ancora che i ragazzi di oggi nascessero».
Com’è possibile che proprio i giovani, che dovrebbero essere conservatori europei più che neofascisti, la tradiscano?
«In questi giorni sto finendo un libro su Mussolini e neanche durante il ventennio c’erano tanti fascisti. Il fascismo è un’ideologia politica precisa che erano pronti ad applicare forse in cento persone tra cui Gentile e Bottai. L’individuo veniva considerato solo come funzionale allo Stato, guerra compresa. I ragazzi di oggi non credono a questi valori. E all’epoca neppure Mussolini era fascista, ma se mai mussoliniano.
Così pure i ragazzi di oggi: adorano la mascella quadrata, la frase clamorosa, l’apparenza e l’apparato, ma non sono pronti a pagare con gioia le imposte. Poi questi giovani estremisti a parole sono una minoranza come gli ultras allo stadio, per fortuna non rappresentano la maggioranza della destra».
Eppure leader come Salvini e Vannacci sembrano solleticare gli estremisti.
«Sì, ma mi sembra una rincorsa di pura strategia politica. Salvini ha deciso di occupare uno spazio lasciato libero da Meloni, proprio perché lei è andata verso il centro. Poteva andare lui verso Forza Italia, ma non l’ha fatto. Spero che la sua manovra non abbia successo, perché se i Vannacci sono tanti altroché CasaPound. Ho più paura di un’eventuale maggioranza reazionaria come lui che di quattro estremisti sgangherata, perché quella potrebbe pesare sul paese, sulle leggi, sulla vita quotidiana».
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
LO HANNO INFASTIDITO LE DICHIARAZIONI CON LE QUALI IL PRESIDENTE AD INTERIM DELLA GIUNTA LIGURE, IL LEGHISTA ALESSANDRO PIANA, HA SOLLEVATO DUBBI SUL RIGASSIFICATORE A VADO LIGURE, A FAVORE DEL QUALE TOTI SI È MOLTO BATTUTO – L’INCONTRO SALTATO CON SALVINI NON È STATO PIÙ RIPROGRAMMATO – LO SCENARIO DEL VOTO IN AUTUNNO
Potrebbero essere gli ultimi giorni di Giovanni Toti alla guida della Regione Liguria. Più dei due mesi e mezzo che ha già trascorso agli arresti domiciliari, resistendo tenacemente e con orgoglio protestandosi innocente, più della drammatica possibilità di restare rinchiuso ancora a lungo nella sua casa di Ameglia (La Spezia),
A convincerlo che vanno prese seriamente in considerazione le dimissioni è il «vuoto politico» che, al di là delle manifestazioni di solidarietà di facciata, prova intorno a sé con la netta sensazione di essere stato abbandonato dagli alleati di centrodestra, dice chi è a stretto contatto con lui collocando la decisione «nei prossimi giorni»
Dall’arresto del 7 maggio per le presunte tangenti che, secondo la Procura, avrebbe ricevuto dall’imprenditore portuale Aldo Spinelli sotto forma di finanziamenti legali per 74 mila euro ai suoi comitati elettorali, attraverso il suo avvocato Stefano Savi, Toti ha ripetuto come un mantra che qualunque decisione, a cominciare dalle dimissioni dalla carica che ricopre da due mandati, l’avrebbe presa solo dopo aver consultato i suoi collaboratori, i vertici di Noi Moderati, il suo partito e gli alleati liguri e nazionali.
I primi incontri «politici» che ha potuto fare nella villetta familiare di Ameglia, grazie alla inusuale autorizzazione che gli ha concesso il gip Paola Faggioni, sembravano averlo rafforzato nella convinzione di non mollare, di fare una battaglia di principio restando nell’alveo della moderazione, ma alcune recenti iniziative degli alleati in Regione lo hanno irritato, spiega una fonte genovese.
Lo hanno infastidito le dichiarazioni con le quali il presidente ad interim della giunta ligure Alessandro Piana (Lega) ha sollevato dubbi sul rigassificatore a Vado Ligure, a favore del quale lui si è molto battuto.
Così come non gli è piaciuta la decisione (pare revocata) degli altri partiti di riunirsi venerdì prossimo, ovviamente in sua assenza forzata, per «analizzare le implicazioni politiche e amministrative e garantire la continuità e l’efficienza nella gestione della Regione».
Soprattutto perché presa alla «luce dei recenti sviluppi, che hanno coinvolto il presidente Giovanni Toti», che nuovi non sono perché la seconda ordinanza ai domiciliari per violazione della legge sul finanziamento dei partiti rilegge in un modo diverso gli stessi fatti che già sono contestati come corruzione. Si sarebbe aspettato più lealtà quando l’ordinanza gli è stata notificata proprio il giorno della manifestazione con cui il centrosinistra chiedeva le sue dimissioni.
Questo quadro mette in forse, si dice negli ambienti «totiani», l’incontro con il leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini che non è stato più riprogrammato dopo essere saltato venerdì scorso perché Toti doveva essere interrogato sulle nuove accuse. Il governatore sente che è arrivato il momento di affrontare una situazione in stallo sia sul fronte politico che su quello, non meno importante, giudiziario.
Da subito dopo gli arresti del 7 maggio, negli uffici della Procura diretta da Nicola Piacente si sta valutando se chiedere per Toti, Spinelli e per l’ex presidente dell’Autorità portuale Paolo Signorini, tutti in custodia ai domiciliari, il giudizio immediato «cautelare» che si svolge con gli imputati che restano in stato di detenzione per l’intero processo.
Per scongiurare questa prospettiva, Toti dovrebbe dimettersi dalla carica perché così, molto probabilmente, tornerebbe libero. La sua non sarebbe una semplice minaccia, assicurano i suoi
(da Corriere della Sera )
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
META’ DELLA POPOLAZIONE NON SARA’ IN ETA’ LAVORATIVA E LA MEDIA SARA’ DI CIRCA 50 ANNI
L’inverno demografico in Italia è sempre più una realtà. In base ai nuovi dati Istat la popolazione residente è in decrescita: da circa 59 milioni al 1° gennaio 2023 a 58,6 milioni nel 2030, a 54,8 nel 2050 fino a 46,1 milioni nel 2080. E il dato preoccupante è che il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2023 a circa uno a uno nel 2050. Con un’età media di 51,5 anni entro il 2050 (50,8 per l’Italia). Particolarmente colpito sarà il Mezzogiorno con un processo di invecchiamento più rapido.
Lo spopolamento del Mezzogiorno
Un dato particolare, che merita un ulteriore analisi è il progressivo spopolamento che investe tutto il territorio, ma con differenze tra Nord, Centro e Mezzogiorno. «Secondo lo scenario mediano, nel breve termine si prospetta nel Nord (+1,5‰ annuo fino al 2030) un lieve ma significativo incremento di popolazione, al contrario nel Centro (-0,9‰) e soprattutto nel Mezzogiorno (-4,8‰) si preannuncia un calo di residenti. Nel periodo intermedio (2030-2050), e ancor più nel lungo termine (2050-2080), tale quadro evolutivo si espande, con un calo di popolazione generalizzato in tutte le ripartizioni geografiche ma che conserva più forza in quella meridionale» spiega l’ISTAT. Il Nord potrebbe ridursi di 2,6 milioni di abitanti entro il 2080 ma di appena 50mila se si guardasse al 2050. Al Mezzogiorno, invece, la popolazione nel 2080 potrebbe ridursi di 7,9 milioni di abitanti, 3,4 milioni dei quali già entro il 2050. Questo perché, sottolinea l’Istat stessa, al Nord è potenzialmente possibile vedere anche un percorso di costante crescita demografica (fino a 28,7 milioni di residenti entro il 2080), come rappresentato dai limiti superiori dell’intervallo di confidenza. Viceversa, tanto nel Centro quanto nel Mezzogiorno tale possibilità non è mai contemplata, nemmeno sotto le ipotesi più ottimistiche.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
POI LA STOCCATA ALLA LEGA: “SPERO SI POSSA ANCORA DIRE SINDACA”
“Ogni atto rivolto contro la libera informazione è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica”, scandisce Sergio Mattarella “con riferimento ai fatti di Torino”. Dove un giovane giornalista è stato pestato come ai tempi del fascismo soltanto perché, in una pubblica via, stava riprendendo col suo cellulare un raduno neofascista di CasaPound.
Le parole di Mattarella sono pietre.
E che contrasto oggi, qui nel Salone dei Corrazzieri gremito di direttori dei giornali, i quirinalisti al gran completo, le firme di agenzie, tv e radio, con quel che si era visto ieri al Senato, dove Ignazio La Russa aveva colpevolizzato Joly, per non essersi dichiarato un rappresentante della stampa.
La Russa con l’aria del guascone aveva detto terribili cose. Mattarella, serio, ritto, deve ricordare quali sono i fondamentali in una democrazia. (Triste il Paese dove un Capo dello Stato deve ricordare cose ovvie).
Cosa ne pensa dell’inchiesta di Fanpage, gli domanda il presidente dell’Associazione stampa parlamentare Adalberto Signore, che gli consegna il Ventaglio, una tradizione lunga 131 anni.
Anche Giorgia Meloni, quella notte a Bruxelles, aveva tirato in ballo il Quirinale, per l’inchiesta su Gioventù nazionale, che rivelava antisemitismo e culto del Duce. Che ne pensa Mattarella, aveva chiesto.
Ecco come la pensa Mattarella: “Si vanno infittendo, negli ultimi tempi, contestazioni, intimidazioni, se non aggressioni, nei confronti dei giornalisti, che si trovano a documentare fatti. Ma l’informazione è esattamente questo”.
L’informazione è questo.
“Documentazione dell’esistente, senza obblighi di sconti. Luce gettata su fatti sin lì trascurati. Raccolta di sensibilità e denunce della pubblica opinione. Per citare Tocqueville: democrazia è il potere di un popolo informato”.
I giornalisti – ammonisce – si trovano ad “esercitare una funzione di carattere costituzionale che si collega all’articolo 21 della nostra Carta fondamentale, con un ruolo democratico attivo”.
La democrazia è conoscenza. L’informazione è un anticorpo.
Si può, guardando in controluce le affermazioni del presidente della Repubblica su CasaPound, essere autorizzati a pensare che al Quirinale ritengono che un movimento che fa della violenza parte della sua identità debba essere sciolto, perché in contrasto con la Costituzione?
Il Capo dello Stato ha quindi invitato a eleggere il quindicesimo giudice della Consulta, “un invito con garbo”, lo definisce. Eleggetelo subito, dice al Parlamento. E l’altra immagine che colpisce è quella di una lettera ricevuta dai detenuti di Brescia, “straziante”, la definisce, sulle condizioni in cui sono costretti a vivere. Di carceri, (la civiltà di un Paese si vede dalle sue galere), Mattarella non si stanca di parlare. Come non si stanca di parlare di Ucraina: Ue e Nato “sostenendo l’Ucraina difendono la pace”.
“Spero si possa dire ancora ‘sindaca’”: la stoccata di Mattarella alla Lega
Mentre non manca una stoccata alla Lega. “Spero si possa ancora dire ‘sindaca’”. Questo l’inciso di Mattarella quando, nell’elencare le personalità colpite da attentati, oltre a Trump, ha citato la “sindaca di Berlino”, usando il femminile. Riferimento nemmeno troppo velato alla proposta della Lega, poi ritirata, che avrebbe voluto vietare negli atti pubblici il genere femminile.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
SERVE ANCHE UNA “PIENA ATTUAZIONE DEL PNRR”…I TIMORI SU SPESA E DEBITO, LA MANOVRA CHE, A DIFFERENZA DI QUEL CHE DICE GIORGETTI, SARA’ “LACRIME E SANGUE”
Il Fondo monetario internazionale ammonisce l’Italia sui conti pubblici. «È urgente un aggiustamento fiscale risoluto e incisivo», spiega il board esecutivo del Fmi concludendo la missione periodica in Italia, l’Article IV.
Dopo l’avviso preliminare del 20 maggio, arriva la conclusione del rapporto. Che sottolinea come, nonostante la ripresa in corso, i deficit fiscali siano «molto più ampi rispetto a quelli pre-Covid». Non solo: «Con l’aumento delle pressioni latenti sulla spesa, il debito pubblico e il fabbisogno finanziario rimangono molto elevati».
Pertanto, secondo il Fmi, serve una rivoluzione su fisco e pensioni, oltre che una piena attuazione del Pnrr. Un monito che arriva nell’ultima settimana di luglio e che apre, in anticipo, la discussione sulla prossima legge di Bilancio.
Allarme confermato. Dopo l’analisi preliminare di metà maggio, l’istituzione guidata da Kristalina Georgieva ribadisce che l’Italia sta frenando.
Il Pil calerà dal +0,9% dello scorso anno allo 0,7% del 2024, per poi restare sotto quota 1% nel prossimo biennio. A rallentare sarà anche la domanda domestica, che dal 2% dello scorso anno si fermerà a quota 0,1% nel corrente.
Ma sono deficit e debito a preoccupare. Il primo resterà sopra il 3,5% del Pil per i prossimi due anni. Il secondo salirà: dal 139,1% del Pil dell’anno in corso al 142,1% del 2026.
Una tegola che richiede un aggiustamento fiscale considerato più che doveroso. E in tal senso arriva la prima raccomandazione. Il Fmi sottolinea come «l’attuale posizione ciclica favorevole dell’economia» rappresenti «un’opportunità per realizzare un avanzo primario pari al 3% del Pil, revocando le misure volte ad attutire gli choc del passato, riducendo le politiche fiscali e di spesa inefficienti».
Ciò che preoccupa è la dinamica del fardello da quasi 3.000 miliardi di euro sulle spalle della Repubblica, in aumento. Ed ecco il consiglio più marcato: «I quadri per la gestione del debito dovrebbero essere rafforzati». L’obiettivo ultimo è evitare oscillazione dello spread e turbolenze nelle prossime emissioni di bond sovrani.
Proprio il tema del debito potrebbe diventare cruciale nei prossimi anni. Secondo gli esperti del Fmi, «tassi di interesse significativamente più alti del previsto potrebbero riaccendere preoccupazioni riguardo ai legami tra debito sovrano-banche-imprese».
Un ulteriore monito, data l’autarchia obbligazionaria che ha contraddistinto i collocamenti degli ultimi due anni.
A mitigare i rischi al ribasso ci può essere il Recovery Fund. Che secondo Washington è considerato «una priorità». Tuttavia, si rimarca, «un’attuazione incompleta della spesa del Pnrr e dell’implementazione delle riforme indebolirebbe ulteriormente la crescita economica, mentre disavanzi fiscali ancora ampi potrebbero erodere la fiducia degli investitori, indebolendo ulteriormente le finanze pubbliche». Una situazione in cui né l’Italia né l’Ue vorrebbero trovarsi.
(da la Stampa)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
L’IPOTESI E’ SPACCHETTARE LE DELEGHE ORA NELLE MANI DI FITTO CON IL RISCHIO DI UN VALZER DI SOTTOSEGRETARI (E DI SCASSARE LA MACCHINA CHE SOVRINTENDE ALLA MESSA A TERRA DEL PNRR, GIA’ IN RITARDO)
La nomina a commissario europeo di Raffaele Fitto contiene un paradosso. Di fatto l’unico uomo fidato della premier che passerebbe senza patemi l’esame dei parlamentari, aprirebbe al tempo stesso dei problemi a Roma. Per sostituirlo serve un politico (di Fratelli d’Italia) e non si trova.
Un tecnico, infatti, saprebbe gestire la complicata macchina del Pnrr, che il ministro crede di aver ormai indirizzato, ma si troverebbe in difficoltà nel caso, assai probabile, di conflitti con gli enti locali. Fitto aveva pensato alla promozione del suo capo di gabinetto Ermenegilda Siniscalchi. L’idea però ha raccolto più d’una perplessità nel governo: «Ma ci parla lei con Emiliano e De Luca?».
Niente rimpasto, è la parola d’ordine, eppure qualche ritocco potrebbe arrivare presto.
La probabile sostituzione del ministro agli Affari europei è un nodo che si sta aggrovigliando. A quel ministero, in teoria senza portafoglio, è stata assegnata una quantità enorme di deleghe: Sud, Coesione e Pnrr e, appunto, i rapporti con l’Ue.
Il ministro in sostanza è prigioniero, almeno per ora, di tutte queste materie. Per un Fitto che se ne va quindi servirebbero almeno tre figure da coinvolgere. Il fatto che il problema non sia di poco conto lo dimostrano le parole di un ministro che di solito le misura con attenzione, come Luca Ciriani: «Semmai ci fosse la necessità di aggiustamenti, mi sento solo di garantire che non saranno traumatici». […] La premier è ancora convinta che quella dell’attuale ministro degli Affari europei sia l’unica scelta forte se si vuole ottenere il “portafoglio di peso”, priorità assoluta nei negoziati in corso a Bruxelles, che entreranno nel vivo la prossima settimana.
Il punto che Meloni ha indicato sin dall’inizio è quello di evitare un rimpasto che la costringerebbe a salire al Quirinale e che aprirebbe vertenze complesse anche con gli alleati. Per evitare di mettere mano alla squadra in questa fase (prima che il caso giudiziario di Daniela Santanché costringa a farlo), bisogna tenere le deleghe all’interno di Palazzo Chigi, spacchettandole, tenendo per sé gli Affari europei almeno per qualche tempo e assegnando il Pnrr al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano
L’ex magistrato, però, secondo fonti di Fratelli d’Italia, ha fatto presente alla premier che il compito sarebbe troppo gravoso, viste le materie di cui Mantovano già si occupa, a cominciare da quelle sui servizi segreti, come dimostra la sua presenza ieri a fianco di Meloni nel corso dell’audizione al Copasir. Il rifiuto, ben motivato, del sottosegretario ha complicato i piani della premier.
Anche l’altro sottosegretario alla presidenza, Giovanbattista Fazzolari, ha in carico troppi dossier (compreso quello della comunicazione) per prendere sulle spalle il più corposo di tutti. Al tempo stesso Fitto ha avvisato che spacchettare eccessivamente il suo ministero rischierebbe di far saltare tutti i meccanismi ormai oleati da due anni.
La questione della sostituzione di Fitto, come detto, non farà scattare nelle intenzioni di Meloni un rimpasto, ma un ritocco alla squadra potrebbe riguardare il secondo livello, ovvero i sottosegretari. A Palazzo Chigi sottolineano come ci siano due caselle ancora da occupare. Due membri del governo, che si sono dimessi per questioni giudiziarie, Augusta Montaruli e Vittorio Sgarbi, non sono stati mai rimpiazzati. I due “buchi” potrebbero far comodo in questa situazione. Anche se ci sono due ministeri che più di tutti hanno richiesto dei nuovi innesti: l’Economia e i Rapporti con il Parlamento.
In via XX settembre potrebbe finire la deputata pugliese Ylenja Lucaselli, mentre più complesso appare l’approdo di Sara Kelany, fedelissima di Fazzolari, nella squadra di Ciriani. Un posto potrebbe arrivare anche per altri esponenti di FdI, a cominciare da Marco Osnato, presidente della commissione Finanze della Camera. La questione però più urgente resta quella del Pnrr. Altri nomi finiti sul tavolo della premier sono quelli di Galeazzo Bignami (attuale sottosegretario ai Trasporti) e quello della stessa Lucaselli.
Per le altre deleghe, Sud e Affari europei, esistono le candidature di Nello Musumeci (che attualmente dirige il dicastero del Mare) e quella del viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli. Ma entrambi i nomi stanno trovando resistenze all’interno del partito. In particolare, Cirielli, che pure ha portato in dote un numero consistente di voti alle Europee, viene considerato troppo disinvolto nell’uscire dalla linea del partito
(da la Stampa)
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