Settembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
NON SARÀ RENZI (O CALENDA), MA AUMENTANO LE QUOTAZIONI DI BEPPE SALA… TUTTO DIPENDERA’ DALLA NUOVA LEGGE ELETTORALE
Non facciamoci del male, è il refrain morettiano dietro cui si trincera l’intera classe dirigente del Pd, mentre va in scena l’ennesima prova di sfascio del traballante campo largo. È il tentativo di tradurre in parole l’ostinazione con cui Elly Schlein prova a tenersi alla larga dalla rissa tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, che complica la vita ad Andrea Orlando in Liguria.
Sarà pur vero che da quando il leader M5S, spalleggiato da Avs, ha tagliato fuori dalle liste Italia viva, il candidato governatore ha ricevuto messaggi di elettori che non l’avrebbero votato «e ora che non c’è Renzi, invece, sì».
E dunque, Schlein? Il Nazareno è trincerato nel silenzio, ma non ci si attendono repentini cambi di linea o che la leader sbatta la porta in faccia a Renzi: continua a dirsi «testardamente unitaria», intenzionata a non porre veti né subirne.
Un richiamo che il leader di Iv, con esuberanza ingombrante, vive come un abbraccio. Al contrario, Conte lo legge come la fastidiosa pretesa di Schlein di esercitare la leadership della coalizione, riducendo tutti gli alleati a «cespugli». Ci si era illusi, dopo le Europee, che l’ex premier M5S avesse sposato un nuovo spirito unitario.
Ma ora, nel mezzo dell’asprissima contesa con Grillo, ha rialzato i toni, forse ispirato da sondaggi in risalita: se anche la segretaria dem gli facesse il piacere di spegnere gli ardori di Renzi, è la convinzione, la sfida si sposterebbe su un altro fronte. «Viene il sospetto – teorizza Pina Picierno – che Conte auspichi, come Meloni, la vittoria di Trump, per spostare l’asse delle sue alleanze».
I dirigenti del partito più vicini a Schlein, a dire il vero, non pronosticano un futuro senza Conte. La via a loro giudizio è tracciata e dunque fa bene la segretaria a mostrarsi concentrata su battaglie come la manovra, per costruire una piattaforma programmatica.
Paolo Gentiloni, in un’intervista alla Stampa, sottolinea come non basti l’unità, ma sia il programma la condizione necessaria per avere la «credibilità di una proposta di governo». Congedo paritario, costo delle bollette dell’energia, lotta al lavoro precario e fondi alla sanità: su questi temi la segretaria intende chiamare gli alleati a una battaglia unitaria. «Mentre gli altri chiosa uno Schlein-entusiasta – cercano visibilità con interviste».
A dar concretezza all’impegno, oggi a Milano vedrà rappresentanti del mondo imprenditoriale, in un incontro a porte chiuse su cui il Nazareno tiene gran riserbo. Ma, ecco il sottotesto, non è Renzi il punto, non sono i voti che aggiunge (o che, come testimoniano i fischi alle feste dell’unità, rischia di sottrarre al Pd).
Il punto per Schlein è la coerenza del progetto: ostinarsi a indicare come obiettivo la sconfitta della destra, per cui chi fa vincere la destra, che sia il veto di Conte in Liguria o uno strappo renziano altrove, se ne assumerà la responsabilità.
Tanto più che nel corpaccione del partito, nell’ormai larghissima maggioranza che sostiene la segretaria immaginandola candidata premier nel 2027, una convinzione si fa sempre più largo. Che nel medio termine la gamba di centro del campo largo non sarà rappresentata da Renzi (o da Calenda), non loro i leader.
Ma da un nuovo soggetto moderato che andrà prendendo forma nello spazio tenuto aperto da Schlein. Con chi? Si rincorre il nome di Beppe Sala. E poi «volti nuovi», dice chi vuole allontanare lo spettro di una scissione del Pd. I dem resterebbero perno della coalizione, 5Stelle e Avs sull’ala movimentista e di sinistra. più la nuova gamba centrista.
(da La Repubblica)
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Settembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
E’ LA CIFRA CHE L’ERARIO E’ COSTRETTO A RINUNCIARE AD INCASSARE; EVVIVA LA SEDICENTE DESTRA DELLA LEGALITA’
Altro che soldi freschi per le casse dello Stato. Anche l’ultimo condono partorito dalla maggioranza, come tutti i precedenti, costringe l’erario a rinunciare a una fetta importante delle risorse che avrebbe potuto recuperare: quasi 1 miliardo.
Per la precisione 212 milioni per il 2025, 267 per il 2026, 223 per il 2027, 176 milioni per il 2028 e 108 milioni 2029.
Le cifre sono nero su bianco nell’ultima riformulazione dell’emendamento di FdI, Forza Italia e Lega al decreto Omnibus che offre alle partite Iva che aderiranno al concordato preventivo biennale con l’Agenzia delle Entrate – l’accordo sulle tasse da pagare nei due anni successivi – una maxi sanatoria del nero fatto tra 2018 e 2022.
La proposta di modifica è stata approvata domenica dalle commissioni Bilancio e Finanze del Senato, nel silenzio del governo che se ne è lavato le mani lasciando al Parlamento il lavoro sporco. E oggi metterà la fiducia sul provvedimento. L’obiettivo è palesemente quello di tentare di risollevare le sorti del concordato messo a punto dal viceministro Maurizio Leo.
A un mese dalla scadenza del termine per aderire, l’interesse per la misura che dovrebbe convincere gli autonomi a dichiarare un po’ di più resta bassissimo. Pur di evitare il flop, l’esecutivo e i partiti che lo sostengono sono pronti a tutto. A inizio anno hanno stabilito di far accedere al concordato anche gli autonomi e le piccole imprese con “pagelle fiscali” (Indicatori sintetici di affidabilità) insufficienti, il che significa che il fisco li ritiene probabili evasori.
La decisione ha comportato l’azzeramento del gettito previsto dalla misura, 1,8 miliardi in base alla prima relazione tecnica, perché gli interessati non sono più costretti integrare la dichiarazione dei redditi per arrivare a un punteggio adeguato.
Poi è arrivata la flat tax dal 10 al 15% sul reddito aggiuntivo concordato con le Entrate. Infine, a settembre, è spuntato l’emendamento sul “ravvedimento”: una sanatoria su eventuali redditi evasi tra 2018 e 2023.
Chi accetta il concordato potrà mettersi in regola pagando un’imposta sostitutiva dell’Irpef del 10, 12 o 15% a seconda dell’affidabilità fiscale, su un imponibile super scontato: dal 5 (per chi ha Isa pari a 10) al 50% (in caso di Isa sotto il 3) della differenza tra dichiarato e nero. Per l’Irap la sostitutiva si fermerà al 3,9%.
Non solo: per il 2020 e 2021, anni pandemici, c’è un’ulteriore riduzione del 30%. Niente sanzioni né interessi. Significa cavarsela sborsando una minuscola percentuale delle imposte evase, peraltro con la comoda opzione delle 24 rate mensili.
Le successive correzioni si sono limitate a sanare alcuni evidenti difetti tecnici della proposta e “minacciare” i contribuenti che intendano dire sì al concordato ma non al condono allungando anche per loro i termini per l’accertamento.
La terza riformulazione è l’unica a quantificare il costo dell’operazione: circa 986 milioni in 5 anni.
Si provvederà per 144 milioni tra 2025 e 2027 con una partita di giro, cioè usando le maggiori entrate derivanti dalla misura, e per gli 842 milioni che restano mettendo mano al fondo per l’attuazione della delega fiscale. Il via libera è arrivato durante una inusuale seduta domenicale. I relatori, Giorgio Salvitti (FdI) e Claudio Lotito (FI), riferiranno in Aula a Palazzo Madama dove il governo quasi sicuramente porrà la fiducia. Il provvedimento passerà poi in seconda lettura alla Camera.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
A VIALE MAZZINI SI MORMORA CHE DIETRO L’OSPITATA DELLA CONDUTTRICE A “BALLANDO CON LE STELLE” (COSTO: 70MILA EURO) CI SIA LO ZAMPINO DI TELEMELONI… L’AFFONDO DI GASPARRI SULLE BANCHE E SU MUSK, L’AUTONOMIA, LE ALLEANZE INTERNAZIONALI: LITIGANO SU TUTTO
Nella maggioranza di centrodestra è in corso quello che i politologi definirebbero “guerra di attrito”, cioè un susseguirsi di schermaglie, scaramucce, ripicche, scazzetti, che porta Fratelli d’Italia, Forza Italia e lega a duellare praticamente su tutto.
Le divisioni tra i partiti che reggono il governo Meloni sono numerose e, in alcuni casi, profonde. Eppure, a differenza di quel che accade a sinistra, l’alleanza regge in nome del potere: non appena si entra in Parlamento a votare, ogni dissapore svanisce e si procede compatti.
Negli ultimi tempi, però, i conflitti dell’armata Branca-Meloni stanno superando il livello di guardia. Solo per citare gli ultimissimi casi:
1.L’affondo di Gasparri a difesa delle banche (“Siamo contrari a nuove tasse a carico di chi già le paga”), contro ogni proposito di tassa sugli extraprofitti, ipotizzata dal duplex Meloni-Fazzolari, e l’attacco alzo zero a Elon Musk (“bandito fiscale”), lo stesso che giusto una settimana fa flirtava con la Meloni all’Atlantic Council di New York. Un doppio affondo non casuale, visto che è arrivato il giorno dopo il no della Meloni allo ius scholae chiesto da Forza Italia.
2.Autonomia: oggi sul “Corriere della Sera” uno dei più importanti ras di FI, il governatore della Calabria Roberto Occhiuto, è sceso in campo pesantemente contro la riforma cara alla Lega, chiedendo “prudenza” alla maggioranza.
Occhiuto, uno che i voti li porta (e tanti) ha lanciato un appello al Governo: “Congelate gli effetti della legge sull’autonomia in attesa che la riforma sia completa, utilizzate il tempo per ragionare su ogni aspetto e per spiegare all’opinione pubblica cosa succederà e come”.
Per poi affondare il colpo: “È vero che l’autonomia era uno capisaldi del centrodestra con la riforma della giustizia e il premierato, ma è l’unica su cui si è andati di fretta, di notte, con un’urgenza poco comprensibile. Il referendum? Temo che si riveli un danno, perché stravincerebbe al Sud e al Centro e credo che non basterebbero i voti del Nord per salvare la legge. Lo credo perché oggi non è più come 10 anni fa, l’autonomia non è più sentita come una priorità nemmeno a Nord”.
3. Il posizionamento internazionale. La Lega si smarca costantemente sull’Ucraina, al punto da costringere Giorgia Meloni a sbianchettare, dal comunicato italiano del vertice a Washington tra Biden e Zelensky, ogni riferimento alle armi a Kiev.
La premier era collegata da remoto: per la seconda volta consecutiva non è andata alla cena con Biden alla Casa Bianca (la prima mancò per farsi una pizza con la figlia Ginevra), proprio sul tema Ucraina, in nome di una presunta “equidistanza” internazionale.
In realtà, e lo zio Sam l’ha capito benissimo, la premier nasconde soltanto il desiderio di tenere buono Salvini, arrivando al punto di far incazzare gli americani. La sua decisione, però, viene giudicata improvvida oltreoceano, considerando che Giorgia Meloni non è soltanto presidente del Consiglio, ma ha la guida di turno del G7, e la sua assenza a un importante vertice sull’Ucraina è un grave scivolone.
Se è vero che ad ogni azione corrisponde una reazione, gli americani potrebbero arrivare a stracciare l’unico risultato tangibile del vertice G7 a Borgo Egnazia, che la sora Giorgia aveva esaltato come grande successo.
Come scrive oggi sul “Corriere della Sera” Marco Galluzzo: “La doccia fredda è arrivata a Palazzo Chigi quando il Tesoro americano ha comunicato in modo formale che per partecipare al prestito di oltre 50 miliardi che con grande fatica (e qualche incertezza) la diplomazia italiana e dell’intero G7 aveva promesso nero su bianco all’Ucraina, nel corso del summit in Puglia, nel giugno scorso, aveva bisogno di garanzie molto più forti di quelle offerte finora
Era stata una trattativa serrata e durata svariate settimane, proseguita durante l’estate, che si è arenata quando anche la Casa Bianca ha fatto presente agli altri governi che le richieste del suo Tesoro non erano negoziabili: almeno tre anni di certezza giuridica, con tanto di voto del Consiglio europeo, sul congelamento (oggi da rinnovare ogni sei mesi) degli utili (oltre 4 miliardi l’anno) che producono i fondi russi confiscati nelle banche della Ue. Utili che dovrebbero garantire il prestito a Kiev targato G7”.
A rendere il boccone più amaro per Washington sarà la presenza, il 6 ottobre a Pontida, di Viktor Orban, vassallo di Putin nell’Ue e alleato del vicepremier Salvini in Europa nel gruppo dei “Patrioti”.
4.Rai/1. Salvini torna alla carica sul taglio di 20 euro dal canone Rai per il 2025. Il leader della Lega, ricicciando la proposta, ha fatto inalberare Forza Italia. È sempre la solita storia: tagliare il canone comporterebbe un innalzamento del tetto pubblicitario per il servizio pubblico, a detrimento di Mediaset.
Alla proposta dell’ex Truce del Papeete si oppone non solo Forza Italia, a difesa dei Berlusconi, ma anche Giorgetti, a difesa dei conti pubblici (già fortemente deteriorati in vista della manovra).
5.Rai/2. Sulla governance a Viale Mazzini la maggioranza è in fibrillazione (e quando si arriverà alle direzioni voleranno coltelli): mentre Antonio Tajani è stato completamente ammansito da Giorgia Meloni, con la promessa di essere il candidato al Quirinale per il centrodestra nel 2029, al punto da incassare obbedir tacendo il no allo ius scholae senza colpo ferire, Gianni Letta non ci sta a passare per stuoino della premier
La mancata nomina della sua fedelissima, Simona Agnes, alla presidenza della Rai, sta mandando “l’eminenza azzurrina” fuori giri. Per arrivare a piazzarla al vertice della tv pubblica, servirebbero anche i voti dei 5stelle, ma Giuseppe Conte, impantanato in una battaglia identitaria interna al Movimento, può permettersi, ora come ora, di tendere la mano alla destra senza far infuriare ulteriormente i grillini duri e puri?
L’ultima bega, tra gli alleati di centrodestra, riguarda la tv, ma stavolta non c’entrano né gli intrighi per le poltrone né questioni venali come il canone: c’entra Barbara D’Urso. Quella che a prima vista potrebbe apparire come una notiziola televisiva, nasconde l’ennesimo dispettuccio tra i partiti di maggioranza.
Come anticipato dal nostro Giuseppe Candela, sabato sera, nello studio di “Ballando con le Stelle”, tra un lampadario dell’800 e il solito show a tavolino scritto e diretto da Milly Carlucci, sbarcherà “Barbarie” D’Urso.
Negli ultimi quindici mesi, dopo l’uscita da Mediaset, abbiamo assistito a una pioggia di indiscrezioni sui nuovi impegni in Rai, a La7, Discovery, Netflix e pure sulla tv locale di Trapani. Sono arrivate solo smentite e un’intervista nel salotto di Mara Venier con bordate contro il Biscione.
Anche la Rai, guidata dal duplex Sergio-Rossi, aveva smentito la possibilità di un suo arrivo e invece eccoci qui: sabato sarà ballerina per una notte ritrovando in giuria la “nemica amatissima” Selvaggia Lucarelli.
La prima notizia riguarda il clamoroso cachet: per accennare due passettini in pista “Carmelita” incasserà circa 70 mila euro. Sì, avete capito bene. Una cifra altissima, cachet che a Viale Mazzini non girano da tempo.
Per averla Milly Carlucci ha spinto sull’acceleratore, ha smosso mari e monti. E ora già c’è chi accenna alla possibilità di quattro prime time per inizio 2025 o addirittura uno sbarco nel daytime per la prossima stagione (avvisate Matano e Venier!).
Per ora suggestioni e poco più. La sostanza però non cambia: Telemeloni ha tirato una pizza (brutta come quelle che vende Briatore) a Pier Silvio Berlusconi. “Con la complicità di Salvini e Meloni?”, si chiedono nei corridoi di Cologno Monzese. Perché “Barbarella”, dopo la cacciata, ha svelenato parecchio contro Mediaset in due occasioni, nelle interviste a Repubblica e a Domenica In, promettendo urbi et orbi rivelazioni della serie: “Adesso parlo io”, come una Maria Rosaria Boccia qualunque.
Così i retroscena fioccano. “E’ una vendetta con l’ok di Giorgia dopo l’incontro di Marina Berlusconi con Draghi. Dopo l’invito di Maria Rosaria Boccia a CartaBianca e dopo i famosi fuorionda di Striscia la notizia su Andrea Giambruno”. E c’è chi aggiunge: “Non finisce qui, arriverà un doppio segnale: faranno saltare anche Simona Agnes”. È solo una notizia televisiva o è l’ennesima spallata tra i partiti di maggioranza? Nel dubbio Barbarella incassa 70 mila euro per un balletto. Il resto si vedrà. Col cuore.
(da Dagoreport)
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Settembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
IPOTESI DI CORRUZIONE TRA I PRIVATI: ERA STATO CAPOLISTA DELLA LISTA MORATTI UN ANNO FA
Un quadro da 10mila euro in cambio della concessione comunale dei parcheggi dello stadio Meazza. Anche Manfredi Palmeri si trova indagato nell’ambito dell’inchiesta sul mondo del tifo organizzato che ruota intorno a San Siro, che ha portato agli arresti 19 capi ultrà tra Inter e Milan: il consigliere regionale, eletto nel 2023 come capolista della lista di Letizia Moratti e consigliere comunale a Milano eletto nel 2021 nella lista del candidato sindaco di centrodestra Luca Bernardo, è sotto inchiesta con l’ipotesi di corruzione tra privati.
La Procura di Milano contesta oggi all’ex presidente del Consiglio comunale di Milano per la giunta Moratti (dal 2006 al 2011) di avere ricevuto presunti favori dall’imprenditore Gherardo Zaccagni e da Mauro Russo al fine di affidare alla società Kiss and Fly di Zaccagni (parte di un consorzio che ha in su concessione un contratto con M-I Stadio srl, la società compartecipata alla pari da Inter e Milan di cui Palmeri è stato manager) la gestione dei parcheggi intorno all’impianto sportivo milanese durante la stagione 2024 dei concerti
Il quadro da 10mila euro e la somma in denaro
Alla base dell’ipotesi ci sono due intercettazioni. In una, dove si accenna a una somma di 20mila euro. E ancora, intorno a metà dicembre 2023, l’imprenditore Zaccagni sembra parlare di un altro tipo di beneficio concesso al politico lombardo. Si tratta dell’opera dell’artista cinese Liu Bolin Duomo, Milano, 90 centimetri per 68 in sei edizioni limitate, ritrovato poi dai poliziotti proprio in casa di Palmeri. “Comunque gli ho comprato già il quadro eh! Sono 10mila di quadro”, le parole di Zaccagni.
Chi è Manfredi Palmeri
Nato a Palermo nel 1974, è consigliere regionale della Lombardia all’interno della giunta guidata dal leghista Attilio Fontana e consigliere comunale di Milano dal 2001, attualmente presidente della Commissione Affari Istituzionali, Città Metropolitana, Municipalità. È stato presidente del Consiglio comunale di Milano dal 2006 al 2011, con la sindaca Letizia Moratti, e presidente della Commissione di Inchiesta su Expo 2015. Ex membro di diversi consigli di amministrazione, è dipendente di una società privata di servizi, ha seguito il progetto UCLF 2016 – UEFA Champions League Final 2016 Milano come Project Leader – Stadium.
(da Fanpage)
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Settembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
TROVATO L’ACCORDO ECONOMICO CON LA PARTE LESA PRIMA DELL’UDIENZA CHE VEDE IMPUTATO IL PARLAMENTARE DI FDI
Come riporta il Corriere, a pochi giorni dall’udienza preliminare prevista per il 9 ottobre, Luca Campana ha deciso di ritirare la denuncia per lesioni contro il deputato vercellese Emanuele Pozzolo.
Un accordo che era già stato cercato mesi fa, ma che era fallito. L’onorevole è accusato di aver portato la sua pistola alla festa di capodanno a Rosazza (Biella), evento a cui era presente il sottosegretario Andrea Delmastro. Dall’arma era partito un colpo che aveva ferito alla coscia l’operaio Campana. Pozzolo si è sempre dichiarato innocente e ha accusato l’allora caposcorta di Delmastro, Pablito Morello, di aver premuto il grilletto.
L’accordo
La conferma dell’accordo tra Campana e Pozzolo arriva dal legale dell’operaio, Marco Romanello, che si è detto «soddisfatto». La soluzione trovata era un’opzione a cui l’avvocato stava lavorando da tempo: l’onorevole di Fratelli d’Italia pagherà il risarcimento del danno e come contropartita ha ottenuto il ritiro della denuncia per lesioni.
La mediazione arriva poco prima dell’udienza preliminare fissata per il 9 ottobre e alla quale il deputato si presenterà assistito dall’avvocato Andrea Corsaro.
L’episodio
Pozzolo alla festa di capodanno organizzata nel salone della Pro Loco dal sindaco di Rosazza, Francesca Delmastro, la sorella del sottosegretario, ha portato la pistola la mini-pistola di collezione North American Arms LR22. Arma che non avrebbe potuto portare fuori di casa nonostante il porto d’armi. Sulle dinamiche i testimoni e lo stesso Pozzolo hanno riferito tesi differenti. Secondo quest’ultimo a sparare, e quindi a ferire alla coscia Campana, sarebbe stato il caposcorta di Delmastro, Pablito Morello, che è anche suocero dell’operaio. Per Campana invece sarebbe stato Pozzolo a sparare durante una maldestra dimostrazione del funzionamento dell’arma. Per l’accusa che gli è stata rivolta da Pozzolo, Morello ha annunciato una denuncia per calunnia.
(da agenzie)
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Settembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
VOGLIONO 30MILA EURO PER L’’INCHIESTA SUI SOLDI “REGALATI” ALL’ASSOCIAZIONE “ACCA LARENZIA”… LA CONTESTAZIONE NON RIGUARDA LA NOTIZIA (NON SMENTITA) MA LA DEFINIZIONE DELLA FONDAZIONE AN COME “CASSAFORTE DEL PARTITO”, IN QUANTO PROPRIETARIA DELLA SEDE DI FRATELLI D’ITALIA
Dalle parti di Palazzo Chigi hanno una sola ossessione. E non è governare al meglio. Piuttosto è chiedere soldi a Domani. Ripetutamente: con richieste giudiziarie di risarcimento o inviti alla mediazione civile, che è un’altra pratica per provare a ottenere una somma per presunti danni procurati. Un monito a tutta la stampa non allineata: guai a scrivere del partito della presidente del Consiglio.
L’ennesima lettera è giunta alcuni giorni fa. Questa volta non è un singolo ministro o sottosegretario o capo di gabinetto a firmarla, è il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia.
Gli avvocati chiedono di risarcirlo per un articolo «lesivo della sua immagine e reputazione». Attenzione: non perché le notizie pubblicate dal giornale sono false, ma perché ledono l’immagine.
L’inchiesta giornalistica in questione è quella sul finanziamento concesso dalla Fondazione Alleanza nazionale all’associazione “Acca Larenzia” il cui presidente è un militante di peso del movimento neofascista Casapound.
Il denaro regalato in forma di “liberalità” è servito all’associazione dei neofascisti per acquistare la sezione di Acca Larentia, il sacrario della destra sociale dove ogni 7 gennaio tutta la galassia nera e post missina va in pellegrinaggio a commemorare i tre militanti del Movimento sociale italiano uccisi «dall’odio comunista», come recita la targa all’esterno della sede romana
Nessuno dei protagonisti ha ancora spiegato per quale motivo la fondazione ha deciso di stanziare 30mila euro a fondo perduto per offrirli all’associazione legata a CasaPound, invece di spenderne altri 38 per acquisirla direttamente e “cacciare” gli estremisti da quel luogo sacro anche per Fratelli d’Italia. Un mistero che resterà tale.
Prima della pubblicazione, come è prassi qui a Domani, abbiamo dato modo di replicare o commentare ai diretti interessati, senza tuttavia ricevere alcuna risposta. Solo dopo la pubblicazione hanno risposto tramite una nota mandata alle agenzie: firmata dal presidente della fondazione, Giuseppe Valentino, confermava tutto ciò che avevamo raccontato.
Solo su un punto Valentino ha tentato di negare l’evidenza. E cioè che la fondazione che presiede è un’entità separata dal partito Fratelli d’Italia. E che Arianna Meloni, pur sedendo nel board della fondazione, non ha alcun ruolo operativo. Un’excusatio non petita che nulla aveva a che fare con il focus dell’articolo, in cui definivamo la medesima fondazione la cassaforte immobiliare di Fratelli d’Italia.
Arriviamo, dunque, al punto. Nella missiva e nella richiesta di mediazione il partito chiede agli autori dell’articolo e al direttore di Domani 30mila euro per i danni subiti. Quali danni, tuttavia, non è dato saperlo.
Ma visto che le notizie pubblicate erano vere all’epoca e lo sono ancora adesso, ripercorriamo la vicenda e spieghiamo ancora una volta perché la fondazione e Fratelli d’Italia non possono essere considerate due entità distinte Definire la Fondazione An cassaforte che detiene gli immobili è, secondo la tesi degli avvocati del partito, una «maliziosa e asserita supposizione». Da qui la richiesta di 30mila euro a Domani.
Partiamo proprio da via della Scrofa 39. La sede di Fratelli d’Italia è di proprietà della Fondazione An, che dunque ha in pancia certamente l’immobile più di pregio del partito di governo. E se non bastasse questo dato per definire cassaforte l’organizzazione presieduta da Valentino, è sufficiente leggere l’elenco degli immobili di proprietà della fondazione o della società immobiliare che controlla per capire che la maggior parte sono utilizzati come sedi da Fratelli d’Italia. L’azienda in questione è la Italimmobili, amministrata da Roberto Petri: è stato uno dei più stretti collaboratori di Ignazio La Russa, ora big del partito in Romagna.
Nel cda della fondazione troviamo diversi esponenti di Fratelli d’Italia: Arianna Meloni, Luca Sbardella (segretario), Fabio Rampelli, Antonio Giordano (vicepresidente vicario), Roberto Menia (vicepresidente), Marco Cerreto, Pierfrancesco Gamba, Antonio Iannone, Filippo Milone, Maria Modaffari, Antonio Tisci.
Undici su quattordici componenti sono membri di Fratelli d’Italia. E il presidente Valentino era il candidato a vicepresidente del Csm in quota FdI.
Non si sa quanto paghi di affitti Fratelli d’Italia alla fondazione. Se qualcosa versa non è tantissimo, lo si capisce dai bilanci disastrosi della fondazione. Perennemente in perdita da anni: nel 2018 aveva chiuso il rendiconto con oltre 3 milioni di rosso, nel 2021 e 2022 con un disavanzo di oltre un milione di euro, infine nell’ultimo rendiconto 2023 il rosso è ancora più profondo: 1,4 milioni
Il partito può, dunque, chiedere il risarcimento a Domani per aver scritto che la sua cassaforte è la fondazione. Ma l’avvertimento non sarà sufficiente a nascondere la realtà: i soldi ai neofascisti e gli immobili occupati dal partito di proprietà della fondazione.
(da EditorialeDomani)
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Settembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
AGGRESSIONI, OMICIDI, TORTURE PER COSTRINGERE LA POPOLAZIONE A LASCIARE LA LORO TERRA: ISRAELE ORMAI E’ UNO STATO CRIMINALE
Mentre gli occhi del mondo guardano al massacro di Gaza con oltre 40 mila morti causati dai bombardamenti dell’esercito israeliano, in Cisgiordania dopo il 7 ottobre la violenza dei coloni e dell’esercito contro i villaggi palestinesi ha vissuto un’escalation. Assalti armati ai villaggi, demolizione delle case, distruzione dei campi agricoli, sono all’ordine del giorno in quello che sembra un disegno per costringere i palestinesi a lasciare intere regioni.
La zona del Masafer Yatta, a sud di Hebron, è quella più colpita dalle azioni violente dei coloni con la complicità delle forze armate israeliane, composte in questa regione, dagli stessi coloni.
L’escalation di violenze dopo il 7 ottobre: “I coloni fanno ciò che vogliono”
Senza la presenza degli attivisti internazionali documentare quello che avviene in Cisgiordania sarebbe davvero molto difficile. È grazie agli occhi ed alle telecamere degli osservatori internazionali che si riesce a mostrare al mondo cosa avviene nei territori palestinesi, accanto ai quali sono spuntati come funghi negli ultimi anni, una miriade di insediamenti dei coloni israeliani. Gli stessi insediamenti dichiarati illegali dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja lo scorso luglio, che ne ha chiesto lo smantellamento.
La risposta del governo Netanyahu è stata l’autorizzazione a costruire 6000 nuove abitazioni in territorio palestinese. Proprio la copertura fornita dal governo e dalle forze armate israeliane ai coloni, ha consentito una terribile escalation di violenze in Cisgiordania nell’ultimo anno, mentre gli occhi del mondo assistevano al massacro di Gaza.
Zoccolo duro dell’elettorato dei ministri Ben Gvir e Smotrich, i coloni sono stati armati, hanno ricevuto compiti di polizia, potendo compiere fermi e arresti, e a loro è garantita una sostanziale impunità per tutto quello che compiono contro i palestinesi. La zona più colpita da quella escalation di violenza è la regione del Masafer Yatta, a sud di Hebron. Ai tempi della costruzione del muro della vergogna voluto dall’ex primo ministro Ariel Sharon, le autorità israeliane non riuscirono a chiudere il cerchio nelle regioni del Sud, tagliando completamente fuori i villaggi palestinesi dalle città più importanti. Ma negli anni una costante politica di occupazione, fatta di aggressioni e violenze, prova a spingere i palestinesi a lasciare queste terre per permettere ai coloni di occuparle.
È qui che è attiva da oltre 10 anni la presenza di “Operazione Colomba”, che svolge un’opera di interposizione tra la popolazione civile palestinese, i coloni israeliani e l’esercito. Negli ultimi mesi i volontari italiani sono stati affiancata da Mediterranea Saving Humans, l’associazione italiana che si occupa di soccorso in mare ai migranti, che ha rafforzato la presenza degli osservatori internazionali nell’area.
“Dopo il 7 ottobre abbiamo assistito ad una escalation di violenza estrema in West Bank – spiega a Fanpage.it Rebecca Fantu di Operazione Colomba – ci sono stati tantissimi omicidi sia da parte dei coloni che dell’esercito israeliano, è aumentata la costruzione di avamposti che sono il preludio alla costruzione di vere e proprie colonie. Stanno realizzando addirittura delle strade ad uso esclusivo dei coloni, per limitare la libertà di movimento dei palestinesi. Tutto questo fa parte di un disegno che è quello di rendere la vita sempre più difficile a chi vive qui”.
In questa zona i coloni girano continuamente armati, danno vita a provocazioni, assalti violenti, sparatorie, contro la popolazione dei villaggi. I membri dell’esercito che controlla questa zona sono gli stessi coloni che vivono negli insediamenti. “I coloni si spingono sempre più oltre, osano molto di più – ci dice Serena Sardi di Mediterranea Saving Humans – sanno di poter contare sull’impunità. Loro sostanzialmente dovrebbero controllare loro stessi. Una situazione incredibile”.
L’elenco delle aggressioni negli ultimi mesi è lungo e ampiamente documentato grazie al lavoro degli attivisti internazionali. A Sheab al Botom, a Susya, a Khallet Athaba, i coloni armati di bastoni e con le pistole nella fodera, hanno assaltato le case dei palestinesi, come dimostrano i video girati dagli attivisti palestinesi e internazionali. Colpiscono i primi che capitano, oppure marciano di notte sui villaggi distruggendo e dando fuoco a tutto quello che trovano, come una sorta di moderno Ku Klux Klan.
“A Khallet Athaba a luglio scorso, i coloni sono arrivati di notte in gran numero, hanno iniziato a dare fuoco alle case, a distruggere le macchine, i pannelli solari che garantiscono l’elettricità al villaggio – racconta Sardi – poi hanno iniziato a inseguire gli attivisti palestinesi e internazionali che stavano filmando. Un nostro attivista è stato raggiunto dai coloni che lo hanno preso, lo hanno picchiato e lo hanno ferito con una zappa al viso. È riuscito poi a scappare ed è stato curato all’ospedale di Yatta”.
È andata peggio a Zakhariah Al Arda, abitante del villaggio di At Twani, che pochi giorni dopo il 7 ottobre, è stato sparato dai coloni mentre usciva dalla preghiera del venerdì. Così, senza motivo. Un gruppo di coloni dell’insediamento di At Mahon aveva fatto irruzione nel villaggio armati di mitra, ed hanno sparato sulla folla, colpendo Zakhariah da breve distanza. Solo dopo numerose e delicate operazione, è riuscito a tornare a casa sano e salvo.
Il sistema di demolizione delle case: “Vogliono che non ci sentiamo al sicuro”
Un altro strumento delle politiche di occupazione israeliane è quello della demolizione sistematica delle case all’interno dei villaggi. Militari e bulldozer arrivano di primo mattino, periodicamente, distruggendo le case. Il villaggio di Um Al Kahir, sempre nel Masafer Yatta, è tra i più colpiti da questa pratica. Accanto alle case dei palestinesi è sorta la colonia di El Carmel. La strada di accesso al villaggio è la stessa che conduce al cancello d’ingresso della colonia. Le ville con giardino dei coloni affacciano sulle baracche e le case diroccate dei palestinesi circondati dalla sabbia desertica e dalle pietre. A dividerli sono una rete con il filo spinato.
“Qui ad Um Al Kahir il problema più grande sono le demolizioni, hanno iniziato a farle nel 2007 – spiega a Fanpage.it Tarek Hataaleen, attivista del villaggio – il pretesto è sempre lo stesso, dicono che non abbiamo un permesso per costruirle. Lo scorso 26 giugno c’è stata una demolizione veramente pesante come impatto sulla popolazione del villaggio. Sono arrivati alle 9 del mattino con i militari ed i bulldozer ed hanno distrutto 17 edifici. Prima hanno demolito la casa comune del villaggio, poi si sono diretti verso la cabina dell’elettricità. Hanno distrutto anche 11 case”.
Le persone che hanno perso la casa nella demolizione del 26 giugno hanno iniziato a vivere sotto a delle tende di fortuna, piazzate sopra le macerie delle loro abitazioni. Lo scorso 14 agosto, l’esercito israeliano è tornato ad Um Al Khair, distruggendo le tende sotto cui si erano riparati gli sfollati della precedente demolizione. Ed è così che la popolazione del villaggio è scesa negli anni fino al numero di 200 abitanti, mentre accanto nella colonia di El Carmel, tra alberi e giardini, gli israeliani sono diventati 600. Un esempio lampante dello scopo delle politiche di occupazione.
Dovendo usare la stessa via d’accesso per arrivare alle proprie case, le aggressioni ad Um Al Khair sono frequenti. Una delle pratiche dei coloni è la distruzione dei sistemi di irrigazione dei campi agricoli palestinesi. Ad Um AL Khair pochi mesi fa sono stati tagliati tutti i tubi dell’acqua dai coloni, protetti dall’esercito, che hanno anche fatto il bagno nelle vasche per l’acqua potabile. Uno vero e proprio sfregio senza senso.
“Ti impongono questa realtà, vogliono che tu non ti senta al sicuro in nessun posto sulla tua terra – spiega a Fanpage.it Hamoudi Hureini, attivista del villaggio di At Twani – loro trattano i palestinesi non come esseri umani, ma come numeri, oggi siamo vivi, ma ci uccideranno o ci evacueranno dalla nostra terra”. Negli ultimi mesi ormai i coloni sembrano poter fare qualsiasi cosa, senza alcun rischio di essere incriminati per alcun reato. “I coloni sono protetti dal governo israeliano – sottolinea Hamoudi – girano armati e ormai controllano questa zona”.
Carcere e torture per gli attivisti
Da dopo il 7 ottobre il governo israeliano ha imprigionato senza accusa e senza iter processuale ben 9500 persone. Il dato viene riportato anche dai rapporti ufficiali della relatrice Onu per i diritti umani nei territori palestinesi, Francesca Albanese. Attualmente ne sono detenuti oltre 3000, li chiamano prigionieri amministrativi, si tratta di persone comuni o attivisti che vengono arrestati con il solo sospetto di essere legati ad attività che mettono in pericolo la sicurezza di Israele.
Per loro non ci sono accuse, non ci sono prove, non c’è nemmeno un processo, restano in carcere fino a quando le autorità israeliane non decidono di rilasciarle. Tra questi sono tantissimi quelli che hanno testimoniato di aver subito torture. Tra questi c’è anche Munther Amira, uno dei leader del movimento non violento palestinese. Lo incontriamo nella sua casa nel campo profughi di Aida, nella città di Betlemme.
Munther è stato in prigione per 6 mesi, dove ha subito violenze di ogni tipo, ed è stato rilasciato a marzo di quest’anno. A Fanpage.it ha deciso di raccontare l’esperienza delle torture subite. “Prima mi hanno picchiato, erano due soldati. Poi quando ero esausto mi hanno costretto ad alzarmi, sono arrivati con un magnetometro, è uno strumento che serve per fare i controlli di sicurezza sul corpo. Mi hanno obbligato a stare con le gambe aperte, e hanno iniziato a giocare con il magnetometro tra le mie gambe, e mentre lo facevano ridevano. Hanno filmato tutto, ed è quello il mio più grande incubo che mi passa per la testa. So che nel tempo potrebbero rilasciare quel video o delle foto di quelle violenze”.
Una testimonianza agghiacciante quella di Munther Amira, considerato tra i principali punti di riferimento nelle iniziative di solidarietà per la popolazione civile palestinese nell’area di Betlemme. Impegnato nel supporto alle scuole, alla formazione professionale degli adolescenti, a distribuire estintori nei villaggi che consentono agli abitanti di spegnere gli incendi provocati dagli assalti dei coloni, Munther con la sua testimonianza apre uno squarcio sulla parte più terribile dell’azione delle autorità israeliane.
“Quando camminavo in prigione ero sempre ammanettato con le mani dietro la schiena – racconta – dovevo tenere la testa piegata in avanti e se provavo a guardare per capire dove mi trovassi erano pronti a colpirmi con i bastoni dietro la nuca. Potevo solo guardare a terra. La cosa più degradante è che quanto sei con la testa calata tutti cercano di colpirti, di spingerti la testa, il tuo corpo è completamente nel loro controllo. Sono animali, non saprei come altro definirli”.
La resistenza non violenta per fermare l’occupazione
In Palestina tutte le organizzazioni politiche sono state messe al bando da Israele, non ci sono più partiti, non c’è più nulla, e l’Autorità Nazionale Palestinese è considerata dagli stessi palestinesi un luogo esclusivo di corruzione e malaffare. In questo scenario ha resistito solo il movimento non violento, oggi unico spazio di agibilità politica per i palestinesi, che ha però una storia molto lunga. Nel Masafer Yatta lo strumento di opposizione alle politiche di occupazione è quella del “sumud” con la definiscono i palestinesi, che in italiano si potrebbe tradurre con “resilienza”.
Alla distruzione delle case si risponde con la costruzione di nuove case, alla distruzione dei raccolti si risponde piantando, alle aggressioni si risponde difendendosi in maniera non violenta, agli spari si risponde filmando e denunciando al mondo quello che compiono i coloni. Indispensabile in questa pratica è stato negli anni il supporto degli attivisti internazionali, come quelli di Operazione Colomba e più recentemente quelli di Mediterranea Saving Humans, ma anche della rete internazionale Faaza e dell’International Solidariety Movement, che comprende anche molti attivisti israeliani che arrivano nella West Bank a supporto dei palestinesi.
“Per me il sumud è un concetto collettivo, significa che il potere è del popolo – racconta a Fanpage.it Hafez Hureini, leader di Youth of Sumud e uno dei capi storici del movimento non violento palestinese – come essere umani vedi i tuoi diritti violati ogni giorno, ogni singolo giorno vedi che non c’è giustizia, questo può spingerti ad usare la violenza, è qualcosa di naturale, è umano. Ma quando usi la violenza contro l’occupazione israeliana fai felice l’occupazione israeliana, perché in questo modo loro possono fare vedere ai media i “palestinesi terroristi”. La loro è una strategia, provano a forzarti in ogni modo ad usare la violenza”.
Basta farsi un giro per i villaggi per comprendere come le parole di Hafez abbiano un riscontro immediato in quello che è il comportamento degli israeliani nei territori occupati. Una strategia che tende a schiacciare i palestinesi fino a portarli al limite. “La pratica non violenta è entrata nella nostra cultura qui nel Masafer Yatta – spiega Hafez Hureini – dopo il 7 ottobre ci stanno provando in ogni modo a spezzare anche questa resistenza, usando sempre più violenza. Ma noi continuiamo con questa scelta, il popolo del Masafer Yatta e delle zone a sud delle colline di Hebron ha deciso di proseguire su questa linea”.
Una resistenza le cui forme colpiscono in maniera forte chi le osserva davanti a una quotidianità fatta di inaudite violenze e soprusi. “Quello che davvero colpisce è che i palestinesi sono determinati a proseguire così – dice Serena Sardi di Mediterranea Saving Humans – hanno accettato che un bulldozer può arrivare e distruggergli la casa, hanno accettato che appena piantano un albergo glielo distruggeranno e dovranno ripiantarlo, e lo fanno perché sanno di essere nel giusto, che questa è la loro terra ed hanno diritto di restare qui e qua rimangono”.
Da qui, dai territori palestinesi in Cisgiordania, è impossibile non porsi delle domande su cosa rappresenta oggi Israele. “Noi in questi anni abbiamo assistito ad una serie innumerevole di violenze – ci dice Rebecca Fantu di Operazione Colomba – oggi con le aggressioni anche agli attivisti internazionali, capiamo che non vogliono testimoni di quello che accade qui in Cisgiordania. Sappiamo bene che in Israele ci sono le elezioni, le persone possono andare a votare, questo non vuol dire che non vengano commessi continuamente crimini. Tutto quello che vediamo ci dice che si sta andando verso una sostituzione demografica in questa terra, attraverso l’occupazione illegale, le violenze, gli omicidi, i soprusi, gli arresti arbitrari nei confronti dei palestinesi. Tutto questo ci fa pensare che si faccia molto affidamento sull’impunità e non so se tutto questo ha a che fare con la democrazia”.
(da Fanpage)
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Settembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
IL BUNDESTAG AFFRONTERÀ PRESTO LA RICHIESTA DI VIETARE IL PARTITO DI ULTRADESTRA, ARRIVATA CON UNA MOZIONE BIPARTISAN PRESENTATA DAI PARTITI SPD, CDU-CSU, VERDI E LINKE… SI PUÒ VIETARE UN PARTITO PER LE SUE IDEE? IN GERMANIA SÌ, LO PREVEDE LA LEGGE
Il Bundestag dovrà presto pronunciarsi sull’iniziativa di una quarantina di parlamentari tedeschi, che vogliono ricorrere alla Corte costituzionale per bandire il partito dell’ultradestra Alternative fuer Deutschland.
È quello che scrive stamani in prima pagina die Welt, riferendo di una mozione bipartisan, appoggiata da diversi partiti. Nell’elenco dei sostenitori di una mossa in preparazione da mesi, compaiono esponenti di Spd, Cdu-Csu, Verdi e Linke. Per avanzare ad una richiesta alla Corte servono almeno 37 firme, e stando al giornale da ciascuno dei suddetti partiti ci sarebbero almeno 10 adesioni.
“Il Bundestag tedesco, in linea con l’articolo 21 della Carta fondamentale, chiede alla Corte costituzionale di rilevare che il partito Alternative fuer Deutschland è anticostituzionale”.
In via subordinata il Parlamento chiede che Afd “sia esclusa dai finanziamenti statali”.
Stando all’articolo citato nella richiesta, i partiti possono essere ritenuti anticostituzionali, quando “si può dedurre, dai loro obiettivi o dal comportamento dei loro esponenti, che vogliano pregiudicare o abolire l’ordine democratico delle libertà”.
(da agenzie)
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Settembre 30th, 2024 Riccardo Fucile
COSA C’E’ SCRITTO NEL PROGRAMMA DI AFD: LA DEPORTAZIONE ORA DI CHIAMA REMIGRAZIONE… QUANTO ALLA POLITICA ECONOMICA I PRIMI AD ESSERE DANNEGGIATI SAREBBERO I PIRLA CHE LI VOTANO
Nella Germania Est, dominata dal comunismo sovietico fino al crollo del muro, quasi un cittadino su tre ha scelto il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD). Alle domande dei giornalisti i «portavoce» del partito sono spesso ostili e rispondono: «è scritto nel programma».
Siamo andati a vedere, in dettaglio, cosa c’è dentro. L’AfD, a prima vista, propone un programma che può sembrare attraente per molti elettori, soprattutto chi è preoccupato per il benessere delle «persone normali» come dicono loro. Tuttavia un’analisi più approfondita rivela contraddizioni che minacciano i principi fondamentali della Costituzione tedesca e, se applicate, anche il benessere della ricca Germania e ancor più della fascia sociale ed economica a cui appartengono proprio gli elettori della AfD.
La «remigrazione» di massa
Secondo tutti gli istituti di sondaggio il tema dei migranti è quello che più ha fatto guadagnare consensi all’Afd. Va detto che il programma ufficiale è meno radicale di quel che affermano alcuni leader come Björn Höcke, capo del partito in Sassonia dove l’Afd è stata la più votata.
Il caso che ha acceso l’attenzione sui loro «piani» estremi è stata una riunione segreta tenuta nel novembre 2023 nel Wannsee, la località dove fu decisa la soluzione finale degli ebrei. Il piano discusso alla presenza di esponenti Afd, ma mai diffuso pubblicamente — e svelato dal collettivo di giornalismo investigativo Correctiv — prevede la «remigrazione» di 2 milioni di persone non sufficientemente «integrati». Tra questi anche migranti con passaporto tedesco e i loro figli nati in Germania. L’obiettivo dichiarato è di mantenere la «purezza culturale» e alleggerire il carico sul sistema sociale. La reazione democratica in Germania è stata enorme: un mese di manifestazioni in piazza in oltre 100 città.
La «remigrazione» — termine inventato dall’austriaco Martin Sellner — in termini così radicali non è nel programma, ma la parola sì. Il manifesto di Björn Höcke in Turingia diceva «Sonne, Summer, Remigration» (sole, estate, remigrazione). Le espulsioni devono essere di massa, dicono i leader Afd, e chiedono di «abolire il diritto individuale all’asilo» e sostituirlo con una generica «garanzia costituzionale di una legge sull’asilo».
Per portarli dove?
Ora, nessun Paese europeo ha tanti rifugiati come la Germania: 3,48 milioni, di cui 1,24 milioni dall’Ucraina. È stata la celebre decisione di Angela Merkel, nell’estate 2015, di non respingere su chi premeva ai confini a permettere questi arrivi dai Paesi in guerra. Oggi in Germania vivono 972 mila siriani, 418 mila afghani, 281 mila iracheni. Nel 2024 hanno chiesto asilo altri 104.561 siriani e 53.582 afghani.
Ovviamente rimandare a casa chi fugge dalla guerra non è permesso dalla legge tedesca. Inoltre per espellere le persone occorre che un altro Paese accetti i rimpatri. Berlino ha intese con la Georgia, la Macedonia del Nord, l’Albania, la Moldavia, la Serbia, l’Uzbekistan, il Marocco, la Colombia. Sono in corso trattative con il Kenya, il Kirghizistan e le Filippine. È vero che adesso il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz ha varato la linea dura (più rimpatri e controlli ai confini Ue), ma è una faccenda estremamente complicata.
Per espellere 28 afghani, condannati per plurimi reati il 30 agosto, Berlino ha negoziato per mesi con i talebani attraverso il Qatar. E stiamo parlando di 28 persone. Una procedura che si sta dimostrando impraticabile perfino in Europa, dove l’accordo di Dublino obbliga i richiedenti asilo a presentare domanda nel primo Paese d’approdo e che invece spesso si spostano altrove, in genere verso Nord.
Ebbene, l’Italia da 2 anni non accetta i «dublinanti» dalla Germania: dei 21 mila che ci dovremmo riprendere perché sbarcati nel nostro Paese, secondo il Viminale nel 2023-24 ne abbiamo accettati 13. In sostanza quello che l’Afd propaga non è praticabile. Come se Berlino potesse decidere da sola. E infatti non spiega come un simile piano di remigrazione potrebbe svolgersi: chi va a prendere queste centinaia di migliaia di persone? Per mandarle dove? Cosa succede ai loro beni, si confiscano? Di questo, la gran parte dei tedeschi ha orrore solo a sentir parlare, perché rievoca la memoria del nazismo, di cui la Germania ancora si vergogna. Ma senza arrivare a tanto, numerosi sondaggi mostrano che una parte significativa della popolazione non sembra essere disturbata dalla retorica xenofoba dei capi dell’AfD, segno di una normalizzazione dell’estremismo.
Le proposte sociali ed economiche
Nel suo programma di base l’AfD mette in risalto alcune idee che, a prima vista, sono attraenti per molte persone. Eccole.
1) Nella Ue l’obiettivo è la «Germania sovrana»: si propone un referendum sull’euro, «noi consigliamo l’abrogazione».
2) La «Guerra fredda è finita», dice il manifesto, quindi l’AfD sostiene la fine delle sanzioni e un miglioramento delle relazioni con la Russia, e l’80% dei loro elettori è d’accordo. No all’esercito europeo.
3) Sul clima sono negazionisti: «Il clima cambia fin da quando esiste la Terra. La politica di protezione del clima del governo federale si basa su modelli climatici ipotetici finora non provati».
4) Più soldi alle famiglie tradizionali. Serve fare «Più figli al posto degli immigrati». E quindi prestiti senza interessi per comprare casa a chi ha figli e riduzione del debito per ogni nuovo figlio. Su dove si prendono i soldi però neppure una riga.
5) Sostegno alla «classe media» tagliando le tasse: meno scaglioni e una fascia di esenzione totale più alta. Però sulle grandi aziende dell’automobile in crisi, dove fra dipendenti e indotto migliaia di lavoratori rischiano il posto, nemmeno una parola. Ma la politica economica AfD è così peculiare che vale la pena di guardarla meglio.
Il paradosso
Come mostrano numerosi studi, a partire da quello di Marcel Fratzscher dell’autorevole Istituto Tedesco per la Ricerca Economica (DIW) — che analizza le proposte di tutti i partiti in Parlamento su 38 temi diversi —, le persone che più sostengono l’AfD sono quelle che subirebbero maggiormente le conseguenze negative delle sue politiche economiche. Infatti, il programma è ancora grossomodo quello scritto dai professori anti-euro nel 2015, come Bernd Lucke, che volevano espellere la Grecia e l’Italia dalla Ue. Per capire meglio bisogna considerare il bacino elettorale, classificato negli studi come basso o medio-basso per reddito e livello di istruzione. Vota AfD a livello nazionale (dati agosto 2023) il 23% degli uomini, ma solo il 15% delle donne, il gruppo maggiore è tra i 45 e i 59 anni (24%), tra i pensionati il 16%.
Ebbene il programma AfD, come dimostra Fratzscher, promuove una politica economica e finanziaria «estremamente neoliberale», più di tutti gli altri partiti. In quasi tutti i campi Alternative für Deutschland vuole i tagli fiscali: riduzione delle imposte di successione (oggi l’esenzione è fino a 400 mila euro per i figli e 500 mila per il coniuge), no ad un prelievo extra sui grandi patrimoni e abolizione del «contributo di solidarietà». Si tratta di un’imposta progressiva che si applica ai redditi alti, fino ad un massimo del 5,5% per quelli più elevati, e destinata proprio allo sviluppo dei Land dell’Est — dove l’Afd è votata al 30%! Via tutto, dice l’AfD.
Per quel che riguarda il welfare, nessun partito nel Bundestag prevede maggiori tagli alle prestazioni sociali. L’AfD invece vuole ridurre le tutele per chi è in affitto e, nel 2021, si è opposta all’aumento del salario minimo a 12 euro. Propone di ridurre il Bürgergeld (un sussidio sociale di 506 euro mensili) e di limitarlo a sei mesi.
L’addio all’euro
Dagli studi della Familien Unternehmer emerge che molti elettori AfD provengono o lavorano per le imprese familiari più che da tutte le altre categorie. Il programma ufficiale AfD è per l’abolizione dell’euro, però non spiega quali sarebbero i vantaggi del ritorno al marco per le innumerevoli aziende familiari completamente integrate nelle catene del valore europee e globali. La politica commerciale dell’AfD, che punta sull’isolamento e sull’autarchia, in realtà spezzerebbe la spina dorsale della Germania, nazione esportatrice per eccellenza. E a pagare il prezzo più alto dall’indebolimento della Ue, dai tagli fiscali per i ricchi, dalla riduzione del welfare, sarebbe infine proprio la fascia sociale più bassa: con meno privilegi e chance alla nascita, subirebbero più di altri le conseguenze della perdita di posti di lavoro e della riduzione dei servizi.
Le conseguenze di un abbaglio collettivo
Come è possibile allora che un terzo delle persone all’Est e un quinto dei tedeschi, in maggioranza nelle fasce sociali e economiche medio-basse, appoggi qualcosa che li svantaggia? Una spiegazione plausibile è l’errata valutazione individuale e collettiva.
Nessun partito rappresentato nel Bundestag, negli ultimi 70 anni, ha marginalizzato così duramente gli stranieri e le persone con un background migratorio — circa un quarto della popolazione tedesca — come l’AfD. Eppure è proprio attraverso la discriminazione di questi gruppi che i leader del partito sono riusciti a convincere i propri sostenitori: «Con la riduzione di diritti e prestazioni sociali ci saranno più benefici economici, sociali e politici». Ed evidentemente gli elettori AfD si sono convinti che un ritorno al nazionalismo e la fine della globalizzazione porterà a loro lavori migliori, più sicurezza, più chance. Un giornalista della Zeit, Nils Markwardt , ha coniato una nuova parola: «Relazioni di accecamento». Si tratta, dice Markwardt, nella migliore delle ipotesi di una percezione distorta della realtà, nel peggiore di adesione a teorie del complotto estreme, in cui i soggetti si vedono come vittime della politica e della società, autodefinendosi però come maggioranza.
Milena Gabanelli e Mara Gergolet
(da corriere.it)
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