Settembre 26th, 2024 Riccardo Fucile
UN INTERO QUARTIERE HA DOVUTO ASSISTERE A SCONTRI FINO ALL’1 DI NOTTE PERCHE’ NON SI E’ IN GRADO DI NEUTRALIZZARE 300 ULTRAS CHE NON HANNO DI MEGLIO CUI PENSARE
E’ stato scarcerato con l’obbligo di firma tre volte alla settimana il tifoso sampdoriano che ieri sera è stato arrestato in flagranza dalla polizia in corso De Stefanis dorante gli scontri post derby. L’uomo, operaio 50enne, è accusato di resistenza.
In corso De Stefanis enorme disparità numerica tra ultras e forze dell’ordine
Quella di corso De Stefanis è stata la fase più dura dei tafferugli con la polizia andati in scena ieri sera. I poliziotti dei reparti mobili si sono improvvisamente trovati di fronte oltre centocinquanta ultras doriani che avevano sfondato i tornelli della Sud e volevano andare a cercare gli avversari. La partita era pienamente in corso ma gli ultras – come ampiamente prevedibile – hanno visto come uno sfregio l’esposizione al contrario dei vessilli del club Ultras Tito Cucchiaroni, rubati dai rossoblù la notte tra il 5 e il 6 maggio mentre la sede era vuota, dopo l’assalto dei doriani in piazza Alimonda.
E così meno di trenta tra poliziotti e carabinieri – alcune squadre erano andate a mangiare visto che il match era ancora in corso – si sono trovati a fronteggiare un gruppo di tifosi cinque volte più numeroso e pronto a tutti. Infatti è proprio in questa fase ha le forze dell’ordine hanno riportato il numero più alto di feriti, una dozzina in una manciata di minuti.
Da lì a poco anche la frangia più violenta dei tifosi rossoblù ha abbandonato la Nord ed è stata tenuta a bada dagli altri reparti schierati. Le due tifoserie non sono quindi praticamente mai venute a contatto.
I marsigliesi portati in Questura: due sono stati arrestati
Sono due invece i tifosi violenti arrivati da Marsiglia che quasi allo scadere del termine per il cosiddetto fermo per identificazione sono stati arrestati grazie ai filmati della polizia scientifica e delle telecamere della zona che li immortalerebbero tra i protagonisti degli scontri di via Canevari. Stanotte, dei tifosi francesi arrivati a supporto del Genoa, ne sono stati fermati sette a bordo di un’auto. Avevano passamontagna, bastoni, petardi coltelli e sfere d’acciaio. Cinque di loro sono stati invece denunciati con decreto di allontanamento del prefetto.
Trentasei i feriti tra le forze dell’ordine
Il bilancio dei feriti tra gli operatori delle forze di polizia è di 36 su 39 in totale: 19 Polizia di Stato, 16 Carabinieri, 1 Guardia di Finanza, che hanno riportato lesioni con prognosi dai 7 ai 35 giorni, perché colpiti da lancio di oggetti contundenti e bombe carta e dall’uso di bastoni, mazze e cinghie. Le lesioni più gravi riguardano la frattura di una mano, che ha comportato un intervento chirurgico di urgenza, la frattura di più costole e un trauma cranico, numerose le ferite lacero contuse suturate. Tanti i medicati sul posto grazie al pronto intervento del 118 che, completato il servizio, si sono recati presso gli ospedali cittadini. Feriti 5 tra dirigenti e funzionari della Polizia di Stato.
Denunce e sequestri prima e dopo il derby
Già la notte precedente il dery tre tifosi di 21, 29 e 50 anni, già destinatari di Daspo, erano stati denunciati perché a bordo di un’auto in via Duca D’Aosta erano stati trovati in possesso di una mazza di legno, due bastoni di plastica dura, 4 caschi da moto, 36 fumogeni e un coltello a serramanico.
Dopo gli scontri delle 14 erano stati sequestrati 17 tra mazze e bastoni, un manganello telescopico e un coltello con una lama di 20 centimetri. E a fine serata, dopo l’ultima fase di tafferugli in via Bobbio le forze dell’ordine hanno trovato nascoste e sequestrate 3 aste di legno, 4 di metallo pesante e 7 di plastica dura.
Oltre ai marsigliesi altri sette tifosi genovesi di cui sei minorenni sono stati denunciati per porto di oggetti atti a offendere.
L’arresto differito e le indagini per identificare i violenti
I successivi strumenti per individuare i responsabili dei tafferugli che hanno tenuto in ostaggio per tutto il giorno (basti pensare agli scontri delle 14) e fino a notte fonda il quartiere di Marassi sono il cosiddetto arresto differito, che consente un arresto ‘in flagranza’ fino a 48 ore dopo il fatti, oppure quello delle successive analisi delle immagini video per identificare i violenti che possono portare a denunce ma anche a misure cautelari.
L’allerta della Questura ai pm sui possibili scontri
Ci sono almeno due elementi su cui al momento non è stata fatta chiarezza dalle fonti ufficiali rispetto quanto accaduto ieri sera e stanotte. In primo luogo resta il nodo di una partita che probabilmente non doveva proprio giocarsi o almeno non a Marassi e non alle 21 di sera visto che di notte, con il favore del buio, è evidente che i rischi per l’ordine pubblico siano più elevati. La scelta sul consentire o meno di svolgere la partita, sugli orari e sulle condizioni dipende dal comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. La Questura aveva tra l’altro informato con un’annotazione la Procura di Genova sul fatto che c’era un’alta probabilità di scontri.
Ma la scelta è stata quella di giocare prevedendo un massiccio impiego di forze dell’ordine. Circa 400 uomini con reparti e mezzi arrivati anche da fuori Genova, nonché l’impiego di strumenti come gli alari (portati e non utilizzati) e cani da ordine pubblico.
Il giallo degli striscioni rubati entrati al Ferraris
L’altra questione, che poi è all’origine del caos che si è scatenato nelle strade è quella degli striscioni ‘rubati’ fatti entrare allo stadio Luigi Ferraris nonostante quelli che erano stati annunciati come maxi-controlli all’ingresso. Non è chiaro se i vessilli fossero già dentro lo stadio ma in ambienti di tifoseria circola la voce che siano entrati ieri sera, insieme ai tifosi. Occorre precisare che i controlli all’ingresso sono compito degli steward alla presenza comunque delle forze dell’ordine, ma non si tratta di una vera perquisizione. E’ probabile – si dice in ambienti investigativi – che gli striscioni grandi siano entrati ‘spezzati‘ e poi rimessi insieme dentro lo stadio. Dopo l’esposizione da parte della gradinata Nord degli striscioni dell’Ultras Tito, esposti al contrario, la Sud ha risposto con il vessillo portato via in piazza Alimonda.
Nelle scorse settimane la Digos avrebbe cercato una mediazione per impedire il gesto clamoroso ma evidentemente il dialogo questa volta non ha funzionato. E il fatto che gli striscioni della Samp siano ancora in mano ai genoani è un elemento che preoccupa perché potrebbe portare a nuove vendette.
(da Genova24)
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Settembre 26th, 2024 Riccardo Fucile
L’EX IENA ANTONINO MONTELEONE SI METTERÀ IN TASCA 327MILA EURO ALL’ANNO CHE SALIRANNO FINO A 360MILA PER IL PROGRAMMA DEL GIOVEDÌ DI RAI2 “L’ALTRA ITALIA”
Massimo Giletti, fatto fuori dall’arena de La7 di Urbano Cairo, riparte da “Lo Stato delle Cose”, il nuovo programma di Rai Cultura in onda da lunedì 30 settembre in prima serata su Rai3. Per lui Telemeloni ha apparecchiato un contratto da 32mila euro a puntata per 34 puntate.
A questo gruzzoletto si aggiungono 48mila euro per gli speciali. Facendo un rapido calcolo parliamo di circa 1,1 milione di euro (più gli speciali) che Giletti si metterà in tasca per la stagione 2024/2025. Il costo di ogni puntata di “Lo stato delle cose” si aggira sui 360 mila euro.
Un altro bel gruzzoletto finirà direttamente sul conto in banca dell’ex iena Monteleone che, supportato da un manager onnipresente come Beppe Caschetto, andrà a occupare la prima serata del giovedì di Rai2 con la trasmissione “L’altra Italia”.
Per lui è previsto un contratto di 327mila euro all’anno che saliranno fino a 360mila. Calcolatrice in mano, stiamo parlando di 120mila euro in più dello stipendio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Senza contare che, al suo ingaggio, vanno aggiunti i 180mila a puntata. Una cifra enorme se si considera che allo stesso Monteleone tremano le vene e i polsi all’idea di un clamoroso flop in una serata che è già affollata con Formigli su La7, del Debbio su Rete4 e Insider delle Iene su Italia1.
Temendo di intercettare solo i telemorenti rimasti col telecomando in mano, Monteleone avrebbe chiesto un cambio di collocazione. Spostamento che non gli sarebbe stato accordato.
(da Dagoreport)
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Settembre 26th, 2024 Riccardo Fucile
“DRAGHI HA DETTO LA VERITÀ QUANDO HA INVITATO L’UE AD APRIRSI”
Si tratta di una classica storia di intrighi politici, ma, in fondo, è anche la storia di una rottura nelle relazioni franco-tedesche. Ursula von der Leyen, presidente tedesca della Commissione europea, si è sbarazzata di Thierry Breton, commissario francese per l’industria.
Si è dimesso lunedì. Nella sua lettera di dimissioni ha scritto che von der Leyen si era rivolta a Emmanuel Macron per chiedergli di nominare un altro candidato. La von der Leyen aveva minacciato, in caso contrario, di degradare Breton. Dopo le dimissioni, Macron ha seguito l’ordine della von der Leyen e ha nominato Stéphane Séjourné, il ministro degli Esteri francese uscente.
Per Marine Le Pen e il suo Rassemblement National, la storia dell’umiliazione della Francia per mano di un “kommissar” tedesco è un regalo. Sembra confermare tutto ciò che ha sempre detto sull’UE – la versione francese della storia di un’Unione gestita come un racket tedesco.
Jean Quatremer, il più longevo dei corrispondenti da Bruxelles, twitta di non aver mai visto nulla di simile nei suoi oltre quarant’anni di esperienza
Nemmeno io. Ci sono stati molti disaccordi franco-tedeschi in passato. Ma mai una tale mancanza di rispetto.
Ho visto un’intera generazione di corrispondenti esteri a Bruxelles non assistere ad alcuna prova tangibile della cooperazione franco-tedesca, per poi sorprendersi quando improvvisamente si è risvegliata, come nel 2020, quando Emmanual Macron e Angela Merkel hanno proposto congiuntamente un fondo di recupero per aiutare gli Stati membri a superare la pandemia.
La relazione è stata per lo più tranquilla, ma sempre in agguato sullo sfondo. I leader si sono trattati con rispetto anche quando non erano d’accordo.
Ricordo una conversazione con Wolfgang Schäuble, il defunto ministro delle Finanze tedesco sotto la Merkel, che criticava le politiche fiscali dei Paesi dell’Europa meridionale, ma escludeva esplicitamente la Francia.
Il motivo era interamente politico. Qualsiasi atteggiamento diverso sarebbe stato considerato un cattivo stile diplomatico.
L’era della moderazione bilaterale è finita. L’attuale ministro delle Finanze, Christian Lindner, ha recentemente avvertito la Banca Centrale Europea di non salvare la Francia in caso di crisi finanziaria. Per chi segue le questioni finanziarie e monetarie, è come se stesse cercando di innescare una corsa ai titoli francesi.
La manovra di Von der Leyen è di tipo più classico: una battaglia di potere per sconfiggere un avversario
C’è un retroscena nella loro rivalità. Breton ha avuto un ruolo determinante nel fallimento della von der Leyen nel far nominare uno dei suoi più stretti alleati come inviato dell’UE per le piccole e medie imprese
Breton ha fatto un commento cinico su X quando von der Leyen ha ricevuto solo un tiepido sostegno dalla CDU per la sua nomina.
Forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il suo tweet di agosto, in cui suggeriva che l’intervista di Elon Musk a Donald Trump avrebbe potuto costituire una violazione del Digital Markets Act dell’UE. La Von der Leyen ha fatto sì che la Commissione pubblicasse una ritrattazione formale.
Io stesso penso alla von der Leyen e a Breton come Henry Kissinger pensava all’Iran e all’Iraq. Perché non possono perdere entrambi? Trovo che i due abbiano sbagliato in modo equidistante.
Insieme, sono stati responsabili delle politiche più sbagliate nei 66 anni di storia dell’UE.
Sotto la loro guida l’UE ha approvato regolamenti che la tengono intrappolata nell’età della pietra digitale, in particolare la legge sui mercati digitali e il regolamento sull’intelligenza artificiale.
Insieme al regolamento sulla protezione dei dati, un atto di zelo normativo approvato dalla Commissione precedente, la lotta dell’UE contro tutto ciò che è digitale sta iniziando ad avere effetti macroeconomici. Poiché le vecchie industrie europee non possono più competere con la Cina, non ci sono nuovi settori in cui l’UE possa diversificarsi, perché la Commissione ha eretto grandi barriere normative.
Altri potenziali conflitti si prospettano per Francia e Germania. Se Friedrich Merz diventerà cancelliere tedesco, come sembra sempre più probabile, la sua principale priorità politica europea sarà quella di annullare la scadenza del 2035 per la vendita di auto a carburante, di annullare i dazi sulle auto cinesi e di rimandare gli incombenti obiettivi di riduzione delle emissioni dell’UE.
L’industria automobilistica rischia di incorrere in multe per 15 miliardi di euro, poiché è in procinto di violare gli obiettivi di emissione del 2025. I tedeschi faranno di tutto per tenere a galla la loro industria automobilistica in difficoltà. L’unità dell’UE non è la loro priorità. E nemmeno lo sono le relazioni franco-tedesche.
Sospetto che la von der Leyen sosterrà Merz. La Francia si opporrà, insieme all’Italia. Questa è la linea del futuro conflitto. Mario Draghi, l’ex primo ministro italiano, ha detto la verità al potere la scorsa settimana quando ha invitato l’UE a rivedere la sua regolamentazione e ad aprirsi alle tecnologie del XXI secolo. Le recenti leggi dell’UE non sono solo invasive e onerose, ma anche incoerenti e semplicemente mal redatte.
Vedo l’UE entrare in un’epoca di declino secolare, lasciata indietro da Stati Uniti e Cina, le due superpotenze del XXI secolo. Forse è troppo chiedere all’UE di partecipare alla competizione. Ma sotto la guida della von der Leyen l’UE è regredita. Il rapporto di Draghi ha un tono più educato di quello che ho io in questa sede, ma non per questo è meno severo nel suo verdetto.
La Von der Leyen definisce la priorità politica dell’UE come il sostegno all’Ucraina, il che mi sembra fuorviante. L’UE non è una potenza militare e non può fornire armi. Non ha nemmeno il potere di aumentare le tasse o di emettere debito. Se non aggiusta l’economia, non sarà un luogo in cui valga la pena di entrare.
Per gli europei che si sentono felici di vedere Breton andare via, fate attenzione a ciò che desiderate. Questa è in definitiva una battaglia tra due perdenti, uno dei quali è stato messo al tappeto e l’altro zoppica per altri cinque anni senza una strategia. Non ci sono vincitori.
(da agenzie)
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Settembre 26th, 2024 Riccardo Fucile
IL MINISTRO PICHETTO: “NE FACCIAMO TRE: UNO AL NORD, UNO AL CENTRO E UNO AL SUD”
Nessun Comune d’Italia vuole il deposito per le scorie nucleari. E «allora ne facciamo tre: uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud». Mentre i rifiuti più radioattivi, quelli delle vecchie centrali, «li lasciamo all’estero: a pagamento». È questa la soluzione che il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica dell’Italia, Gilberto Pichetto Fratin, sta valutando per risolvere l’annoso problema di dove mettere i rifiuti nucleari italiani. Lo ha spiegato a margine di un convegno di Confindustria a Roma: «Tutti i giorni produciamo scorie nucleari a bassa e media intensità», ha precisato Pichetto, riferendosi ai rifiuti radioattivi prodotti dagli ospedali e dalle industrie. «In questo momento abbiamo 30 e più siti di stoccaggio – ha continuato -. La cosa bella sarebbe ridurli a uno. Altrimenti, uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud». Sul deposito geologico, quello per le scorie ad alta radioattività, provenienti dalle centrali dismesse, «possono esserci soluzioni diverse. Possiamo anche lasciarle in Francia, facendo pagare noi e i nostri figli a vita», ha concluso.
Nessun «sì» dalle 51 aree idonee
La Sogin, società pubblica per lo smantellamento delle vecchie centrali, lo scorso 13 dicembre, aveva individuato 51 aree in 6 regioni (Basilicata, Puglia, Lazio, Piemonte, Sardegna, Sicilia) dove si potrebbe costruire il deposito. Ma nessuno dei Comuni interessati ha detto «sì». Per questo motivo, il ministero dell’Ambiente, dovrà ora decidere dove realizzare la discarica, su pressione (anche) dell’Ue che da anni chiede all’Italia di trovare un sito dove conservare in sicurezza i suoi rifiuti radioattivi. Oggi quelli più pericolosi sono, a pagamento, nel Regno Unito e in Francia. Quelli meno pericolosi sono sparsi in una trentina di siti nel nostro paese, in condizioni precarie. «L’Unione europea non ci dice di fare “un” deposito – ha continuato il ministro -. Ci dice che deve esserci “il” deposito dei rifiuti, in particolare per quelli a bassa e media intensità. In questo momento in Italia i depositi sono decine». In ogni caso, ha concludo il ministro, «va avanti la procedura di Valutazione di impatto ambientale sui 51 siti», quelli individuati nella Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) preparata dalla Sogin.
(da la Repubblica)
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Settembre 26th, 2024 Riccardo Fucile
L’INDAGINE OXFARM ITALIA
Un’indagine condotta per Oxfam Italia dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, su un campione di 4.280 intervistati, e presentata questa mattina, racconta l’idea che gli italiani hanno delle disuguaglianze economiche e delle misure che servirebbero per contrastarle. Per la ricerca sono state raccolte le opinioni di 1925 cittadini del Nord, 983 del Centro e 1327 provenienti da Sud e Isole.
Nella percezione del 71% dei cittadini intervistati da Demopolis, negli ultimi 5 anni le disuguaglianze sono aumentate, e sono di natura per lo più economica, ma anche di accesso ai servizi, soprattutto quelli sanitari. Per il 72%, la lotta ad evasione ed elusione fiscale potrebbe contribuire a ridurre le disuguaglianze oggi in Italia. Ma servirebbe anche – per il 61% – un sistema fiscale più equo: che sia progressivo e non faccia disparità fra contribuenti nelle stesse condizioni economiche
È il reddito, secondo l’83% degli italiani, il principale ambito in cui si manifestano le più forti disuguaglianze nel Paese. Con un dato in crescita esponenziale, inoltre, 7 intervistati su 10 segnalano che l’Italia è sempre più disuguale nell’accesso ai servizi sanitari: nella rilevazione condotta sul tema da Demopolis per Oxfam nel 2016, il dato si attestava al 54% (16 punti in meno rispetto ad oggi). La maggioranza assoluta ricorda anche quanto pesino i divari nelle opportunità di accesso al mondo del lavoro (55%) e nella disponibilità dei patrimoni in seno al tessuto sociale italiano (51%). Poco meno della metà del campione individua ambiti di disuguaglianza nella qualità dell’istruzione (46%) e nel risiedere in aree a differente tasso di sviluppo (43%).
Ma su cosa impattano questi grandi divari economici nella società? Secondo la maggior parte degli intervistati (86%), impattano negativamente sul futuro delle nuove generazioni e sulla coesione sociale. Per 8 su 10, le disuguaglianze compromettono la crescita economica (79%); per il 71% rappresentano una minaccia al buon funzionamento della democrazia.
Cosa pensano gli italiani del sistema fiscale
Il sistema fiscale italiano, nella percezione dei cittadini, presenta diverse criticità: soprattutto lamentano la mancata adesione al dettato costituzionale. Secondo le analisi dell’Istituto Demopolis per Oxfam, gli orientamenti dell’opinione pubblica italiana sulle evoluzioni auspicabili per il sistema fiscale sono leggibili ma non unanimi, e non privi di distinguo
Per migliorarne l’equità, il 63% degli intervistati incoraggia un riequilibrio dell’attuale tassazione, spostandola dal lavoro a redditi finanziari, profitti e grandi patrimoni. Ma un quarto del campione oggi auspica un calo generalizzato delle tasse, proprio per tutti.
Nella percezione dell’opinione pubblica, si profila anche il tradimento da parte delle Istituzioni del dettato costituzionale. Solo per 1 cittadino su 5 (20%) è oggi rispettato l’art. 53 della Costituzione, in base al quale tutti dovrebbero essere chiamati a concorrere “alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e secondo criteri di progressività, anche richiedendo un contributo maggiore al crescere della condizione economica. Per il 41% è rispettato solo in parte. Per oltre il terzo degli intervistati (37%), oggi non lo è affatto.
Il sistema fiscale italiano non è considerato equo. Lo è poco o per niente, nelle valutazioni dell’85% della popolazione, perché non è effettivamente progressivo e fa disparità fra contribuenti nelle stesse condizioni economiche.
L’idea di una tassa europea sui grandi patrimoni
Quali sono le principali armi contro le diseguaglianze sociali? Secondo i risultati dell’indagine, per il 67% degli intervistati, oggi sarebbe preferibile aumentare il prelievo a carico dei più ricchi per garantire maggiori e migliori servizi pubblici. Ma un quinto dei rispondenti sarebbe a favore dell’ipotesi di pagare tutti meno tasse e avere meno servizi pubblici, oggi percepiti come incongrui, soprattutto nell’ambito delle prestazioni sanitarie e del welfare.
Che i ‘super ricchi’ dovrebbero essere maggiormente chiamati a far fronte ai bisogni della collettività è convinzione della maggioranza assoluta degli italiani. Secondo 2 intervistati su 3, dovrebbero farlo in forma strutturale, attraverso una tassazione fortemente progressiva. Per il 16%, sarebbe sufficiente incentivare libere donazioni per attività filantropiche e di pubblica utilità.
In questo scenario oggi 7 italiani su 10 intervistati da Demopolis per Oxfam, sarebbero favorevoli ad un’imposta europea sui grandi patrimoni. In Italia si applicherebbe ad appena lo 0,1% più ricco della popolazione e potrebbe generare risorse utili per finanziare i crescenti bisogni sociali della popolazione e contenere le disuguaglianze.
Si tratta di un auspicio che attraversa trasversalmente le anime dell’opinione pubblica nazionale e che risulta minoritari (seppur prossimo al 50%) esclusivamente nei segmenti di elettorato ascrivibili alla maggioranza di governo, mentre supera il 70% dei consensi anche nella componente degli italiani che si dichiarano astensionisti. Anche nell’elettorato di Fdi, Lega e Forza Italia quindi ci sono persone favorevoli a un’imposta europea sui grandi patrimoni.
Secondo il 68% degli intervistati tassare i grandi patrimoni potrebbe offrire risorse aggiuntive vitali per finanziare politiche a sostegno della scuola, della sanità, dell’inclusione sociale e di una giusta transizione ecologica. Per il 56% si tratterebbe anche di rendere più equo il sistema fiscale italiano: di contenerne le storture. Ma una convinzione attraversa la metà del campione analizzato, delineando, in modo preoccupante, quanto persistente sia nella popolazione la sfiducia nelle istituzioni: 1 italiano su 2 ritiene che la tassazione dei grandi patrimoni rischierebbe di essere inutile perché lo Stato è ineffciente e sprecherebbe le risorse
Il 38% teme che tassare i grandi patrimoni sia un rischioso precedente che spianerebbe la strada per l’introduzione di un’imposta patrimoniale generalizzata che graverebbe sul ceto medio. Quasi metà della popolazione (47%) non condivide tale timore. Per 3 intervistati su 10, tassare i grandi patrimoni è un modo per demonizzare chi ha il merito di aver prodotto ricchezza
Per combattere le diseguaglianze per la maggior parte degli intervistati (il 72%), in testa alle politiche che più potrebbero dare un contributo, ci sono la lotta all’evasione ed elusione fiscale. Per circa 2 su 3, servirebbero politiche del lavoro che limitino il ricorso al precariato e assicurino condizioni di lavoro dignitose. Per il 63%, sono urgenti maggiori investimenti pubblici in sanità, istruzione e welfare. Ma servirebbe anche – per il 61% – un sistema fiscale più equo: che sia progressivo e non faccia disparità fra contribuenti nelle stesse condizioni economiche.
(da Fanpage)
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Settembre 26th, 2024 Riccardo Fucile
ABOLITO IL CARCERE FISSO PER I CORROTTI, MA VA IN CELLA CHI PROTESTA IN PIAZZA… SANZIONI INFERIORI AGLI EVASORI, INASPRITE PER CHI OCCUPA UNA CASA
Garantisti con chi è accusato di corruzione, concussione e simili. Manettari con gli altri, con chi imbratta, chi manifesta, chi occupa. È la legge severa con i “poveracci” e docile con i colletti bianchi. O meglio, è la legge così come la sta disegnando, a botta di nuovi reati (cancellandone altri), il governo. Intanto i pubblici ufficiali possono tirare un sospiro di sollievo: non correranno più il rischio di incorrere nell’abuso d’ufficio, da poco abolito. E potrà essere meno preoccupato anche chi viene accusato di pagare, o intascare, tangenti: nel caso sia incensurato e ci sia il solo pericolo di reiterazione del reato non rischia neanche il carcere. Perché? A inizio agosto il governo ha espresso parere favorevole a un ordine del giorno che riguarda la possibilità di valutare la misura cautelare per pericolo di reiterazione nei confronti degli incensurati solo in caso di “reati di grave allarme sociale”. Ma è esclusa la corruzione e delitti simili. Per non parlare poi della riduzione delle sanzioni per chi evade prevista dalla riforma fiscale.
Non va allo stesso modo per gli altri: per chi protesta, chi manifesta il proprio pensiero, magari bloccando le strade. Se viene commesso un reato è giusto che sia punito. Ma in che modo? Molto più severamente di chi – ad esempio – distribuisce mazzette? Evidentemente sì, a giudicare dalle pene inasprite per molti reati così come prevede il ddl Sicurezza che, approvato alla Camera, ora deve essere esaminato in Senato. Già c’era stato il tanto discusso decreto Rave, che punisce con pene da 3 a 6 anni chi “organizza l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui” per “un raduno musicale”. Adesso nel ddl Sicurezza di delitti ne sono stati introdotti altri, con pene più elevate. Vediamo quali.
ART. 10: OCCUPAZIONE.
Il ddl Sicurezza prevede l’inasprimento della pena per chi occupa, con violenza o minaccia, un immobile. Il codice penale puniva già comportamenti simili. Basti pensare al reato di invasione di terreni o edifici, con pene fino a 4 anni, o il reato di “turbativa violenta del possesso di cose immobili”, pene fino a 2 anni. Il legislatore ora vuole introdurre l’articolo 634 bis che punisce, con pene da 2 a 7 anni, chiunque occupi, con violenza o minaccia, un immobile.
ART. 11: AGGRAVANTI.
Tra le circostanze aggravanti si vuole inserire – aggiungendo l’articolo “11-decies” – quella che riguarda coloro che commettono il fatto vicino a stazioni ferroviarie o metropolitane.
ART. 12: DANNEGGIAMENTO.
Ampliato il reato di danneggiamento. Nel codice penale, l’articolo 635 prevede che chi “distrugge, disperde, deteriora” le “cose mobili o immobili altrui” è punito con reclusione da 6 mesi a 3 anni. Ora si aggiunge che “se i fatti sono commessi con violenza o minaccia” la pena viene inasprita: da 1 anno e mezzo a 5 anni.
ART. 13: DASPO URBANO.
I questori potranno “disporre il divieto di accesso” in determinati luoghi pubblici nei confronti di denunciati o condannati (anche con sentenza non definitiva) nel corso dei 5 anni precedenti per delitti contro la persona o il patrimonio.
ART. 14: BLOCCHI STRADALI.
Nuovo inasprimento, dopo quello previsto dal governo giallo-verde, per il reato che riguarda i blocchi stradali. Finora era prevista una sanzione amministrativa da mille a 4 mila euro per chi impediva la circolazione su strada. Ora viene sostituita con la reclusione fino a un mese e una multa fino a 300 euro. Se il blocco stradale è commesso da più persone la pena va da 6 mesi a 2 anni. Una norma questa già contestata perché diretta a punire i manifestanti. E che vada in questa direzione lo ha praticamente detto ieri il ministro dell’Interno Piantedosi. Rispondendo a un question time ha spiegato: “Dall’1 gennaio, nel settore della logistica si sono registrate 240 manifestazioni, la maggior parte delle quali promosse da organizzazioni sindacali di base, in particolare dal sindacato Si Cobas. In occasione di 183 iniziative si sono registrati episodi di blocco delle merci di durata temporale variabile”. Poi ha aggiunto: “Sarà mia cura, quando il provvedimento verrà approvato, richiamare l’attenzione delle autorità di pubblica sicurezza a rafforzare l’attività preventiva…”.
ART. 18: CANNABIS light
Stretta sulla cannabis light, quella con bassa percentuale di Thc (la sostanza psicotropa, ndr). Il ddl Sicurezza stabilisce che sono vietati importazione, cessione, commercio e spedizione della canapa coltivata nel rispetto della legge del 2016.
ART. 19: A TUTELA DEI PUBBLICI UFFICIALI.
La violenza o minaccia contro un incaricato di pubblico servizio è punita con la reclusione da 6 mesi a 5 anni (art. 336 del codice penale). Il ddl Sicurezza aumenta di un terzo la pena se il reato è commesso “nei confronti di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria”. Pena aumentata di un terzo pure nel caso in cui venga impedita la realizzazione di opere pubbliche o di infrastrutture stradali.
ART. 24: IMBRATTAMENTI.
L’obiettivo del governo è anche quello di ampliare il reato di “deturpamento e imbrattamento di cose altrui”. È già previsto dal codice penale (art. 639): chiunque deturpi o imbratti “beni immobili o mezzi di trasporto” può essere condannato da uno a sei mesi e a dover pagare una multa da 300 a mille euro. Il ddl Sicurezza prevede che nel caso in cui il reato sia commesso contro “beni mobili o immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche, con la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione…”, si applica la reclusione da 6 mesi a un anno e mezzo e una multa fino a 3 mila euro. In caso di recidiva, la reclusione può arrivare fino a 3 anni e la multa fino a 12 mila euro. I primi a farne le spese saranno gli ambientalisti che protestano in modalità “Ultima generazione”.
Art. 27: RIVOLTE NELLE STRUTTURE DI ACCOGLIENZA.
Il ddl prevede che chi partecipa a una rivolta con “atti di violenza o minaccia o resistenza” è punito con la reclusione da 1 a 4 anni. Chi promuove o dirige la rivolta, rischia fino a 5 anni.
ART. 28: ARMI AGLI AGENTI ANCHE FUORI DAL SERVIZIO.
Gli agenti saranno autorizzati a portare senza licenza armi di proprietà personale anche quando non sono in servizio.
ART. 32: SIM PER IMMIGRATI.
Obbligo per i negozi che vendono schede telefoniche di chiedere copia del permesso di soggiorno ai clienti non europei. Chi non rispetterà questa norma rischia la chiusura della propria attività da 5 a 30 giorni.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Settembre 26th, 2024 Riccardo Fucile
INTERROGAZIONI PARLAMENTARI ANCHE A BRUXELLES
Nelle ultime settimane numerose città italiane sono state tappezzate di cartelloni pubblicitari su cui campeggia la scritta «La Russia NON è nostra nemica». Sotto una mano tricolore ne stringe un’altra con i colori della bandiera del Cremlino. La testata Linkiesta ha svelato che dietro alle numerose affissioni, costate tra i 30 e i 50mila euro nella città di Roma, ci sarebbe Domenico Aglioti, che nella scorsa consiliatura è stato rappresentante municipale M5s nel quartiere Monte Mario. Aglioti è anche ex presidente della Commissione Cultura e fondatore del Movimento Cinque Stelle romano, nonché sostenitore della prima ora della ex sindaca capitolina Virginia Raggi.
Chi è Domenico Aglioti
Anti 5G, no-vax, sostenitore del presidente russo Vladimir Putin. Fu tra i primi a spingere per la candidatura di Virginia Raggi a prima cittadina di Roma. La stessa Raggi, sul blog di Beppe Grillo, scrive: «Insieme a Domenico Aglioti abbiamo costruito pezzetto per pezzetto il Gruppo del XIX Municipio, andando a fare banchetti dovunque vi fosse un marciapiede sufficientemente largo». E proprio Aglioti sarebbe il committente dei venti manifesti (3 metri per 2) e delle cinque vele motorizzate che hanno girato per la città. Sempre secondo Linkiesta, la “Nuovi Spazi Advertising” – azienda concessionaria di quegli spazi – non ha rivelato il costo di una tale operazione ma esperti avrebbero fissato la cifra tra i 30mila e i 50mila euro. Aglioti ha replicato in un post di non essere il committente della campagna, ma solo di aver firmato il «contratto stipulato con l’agenzia», per una cifra minore rispetto a quella “contestata”: «Il costo della campagna non è stato di 50.000 euro come da voi sostenuto ma di poche migliaia di euro, circa 3.000, così come è falso il numero dei cartelloni affissi». Una cifra che, spiega Aglioti, è stata raggiunta con il contributo volontario di circa 200 cittadini per veicolare un «messaggio di pace».
Le reazioni di Bruxelles
Il tema ci ha messo solamente poche ore per raggiungere Bruxelles grazie a Raphaël Glucksmann, eurodeputato francese fondatore del partito Place publique ed ex presidente della Commissione speciale per le ingerenze. Il 44enne ha inviato un’interrogazione alla Commissione europea, chiedendo a Ursula von der Leyen e al suo esecutivo se sia a conoscenza delle «pericolose campagne pro-Russia che rendono l’Italia non conforme nell’attuazione e nell’applicazione delle sanzioni dell’Ue nei confronti della Russia». Le affissioni, ha continuato Glucksmann, sarebbero apparse «in altre 20 città italiane tra cui Modena, Parma, Verona e in Calabria». Alcuni sono stati tolti dalle autorità locali, altri – come a Roma – «rimangono al loro posto». La domanda alla Commissione è una: «Intendete adottare misure per porre fine a queste azioni?».
Interrogazioni al Consiglio comunale di Roma e alla Camera
Anche in Italia ha iniziato a sollevarsi la polemica. Prima la deputata del Pd Lia Quartapelle alla Camera durante un’interrogazione. Poi la capogruppo di Azione al Consiglio comunale di Roma Flavia de Gregorio, che già nella giornata di lunedì ha depositato un’interrogazione al sindaco Roberto Gualtieri. L’assessora alle Attività produttive di Roma, Monica Lucarelli, ha affermato che «il 10 settembre è stata emessa una prima diffida alla società responsabile, con l’ordine di procedere alla rimozione immediata dei manifesti». Secondo Lucarelli i manifesti sarebbero stati tolti immediatamente, per poi essere montati nuovamente da un’altra società. Anche questa diffidata dal Comune.
«Emerge che su Roma il committente sarebbe stato un autorevole dirigente del Movimento 5 Stelle, animatore dei movimenti no-vax, anti 5G, putiniano e ‘inventore’ della carriera politica di Virginia Raggi. Ci si permetta di dire che non siamo sorpresi», ironizza su X il senatore Enrico Borghi, capogruppo di Italia Viva. «Però: perché questa iniziativa? Chi l’ha finanziata, pianificata, coordinata, se non addirittura ordinata? Come Italia Viva presenteremo subito una interrogazione parlamentare, che sottoscriverò insieme con il collega Ivan Scalfarotto».
Per quanto riguarda i manifesti di Modena, Parma, Pisa, Verona e altre città l’affissione sarebbe già stata rivendicata dall’associazione No vax Sovranità Popolare. Rimane ancora da capire come sia possibile la loro affissione in un comune come Roma. Nella capitale il Regolamento, nell’articolo 12-bis, prevede infatti che sia «vietata l’esposizione pubblicitaria il cui contenuto sia lesivo delle libertà individuali, dei diritti civili e politici».
La replica di Aglioti
Aglioti ha pubblicato un post in cui mette in chiaro alcuni punti dell’articolo de Linkiesta, sottolineando tra le altre cose come non sia mai stato un dirigente del Movimento 5 Stelle, ma solo un consigliere e di essere uscito dal partito quando ha terminato il mandato.
(da agenzie)
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Settembre 26th, 2024 Riccardo Fucile
SI CERCANO MILLE GIOVANI PER IL SERVIZIO CIVILE AGRICOLO
Qualcuno lo ribattezza come la naja dell’agricoltura. Il ministro critica, però, l’associazione lessicale: «Non c’entra niente con la leva, ma è un dovere generale servire la patria e noi diamo la possibilità di farlo»
Il bando per l’arruolamento di mille ragazzi sarà pubblicato a ottobre. Si cercano forze fresche che possano «servire la patria con un’attività di valore agricolo». Parole, alla lettera, di Francesco Lollobrigida. Il ministro dell’Agricoltura, a margine del G7 di Siracusa, rilancia l’idea di un Servizio civile che veda impegnati i giovani nel lavoro dei campi. A chi lo sollecita su una somiglianza tra il suo invito a offrire le proprie braccia per la Nazione e la proposta della maggioranza di reintrodurre la leva militare obbligatoria, Lollobrigida risponde: «Sono due cose parallele». All’indomani delle dichiarazioni siracusane, dopo che qualcuno ribattezza la proposta come “la naja dell’agricoltura”, il ministro prova a stemperare: «Ci sono alcuni giornali che tendono a non capire o a non approfondire. È un dovere generale servire la patria. Ci sono tante attività che si possono fare con il Servizio civile, noi diamo la possibilità di farlo anche nel mondo agricolo e della pesca. Non c’entra niente con la leva».
L’invito nostalgico al ritorno nelle campagne era stato già fatto un anno fa, sempre da Lollobrigida, che aveva anche firmato un protocollo di intesa interministeriale a riguardo, insieme al collega Andrea Abodi. Adesso, la Stampa riporta le cifre dell’operazione: 7 milioni di euro per far lavorare nei campi mille giovani dai 18 ai 28 anni. Si attende che le imprese presentino i progetti per accaparrarsi le braccia dei ragazzi. I quali imbracceranno falce e… (ah no!) per 507,30 euro mensili. Gli obiettivi del protocollo che istituisce il Servizio civile agricolo appaiono, intanto, ambiziosi: «Porre fine a ogni forma di povertà nel mondo. Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile. Assicurare la salute e il benessere per tutti. Rendere le città e gli insediamenti umani sicuri, resilienti e sostenibili». Certo è che suona un po’ come un ossimoro il sogno di debellare la fame e sfamare le città, affamando invece dei ragazzi che, per 507,30 euro, possono diventare i nuovi “braccianti d’Italia”.
(da corriere.it)
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Settembre 26th, 2024 Riccardo Fucile
IL 23 NOVEMBRE A GROSSETO L’ASSOCIAZIONE DA CULTURALE DIVENTERA’ POLITICA
Quello di Roberto Vannacci non è ancora diventato un partito, ma al suo interno ci sono già scontri, dimissioni e addirittura querele. Come nei partiti veri e propri, cioè quelli che Roberto Vannacci e i suoi fedelissimi contestano e vorrebbero superare. Il generale, oggi eurodeputato in quota Lega, dopo la grande scalata di visibilità e le oltre 560 mila preferenze raccolte alle Europee deve fare i conti con le prime spine. E non sono poche. Negli ultimi giorni, i vertici della «macchina» vannacciana hanno dovuto registrare due addii pesanti.
Le dimissioni più eclatanti, anche se meno rumorose, sono quelle di Norberto De Angelis, ex atleta paralimpico ma soprattutto amico d’infanzia del generale, che dell’associazione Il mondo al contrario era vicepresidente. Il passo indietro arriva poche settimane prima del grande salto, fissato per il 23 novembre a Grosseto, quando l’associazione si trasformerà da culturale a politica.
Gli «ultimi avvenimenti» menzionati da De Angelis rimandano all’espulsione di Marco Belviso, giornalista e coordinatore della «macchina» di Vannacci in un’area enorme per la raccolta di consensi e tesserati: Veneto, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. I motivi della cacciata? Belviso, in un’intervista a Il Tempo, ha espresso posizioni politiche che per i vertici «sono in palese contrasto con il regolamento dell’associazione». Così, l’altro giorno, il «triumvirato maximo» al fianco del generale è arrivato a Udine da Belviso per consegnargli il provvedimento.
A suonare il campanello di casa per notificare l’espulsione c’erano: Fabio Filomeni, presidente de Il mondo al contrario, con il segretario Bruno Spatara e il tesoriere Gianluca Priolo. Per Belviso i tre avrebbero agito con «minacce e violenze», tanto da averli denunciati. Per Filomeni, invece, non sono «stati posti in essere comportamenti aggressivi, minacciosi e violenti». Ora il «triumvirato» annuncia una controquerela. Intanto, però, la frattura è tutta politica.
La domanda che rivolgiamo a Filomeni, la figura più rilevante subito dopo Vannacci, è la seguente: presidente, alla fine state litigando come in tutti gli altri partiti, che voi contestate. Non le pare? «Ha ragione — risponde Filomeni al Corriere —. Fino a 6 anni fa io ero operativo nelle forze armate e non ho alcuna esperienza politica. Rilevo però che si stanno verificando le medesime dinamiche dei partiti tradizionali».
E poi: «Evidentemente coloro che hanno esperienze politiche precedenti si comportano con questo modus operandi, che credo vada estirpato — aggiunge —. Le dinamiche della vecchia politica non ci appartengono». E sulle voci di mal di pancia interni, riguardo questioni di trasparenza sui fondi raccolti dall’associazione, Filomeni ribatte così: «Abbiamo un tesoriere, Gianluca Priolo, che tiene i conti al centesimo. Lui documenta qualsiasi spesa. Nego in maniera assoluta problemi di questa natura».
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