Luglio 31st, 2024 Riccardo Fucile
IN FRANCIA APPLICANO LA DIRETTIVA BOLKENSTEIN MENTRE IN ITALIA IL GOVERNO APPOGGIA LE LOBBY CHE SPECULANO SUI PREZZI DI LETTINI E OMBRELLONI
Chissà se la ministra del Turismo Daniela Santanchè ha in mente i prezzi di un ombrellone e due lettini per una vacanza di una settimana ad agosto: il costo medio per una settimana, secondo un’indagine di Altroconsumo condotta su 211 stabilimenti da Nord a Sud, prendendo in considerazione per esempio il periodo dal 4 al 10 agosto, è di 228 euro, con un aumento del 4% rispetto allo scorso anno e picchi tra i 32 e i 35 euro al giorno. Continuano anche quest’anno i rincari già registrati nel 2022 e nel 2023, e in assenza di spiagge libere un po’ di relax al mare non è un’esperienza a portata di tutti.
Come ha documentato il Codacons, per l’affitto di un ombrellone e un lettino si possono pagare fino a 700 euro al giorno. Certo ci sono forti variazioni di prezzo in base alla zona: a Sabaudia servono fino a 45 euro al giorno, che arrivano a 90 euro a Gallipoli e toccano i 120 euro in alcune località della Sardegna. Se però si vuole accedere alle spiagge di lusso, la spesa sale, e di molto: è il caso per esempio del Cinque Vele Beach Club di Marina di Pescoluse (Le), dove un gazebo con due sedute in prima fila nell’area ‘Exclusive’ arriva a costare ad agosto (se prenotato in anticipo con opzione rimborsabile) ben 696 euro al giorno.
La ministra, che in evidente confusione passa da attaccare i radical chic di sinistra “targati ztl” ad accusare gli stessi di esserlo troppo poco, in un nuovo j’accuse lancia i suoi strali contro coloro che vogliono “criminalizzare il Turismo di lusso. Perché? Accade solo in Italia nonostante esistano scelte, di vario prezzo, tutte belle. Mentre la Francia si accaparra tutto il lusso, soprattutto il nostro, da noi per colpa della sinistra viene demonizzato”, scrive su X in un messaggio appassionato.
In poche righe Santanchè sintetizza il ragionamento che aveva già espresso in un’intervista qualche giorno fa, al Corriere della Sera. Pur ammettendo che i canoni per le concessioni balneari vanno rivisti, soprattutto per gli imprenditori più grandi, la ministra ha detto che “Il paradigma sul turismo in Italia deve cambiare: puntare sulla qualità e non sulla quantità”.
“Quando parlo di un’offerta di qualità intendo un’offerta giusta, di servizi migliori per tutti – ha spiegato – per chi può spendere di più e per chi meno: il turismo in Italia deve essere per tutte le tasche, tutti devono poter vedere le nostre bellezze. Però io non criminalizzo il turismo di lusso, né posso intervenire se i prezzi sono alti, c’è il libero mercato e se il costo al giorno per determinate fasce è alto, significa che c’è qualcuno disposto a pagare quella cifra”.
La gestione delle spiagge in Francia: le differenze con l’Italia
Se anche fosse vero che in Francia si riesce a trarre profitto dal turismo del lusso meglio di quanto si faccia in Italia, Santanchè non dice però che proprio oltralpe è arrivato già nel 2006 un decreto, il ‘décret plage’, che ha fortemente ridimensionato le concessioni demaniali e imposto lo sgombero a decine di stabilimenti. Santanchè non ricorda o forse finge di non ricordare, che in Francia è obbligatorio mantenere libero da strutture, equipaggiamenti o installazioni l’80 per cento dell’arenile sulle spiagge naturali e il 50 per cento su quelle artificiali. Ma in ogni caso l’accesso alle spiagge e il loro uso deve essere sempre libero e gratuito.
Anche in caso di concessioni, che in Francia durano dodici anni, viene comunque preservata la libera circolazione e l’uso del litorale da parte di tutti i cittadini per una porzione significativa lungo tutta la riva del mare.
Per l’occupazione del demanio pubblico in Francia funziona così: si paga un canone, che viene stabilito in base a quanto il concessionario guadagna da quella particolare concessione del demanio pubblico. Sulle spiagge sono consentite solo strutture amovibili o trasportabili. In ogni caso qualsiasi installazione deve essere realizzata in modo che sia sempre possibile il ripristino originario dell’area, una volta terminato il periodo della concessione. Come si legge anche sul sito della Camera, “Il sistema francese pare, dunque, fortemente orientato verso la tutela ambientale del demanio marittimo e, allo stesso tempo, tende a favorire l’uso generale dei relativi beni rispetto alle altre modalità di sfruttamento”.
In Francia insomma la normativa punta tutto sulla tutela dell’ambiente e sulla concorrenza, un sistema che prevede gare pubbliche trasparenti per il rilascio e il rinnovo delle concessioni. Sembrerebbe una situazione molto diversa da quella italiana, dove il nodo della direttiva Bolkenstein e delle concessioni balneari, non è stato ancora risolto, e dove da sempre ci sono concessioni molto lunghe, alla scadenza delle quali scattano i rinnovi automatici.
Sulle concessioni balneari mancano ancora regole chiare
Prima dell’inizio della stagione estiva, i leader di Avs Bonelli e Fratoianni avevano presentato una proposta di legge per rendere le spiagge italiane beni comuni inalienabili dello Stato, e contrastare così le iniquità. In quell’occasione avevano anche organizzato un flashmob davanti al Twiga, esclusivo stabilimento balneare di Flavio Briatore a Forte dei Marmi che paga 21mila euro l’anno ma fattura 8 milioni di euro, denunciando che in totale tutte le concessioni demaniali dello Stato italiano pagano allo Stato 100 milioni di euro, pur fatturando 10 miliardi di euro.
In Italia sul tema concessioni balneari il braccio di ferro non è ancora finito: sono state prorogate per tutto il 2024, anche se poi il Consiglio di Stato con tre sentenze ha dato torto al governo Meloni. Le proroghe generalizzate delle concessioni demaniali agli stabilimenti sono state dichiarate illegittime perché in contrasto con i principi di concorrenza e di libertà di stabilimento sanciti non solo dalla Direttiva Bolkestein, ma anche dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il Consiglio di Stato a fine maggio ha quindi ribadito “la necessità, per i Comuni, di bandire immediatamente procedure di gara imparziali e trasparenti per l’assegnazione delle concessioni ormai scadute il 31 dicembre 2023”. Fratelli d’Italia da parte sua ha criticato la decisione dei giudici amministrativi, perché questi avrebbero invaso le prerogative del Parlamento, e ha chiesto l’intervento della Corte costituzionale.
Con una recente mappatura delle spiagge il governo ha anche tentato con un trucco di ‘allungare’ le coste italiane di 3mila chilometri, includendo anche le coste rocciose, i porti commerciali e le zone marine protette (aree demaniali non disponibili di fatto) e sostenendo che le aree sotto concessione corrisponderebbero al 33% degli spazi disponibili a mare nel Paese. In questo modo ha tentato, senza successo, di dimostrare che non c’è scarsità di risorse in Italia, e quindi gli attuali stabilimenti balneari non devono obbligatoriamente essere messi a bando. Secondo la direttiva Bolkestein infatti i bandi vanno fatti qualora “il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali”.
Il piano del governo sarebbe quello di aumentare il numero di spiagge in concessione, aggiungendo nuovi tratti di costa attualmente liberi, in Sardegna, Puglia, Calabria, Sicilia. Da una parte dunque far crescere il numero di spiagge in concessione, dall’altra rimettere in gara anche quelle attualmente in gestione, concedendo magari una corsia preferenziale e forme di compensazione agli attuali titolari.
Sul tema comunque regna ancora il caos. Il settore dei balneari, con Sib-Fipe e Fiba-Confesercenti in testa, ha annunciato ieri tre giorni di sciopero (il 9 agosto per due ore, il 19 agosto per quattro ore e il 29 agosto dalle sei alle otto ore), per obbligare il governo a esprimersi prima della pausa estiva con regole chiare per il settore su tutto il territorio nazionale, visto che da gennaio 2025 dovrebbero partire le gare, aperte agli operatori europei, come previsto appunto dalla direttiva Bolkenstein. Secondo le ultime indiscrezioni sembra che il governo punti ora a una ulteriore proroga delle concessioni, forse per due anni, attraverso una proposta di legge, novità che potrebbe inasprire lo scontro con Bruxelles (che ha già aperto una procedura d’infrazione nei confronti dello Stato italiano) e potrebbe portare a multe salate.
Ma senza nuovi bandi di gara, senza l’aggiornamento dei canoni, e finché le concessioni resteranno in mano agli stessi operatori, il prezzo di lettini e ombrelloni non calerà, e andare in spiaggia sarà sempre più un privilegio di pochi. Per poter assicurare vacanze per tutte le tasche, è necessario che le spiagge siano aperte anche a nuovi proprietari: più concorrenza uguale prezzi più economici.
Fa bene ricordare che nella Francia che la ministra Santanchè vede come un modello per il turismo di lusso, si fanno regolarmente le gare previste dalla direttiva Bolkenstein per stabilire quali operatori gestiranno gli stabilimenti balneari.
(da Fanpage)
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Luglio 31st, 2024 Riccardo Fucile
IERI SERA LE ADESIONI HANNO SUPERATO QUOTA 310 MILA, PARI AL 62% DEL NUMERO NECESSARIO…PER I RESPONSABILI DELLA CAMPAGNA REFERENDARIA IL TRAGUARDO SARÀ RAGGIUNTO IL PROSSIMO FINE SETTIMANA
L’obiettivo 500 mila firme a sostegno della richiesta di referendum per abrogare l’Autonomia, è vicino: ieri sera le adesioni hanno superato quota 310 mila, pari al 62% del numero necessario. Venerdì o, al più tardi, sabato, il traguardo sarà tagliato, garantiscono i responsabili della campagna referendaria. Il ritmo di adesione al quesito sostenuto dalla Cgil e da tutti i partiti dell’opposizione, Azione esclusa — ieri è stato eletto presidente del comitato promotore Giovanni Maria Flick, ex numero uno della Consulta — è molto elevato. E più visibile dal 26 luglio, cioè da quando è possibile firmare onlin
Renzi: «La raccolta delle firme sta volando […] se questo referendum supererà il quorum, per il governo si mette male. E le elezioni anticipate potrebbero non essere un tabù». Anche Nicola Fratoianni, leader di Sinistra italiana, registra il successo e ne trae un segnale: «Le oltre trecentomila firme raccolte in quattro giorni dimostrano che il governo dei “Fratelli di mezza Italia” e della “Lega dei ricchi” è lontano dalle reali priorità degli italiani».
La raccolta firme prosegue anche nelle piazze e sulle spiagge. La campagna con i banchetti è fondamentale per «motivare i cittadini», cioè per la successiva sfida: che al referendum partecipi almeno la metà più uno degli elettori. «La campagna sta andando anche molto meglio delle aspettative in Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte».
Se a Sud il tema che funziona di più è il rischio divario tra regioni ricche e meno ricche, al Nord attecchisce quello dell’aumento della burocrazia, a danno della competitività delle imprese.
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2024 Riccardo Fucile
L’ITALIA HA SCELTO DI STARE ALL’OPPOSIZIONE NELL’UE E BRUXELLES NON CONCEDERÀ A ROMA PIÙ DI QUEL LE SPETTA: IL PORTAFOGLIO NON SARÀ DA “SERIE B” MA NEMMENO DA “SCUDETTO”. L’IPOTESI: FONDI DI COESIONE, BILANCIO O MEDITERRANEO E MIGRANTI”
Chi sono gli “stakeholders”, ossia quei soggetti che in italiano vengono chiamati “portatori di interessi”, cui si riferisce la Commissione europea nel Rapporto sullo Stato di Diritto? La presidente del consiglio, Giorgia Meloni, ha ieri affermato che tra di loro ci sarebbero anche alcuni giornali italiani, compresa Repubblica. E che sarebbero stati consultati dai tecnici di Palazzo Berlaymont soprattutto nella parte del report riguardante il ”Pluralismo e la libertà dei Media”. Ma è così?
Per capirlo basta leggere il documento della Commissione e verificare punto per punto i rinvii alle “fonti” presenti in ogni pagina e a giustificazione di ogni commento. Le note del Rapporto sono illuminanti da questo punto di vista. Eppure, anche seguendo ogni punto in calce, non si coglie alcun riferimento a quotidiani o organi di informazione del nostro Paese. Ma a soggetti “terzi”, organizzazioni sindacali, istituti di ricerca italiani, Autorità di Garanzia e – a sorpresa – la presidenza del consiglio con diversi ministeri.
Ecco gli “stakeholders” citati dalla Commissione Ue: Agcom (l’Autorità italiana garante per le comunicazioni), Eurobarometro (l’istituto Ue per i sondaggi), Parlamento europeo, Istituto Reuters, Osservatorio del Pluralismo dei Media, Fnsi (Federazione nazionale della Stampa), Ordine dei giornalisti, Civil Liberties Union for Europe (Ong per diritti civili), Ossigeno per l’informazione, Federazione europea dei giornalisti, Usigrai (Sindacato dei giornalisti Rai), Governo italiano, Ministero dell’Economia (guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti), Ministero delle Imprese e del Made in Italy (guidato dall’Fdi Adolfo Urso), Presidenza del Consiglio (premier Giorgia Meloni), Ministero della Giustizia (guidato da Carlo Nordio), Ministero degli Interni (guidato da Matteo Piantedosi), Consiglio d’Europa e infine da Media Freedom Rapid Response (Organizzazione che monitora la liberta di stampa in Europa). Quindi nessun quotidiano italiano o straniero.
Ma tanti esponenti della squadra meloniana. Anche per questo la lettera spedita da Giorgia Meloni a Ursula von der Leyen è stata letta dalla presidente della Commissione con un certo stupore e anche con una dose di fastidio. Il metodo seguito da palazzo Chigi, infatti, viene considerato a dir poco irrituale. Soprattutto è giudicato come un modo per non rispondere ai quesiti e ai problemi posti dal Rapporto. […] In effetti la premier e l’esecutivo italiano fino ad ora non hanno replicato nel merito. Non solo sulla libertà di stampa ma anche su tutto il resto: dalla riforma Nordio della giustizia alle modifiche alla Costituzione sottoposte all’esame del Parlamento e che introdurrebbero il cosiddetto premierato.
L’effetto, però, si sta riflettendo sui rapporti tra Italia e Unione europea. Le recenti scelte compiute da Fratelli d’Italia in occasione del voto a Strasburgo per la rielezione di Von der leyen stanno provocando ripercussioni e strascichi che l’esecutivo di Roma non ha ancora afferrato pienamente. La presidente della Commissione, infatti, non ha affatto preso bene il “no” pronunciato da Meloni nei suoi confronti. Lo valuta alla stregua di un tradimento dopo tutte le “concessioni” fatte al centrodestra italiano negli ultimi diciotto mesi. Compreso il rinvio proprio della pubblicazione del Rapporto sullo Stato di Diritto.
Quindi se i lamenti a questo riguardo di Meloni vengono sostanzialmente ignorati, le trattative sulla formazione della prossima Commissione rischiano di essere segnate negativamente per il nostro Paese. La presidente del Consiglio, che ancora non ha inviato la designazione per il commissario italiano (ha tempo fino al 31 agosto, in pole position Raffaele Fitto), continua a chiedere un portafoglio economico per il suo prescelto. A partire dagli Affari Economici e dalla Concorrenza.
Ma si tratta di due deleghe difficilmente assegnabili all’Italia. Un concetto che Ursula ha già illustrato con schiettezza a Meloni. Per quei due “dicasteri” servono candidature con un profilo molto alto: un ex premier, un ex ministro dell’Economia o un super-tecnico. Ma al di là di questi aspetti, c’è un nodo che non si può sciogliere, almeno non adesso: l’Italia ha scelto di stare all’opposizione nell’Unione.
(da Repubblica)
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Luglio 31st, 2024 Riccardo Fucile
UN GOVERNO CON LA CODA DI PAGLIA
Cronaca degli ultimi convulsi e umilianti eventi che riguardano il governo Meloni e la libertà di stampa. Il balletto comincia con la Relazione sullo Stato di diritto nei paesi membri della Commissione europea, quel foglio che Ursula von der Leyen aveva tenuto in frigo per le elezioni europee. Lì dentro c’è scritto quello che è sotto gli occhi di tutti: Meloni e i suoi sognano un paese in cui lai stampa sia megafono della narrazione governativa. È una caratteristica comune degli autocrati e degli aspiranti tali.
Il giorno dopo arriva il report del consorzio europeo Media freedom rapid response che, il 16-17 maggio scorso, era in missione speciale in Italia. I risultati sono identici: con questo governo si sono ristretti gli spazi d’opinione, sono aumentate le querele temerarie ai giornalisti e i governanti mostrano preoccupanti segni d’insofferenza alle opinioni avverse.
Che succede? Prima Meloni scrive a von der Leyen bollando come fake news le informazioni del report della Commissione. L’Ue le risponde che gli strumenti di analisi utilizzati sono una cosa seria da non confondere con la propaganda e le ricorda che “alle autorità nazionali è stata data l’opportunità di fornire aggiornamenti fattuali”. Ma Meloni attacca le opinioni perché non sa smentire i fatti.
Nel frattempo in edicola la stampa filo-governativa comincia a bastonare i giornalisti non allineati accusandoli di tradimento e danno alla Patria. E così le reazioni certificano le accuse. Un capolavoro.
(da lanotiziagiornale.it)
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Luglio 31st, 2024 Riccardo Fucile
“SEMPRE SI E’ SPARTITO MA OGGI NON C’E’ PIU’ VERGOGNA. IN RAI MELONI HA SCELTO DEI SERVI CHE SERVONO PURE MALE”
È Meloni il problema di Meloni. Va in Cina ma attacca l’Europa, spedisce lettere a von der Leyen per lamentarsi dei giornali italiani “portatori d’interessi”, dice che non ha bisogno di una Rai Tele Meloni, e infatti non smentisce che la sua idea nascosta, rivelata dal Foglio, da Claudio Cerasa, sia liberarsene, privatizzarla, che è un’idea di Pier Luigi Celli, ex dg Rai, manager in Eni, Enel, Olivetti, 82 anni, “ma guardi che lavoro ancora”. Celli, esiste Tele Meloni? “A me sembra che esista solo Teleservi, Teleservitù”. Qual è la cifra di Teleservitù? “Dipendere dai partiti invece che dal talento, piegarsi anziché dire ‘questo non si può fare’. È una tv che non sa stare con la schiena dritta. Il mondo si può dividere in uomini dalla schiena dritta e maggiordomi stupidi. Oggi abbondano i secondi. È una Rai che non lascia spazio ai bravi, i bravi che ci sono, e mi creda, ci sono. Non sono somari, non sono tutti ciucci”. E chi sarebbero i bravi? “Il dg Giampaolo Rossi lo ricordo come un uomo di qualità, e come lui altri”. E poi cosa è accaduto? “Quello che accade in Rai, una tv che dovrebbe essere governata da un’authority, una fondazione. Si comincia ad avere paura di perdere il ruolo, si comincia ad assecondare qualsiasi richiesta. Il potere piace ma va mantenuto. Si comincia a guardare il telefono, a guardare se il ministro ti ha chiamato. Si inizia ad abbassare la schiena”. Da dg è vero che voleva privatizzarla? “Proposi la privatizzazione della Rai perché il debito era spaventoso”. Oggi non lo è? “Esistono debiti spaventosi ma anche i debiti spaventosi si possono coprire se c’è fiducia, armonia. Ricordo ancora l’anno in cui la Rai non riuscì a pagare le tredicesime. Mi presentavo alle banche ma nessuno voleva farci credito. Presi l’impegno, di fronte ai dipendenti, di pagare appena possibile. Si fidarono. Ce l’abbiamo fatta. Sa cosa significa non pagare le tredicesime? Già nei miei anni, a inizio Novanta, la Rai era a un passo dal portare i libri in tribunale”. Non la salvò Ciampi con il decreto Salva Rai? “La salvarono anche i dipendenti, i bravi”. Meloni crede che la Rai sia la sua sciagura. Meglio venderla? “Io proponevo di vendere Rai Due e una radio”. Si può ancora fare? “Farlo adesso è la prova che Meloni fugge la complessità. Secondo me anche lei ha capito di aver commesso un errore. I servitori che ha scelto in Rai sono più servitori di quanto pensava e servono pure male”.
Celli, i suoi anni da direttore generale Rai? “Dal 1998 al 2001”. Chi la scelse? “Venni indicato da Marini e D’Alema. Mi cercò la sinistra”. Anche lei ha dunque nominato gli “amichetti” di sinistra come ricompensa? “Nominammo Agostino Saccà, direttore di Rai 1”. Saccà? “Era il più bravo. Che idea politica avesse non ci interessava. Come vicedirettore del Tg1 nominammo un giornalista di An, Mauro Mazza”. Riceveva le telefonate di Marini e D’Alema? “Non solo non le ricevevo, neppure li conoscevo. Ovviamente ricevevo le telefonate dei politici o meglio ci provarono”. Quale partito? “I Ds”. E cosa le chiedevano? “Spazi, posizioni. Gli risposi semplicemente che non ero un maggiordomo e non avrei cominciato da quel momento”. E poi? “Non si sono più fatti sentire”. E le nomine? “Ricordo il metodo utilizzato nel 1993 quando ero direttore del personale Rai. La Rai era libera come non mai. C’era stata Tangentopoli, i partiti avevano perso il controllo, il cda era composto da cinque membri, i famigerati ‘professori’. Passarono sei mesi dall’insediamento e si doveva procedere alle nomine dei direttori di tg. Si decise di andare a Firenze, in convento”. Servono i monaci per la Rai? “Serve spegnere il telefonino. In quell’occasione fu stabilito che durante la riunione, il processo di nomina, si sarebbero tenuti i telefonini fuori dalla stanza. Le nomine passarono all’unanimità”. Da Pechino, Meloni ha dichiarato che serve il nuovo cda, ci “metterà la testa”, dice, nelle prossime settimane. La Rai ha una testa? “Attenzione, parlare di Rai, da fuori, è semplice. Io sono stato fortunato. In passato c’era ancora un’intercapedine”. Non è mai andato a Palazzo Chigi a parlare con i premier? “Non andavo. Il mio interlocutore era l’Iri. Ero avvantaggiato”. Nulla infastidisce Meloni quanto questa televisione, l’accusa di averne fatto uno sgabuzzino di Colle Oppio. Perché soffre le critiche sulla sua Rai? “Perché qui misura i limiti della sua comunità. Si accorge che in Rai la qualità si misura dalla gente che metti dentro. Devi valere per quello che vali altrimenti alla lunga si vede che non vali”. Basta cambiare la governance Rai, come si dice pronta a fare Meloni? “La spartizione non è una novità”. E allora cosa è cambiato? “La vergogna”. La vergogna? “Una volta si aveva un senso della vergogna maggiore. Si spartiva ma non si esibiva, si davano trasmissioni ma senza la sfacciataggine di oggi. Non si esibiva il beneficio”. Simona Agnes diventerà la prossima presidente Rai come vuole Tajani? “Temo che possa finire in un gioco incrociato di fuoco amico e non farcela. Siamo qui a discutere dei voti della Lega anziché chiederci ma Agnes farebbe bene la presidente? Io penso di sì. Vede, torniamo sempre ai modi. C’è modo e modo. C’è modo e modo di comunicare, spartire e poi ci sono i bravi a cui si deve lasciare spazio, senza discriminare”. Meloni è illiberale? La sua furia contro i giornali italiani è il nuovo editto, “l’editto di Pechino”? “Meloni non è illiberale ed è la prima a sapere che alla fine serviranno i bravi”. Raccontano che una volta abbia detto “mi parlate di bravi, ma dove stanno questi bravi”? “Ci sono ma sono i suoi che li coprono, che non glieli lasciano vedere. Una buona televisione, una buona idea nasce se si ha tempo di pensare, di leggere, senza rispondere al telefono, di perdere anche tempo, se serve”. La Rai la perderemo? “Per non perdere la Rai dobbiamo ritrovare la vergogna. Quando si proverà vergogna, vergogna di servire, vergogna di assecondare, allora sì che si può tornare a fare una buona televisione”.
(da ilfoglio.it)
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Luglio 31st, 2024 Riccardo Fucile
IN EUROPA E’ ENTRATA LA FOGNA, LA TEDESCA ANDERSON NE E’ DEGNA RAPPRESENTANTE
«Oggi – 30 luglio – una parlamentare europea del partito di estrema destra tedesca Alternative fur Deutschland ha associato il mio nome e il mio volto alla mafia». Inizia così il post di Antonio Decaro, in risposta alle accuse mosse dalla collega Christine Anderson.
Sui social, l’ex sindaco di Bari ha voluto annunciare le contromisure legali che prenderà nei confronti della politica tedesca. «Un attacco ignobile e calunnioso che utilizza in modo pretestuoso una notizia di una inchiesta che riguarda la mia città, ma che in nessun modo ha toccato la mia persona. Voglio avvisare la collega tedesca che sarà querelata. Lo faccio per tutelare il mio onore, ma soprattutto quello della mia città e del mio Paese».
Decaro, recentemente nominato presidente della Commissione Ambiente del Parlamento europeo, è stato attaccato da Anderson, che ha ventilato dubbi su presunte infiltrazioni mafiose a Bruxelles. In un post, la tedesca ha sovrapposto il volto di Decaro a quello di personaggi che sembrano incarnare i cliché degli uomini di Cosa nostra. E ha titolato: «Contatti della mafia nell’Europarlamento?».
Secondo la replica dell’esponente del Partito democratico, «la parlamentare si dice risentita per – la sua – elezione a presidente della Commissione Envi. Ma invece di attaccarmi per le mie idee, che probabilmente non conosce, prova a screditarmi dandomi del mafioso come si faceva negli anni ’50 con gli emigrati italiani nei Paesi stranieri. Evidentemente l’estrema destra, trovando difficile il confronto sul terreno della politica, sceglie la scorciatoia dell’insulto e della diffamazione».
(da agenzie)
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Luglio 31st, 2024 Riccardo Fucile
IL GEOLOGO E DIVULGATORE CONTRO LA PROVINCIA DI TRENTO… RIBADIAMO: CHI L’HA RIELETTO E’ DEGNO DI LUI, NESSUN TURISTA DOVREBBE METTERE PIEDE IN TRENTINO
Il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi all’attacco della Provincia di Trento per l’uccisione dell’orsa Kj1.
In un articolo su La Stampa Tozzi dice che l’ordinanza di abbattimento è stata reiterata nel tardo pomeriggio, «quando sarebbe stato impossibile impugnarla di nuovo (era già accaduto due volte) e quando nessun Tribunale avrebbe potuto agire».
L’orsa poi è stata «assassinata» durante la notte, «agendo di nascosto e approfittando del favore delle tenebre». Secondo Tozzi così il presidente Maurizio Fugatti «raggiunge il suo unico obiettivo, uccidere gli orsi secondo il programma provinciale che prevede l’abbattimento di otto individui l’anno».
Perché è stata uccisa l’orsa Kj1
Tozzi si domanda perché sia stata uccisa Kj1. E spiega: «Ufficialmente perché l’amministrazione locale (Ispra ha smentito la sua approvazione e ha parlato di misura politica) la riteneva un’orsa pericolosa, in ragione di un’ultima sua reazione contro un turista francese e di almeno 11 incontri ravvicinati con i sapiens (11, va detto, in 22 anni): un animale troppo confidente, che rischiava di avere una familiarità eccessiva con gli uomini».
Per lo stesso motivo era stato abbattuto M90. Ma Kj1 aveva i cuccioli, che adesso avranno difficoltà a sopravvivere. C’erano soluzioni alternative? «Certamente, a iniziare dalla deportazione degli individui «problematici» in altre zone disposte ad accoglierli, o la sterilizzazione, non certo la prigionia in gabbioni angusti e improbabili che portano solo alla follia e alla morte».
Vendetta e calcolo politico
Invece Kj1, secondo Tozzi, è stata uccisa «per vendetta e calcolo politico». Perché «il progetto europeo Life Ursus è stato accettato (e finanziato) senza alcuna opposizione, neanche da parte dell’attuale presidente scanna-orsi. Prevedeva l’attuazione di una serie di misure precauzionali che vanno dai cassonetti per i rifiuti anti-intrusione ai cani da guardiania all’educazione della popolazione: quasi nulla è stato fatto in termini di prevenzione». Secondo Tozzi «hanno voluto gli orsi, poi, se questi fanno gli orsi, li abbattono adducendo ragioni incomprensibili di una sicurezza dei cittadini».
(da Open)
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Luglio 31st, 2024 Riccardo Fucile
GIUSEPPE DENTICE: “QUESTI OMICIDI PORTANO A UN ALLARGAMENTO DEL CONFLITTO”
Intervista a Giuseppe Dentice, Analista specializzato in Medio Oriente e Nord Africa del CESI (Centro Studi Internazionali) nonché dottore di ricerca in “Istituzioni e Politiche” presso la Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Ismail Haniyeh e Fuad Shukr, rispettivamente leader di Hamas e numero due di Hezbollah, sono stati uccisi da Israele a Teheran e Beirut nel volgere di una manciata di ore, in due azioni evidentemente coordinate che hanno decapitato i vertici dei movimenti più ostili a Tel Aviv. I due omicidi eccellenti non sono stati esplicitamente rivendicati dal governo israeliano, ma portano chiaramente la firma di Benjamin Netanyahu, che da mesi aveva promesso che avrebbe punito gli organizzatori degli attacchi del 7 ottobre e i loro fiancheggiatori.
Il duplice assassinio, tuttavia, non sarà privo di conseguenze. Il Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell’Iran si è subito riunito per un vertice di emergenza, organizzato nella residenza di Ali Khamenei, la Guida Suprema, che ha giurato vendetta. Nel frattempo, Israele ha chiuso il suo spazio aereo a nord e innalzato l’allerta ai massimi livelli. Cosa succederà quindi nelle prossime ore o nei prossimi giorni? Come risponderà l’Iran a un attacco portato a segno nella sua capitale? E cosa farà Hezbollah? Soprattutto: siamo alla vigilia della temuta escalation del conflitto in tutta la regione? Fanpage.it ha interpellato Giuseppe Dentice, analista del CeSI specializzato in Medio Oriente.
Chi era Ismail Haniyeh, il leader di Hamas ucciso la scorsa notte nella sua residenza di Teheran. Qual era il suo profilo politico e perché non è un caso che sia stato assassinato in Iran?
Ismail Haniyeh è stato un importante leader di Hamas, la guida sia spirituale che politica del movimento, un personaggio piuttosto controverso che aveva traghettato il partito verso uno “shift” sempre più marcatamente filo-iraniano e anti-israeliano, mettendo in secondo piano la stessa causa palestinese. Mi spiego: se è vero che Hamas nasce come movimento di supporto alla causa palestinese nel periodo della prima Intifada, è altrettanto vero che con Ismail Haniyeh il partito verrà trascinato verso una sempre maggiore vicinanza strategica a Teheran. Al contempo Ismail Haniyeh è stato il personaggio che ha retto e diviso Hamas, compensando il peso che in anni recenti avevano acquisito uomini come Mohammed Deif e Yahya Sinwar, esponenti dell’ala militare del movimento. La capacità di Haniyeh è stata quella di traghettare Hamas nelle lunghe vicissitudini della sua storia dando al partito un’impronta marcatamente anti-israeliana, e cercando di legale la sopravvivenza del movimento e le sue finalità all’onda lunga iraniana. Non è un caso che Haniyeh sia stato ucciso proprio a Teheran. Aveva partecipato proprio ieri alla cerimonia di giuramento del presidente Masoud Pezeshkian.
L’assassinio di Ismail Haniyeh a Teheran arriva una manciata di opre dopo quello di Fuad Shukr, il numero due di Hezbollah, a Beirut. Questi due eventi non possono che essere legati. Ma chi era Shukr?
Se non il collaboratore più stretto del segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah, Fuad Shukr ne era sicuramente l’uomo più vicino, il cosiddetto “numero due” del “Partito di Dio”. Era dunque un personaggio estremamente importante, un uomo che ha sempre avuto un ruolo rilevante all’interno delle dinamiche di Hezbollah. Basti pensare che Fuad Shukr fu una delle menti principali dell’attentato alla caserma statunitense di Beirut del 1983. La sua uccisione, come quella di Haniyeh, sono state le due esecuzioni eccellenti da parte di Israele dal 7 ottobre.
Cosa succede ora? L’Iran può tollerare un attacco sul suo territorio da parte di Israele?
Sia l’Iran ed Hezbollah faranno sicuramente sentire la loro voce. Dobbiamo aspettarci il peggio.
Non è ipotizzabile, dunque, che questi due omicidi eccellenti vengano usati da Israele come pretesto per avviarsi a una conclusione della guerra a Gaza?
No. Queste due uccisioni non possono essere derubricate ad eventi da dover semplicemente “gestire”. Hezbollah, Hamas e l’Iran dovranno dare una risposta, e sarà una risposta dura anche se non sappiamo quale sarà il livello di coordinamento. Gli omicidi di Ismail Haniyeh e Fuad Shukr ci portano verso un allargamento della crisi a livello regionale, a una situazione assolutamente imprevedibile. Sicuramente la prima vittima di quello che è accaduto saranno i faticosi negoziati per un cessate il fuoco. La Striscia di Gaza verrà dimenticata, o meglio ricondotta in un più ampio alveo di confronto, quello tra Israele e Iran. I palestinesi saranno ancora una volta le prime vittime di questa dinamica e le loro legittime aspirazioni passeranno in secondo, se non in terzo piano. Il confronto, a questo punto, sarà regionale e investirà innanzitutto Tel Aviv e Teheran, con attori intermedi come Hezbollah, Hamas, gli Houthi e le milizie filo-iraniane in Siria e Iraq. Ripeto, purtroppo ci dobbiamo aspettate il peggio. Solo 3/4 giorni fa, dopo l’attacco a Majdal Shams, sulle alture del Golan, le possibilità di guerra erano rimaste sostanzialmente invariate. Gli accadimenti delle ultime ore e la risposta durissima di Israele aprono invece un nuovo scenario. Dobbiamo preoccuparci. E seriamente.
Oltre all’Iran anche la Turchia, il Qatar e la Russia hanno condannato l’attacco, mentre gli USA hanno detto che difenderanno Israele in caso di guerra. C’è ancora tempo per fermare l’escalation?
Dal punto di vista retorico ogni Paese ora dirà la sua, come è normale che sia: ad oggi il rischio è quello di un conflitto reale tra Israele e l’Iran con evoluzioni fuori da qualsiasi previsione. Nessuno di noi, oggi, è in grado di quantificare la portata della guerra, la sua estensione geografica e le sue ricadute politiche globali. È una situazione nuova, assolutamente in divenire. In questo quadro alcune posizioni sono note: gli USA sosterranno Israele, Russia, Cina e Turchia faranno il loro gioco. Sarà invece molto interessante capire come si muoveranno attori come Giordania, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, Paesi che fin dal 7 ottobre si stanno muovendo con un difficile equilibrismo e ora dovranno cercare di non passare come dei traditori agli occhi delle rispettive opinioni pubbliche, accettando qualsiasi azione Israele compia nella regione. Insomma, siamo di fronte a un rebus di difficile soluzione. Ma mai come oggi il rischio di una guerra allargata in Medio Oriente è dietro l’angolo.
(da Fanpage)
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Luglio 31st, 2024 Riccardo Fucile
REGOLAMENTI DI CONTI TRA TERRORISTI
In seguito a un attacco aereo su Teheran, in Iran, Israele sarebbe riuscito ad uccidere Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas. Lo ha dichiarato proprio Hamas. Le Guardie della Rivoluzione Islamica hanno confermato che la residenza di Haniyeh «è stata colpita» nella capitale iraniana e, «a seguito di questo incidente, lui e una delle sue guardie del corpo sono stati martirizzati». Hanno anche aggiunto che «stanno indagando sull’incidente e annunceranno i risultati dell’indagine in seguito». Haniyeh aveva 62 anni ed era capo dell’ufficio politico di Hamas dal 2017. Si trovava a Teheran per partecipare alla cerimonia di insediamento del presidente iraniano Masoud Pezeshkian.
Chi era Ismail Haniyeh
Haniyeh era nato a Gaza, in un campo profughi. I suoi genitori erano scappati dalla città di Asqalan dopo la creazione dello Stato di Israele nel 1948. Da ragazzo, aveva studiato all’istituto al-Azhar e si era laureato in letteratura araba all’Università islamica di Gaza. In quegli anni aderì anche al Blocco Studentesco Islamico, considerato un precursore di Hamas. Nel 1987 e nel 1988 venne arrestato e incarcerato per aver partecipato ad alcune manifestazioni di protesta. Venne arrestato nuovamente nel 1992, e in quell’occasione anche deportato assieme ad altri nel sud del Libano, tornando poi a Gaza. Lì è divenuto, un anno dopo, il preside dell’Università Islamica.
La scalata
Con il tempo, Haniyeh è riuscito a occupare posizioni via via più importanti all’interno di Hamas, anche grazie al rapporto di fiducia e collaborazione intessuto con il co-fondatore del movimento, il defunto sceicco Ahmed Yassin. Parallelamente, è avvenuta la sua ascesa politica: è stato Primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese dal 2006 al 2007. Poi, per via delle tensioni crescenti tra Abu Mazen e Hamas, venne incaricato di costituire un governo di unità nazionale. Esperimento che non durò a lungo, e si concluse con la presa della striscia di Gaza da parte di Hamas.
Gli attentati
Ismail Haniyeh viveva dal 2019 a Doha, in Qatar, dove aveva ricevuto l’asilo politico. Era sposato e aveva avuto 13 figli, tre dei quali sono stati uccisi durante un raid israeliano all’inizio dell’anno. Lui stesso, negli ultimi anni, è sfuggito a vari attentati, prima di quello, letale, che lo ha colpito a Teheran.
Musa Abou Marzouk, uno dei maggiori dirigenti di Hamas, ha commentato l’accaduto sostenendo che «l’assassinio del comandante Ismail Haniyeh è un atto codardo e non passerà sotto silenzio». Intanto nella giornata di ieri – 30 luglio – si è diffusa la notizia della morte di un altro leader di spicco tra i nemici di Israele: Fuad Shukr alias Hajj Mohsin, numero due delle milizie di Hassan Nasrallah e consigliere militare di Hezbollah.
(da agenzie)
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