Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
UNA PRESA DI COSCIENZA DEI DATORI DI LAVORO CHE SFRUTTANO I LAVORATORI IRREGOLARI, CON PAGHE DA MISERIA? UN CAZZO, TEMEVANO I CONTROLLI DELL’INPS E DEI CARABINIERI
La morte di Satnam Singh non è stata vana Dopo la sua morte la Direzione regionale Lazio dell’Inps e il Comando provinciale dei carabinieri di Latina hanno avviato una vasta operazione di controlli contro il lavoro nero, provocando così una lunga serie, mai vista prima, di contratti di lavoro regolari.
Era il 18 giugno quando Satnam Singh, un bracciante indiano che lavorava in un’azienda agricola di borgo Santa Maria, è rimasto mutilato per un grave incidente sul lavoro ed è stato poi abbandonato senza ricevere alcun soccorso. Da lì qualcosa è cambiato, sono state avviate ispezioni a tappeto da parte dei carabinieri nelle aziende agricole di Latina, Terracina, Sperlonga e Fondi grazie alla collaborazione sperimentale tra Inps e Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura. Le aziende “a rischio” sono state individuate con un attento lavoro di incrocio delle reciproche banche dati.
E così il lavoro sommerso, all’improvviso, è stato finalmente costretto ad emergere.
I numeri forniti da Inps e carabinieri, parlano chiaro: nel territorio pontino dal 1 giugno al 15 luglio, si sono registrate 7.368 assunzioni a tempo determinato rispetto alle 4.790 avvenute lo scorso anno nello stesso periodo. Con un aumento del 53,8%.
È ancora più evidente la sproporzione tra 1742 contratti stilati dal 1 al 18 giugno, giorno della tragica morte di Singh, e i 3287 fatti tra il 19 e il 30 giugno. Per poi andare avanti così con altre 2339 assunzioni dal 1 al 15 luglio. Non è un caso, probabilmente, che i picchi giornalieri di assunzioni si siano verificati sempre il giorno dopo i controlli sul territorio.
(da la Stampa)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
COME LE ALLUCINAZIONI COLLETTIVE DEGLI ANTICHI SCIAMANI
Gli antichi sciamani usavano i funghi sacri per forzare le allucinazioni collettive. Alla coalizione della nostra destra basta l’autoipnosi. Da giorni va dicendo che in Europa ha vinto le elezioni, anche se le ha perse. E che comunque non cambia nulla perché noi siamo il terzo Paese fondatore, quindi le nomine dei prossimi commissari ci spettano di diritto. Come no. E dicono che anche se i tre partiti di governo hanno votato in ordine sparso su Ursula von der Leyen – la Lega: no; Forza Italia: sì; Fratelli d’Italia: ni – non cambia la compattezza a Roma, né la centralità a Bruxelles.
E guardando oltreatlantico, aggiungono – per blando sussurro del ministro degli Esteri Tajani – che il nostro rapporto d’amicizia, non sudditanza, amicizia, con gli Usa, non cambierà sia che la spunti The Donald, “il truffatore” o che trionfi Kamala, “la procuratrice”, perché “lavoreremo bene con entrambi”.
Perfetto: tutto secondo i piani, quando i piani comprendono il bianco e il nero, il bagnato e l’asciutto.
Toccherà chiedere a un eminente sciamano come Sabino Cassese a cosa diavolo servano le elezioni e se per non cambiare nulla, inventandosi tutto, basti e avanzi la psilocibina che usano alla buvette.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
TEMPO QUALCHE ANNO SARANNO FONDALI MARINI… ANDATEVI A PRENDERE QUEI BORGHI CHE DANNO VIA A UN EURO PER RIPOPOLARLI, SONO LE SPIAGGE DEL DOMANI
Sono ore agitate sui bagnasciuga d’Italia, e non perché siano state avvistate meduse al largo o tracine a riva o vermocani in agguato come squali di Spielberg. Un tempo, “in riva al mare” era luogo romantico o tutt’al più meditativo, dove lasciar andare i pensieri all’orizzonte come messaggi in una bottiglia – e chissà dove arrivavano se arrivavano; oggi invece la riva del mare è una trincea, la linea rossa, il fronte più caldo. Sto parlando – ovviamente e banalmente, anzi balnealmente – dell’annosa vicenda dei balneari d’Italia, e che vede coinvolti, oltre ai sopraddetti, anche il governo, il Parlamento, la Consulta, il Consiglio di stato, l’Unione europea. E infine noi, i bagnanti: stanchi, accaldati, pronti a essere spennati per un posto al sole – e un po’ di ombra, e un ghiacciolo al limone, e uno spaghetto allo scoglio, totale 170 euro.
Non sto qui a ricapitolare, la vicenda delle concessioni balneari (non rinnovabili automaticamente ma da mettere a gara secondo la legge) è nota; ma siamo arrivati al punto che sia l’Europa che i balneari stessi chiedono al Parlamento di intervenire; ma quelli – i parlamentari, dico – il 15 agosto chiudono per ferie e vanno in spiaggia, appunto. Dove rischiano però di trovare chi gli sputa in un occhio, meglio se quest’anno la politica va in montagna.
L’ultima notizia “dal fronte” infatti è che i balneari minacciano lo sciopero. Cioè? Chiudono gli stabilimenti e gli ombrelloni, dicono. A parte il fatto che è esattamente ciò che diverse sentenze gli dicono di fare da anni, quindi più che una protesta pare la corretta applicazione della norma; ma soprattutto è un disservizio più che aggirabile da parte del villeggiante ombrellone munito. Oltretutto il fronte balneare non è compatto: dalla Versilia fanno sapere che loro non aderiranno allo sciopero degli ombrelloni “perché noi non abbiamo gli ombrelloni ma le tende, che non si chiudono”. E dato che anche l’accesso alla spiaggia mica lo puoi impedire, la serrata con sdraio e lettini fa ridere i polli, e anche se fai un muro con la sabbia bagnata quello si tira giù più facilmente di un tramezzo in cartongesso che manco devi chiamare l’operaio, lo fai a mani nude, tocca allora trovare altre forme di protesta; ed è un attimo che si degenera nella lotta armata con secchiello e paletta, o intimidatorie teste mozzate di cavalluccio marino messe nel letto dei parlamentari preposti a legiferare in materia, o plichi anonimi ai direttori di giornali con dentro infradito usate.
Ancora una volta e nonostante il caldo tocca a me cercare una soluzione, proporre un compromesso possibile, dalla “colonna infame” di questa folle rubrica. Mi rivolgo ai balneari, allo spirito imprenditoriale al quale loro stessi si appellano per giustificare la loro occupazione del litorale. Vengo in pace, ma lasciate che lo stato si riprenda le sue spiagge. Tempo qualche anno saranno fondali marini. Voi piuttosto, andatevi a prendere quei borghi che vanno via a un euro per ripopolarli, o le case cantoniere abbandonate, o l’entroterra più brullo e desolato: sono le spiagge di domani, i lungomare del 2040. Il presente è il passato; voi investite nel futuro, cioè nei cambiamenti climatici, nel riscaldamento globale, nell’innalzamento dei livelli del mare. Diranno che siete pazzi, quando aprirete i vostri nuovi stabilimenti in cima a una collina; voi non rispondete, aspettate solo qualche anno, quando verranno a chiedervi – a nuoto – se avete un lettino e un ombrellone liberi in prima fila, vicino al mare.
(da ilfoglio.it)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
IL BUTTAFUORI DEL LOCALE HA CERCATO SENZA SUCCESSO DI FERMARLO, E COSÌ LA 21ENNE HA DECISO DI SBRIGARSELA DA SOLA, SFERRANDO DUE GANCI PERFETTI CHE LO HANNO MANDATO K.O
Una serata di festa trasformata in un incubo, ma con un finale a sorpresa: è quello che è successo ad Alisa Irina, 21enne campionessa russa di MMA, molestata fuori da un locale a Belgorod durante la sua festa di compleanno.
Nel video si vede un uomo avvicinarsi ad Alisa con fare insistente, ignorando le sue richieste di allontanarsi.
La ragazza chiede aiuto al buttafuori del locale, ma senza successo.
A quel punto, Alisa decide di prendere in mano la situazione: con un fulmineo uno-due, mette KO il molestatore, che crolla a terra privo di sensi.
Applausi
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
TUTTO IL PAESE E’ BLOCCATO MA IL LEGHISTA FA FINTA DI NULLA
Vista dall’agenda di Matteo Salvini, l’Italia dei trasporti è un Paese che va a meraviglia. Si aprono cantieri, partono nuove infrastrutture, non si fa altro che volare e prendere il treno (in orario, si intende). Nulla che accenni ai disastri successi nelle ultime settimane, con i tabelloni delle stazioni e degli aeroporti costretti a intasare la colonna dei ritardi senza che ai milioni di viaggiatori vittime di disagio arrivino troppe spiegazioni.
Chissà come avrebbe reagito la Lega, se al posto di Salvini ci fosse stato un Danilo Toninelli qualunque. Invece tutto scorre placidamente, dentro una costante retorica da “Paese che corre”. Per il momento, a correre c’è soltanto il ministro, instancabile tagliatore di nastri in giro per l’Italia.
Ieri, per dire, era a Benevento alla cerimonia di avvio di tre “talpe” per l’Alta velocità Napoli-Bari. Il giorno prima, Salvini era a Catania per brindare all’apertura di due nuovi stazioni della metropolitana: di certo importanti per il territorio, ma forse non proprio centralissime in una giornata infernale per i trasporti su aerei e treni, come riscontrabile da chiunque abbia messo piede in un aeroporto o in una stazione.
Il Gran Turismo di Salvini ha radici profonde. Alle obiezioni lui risponde da sempre, legittimamente, che gira l’Italia per conoscere opere e cantieri e per stare a contatto con il territorio. Stride un po’ però ripensare a quando, a maggio, motivò la decisione di non candidarsi alle Europee con una presunta mancanza di tempo: “Non mi candido perché faccio il ministro e mi occupo di treni, codice della strada e casa degli italiani”. Nelle settimane successive avrebbe ugualmente iniziato un tour frenetico che teneva insieme eventi elettorali e appuntamenti istituzionali, talvolta con un confine molto labile. Anche dopo le elezioni, il trend non sembra cambiato di molto. Riavvolgendo il nastro di circa un mese, con ancora la coda delle Amministrative, nella settimana tra il 17 e il 23 giugno Salvini gira la Toscana (Ponsacco e Figline), la Lombardia (Cremona, Milano, Samarate), il Veneto, con tappe a Montecchio Maggiore e Portogruaro e infine l’Emilia Romagna (Ponte Taro).
Poi arriva luglio, mese caldo per le partenze e pure per l’agenda del ministro. Il 4 luglio Salvini va a Cortina per un sopralluogo in vista delle Olimpiadi invernali 2026, ma non fa in tempo a tornare a Roma che è già ora di proseguire verso Sud: il 5 luglio tocca a Maglie (Lecce) ricevere il ministro. L’appuntamento è per la consegna dei lavori del primo lotto della Statale 275, giusto giusto prima di raggiungere Bruno Vespa nella sua masseria di Li Reni per un’intervista serale. Il tutto sorvolando su sopralluoghi ed eventi a Roma, molto più a portata di taxi. C’è un ministero dei Trasporti da presidiare, ci sono i question time in Parlamento e le riunioni di governo e di partito. Impegni molto meno stimolanti delle inaugurazioni, va detto.
E infatti l’11 luglio Salvini è a Salerno per il debutto dell’aeroporto, insieme al governatore Vincenzo De Luca. Quattro giorni più tardi vola a Genova per un classico: “L’Italia dei sì”, un format che il leader leghista porta in giro per le Regioni raccontando l’operato del suo ministero e i progetti in cantiere. A marzo Il Fatto aveva raccontato che questi eventi non sono a carico delle casse della Lega, ma del ministero dei Trasporti e di Ram, una sua controllata. Il costo per ogni tappa, in media, è finora stato superiore ai 50 mila euro.
E poi si arriva agli ultimissimi giorni, quando tra l’altro i viaggi di Salvini hanno fatto lo slalom tra gli stessi disagi toccati agli italiani. La scorsa settimana, il 19 luglio, il ministro si sposta da Roma a Linate con un volo Ita per sua fortuna non coinvolto nelle cancellazioni, poi va a Piacenza per firmare un protocollo di intesa per un nuovo scalo merci e nel tardo pomeriggio torna a Milano per l’imperdibile assemblea annuale di Confagricoltura. Sui social montano le proteste per la giornata nera degli spostamenti, ma è nulla in confronto a quello che sarebbe successo questa settimana. Oggi il leghista risponde a un question time alla Camera: con un po’ di fortuna, capiremo cos’ha da dire sul disastro in corso.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO ANNUALE SULLO STATO DI DIRITTO ATTACCA L’ITALIA SUINFORMAZIONE E GIUSTIZIA
Il rapporto annuale della Commissione Europea sullo Stato di diritto è molto critico con l’Italia. Boccia la riforma costituzionale del premierato ed esprime preoccupazioni e dubbi su quella della Giustizia di Carlo Nordio. Il documento era stato congelato alla vigilia del voto per le elezioni europee. Secondo molti, a causa del tentativo da parte di Ursula von der Leyen di avvicinare i voti dei parlamentari europei di Giorgia Meloni. Oggi Repubblica ne anticipa i contenuti. E le critiche nei confronti del nostro paese. A redigerlo il liberale belga Didier Reynders, commissario alla Giustizia Ue. E al paragrafo IV di pagina 31, si fa il punto sulla riforma già approvata in prima lettura al Senato.
Il premierato
Il rapporto spiega che l’obiettivo della maggioranza è assegnare «più stabilità» al sistema istituzionale e poi si sottolinea: «Con questa riforma non ci sarà più la possibilità per il Presidente della Repubblica di cercare una maggioranza alternativa o individuare una persona fuori dal Parlamento come Primo ministro». Mentre «alcuni stakeholders hanno espresso preoccupazioni sulle modifiche proposte in relazione all’attuale sistema di “check and balances” e anche dubbi che possa portare più stabilità». Ricordando anche le critiche dei costituzionalisti al ruolo depotenziato del Capo dello Stato. In più, secondo la commissione manca un punto chiave. Ovvero la legge elettorale. La Commissione critica anche l’eccessivo ricorso a decreti legge da parte dell’esecutivo. Ma c’è anche un altro problema: la giustizia.
La riforma Nordio
«In alcuni Stati membri sussistono preoccupazioni per l’eccessiva pressione esercitata sulla magistratura da parte di politici o a livello di esecutivo, e vi sono anche prove di pressioni provenienti da paesi terzi. Il rischio che le dichiarazioni pubbliche dei governi e dei politici possano compromettere l’indipendenza della magistratura o la sua percezione da parte del pubblico ha suscitato preoccupazioni in Slovacchia, Italia e Spagna», si legge nel testo. Mentre l’abolizione dei reati di abuso d’ufficio e traffico di influenze «potrebbe avere implicazioni per le indagini e l’individuazione di frodi e corruzione». Così come la restrizione all’uso delle intercettazioni «potrebbe ridurre la capacità di condurre processi anche nei casi di corruzione». In più, «manca ancora una legge sul conflitto di interessi e sulla disciplina delle lobby». E c’è sempre il problema dell’eccessiva durata dei processi: «Sebbene la loro unghezza stia avendo un trend positivo rimane ancora una sfida seria».
L’informazione
Un altro tema è l’informazione. «Diversi stakeholder ritengono che determinino una restrizione della libertà di stampa e del diritto dei cittadini di essere informati », si scrive. Mentre «le preoccupazioni maggiori riguardano un possibile effetto agghiacciante sui giornalisti che sono maggiormente esposti alle querele per diffamazione», osserva la Commissione. Infine, il documento di Palazzo Berlaymont ricorda che lo scorso anno era già stata emessa una raccomandazione «per la riforma della legge sulla diffamazione al fine di introdurre misure di salvaguardia del segreto professionale. Ma non sono stati compiuti passi avanti».
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
E PENSARE CHE IL CIRCOLO E’ CENSITO SU TRIPADVISOR: “POSTO ADATTO SE SEI APPASSIONATO DI FASCISMO”
La cosa più sorprendente di tutta la vicenda «Asso di Bastoni» non è che i fascisti facciano il saluto romano, inneggino al duce, cantino «Faccetta nera» e picchino chi non gli è simpatico. In fondo, sono fascisti ed è la loro natura. È un po’ come stupirsi che un ladro si metta a rubare. Piuttosto, è che lo facciano senza problemi, durante una festa in strada ampiamente annunciata, corredata da dj e fuochi artificiali (e finita con un’aggressione al giornalista Andrea Joly); e che le forze dell’ordine non ne sappiano niente. Oppure lo sapevano e l’han trovato un fatto «normale»: anche peggio. Però non è che per identificare l’Asso di Bastoni per quello che è, cioè un covo di fascisti, bisognasse mettere su una task force investigativa.
Bastava farsi un giro su Trip Advisor, dove il circolo è così rappresentato da un suo convinto estimatore fin dal 2017: «Sei appassionato dell’epoca del fascismo? È il posto adatto! Bellissimo, accogliente, cibo e birra ottimo (sic), prezzi onesti e per finire: meglio un giorno da leoni che cento da pecora! Grazie per questa bellissima emozione!».
Recensione lasciata da «Vale R», che, per completezza di informazione, così descrive altrove il parco del Valentino: È un posto bellissimo e se non fosse per tutti gli extracomunitari sarebbe molto più bello!».
Peraltro su Trip Advisor il locale gode di una lusinghiera valutazione di 4,5 su 5. Ma forse in Questura si erano lasciati fuorviare dal nome, non avendo interpretato il bastone come manganello, ma nel senso esoterico della carta dei tarocchi di Marsiglia a cui si ispira.
Cito dal sito 7Tarocchi.it: «L’Asso di Bastoni diffonde un’energia molto maschile, che mette in risalto l’idea di nascita, azione, fertilità. L’energia dell’arcano è da ricercarsi proprio nella sessualità, ovvero in quel desiderio vitale di piacere e di creazione proprio di ogni essere umano».
Insomma, forse l’hanno considerato una specie di locale per scambisti. Anche se nel settore la Questura aveva dimostrato, in altri casi, mano ben più salda: ricordate la chiusura di «Lumidolls», il locale dove ci si accoppiava con bambole al silicone? Si vede che le bambole costituivano per la cittadinanza una minaccia più seria degli squadristi di CasaPound.
Un’altra possibilità è che l’Asso di Bastoni sia stato frainteso per un circolo di tifosi interisti intitolato all’omonimo difensore nerazzurro e i fuochi artificiali con una celebrazione per la conquista dello scudetto. Quanto a «Faccetta nera», forse un omaggio simpaticamente goliardico a uno dei giocatori di colore della squadra di Inzaghi. Né, infine, è esclusa l’ipotesi che la denominazione «Asso di Bastoni» sia stata superficialmente interpretata come quella di un circolo di anziani dediti alla pratica dello scopone scientifico.
Può succedere, via; con tutto il daffare e le preoccupazioni per l’imminente festival dei No Tav… Però adesso che la natura del luogo e dei suoi frequentatori si è appalesata per quello che è (e con ludibrio pubblico per tutta la città), che vogliamo fare? Lo si potrebbe chiudere? O quantomeno abbassargli il rating su Trip Advisor?
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
NEGLI USA E’ RARO TROVARE UN TOP MANAGER CHE HA PIU’ DI 59 ANNI… E I COMIZI DI TRUMP SONO PROLISSI, RIPETITIVI E AUTOREFERNZIALI: HA DIFFICOLTA’ A LEGGERE I TESTI E SBAGLIA NOMI
Dovendo gestire un candidato carismatico, addirittura un pifferaio magico con un seguito enorme, che, però, punta su una retorica tutta rivolta al passato, non brilla per doti amministrative e non ama parlare di programmi, Chris LaCivita e Susie Wiles, i veri strateghi di Donald Trump, avevano costruito la campagna presidenziale come una battaglia di sopravvivenza politica fra Trump e Biden, non come una sfida basata sulla capacità di governo.
Il ritiro di Biden non è stato certo un fulmine a ciel sereno, ma il team di Trump, che aveva contemplato questa possibilità in primavera, cominciando a studiare le debolezze degli altri possibili candidati democratici, si era convinto che la finestra per un cambiamento del ticket fosse destinata a chiudersi col dibattito televisivo del 27 giugno.
Ora a Mar-a-Lago devono reimpostare da zero una campagna che era stata ottimizzata giocando sulla senilità di un presidente democratico in evidente e crescente difficoltà. Al confronto Trump, non privo di problemi ma più energico e disinvolto, sembrava molto più giovane. Da qui, come nota anche Anne Applebaum su The Atlantic, una convention repubblicana tutta giocata sulla rappresentazione della forza: dalla performance muscolare di Hulk Hogan all’energia di Kid Rock, ai cori «Fight! Fight! Fight!» ripetuti fino all’ossessione davanti a Trump col pugno alzato mentre sui maxischermi scorrevano le iconiche immagini della sua reazione insanguinata all’attentato.
L’impatto di quei fotogrammi resta, è ormai una pagina della storia americana, ma, dopo il ritiro di Biden, l’immagine di Trump cambia: da candidato più lucido e dinamico a ultimo grande vecchio della gerontocrazia politica Usa. Un leader che pronuncia discorsi sempre più prolissi, ripetitivi, autoreferenziali. Quello di oltre 90 minuti della convention l’abbiamo definito soporifero, meno efficace di quello pronunciato il giorno prima dal suo vice, J. D. Vance, ben prima del passo indietro di Biden. Ora che il presidente si è ritirato tocca a Trump finire nel mirino per gaffe e frasi incomprensibili: a volte perde il filo del discorso o snocciola incisi apparentemente privi di senso.
Accade da tempo, ma fino a ieri i riflettori erano puntati sui ben più gravi infortuni dialettici di Biden. Ora si spostano su The Donald e tutto fa notizia: dai nomi sbagliati alla difficoltà di leggere il testo sul teleprompter.
In un Paese che è ancora il più fresco e dinamico dell’Occidente, con un ceto imprenditoriale relativamente giovane (rari i top manager ultrasessantenni) e l’età media dei miliardari in continuo calo grazie alla spinta dell’economia digitale, la rinuncia di quello che l’Economist aveva definito President Lear (con riferimento alla tragedia del vecchio re Lear shakespeariano) è il segnale di non ritorno dello smantellamento dell’incredibile gerontocrazia che ha fin qui dominato la politica di questa potenza mondiale: non solo Biden e Trump, ma l’83enne Pelosi che ha lasciato la leadership democratica alla Camera ad Hakeem Jeffries, un cinquantenne; Joe Manchin, il senatore 76enne che ha tenuto a lungo in scacco la sinistra di Sanders, che non si ricandida, mentre lo stesso Bernie è ormai relegato al ruolo di «padre nobile» dei liberal. A destra, intanto, è arrivato al capolinea il leader dei senatori, Mitch McConnell (82 anni).
Rimane solo Trump. I suoi fan, che lo adorano, non badano all’età e alle frasi confuse. Ma non bastano a garantirgli l’elezione. Con Biden, i suoi la consideravano garantita. Prevedevano addirittura una vittoria a valanga con la possibile conquista anche di Stati fin qui solidamente democratici, dal Minnesota alla Virginia. Così lui si era concesso il «lusso» di scegliere come vice nel ticket un ultrà anziché un personaggio più moderato utile a recuperare voti tra i centristi. Ora quella scelta comincia ad apparire un errore. Ma lui minimizza: «Harris sarà più facile da battere di Biden, lei è molto più radicale di lui», ha osservato Trump ieri, dicendosi disposto «a partecipare a più di un dibattito» con lei.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2024 Riccardo Fucile
LA PROSSIMA SETTIMANA KAMALA ANNUNCERA’ LA SCELTA
La campagna presidenziale di Kamala Harris è già cominciata, sarà la più breve ma intensa della storia recente: alle elezioni mancano 106 giorni, senza considerare il voto anticipato.
Per questo la vicepresidente di sta muovendo con grande rapidità e in 32 ore si è assicurata il sostegno della maggioranza dei delegati, ipotecando di fatto la nomination del partito. Pare ormai certo che la «roll call», il voto che la renderà ufficiale, avverrà in modo virtuale a inizio agosto, per evitare il rischio di una convention aperta: lo deciderà oggi il comitato regolatore del partito.
Già la settimana prossima, quindi, la candidata democratica in pectore potrebbe annunciare il suo vice: a condurre il «vetting» — la verifica di ogni aspetto sensibile della loro vita pubblica e privata — sarà Eric Holder, il primo ministro di Giustizia afroamericano nominato da Obama nel 2009, con il suo studio legale Convinton & Burling.
Il senatore Kelly: l’«eroe americano»
Nelle ultime ore è emersa la figura del senatore dell’Arizona Mark Kelly, che siede nel seggio che fu di John McCain ed è considerato «un eroe americano»: 39 missioni aeree durante la guerra del Golfo, ex astronauta come il gemello Scott, è il marito dell’ex deputata Gabby Giffords, che fu quasi uccisa in una sparatoria di massa a Tucson l’8 gennaio 2011. Eletto nel 2020 in uno dei principali Stati in bilico, moderato, la sua scelta frenerebbe anche la narrativa di Trump sul proprio attentato.
L’eroe, nella storia di questa elezione, diventerebbe un altro: l’ex deputata a cui un ventenne sparò alla testa, che era stata data per morta e invece è sopravvissuta, che lotta ogni giorno per avere una vita normale e che da allora è diventata un’attivista per la regolamentazione delle armi.
A lanciare Kelly c’è la sua biografia atipica — sarebbe il primo vicepresidente a essere stato nello Spazio — a frenarlo la scarsa esperienza, il fatto che è un senatore come lo era Harris — in genere si cercano figure con esperienze diverse — e il rischio che il suo seggio torni poi in mano ai repubblicani. Anche per questo hanno preso forma le candidature di tre governatori, tre uomini bianchi che sarebbero nella short list di Harris e che servirebbero a «bilanciare» il ticket: Josh Shapiro della Pennsylvania, Roy Cooper della North Carolina e Andy Beshear del Kentucky.
Il solido Shapiro
Shapiro è forse il candidato più solido, anche perché senza la Pennsylvania i democratici difficilmente resteranno alla Casa Bianca. Eletto nel 2022, è stato come Harris procuratore generale del suo Stato per sei anni. Da governatore si è speso per proteggere il diritto all’aborto ed è stato apprezzato per la gestione delle emergenze: dal collasso della Interstate 95, devastata a giugno 2023 da un incendio, che poteva diventare un problema nazionale e invece ha fatto riaprire in 12 giorni, fino all’attentato a Trump. A 51 anni, ha legittime ambizioni: sarebbe il primo vicepresidente ebreo, ma il sostegno a Israele potrebbe danneggiarlo con l’ala sinistra del partito.
Il «preferito» Cooper
Il preferito di Harris sarebbe però Roy Cooper della North Carolina, 67 anni, anche lui ex procuratore generale, che ha lavorato a stretto contatto con la vicepresidente e ha assistito la campagna elettorale del vecchio ticket democratico. È una scelta di esperienza, un po’ come lo fu Biden per Obama: è stato deputato statale per quattro anni, senatore statale per dieci, procuratore per sedici e ora è governatore dal 2017. Non è detto che riesca a portarsi in dote il suo Stato che, negli ultimi 44 anni, soltanto Obama nel 2008 è riuscito a vincere per i dem.
Il giovane Beshear
Infine c’è Beshear, il più giovane del mazzo: ha 46 anni, è stato procuratore generale del Kentucky per quattro anni e ora ne è governatore da cinque, come suo padre Steve prima di lui. È stato eletto in uno Stato conservatore — l’ultimo presidente democratico a vincerlo fu Bill Clinton — e questo potrebbe limitarne le possibilità.
È però il più agguerrito e sarebbe una risposta alla mossa trumpiana su J.D. Vance, i cui nonni venivano dal Kentucky e che rivendica l’orgoglio degli Appalachi. «Voglio che gli americani sappiano come sono davvero le persone originarie del Kentucky», ha detto lunedì in tv nello show Morning Joe. «E lasciate che ve lo dica: J. D. Vance non è di queste parti».
(da Il Corriere della Sera)
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