Luglio 27th, 2024 Riccardo Fucile
UN VIAGGIO PERICOLOSO CON LA FIDANZATA OLGA KHARLAN, CAMPIONESSA UCRAINA DI SCIABOLA… OLGA UN ANNO FA RIFIUTO’ LA STRINGERE LA MANO A UNA COLLEGA RUSSA DOPO UN INCONTRO: NON SI STRINGONO LE MANI DEI COMPLICI DEL REGIME CRIMINALE
La seconda medaglia italiana, un bronzo, e un abbraccio al presidente Sergio Mattarella presente al Grand Palais: “Non potevo esimermi, l’ho e ci sono rimasto secco”. Quando arrivano le Olimpiadi, si accende Gigi Samele.
Dodici anni fa, ragazzo, aiutò la squadra a vincere la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra. Nove anni dopo, persa l’Olimpiade di Rio, ha conquistato un argento inaspettato a Tokyo, perdendo in finale solo contro l’ungherese Aron Szilagyi, al terzo oro olimpico consecutivo.
Ma dopo tre stagioni molto dure, a 37 anni ecco di nuovo il foggiano stabilito a Bologna tornare sul podio: bronzo nella sciabola nella prima giornata nella cornice maestosa del Grand Palais. “Incredibile aver preso due medaglie in due Olimpiadi consecutive – ha detto Samele. Bisogna crederci, come ho fatto io sin da bambino. Ho avuto momenti di sconforto, ma voleva troppo questa medaglia”.
Olga Kharlan, la fidanzata di Samele
Un bronzo che pesa moltissimo a livello simbolico: Samele è il fidanzato di Olga Kharlan, simbolo dello sport ucraino, campionessa anche lei di sciabola travolta dall’invasione russa nel 2022.
L’azzurro fu protagonista di un viaggio pericoloso con lei per portare in salvo la famiglia, i cui componenti rimasti in Ucraina sono spesso costretti a nascondersi per ore nel rifugio sotterraneo a Mykolaiv.
Lo scorso anno , ai mondiali di Milano, Olga Kharlan dopo la vittoria contro la russa Smirnova si rifiutò di stringerle la mano, in quanto rappresentante del Paese che ha invaso la sua terra. Per questo venne squalificata dal torneo.
(da agenzie)
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Luglio 27th, 2024 Riccardo Fucile
MA CHE VITELLO D’ORO, E’ IL TORO DI BRONZO DELLA FONTANA DEI GIARDINI DEL TROCADERO E NON HA ALCUN RIFERIMENTO BIBLICO
Esplodono le polemiche sulla cerimonia delle Olimpiadi di Parigi 2024. In queste ore, il presidente Gruppo Fratelli d’Italia al Senato Lucio Malan è saltato sulla sedia. «Che ci faceva il vitello d’oro, emblema dell’idolatria e della blasfema disobbedienza alla cerimonia di Paris 2024? In realtà era coerente con tutto il resto. Le Olimpiadi sono state solo un pretesto, tant’è vero che gli atleti erano messi al margine. Al centro c’era ben altro», ha scritto su Twitter.
Non si è reso conto,, conto che quello che ha definito vitello d’oro non è nient’altro che il toro di bronzo della fontana dei Giardini del Trocadero. Quel toro però si trova lì da parecchi anni e poco c’entra con i riferimenti biblici citati dal senatore di FdI. Si tratta di un’opera installata dall’Expo del 1937 in bronzo in cui sono raffigurati un toro e un cervo. Era stata realizzata dallo scultore Paul Jouve, autore di numerose altre statue che raffigurano animali.
(da Open)
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Luglio 27th, 2024 Riccardo Fucile
FDI 27,9%, PD 22,6%, M5S 13%, FORZA ITALIA 8,8%, LEGA 8%, VERDI-SINISTRA 6,4%
Il mese appena trascorso è stato denso di eventi, soprattutto internazionali. Il dato più rilevante riguarda gli Stati Uniti, con il fallito attentato a Trump e la sostituzione in corsa della candidatura di Biden con quella di Kamala Harris. La vicenda che invece ha coinvolto più direttamente il nostro governo è stata l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue. Il centrodestra si è diviso: FI, aderente al Ppe, ha votato a favore, FdI e Lega contro. La premier Giorgia Meloni ha ribadito che il ruolo dell’Italia in Europa non avrebbe subito contraccolpi. Ma è emersa l’evidente divisione tra gli alleati (accompagnata da esplicite polemiche tra i vicepremier) e molti commentatori hanno sottolineato il fatto che sia la prima volta che un Paese fondatore, e di grande peso, non partecipa alla maggioranza che sostiene la presidenza. Tra gli altri avvenimenti, i temi dell’Autonomia differenziata, della giustizia e l’aggressione di militanti di CasaPound a un giornalista della Stampa che ha suscitato grande clamore, coinvolgendo il presidente del Senato La Russa che ha espresso posizioni che sono sembrate «giustificazioniste».
Le ricadute sugli orientamenti di voto di tutti questi aspetti sono però poco consistenti. Dal mese scorso siamo tornati a rilevare le intenzioni di voto per le Politiche, il che comporta discrepanze anche rilevanti rispetto al recente voto europeo, prevalentemente dovute al differente livello di partecipazione alle due elezioni (più bassa alle Europee, più elevata, almeno potenzialmente, alle Politiche).
Oggi FdI è stimato al 27,9% (con pochi decimali in meno di un mese fa), FI è al secondo posto tra i partiti di governo con l’8,8% (+0,2) mentre la Lega fa registrare un calo più evidente, di poco meno di un punto, collocandosi in terza posizione nella compagine, all’8%, un risultato inferiore anche alle Politiche 2022.
Il panorama internazionale, e le polemiche sorte anche nel gruppo dei Patrioti sulla vicepresidenza del gruppo di Vannacci, hanno presumibilmente contribuito a questo risultato.
All’opposizione il Pd è al 22,6% (pochi decimali in meno rispetto a un mese fa), mentre cresce il M5S con il 13% e conferma la tendenza alla risalita rispetto al dato europeo, ancora sotto il risultato delle Politiche 2022 (15,4%).
Avs mantiene sostanzialmente il dato europeo: oggi è stimata al 6,4%. Stabili, infine, le forze che avevano dato vita a Stati Uniti d’Europa (+Europa all’1,6% e Iv al 2,3%; la somma dei due è sostanzialmente identica a risultato delle Europee) e in lieve crescita Azione che, con una stima del 3%, torna ad avvicinarsi al dato europeo.
Altrettanto si può dire della valutazione dell’esecutivo e della premier: il governo ha un indice di approvazione del 43, un punto in meno rispetto a un mese fa, Meloni un indice di 44, anch’esso in calo di un punto.
Quasi nulle le variazioni sull’approvazione dei leader, con la sola parziale eccezione di Tajani il cui indice scende di due punti (33). Da un lato conta la minore visibilità rispetto alla campagna elettorale, dall’altro, forse, hanno contribuito le recenti polemiche con Salvini. Sostanzialmente stabili gli altri leader: Schlein resta al secondo posto (31), Conte al terzo (31) e a seguire tutti gli altri da Salvini (23) a Renzi (13). Insomma, la politica internazionale influisce poco sulle opinioni degli elettori.
(da agenzie)
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Luglio 27th, 2024 Riccardo Fucile
“NON SONO DI SINISTRA PERÒ SUI TEMI CIVILI E INDIVIDUALI COMBATTIAMO LA STESSA BATTAGLIA. SE LE FORZE DEMOCRATICHE DI QUESTO PAESE SI UNISSERO NON SAREMMO QUI A PARLARE DI RAZZISMO E OMOFOBIA” … “VEDO UNA DESTRA MIOPE. OMOFOBA, STUPIDA, LONTANA DAL PAESE REALE”
Abbiamo intervistato Francesca Pascale, che si dice pronta a tornare in politica solo a questa condizione e a fianco di una Berlusconi (Marina). Ecco cosa ci ha detto in esclusiva “Il mio sogno è vedere Forza Italia, il mio partito di riferimento, con il Pd. E sì, sarei disposta a entrare in politica in prima persona”.
Ce lo dice Francesca Pascale in una sala di Palazzo Trigona, a Noto, a latere del talk “Riflessioni sulla Transizione”, organizzato da Giulia Borghese per il Val di Noto Summer Pride.
In prima fila c’è Francesca Pascale, che è la madrina di questo Summer Pride. A fine talk le chiedo una breve intervista e la domanda era sorta già spontanea come venere che esce dalle acque (non quella del Botticelli, che sorge da una cozza): “Alla luce delle dichiarazioni di Marina Berlusconi, che sui diritti civili ha detto di sentirsi più vicina alla sinistra, quando e se possiamo aspettarci un tuo impegno politico in prima persona?”.
“Io sono sempre stata attenta alla politica. La mia storia personale parla da sola – ci dice Francesca – Quello che ha detto Marina Berlusconi è esattamente quello che penso io. Non sono di sinistra però sui temi civili e individuali combattiamo la stessa battaglia. Vedo una Destra miope, omofoba, stupida, che non ha il polso della situazione e del paese reale, persino di gran parte del suo stesso elettorato. Mi piacerebbe impegnarmi in prima persona”.
Sorride e aggiunge: “Aspetto il partito giusto, che poi sarebbe Forza Italia, ma non questa Forza Italia”. “Alleata col Pd?” le chiedo. “È il mio sogno, se le forze democratiche di questo Paese si unissero non saremmo qui a parlare di razzismo e omofobia”. Poi saluta MOW con un sorriso e io mi ritrovo serio a pensare.
L’idea di Forza Italia con il Pd è stata ventilata da Roberto D’Agostino (come dei rapporti tesi tra i Berlusconi e Antonio Tajani). Dalle smentite si fiutava che c’era qualcosa di vero. Questo qualcosa di vero sta diventando “molto”. Come si dice “tanta roba”. Che protagonista di questa alleanza possa essere proprio Francesca Pascale è un’idea che stuzzica molto. E piace parecchio.
(da NowMag)
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Luglio 27th, 2024 Riccardo Fucile
“THE ATHLANTIC”, METTE SOTTO LA LENTE D’INGRANDIMENTO IL SUO PASSATO DA MARINE: NON AVREBBE MAI PARTECIPATO AD ALCUN COMBATTIMENTO IN IRAQ (“LA SUA SPECIALIZZAZIONE ERA ‘PUBLIC AFFAIR’: SCRISSE STORIE E SCATTÒ FOTO”)
D. Vance, il vice di Donald Trump, vanta la sua carriera di venture capitalist e il suo servizio nei Marine ma sui media Usa emergono alcune riserve. Il suo curriculum in campo finanziario ad esempio non è privo di macchie, scrive il Wall Street Journal.
Uno dei suoi investimenti più grandi, AppHarvest, un’azienda tecnologica di agricoltura indoor con sede nel Kentucky, alla fine ha dichiarato bancarotta dopo aver dovuto affrontare cause legali che sostenevano, tra le altre cose, che stava creando posti di lavoro nello stato che la gente voleva o per i quali non era formata.
Vance, che ha fatto brevemente parte del consiglio di amministrazione dell’azienda, ha investito tramite due diverse società di venture capital, tra cui la sua, Narya Capital Managemen. Non è chiaro quanto denaro Vance e i clienti del suo fondo abbiano investito o perso in AppHarvest. Quanto al suo dispiegamento come marine in Iraq, sottolinea The Atlantic, Vance non ha partecipato ad alcun combattimento. “La sua specializzazione quando fu mandato in Iraq era ‘public affair’, il che significa che scrisse storie e scattò foto'”, scrive l’autorevole periodico Usa.
(da agenzie)
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Luglio 27th, 2024 Riccardo Fucile
MANCANO I MEDICI, PRONTO SOCCORSO IN AFFANNO, INFERMIERI CON TURNI MASSACRANTI, TECONOLOGIE DA RINNOVARE: IN ITALIA SI E’ SMESSO DI INVESTIRE
Quando non trovano un posto per fare la risonanza in tempi accettabili, quando aspettano troppo a lungo di entrare al pronto soccorso o non riescono a reperire qualcuno che assista un proprio caro a casa. Quando devono pagare per operarsi prima, quando fanno mille chilometri per curarsi o sono ricoverati in ospedali vecchi e scomodi. Sono molte, sempre di più, le occasioni nelle quali gli italiani vivono direttamente la crisi del sistema sanitario pubblico. Il glorioso strumento di democrazia, che dice ancora la sua a livello internazionale e vanta eccellenze di altissima specialità, scricchiola e sbuffa per la fatica. Carenze di personale, difficoltà organizzative, tecnologie da rinnovare: il timore è che sia arrivato il momento della crisi definitiva, dalla quale non si tornerà più indietro. I problemi sono diversi ma ce n’è uno che per certi aspetti li genera tutti, o comunque una buona parte: la carenza di risorse. Ci vogliono soldi per migliorare l’assistenza, estenderla, recuperare gli espulsi dal sistema. Poi, certo, è anche necessario spendere bene il denaro già a disposizione, ridurre gli sprechi, organizzarsi meglio, ma intanto partire da risorse più corpose sarebbe di aiuto.
Sono anni che il sistema italiano è sottofinanziato ma ora i numeri stanno diventando preoccupanti. La sanità è pagata prevalentemente dal Fondo sanitario nazionale, che viene suddiviso ogni anno tra le Regioni basandosi su una serie di parametri, prima di tutto la popolazione, ma anche l’età degli abitanti. Osservare solo il Fondo però non basta. Il suo valore tende infatti a salire anno dopo anno, per fronteggiare, ad esempio, l’aumento dei prezzi dei fornitori legato all’inflazione ma anche quello degli stipendi. Così, anche a livello internazionale, ci si basa sul peso percentuale della spesa sanitaria rispetto al Pil.
In Italia il rapporto spesa-Pil è basso e tenderà a scendere nei prossimi anni, a detta dello stesso governo. Nell’ultimo Def, il Documento di economia e finanza, il Mef lo ha fissato al 6,4% per quest’anno, al 6,3% per il 2025 e il 2026 e infine al 6,2% per il 2027. Il Fondo sanitario intanto cresce da 138 miliardi di euro quest’anno a 147 nel 2027, ma appunto questo dato da solo, di solito citato da Giorgia Meloni per sottolineare che il suo governo ha investito di più degli altri, non è veritiero perché l’aumento è “mangiato” dall’incremento dei prezzi. Basta vedere cosa succede alla spesa farmaceutica, che è in continua crescita. Nel 2023 è salita del 6,5% rispetto al 2022, con un aumento assoluto di 1,4 miliardi.
In passato il rapporto Spesa-Pil ha raramente superato il 7%, salvo negli anni del Covid, quando c’erano spese extra legate alla pandemia. Prima, si andava comunque meglio di oggi. Il confronto internazionale, poi, è impietoso. Nel 2022, quando da noi il rapporto Spesa sanitaria pubblica-Pil era del 6,7%, la Germania era al 10,9%, la Francia al 10,3%, il Regno Unito al 9,3%, i Paesi Bassi all’8.6%, la Spagna al 7,3%. Sotto l’Italia, e della media dei Paesi Ocse che era del 7,1%, il Portogallo (6,7%) e la Grecia (5,1%).
Ecco perché non si investe
Perché l’Italia non investe di più nella sanità? Per Renato Balduzzi, ministro della Salute durante il governo Monti, «c’è uno sbilanciamento della spesa pensionistica che non ha paragoni, nonostante le misure adottate a suo tempo dal nostro governo e dopo malamente modificate. Poi, c’è il perdurare di uno stock di evasione fiscale, anche questo sconosciuto alla gran parte degli altri Paesi. Infine, anche quando si sarebbe potuta espandere la spesa, spesso non c’è stata volontà, scelta che si può leggere in più modi. Ad esempio, si sottofinanzia il pubblico per privilegiare modelli diversi, oppure perché in un quadro di regionalismo differenziato saranno le Regioni a mettere mano al portafogli».
Beatrice Lorenzin (oggi nel Pd) è la ministra alla Salute rimasta in carica più a lungo nella storia repubblicana, cinque anni: «Si è smesso di investire nella Seconda Repubblica – dice – Si è puntato prima sulla riorganizzazione, cioè su efficienza e programmazione, e aveva senso. Con la riforma del Titolo V del 2001 c’è stata la devoluzione delle competenze sulla sanità alle Regioni ma non avevano una infrastruttura di dirigenza adeguata e sono finite commissariate. In epoca di vincoli di Maastricht l’unica spesa veramente certificata sulla quale fare tagli era quella sanitaria, così si è iniziato a spremere. Ora bisogna tornare indietro. Fare sacrifici in altri settori per finanziare la sanità».
Il personale che manca
In Italia mancherebbero circa 20 mila medici (su 136 mila) e 65 mila infermieri (su circa 400 mila). Il problema, con i camici bianchi, interessa soprattutto alcune specialità, come il pronto soccorso, la chirurgia generale, la radioterapia e comunque le discipline prevalentemente svolte all’interno del servizio pubblico. Si è sbagliato a programmare i posti nelle scuole di specializzazione, perché non si è tenuto conto delle esigenze del sistema sanitario. È ben nota la situazione dei pronto soccorso, che quasi ovunque hanno seri problemi di organico e sono in difficoltà a rispondere alla massa di pazienti che si presentano ogni giorno. Le figure che hanno grande mercato privato, come chirurghi plastici, oculisti o ginecologi, invece non sono in sofferenza.
I fenomeni che mettono in crisi le Asl sono due. Da un lato in tanti escono dagli ospedali prima della pensione perché si spostano nel privato o all’estero, dall’altro ci sono problemi in entrata, di reclutamento dei giovani. Certe scuole di specializzazione non riescono ad assegnare tutte le borse di studio bandite. Talvolta si fermano sotto la metà. «Solo nel 2023 sono stati 3 mila i medici tra i 43 e i 55 anni che hanno lasciato il lavoro prima del tempo – spiega Pierino Di Silverio, segretario del sindacato degli ospedalieri con più iscritti, Anaao – Se ne sono andati per i carichi di lavoro, per la mancanza di sicurezza, per l’impossibilità di fare carriera». Poi ci sono posti dove i giovani non vogliono lavorare. «È il caso dei pronto soccorso – dice sempre il sindacalista – Bisognerebbe contrattualizzare gli specializzandi per alzargli gli stipendi, fermi a 1.500 euro al mese, e dare loro diritti che adesso non hanno». Da tempo il ministero alla Salute parla di aumenti di stipendio, per adesso riconosciuto solo a chi lavora nell’emergenza. «Non basta di certo – attacca Di Silverio – I medici italiani guadagnano molto meno dei colleghi europei. Per attrarre professionisti bisogna pagarli bene, intanto detassare una parte dello stipendio. Il governo deve smettere di proporre tariffe più alte per gli straordinari, come nel recente decreto sulle liste di attesa, perché va premiato il lavoro ordinario. Bisogna fare assunzioni e dare a tutti paghe più alte». Anche i medici di famiglia vivono una situazione difficile, perché i pensionati sono più numerosi degli iscritti ai tirocini.
Le carenze più critiche riguardano gli infermieri. Secondo la Corte dei conti ne mancano 65 mila. «Ma la situazione è destinata a diventare più grave con i prossimi pensionamenti: dal 2023 al 2033 saranno 113.000, ai quali si aggiungeranno uscite per altri motivi». A parlare è Barbara Mangiacavalli, presidente di Fnopi, la Federazione degli Ordini degli infermieri: «Le carenze nascono dal blocco delle assunzioni, ma anche dalla mancanza di attrattività della professione. Oggi un infermiere trova subito lavoro, ma poi resta bloccato per 30 anni senza crescita di carriera. È prioritario intervenire sull’incremento della base contrattuale e serve lavorare per migliorare il percorso universitario». Mangiacavalli dice che «l’impegno degli infermieri è spesso ai limite anche della tolleranza fisica conseguenza del ricorso agli straordinari». Bisognerebbe puntare sempre di più sull’assistenza territoriale. «Senza infermieri non c’è futuro».
Ospedali e attrezzature vecchie
Non è solo una questione di persone ma anche di spazi. L’Italia deve rinnovare il suo parco ospedali. Le strutture sanitarie sono vecchie. Solo il 18% dei luoghi di cura ha meno di 34 anni. Sono ben più numerosi gli ospedali tirati su prima della fine della Seconda guerra mondiale, cioè fino al 1945. Sul totale nazionale sono il 27%. Proprio sulle strutture c’è stato alcuni mesi fa uno scontro tra Regioni e governo. Il Piano nazionale complementare (Pnc) al Pnrr prevedeva infatti lo stanziamento di 1,2 miliardi di euro per interventi la messa in sicurezza antincendio e antisismica degli ospedali. Soldi in molti casi già impegnati dalle amministrazioni locali. Il ministro al Pnrr Raffaele Fitto ha fatto sapere che quel denaro non è più disponibile e ha invitato le Regioni a reperire le risorse nel cosiddetto “Articolo 20”, un fondo per interventi su immobili sanitari. «Sono tagli», hanno denunciato le Regioni, sostenendo che nel fondo non c’è abbastanza denaro e di non aver ancora ricevuto le istruzioni su come utilizzare il denaro dell’“Articolo 20”.
Ma ad essere vecchie, in Italia, sono anche le apparecchiature sanitarie. Si tratta di un problema sia per la qualità degli esami svolti sia per la rapidità. Per Confindustria dispositivi medici, nel nostro Paese ci sono quasi 37 mila apparecchi di diagnostica per immagini non più in linea con lo stato dell’arte della tecnologia esistente: «Il 92% dei mammografi convenzionali, il 96% delle Tac, con meno di 16 slice, il 91% dei sistemi radiografici fissi convenzionali, l’80,8% delle unità mobili radiografiche convenzionali, il 30,5% delle risonanze magnetiche chiuse, da 1-1,5 tesla, hanno più di 10 anni». I soldi per rinnovare i macchinari, 1,1 miliardi, li ha messi il Pnrr. Molte Regioni sono avanti con gli ordini e le istallazioni, l’obiettivo è avere nel 2026 almeno 3.100 nuove grandi apparecchiature operative.
Liste di attesa e privato
Il sistema sanitario nazionale, da dopo il Covid, lavora meno. Nei primi sei mesi del 2023 ha fatto, dice Agenas, l’agenzia sanitaria delle Regioni, 29 milioni di visite e 34 milioni di esami (esclusi quelli di laboratorio). Nello stesso periodo del 2019, i due dati sono stati 33 milioni e 36,5. Già così si comprende che le liste di attesa non possono che essersi allungate. A fronte di una offerta che è calata, infatti, la domanda non è certo scesa (non ci sarebbe motivo epidemiologico), e così in certi casi i cittadini aspettano mesi e mesi. E qui c’è il grande bivio. Chi può permetterselo paga e va nel privato, chi non può aspetta. Che la prima ipotesi sia sempre più utilizzata lo dice Istat, che ha calcolato come addirittura il 50% delle visite specialistiche vengano ormai fatte a pagamento. Un dato enorme. In realtà c’è anche una terza via: andare al pronto soccorso, dove tutti sono curati gratis (o quasi, in certe Regioni c’è un ticket per i casi meno gravi).
Sempre Istat, nel suo Rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes) calcola che il 4,2% dei cittadini nel 2023 ha rinunciato alle cure per motivi economici. Si tratta di 2,5 milioni di persone, dato cresciuto rispetto al 2022. Poi ci sono quelli che pagano. Il valore della spesa “out of pocket” è cresciuto negli anni, di pari passo con il venir meno della risposta del servizio pubblico, ma anche con l’aumento del fondo sanitario nazionale. Per Istat la spesa diretta delle famiglie nel 2012 era di 34,4 miliardi di euro. Nel 2022 è arrivata a quota 41,5 miliardi. La crescita è stata in 11 anni di oltre il 20%. Oltre 20 miliardi vengono spesi per visite specialistiche, servizi dentistici, servizi di diagnostica e per servizi paramedici. Altri 15 sono serviti a comprare farmaci, apparecchiature medicali e altro. «Il livello di spesa sanitaria in Italia è più contenuto degli altri paesi Ue, sia in termini di prodotto sia guardando in termini di parità del potere d’acquisto», ha da poco ribadito la Corte dei Conti: «La spesa privata sta crescendo in modo consistente, con una rilevante, forte differenza della capacità di spesa tra fasce più agiate e quelle più in difficoltà della popolazione. C’è dunque bisogno di mantenere un livello di spesa pubblica elevato per rispondere al declino che si prefigura».
Per affrontare le liste di attesa, il governo ha presentato un dl con alcune misure subito prima delle elezioni Europee. Ma nel provvedimento, un misto di misure già previste e di indicazioni poi modificate dallo stesso esecutivo, praticamente non ci sono soldi.
Il nodo appropriatezza
Quando si parla di attese non si può tacere un altro problema che compete l’organizzazione: l’inappropriatezza, cioè il consumo di prestazioni inutili. Per certi esami, come le risonanze, si stima che gli accertamenti che non servono siano addirittura il 40% del totale di quelli prescritti. «L’importante è fare attenzione a non additare solo il medico come colpevole», spiega Nicola Montano, ordinario di medicina interna al Policlinico di Milano e presidente eletto della Simi, la Società italiana di medicina interna. «Tutto dipende dal sistema, non nasce da errori di un singolo attore. Per ridurla dobbiamo mettere chi prescrive in grado di lavorare con tranquillità. Oggi abbiamo una carenza di medici di medicina generale, quindi questi colleghi hanno un carico di lavoro importante, spesso sono molto giovani, e hanno una tendenza alla medicina difensiva». Cioè, a prescrivere per paura di sbagliare.
Spesso sono gli stessi cittadini a chiedere più prescrizioni del necessario e se non le ottengono si rivolgono al privato. «Abbiamo da tempo un forte consumismo sanitario – dice Montano – che nasce da una iper medicalizzazione della società. I progressi delle scienze mediche sono stati così tanti che praticamente tutti sono considerati malati. Nel frattempo però non facciamo prevenzione. Non insegniamo ai bambini a mangiare, alle giovani madri l’importanza dell’attività fisica o del sonno. Ma i fattori ambientali pesano per il 60% sullo sviluppo di una malattia».
Autonomia differenziata
Per il governo, o almeno per una parte, l’autonomia differenziata migliorerebbe anche la situazione della sanità. Il settore rappresenta un buon punto di osservazione per valutare la nuova disciplina. Dal 2001 infatti la modifica del Titolo V della Costituzione ha assegnato gran parte delle competenze legate all’assistenza dei cittadini alle Regioni. Il sistema non ha funzionato molto bene, visto che le realtà deboli, prevalentemente nel Centro-Sud, sono rimaste in difficoltà e quelle con un’assistenza di livello medio-alto, salvo alcuni casi eclatanti, si sono confermate.
Per questo in molti temono che l’autonomia differenziata rinforzerà alcuni di coloro che sono già forti e farà sprofondare chi è debole. Già oggi l’aspettativa di vita nel meridione è inferiore rispetto al settentrione (86,5 anni per le donne in Trentino-Alto Adige, 83,6 in Campania). Uno dei rischi è quello dello spostamento di professionisti e di conseguenza anche di pazienti verso le Regioni che lavorano di più e meglio. Con l’autonomia differenziata le Regioni potrebbero fare i loro contratti ai professionisti della sanità e ovviamente chi è più ricco offrirà paghe migliori, spingendo i camici bianchi e gli infermieri a spostarsi. Su questo da tempo lanciano l’allarme sindacati degli ospedalieri, che parlano del rischio di mobilità professionale. E il timore è anche che, in un Paese dove già oggi tantissimi viaggiano per curarsi (nel 2022, 140 mila malati da Sicilia, Calabria, Puglia e Campania si sono ricoverati altrove e ben 62 mila sono andati in Lombardia), questi spostamenti diventino ancora più numerosi. E il sistema sanitario nazionale crolli.
(da La Repubblica)
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Luglio 27th, 2024 Riccardo Fucile
L’AVVOCATA SPECIALIZZATA IN BARUFFE EREDITARIE CHE CONSIGLIA DI NON LASCIARE NULLA AI FIGLI FINCHE’ SI E’ IN VITA
Scruto il mio erede di cinque anni con circospezione: ho appena letto l’intervista al Corriere in cui Annamaria Bernardini De Pace suggerisce di non lasciare nulla ai figli finché si è in vita e possibilmente neanche dopo, spendendo in alberghi di lusso il poco o tanto che si è messo in cascina. (Hanno diritto alla legittima, ma la legittima di 0 è 0). La sua tesi è che un figlio sarà disposto ad accudire la tua vecchiaia solo se pensa di poterci lucrare ancora qualcosa. Se invece ha già avuto quasi tutto quel che gli spetta, ti abbandonerà senza rimorsi al tuo destino.
Non ho motivo di dubitare delle sue parole: un’avvocata specializzata in baruffe ereditarie parla il linguaggio dell’esperienza, corroborata dalla recente testimonianza di Reinhold Messner, più a suo agio con i picchi dell’Himalaya che con i saliscendi delle dinamiche familiari. Qui però subentra anche la mia, di esperienza: il dialogo con i cuori sanguinanti della posta del cuore mi ha insegnato che in amore, alla fine, vince chi ama. Persino quando perde. Questo principio vale ancora di più con i figli: di regola ti restituiscono sempre, almeno in parte, il tempo e l’affetto che hanno ricevuto. Solo quelli che hanno ricevuto poco dell’uno e dell’altro sono interessati esclusivamente ai soldi. Come dice Diego De Silva, i figli non basta farli: poi bisogna anche adottarli. Per non dover dare ragione alla Bernardini De Pace ed essere tentati, un giorno, di diseredarli.
(da corriere.it)
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Luglio 27th, 2024 Riccardo Fucile
“CONVIVENZA CON LE TOGHE DA NORMARE”
“Ora regole chiare e giuste per la convivenza tra giustizia e politica all’interno del nostro sistema democratico”. È il graffio d’addio contenuto in conclusione della lettera, affidata all’avvocato Stefano Savi, con cui ieri mattina Giovanni Toti si è dimesso da presidente della Regione Liguria. Una decisione arrivata dopo quasi 3 mesi di strenua resistenza e formalmente giunta solo ora “per dare tempo al Consiglio regionale di approvare” il bilancio.
In realtà, il testo affidato al legale pare soprattutto un manifesto politico: l’ex giornalista di Mediaset punta a incarnare il ruolo di “martire” della giustizia. D’altronde è lo stesso Toti a parlare espressamente della speranza (condivisa da larga parte delle forze politiche) che “il Parlamento nazionale e l’opinione pubblica” facciano “tesoro di questa esperienza”.
E proprio a questo proposito che invoca “regole chiare e giuste per la convivenza tra giustizia e politica all’interno del nostro sistema democratico”. Insomma, l’auspicio è che gli “eletti dal popolo” possano avere un occhio di riguardo davanti alla giustizia.
Dall’8 maggio scorso il governatore uscente è agli arresti domiciliari, accusato dalla Procura di Genova di corruzione, finanziamento illecito e falso. Secondo i pm, Toti avrebbe ottenuto finanziamenti pubblici erogati ai suoi comitati elettorali di riferimento in cambio del suo impegno ad “agevolare” e “trovare una soluzione” in favore dei donatori di voti e denaro, spesso suoi imprenditori amici.
I pm hanno chiesto e ottenuto per ben due volte gli arresti domiciliari e il Tribunale del Riesame li ha confermati in base al principio del pericolo di reiterazione del reato. Ora che Toti non è più presidente della Regione, è possibile che il pericolo di reiterazione venga a cadere.
Vedremo cosa decideranno i giudici. Il suo legale intanto ha ribadito di non essere preoccupato da un giudizio immediato: procedura richiesta dai pm che, di fronte a prove importanti, supera l’udienza preliminare e permette di celebrare direttamente il processo. Anzi, spiega l’avvocato Savi, “sto muovendomi per non ostacolare questa possibilità”.
Intanto, ieri Toti si è impegnato a convocare le elezioni regionali entro tre mesi (si parla già di ottobre). E non è detto, stando al contenuto del suo passo d’addio, che, qualora tornasse libero, non dia il suo contributo alla campagna elettorale
Una variabile non indifferente in vista di una corsa elettorale breve ma infuocata.
A punzecchiarlo, proprio uno dei suoi più arcigni oppositori, quel Ferruccio Sansa che lo aveva sfidato nell’ultima tornata elettorale: “Toti ha tenuto in ostaggio la Liguria, aiutando pochi ‘amici’ e dimenticandosi di cittadini e cittadine ‘normali’ e in difficoltà”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 27th, 2024 Riccardo Fucile
GIRANDOLE DI FATTURE E CONSULENZE SENZA GIUSTIFICARE I SOLDI
«Mà (mamma, ndr), adesso vengo avanti e indietro e butto delle robe in stufa, man mano». È l’8 gennaio scorso e Renato Boraso – l’ex assessore veneziano finito in carcere lo scorso 16 luglio con l’accusa di corruzione nella maxi-inchiesta della Finanza e dei pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini – è a casa della madre, che si trova al piano terra rispetto alla sede della sua società Stella Consulting. «Senza fare commenti accendi la stufa che fa freddo», incalza. E la stessa madre poi si rivolge all’altro figlio: «Digli che la stufa è accesa a tuo fratello che deve bruciare le carte». Poi, a cose fatte: «ha bruciato delle carte che c’è bisogno che le bruci».
Secondo gli inquirenti Boraso stava cercando di distruggere le prove dei suoi reati, dopo che tre settimane prima la trasmissione Report aveva acceso un faro su di lui con l’imprenditore Claudio Vanin che lo aveva accusato in tv di aver preso una «tangente» per la vendita di Palazzo Papadopoli. «Nelle ultime settimane Boraso si è dedicato da una parte a produrre documentazione giustificativa delle somme di denaro, ricevute, simulando di avere svolto consulenze amministrative e immobiliari – annotano i pm nella richiesta di misura cautelare del 19 febbraio – e dall’altra a distruggere, anche bruciandoli, i documenti e le prove della sua condotta illecita». Chiedendo il carcere la procura, oltre al pericolo di reiterazione del reato, proprio per questo aveva segnalato al gip anche quello dell’inquinamento probatorio.
Le consulenze alle società «amiche»
E se quell’8 gennaio, grazie al trojan installato sul suo cellulare, gli inquirenti sono convinti che Boraso si fosse sbarazzato di carte compromettenti, i finanzieri ricostruiscono anche la creazione di quelle consulenze alle varie società «amiche» con le quali negli anni avrebbe mascherato le tangenti. Per esempio il 13 dicembre l’ex assessore contatta la titolare di un’agenzia immobiliare di Padova, alla quale la Stella Consulting aveva emesso fatture per quasi mezzo milione di euro tra 2016 e 2019. «Io ho bisogno di vederti per consegnarti tutta una serie di relazioni… perché documentalmente ho bisogno… io devo consegnarti dei quattro anni di collaborazione un po’ di documentazione», dice l’assessore-consulente. Alla donna, però, chiede anche delle carte sul palazzo di Rio Novo, ex sede dell’università venduta nel 2016 a una società che ci fece un albergo: «Avrei bisogno che mi porti uno… anche due fogli, cinque fogli.. una relazione su quel cazzo di hotel porca puttana, anche fossero due pagine», si arrabbia.
Il caso di Palazzo Papadopoli
Fittizia, per l’accusa, è anche la consulenza da 60 mila euro più Iva fatta dalla Stella Consulting alla Falc Immobiliare, a copertura della tangente per Palazzo Papadopoli. «Bisogna che mi fai una copia dei file… cos’è che avevi scaricato, cosa c’è? Verona? Mi serve Verona, Treviso, Padova e Venezia», dice Boraso alla segretaria il 9 gennaio, sempre intercettato. La consulenza, che Boraso simula di aver consegnato nel maggio 2018, infatti avrebbe dovuto riguardare la segnalazione di occasioni immobiliari in tutto il Veneto, un’ottantina di schede e planimetrie per i pm create a posteriori.
Le richieste di «aggiornamenti»
«Ovviamente poi bisogna togliere i riferimenti del 2020, su Venezia c’era dentro roba del 2020, ma sono documenti… che andavano consegnati nel 2018!», aggiunge. E poi ancora: «Come hai fatto quella roba, sai, un po’ di relazioni e un po’ di planimetrie, fammi quattro copie così sistemo anche altre consulenze che ho fatto io». Idem con Fabrizio Ormenese, l’imprenditore edile anche lui finito in carcere. «Le fatture che hai fatto è un problema perché non c’è il contratto, bisogna che tu mi dai il contratto di consulenza, che hai fatto delle ricerche di mercato, delle robe», gli dice Ormenese il 27 dicembre. Al che Boraso si attiva con la segretaria: «Mettimi i tre file e poi bisogna un po’ aggiornarlo con delle date – le dice – L’unica roba importante, le fatture le facciamo partire e durare due anni».
(da agenzie)
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