Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
IL PROCURATORE GENERALE: “LO STESSO MINISTERO DELLA GIUSTIZIA NON AVEVA RICHIESTO LA CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE PER USS”
La sezione disciplinare del Csm ha assolto i tre giudici della corte d’Appello di Milano, Monica Fagnoni, Micaela Serena Curami e Stefano Caramellino, finiti sotto procedimento disciplinare dopo aver concesso gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico ad Artem Uss, l’uomo d’affari russo arrestato a Malpensa il 17 ottobre del 2022, poi trasferito dal carcere di Busto Arsizio alla sua abitazione di Basiglio e fuggito il 22 marzo 2023, all’indomani del via libera all’estradizione negli Usa.
Con la sentenza pronunciata a palazzo Bachelet è stata accolta la richiesta della procura generale della Cassazione, rappresentata da Mariella De Masellis che, al termine della discussione, aveva sollecitato l’assoluzione ”per essere rimasto escluso l’addebito” in linea con le richieste già formulate dall’Ufficio che aveva già chiesto il non luogo a procedere per i tre giudici milanesi, difesi in sede disciplinare da Giuseppe Ondei, Claudio Castelli, Domenico Airoma.
”Contrariamente da quanto si assume nella seconda relazione ispettiva a giudizio della procura generale – aveva sottolineato il pg De Masellis – non sussistono i presupposti” di un comportamento connotato da grave e inescusabile negligenza. ”Le autorità competenti non hanno valutato l’ordinanza della Corte di Appello di Milano come inadeguata. Non c’è stato un ricorso per Cassazione. Lo stesso ministero della Giustizia non ha ritenuto di richiedere la custodia cautelare in carcere”. Ad avviare l’azione disciplinare era stato il ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Erano stati incriminati da Nordio non per un’intervista o per un asserito affronto istituzionale, come nei già rari casi di venti o trent’anni fa, all’epoca dei più accesi scontri tra i governi Berlusconi e i magistrati dei suoi processi, ma per la loro asserita «grave e inescusabile negligenza» nell’ordinanza che il 25 novembre 2022 concesse gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico al 40enne imprenditore russo Artem Uss, poi evaso dopo 4 mesi grazie a un commando russo-serbo-bosniaco-sloveno sui quali sinora l’inchiesta del pm milanese Giovanni Tarzia con i carabinieri ha prodotto sei misure cautelari e già tre patteggiamenti.
Uss è il figlio del governatore di una regione siberiana caro a Putin, che dall’arresto provvisorio a Malpensa il 17 ottobre 2022 era in carcere in attesa di decisione sulla sua estradizione chiesta dagli Stati Uniti per esportazione illegale di tecnologie militari e contrabbando di petrolio in Venezuela, e che il 22 marzo 2023, all’indomani del primo e non operativo via libera di altri tre giudici della Corte d’Appello all’estradizione solo per il contrabbando di petrolio e non per il traffico di componenti d’armi, era poi evaso dai domiciliari, semplicemente portandosi via la cavigliera.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
“IL DISPREZZO DI TRUMP PER LA COSTITUZIONE E LA DEMOCRAZIA DOVREBBE ESSERE SUFFICIENTE PER ESCLUDERLO A VITA DALLA PRESIDENZA. NON CAPISCE COSA SIGNIFICA ESSERE AMERICANI”
Non ha sorpreso nessuno, ma non era una cosa scontata: Bruce Springsteen ha detto che voterà per Kamala Harris alle elezioni presidenziali di novembre. Trump, dice, «è il candidato alla presidenza più pericoloso che abbia visto in vita mia». Harris e il candidato vice Tim Waltz hanno invece «una visione del Paese che rispetta e include tutti».
Oltre ad apprezzare le idee inclusive in materia di «classe, religione, razza, idee politiche e identità sessuale», per Springsteen il ticket dem è impegnato «a far crescere l’economia in modo che i benefici arrivino a tutti, non solo ai pochi come me che stanno in cima».
L’endorsement è arrivato in un video pubblicato su Instagram che somiglia a un discorso alla nazione e un invito alla riscoperta dei valori che hanno reso grande il Paese e che sono stati calpestati da Trump.
«Il suo disprezzo per la sacralità della Costituzione, della democrazia, dello stato di diritto e della pacifico trasferimento dei poteri dovrebbero essere motivi sufficienti per escluderlo a vita dalla presidenza».
Si riferisce ovviamente ai fatti del 6 settembre 2021, quando una folla violenta aizzata da Trump ha preso d’assalto il Campidoglio nel tentativo di sovvertire il legittimo risultato delle elezioni e quindi l’ordinamento democratico.
Secondo Bruce, Donald Trump «non sa che cosa rappresentano questo Paese e la sua storia, né capisce che cosa significa essere americani». Anche per lui le presidenziali di quest’anno sono una delle elezioni delle più importanti nella storia degli Stati Uniti.
Era dalla guerra civile che il Paese non era tanto diviso «politicamente, spiritualmente ed emotivamente». Ma non dovrebbe essere così. «I valori e le storie che ci uniscono e che ci rendono una grande nazione meritano di essere riscoperti e raccontati una volta ancora».
«Ci vorrà del tempo. Ci vorranno duro lavoro, intelligenza, fede, donne e uomini che hanno a cuore il bene della nazione. L’America è la nazione più potente al mondo, non solo per la sua schiacciante forza militare o per il potere economico, ma per ciò che rappresenta, per ciò che significa, per quello in cui crede. Libertà, giustizia sociale, pari opportunità, il diritto di essere innamorati di chi si vuole».
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
SEMPRE IN PRIMA FILA IN TANTE BATTAGLIE PER LA SUA TERRA CONTRO LA GRANDE OPERA
Dopo una lunga malattia, contro cui ha lottato con la stessa tenacia con cui si è battuto contro la Torino-Lione, all’età di 78 anni stanotte è morto Alberto Perino, uno dei volti storici del movimento No-Tav della Val di Susa.
In prima linea fin dagli Anni ’90 contro il progetto della grande opera ferroviaria, impiegato di banca in pensione, grazie al suo carattere e alla sua abilità comunicativa è finito spesso al centro delle cronache sulla battaglia No-Tav, al pari dell’ex professoressa di liceo Nicoletta Dosio.
I due sono stati spesso fianco a fianco anche nei processi che li ha visti imputati per diverse delle mille azioni di questi anni di opposizione all’apertura dei cantieri in Valle.
Pur animato da idee nonviolente, Perino ha fatto spesso discutere per aver legittimato anche azioni di sabotaggio delle iniziative di scavo della grande opera, al punto da ricevere perfino minacce di morte alcuni anni fa.
Carismatico, e a lungo portavoce del movimento No-Tav, fin dai tempi delle “battaglie” contro l’occupazione dei terreni di Venaus nel dicembre 2005, negli ultimi tempi si era in parte defilato, per lasciare spazio ai compagni più giovani.
Proprio a causa della malattia, anche nelle ultime iniziative di lotta e manifestazioni aveva lasciato la prima fila ad altri esponenti del movimento, che in queste ore ne piangono la scomparsa, dopo che in Val Susa si è diffusa la notizia della sua morte, avvenuta questa notte nella sua abitazione.
Il cordoglio dei no tav
«Oggi è un giorno di dolore, ma da domani il suo spirito continuerà a vivere in ogni lotta per la salvaguardia della nostra amata terra»: così, sui propri canali, in queste ore il movimento No-Tav ricorda il proprio leader Alberto Perino, a cui «nei prossimi giorni sarà dedicata una giornata per ricordarlo come merita. Se è da trent’anni che la Val Susa resiste è anche e soprattutto merito suo».
È probabile che un momento di ricordo di Perino si terrà nelle prossime ore in occasione dell’avvio delle nuove attività al presidio permanente di San Giuliano, in vista degli espropri delle aree dove è previsto nelle prossime settimane l’apertura del cantiere nella piana di Susa. I funerali sono invece previsti in forma privata.
(da La Stampa)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DELLA MILITANTE ANTIFASCISTA AL GIORNALE TEDESCO MDR: LE RESPONSABILITA’ DELLA GERMANIA, LA SOSPENSIVA DEL PROVVEDIMENTO DI ESTRADIZIONE ARRIVATO QUANDO ORMAI LA DETENUTA ERA STATA TRASFERITA NELLA FOGNA SOVRANISTA
“Sono stata trattata come un pacco, ho provato la fredda brutalità della polizia, è stato un viaggio dell’orrore con manette e catene, un cappuccio, come quelli usati nella boxe, e un sacco sopra la testa. E ora in carcere i prodotti intimi mi sono stati sequestrati, ci sono cimici e scarafaggi, sono rinchiusa in cella per 23 ore, posso stare nel cortile per un’ora e sempre sola”.
Sembra un dejà-vu, sembra di rileggere le parole da Budapest di Ilaria Salis. E invece a parlare stavolta con il giornale tedesco Mdr è Maja T., 23 anni, imputata come Salis nel processo per le aggressioni a militanti neonazisti durante la commemorazione delle SS, il cosiddetto Honor Day, del 2023.
Parla sempre da Budapest Maja, un anno dopo le lettere dell’antifascista di Monza, oggi europarlamentare di Avs, che sollevò il velo sulle condizioni di carcerazione dell’Ungheria di Orbán.
Tedesca, persona non binaria, Maja T. è stata prelevata dal carcere di Dresda nel giugno scorso e portata in Ungheria, in esecuzione di un mandato d’arresto internazionale.
La procedura è stata fulminea, quindi quando la Corte federale costituzionale di Karlsruhe ha disposto la sospensiva del provvedimento, Maja era già nelle mani delle autorità ungheresi, nonostante le condizioni detentive magiare non garantiscano i diritti dei carcerati e il sistema giudiziario sia ritenuto non garantista dagli osservatori internazionali
Maja T. ha parlato con Mdr per telefono pochi giorni fa. Ha raccontato che si aspettava che la Corte d’Appello si pronunciasse a favore dell’estradizione. Ciò che l’ha sorpresa, però, è stata “la modalità” dell’estradizione. Alle prime ore del 28 giugno la porta della sua cella di Maja è stata sbloccata. Una forte luce l’ha svegliata. Agenti del Lka della Sassonia l’hanno portata fuori dalla stanza. Arrivata all’aeroporto di Dresda, scortata da otto agenti pesantemente armati, su un furgone accompagnato a sua volta da almeno altre dieci camionette della polizia. Un elicottero la stava aspettando.”È stato davvero un viaggio dell’orrore”, ha raccontato. “L’aeroporto era circondato da poliziotti mascherati con mitragliatrici spianate”, ha ricordato Maja.
“Ho fatto esperienza della fredda brutalità della polizia. Sono stata trattata come un pacco”, ha detto Maja. Le sono state messe manette e catene, e le è stato infilato un sacco sopra la testa. È stata poi portata al confine ungherese in una minuscola cella del mezzo per il trasporto dei detenuti. Il viaggio è durato diverse ore, senza pause né possibilità di bere, ed è stata consegnata agli agenti lì presenti.
Da allora, Maja è detenuta in un carcere a Budapest, spera in un processo in Germania, suo padre ha lanciato una petizione, sostenuta anch da Salis, indirizzata al Ministro della Giustizia Marco Buschmann e al Ministro degli Affari Esteri Annalena Baerbock per il rientro della figlia dall’Ungheria, o almeno avere garantite condizioni di detenzione appropriate lì dove si trova. Anche qui sembra di rivedere Roberto Salis.
Della detenzione Maja T. ha racconta: “A mio parere, il vitto è molto scarso. I prodotti igienici mi sono stati sequestrati. In alcune zone è sporco, ci sono innumerevoli cimici e scarafaggi. C’è una telecamera nella mia cella che è sempre accesa”. Ci sono anche altri controlli, che la 23enne ha percepito come molestie: “Ogni giorno dovevo spogliarmi completamente davanti agli agenti. Si tratta a tutti gli effetti di perquisizioni intime”. Poi c’è l’isolamento: “Sono rinchiusa in cella per 23 ore, e posso stare nel cortile per un’ora e sempre da sola. Ho brevi contatti con gli agenti durante il giorno e contatti molto limitati con la mia famiglia per telefono”. Non è cambiato molto.
“Maja si trova completamente da sola da due mesi e mezzo. Si tratta di un regime di isolamento estremo. E questo è giustamente descritto come una forma di tortura psicologica, la cosiddetta “tortura bianca”. Mi sembra che Maja venga torturata e umiliata in modo sistematico affinché le siano estorte dichiarazioni”, affonda il padre Wolfram Jarosch, lanciando pesanti accuse contro la detenzione ungherese. “Farò di tutto per tirarla fuori da quelle carceri”, aveva detto quando sua figlia era stata portata via. Un altro dejà-vu.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
UNO DEI MANAGER PUBBLICI FATTURAVA COME “CONSULENZE”, CON TANTO DI PARTITA IVA, I SOLDI DELLA PRESUNTA CORRUZIONE – LA TANGENTE DA 846MILA EURO PER I LAVORI SULLA STATALE “REGINA” SUL LAGO DI COMO… GLI APPARTAMENTI E LE AUTOMOBILI PAGATE
Dirigenti Anas con partita Iva, con cui venivano fatturate le tangenti incassate dalle aziende che vincevano gli appalti della stessa Anas. Per almeno uno degli indagati nel nuovo scandalo che travolge la società vigilata dal ministero delle Infrastrutture (dopo quello sulle tangenti che ha coinvolto la famiglia Verdini), le mazzette avevano forma legale, tracciate come consulenze che il manager pubblico riceveva dalla società privata.
Una delle tante anomalie emerse nell’inchiesta del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Milano, che ieri ha eseguito perquisizioni in mezza Italia nelle sedi di Anas e negli uffici di nove indagati. Quattro sono ancora dirigenti di Anas, altri tre avevano abbandonato l’azienda, creando le entità private che vincevano le gare.
Porte girevoli tra pubblico e privato che portano i pm Giovanna Cavalleri e Giovanni Polizzi, con la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano, a ipotizzare corruzione, turbata libertà degli incanti e rivelazione di segreto d’ufficio per almeno quattro appalti per la costruzione e manutenzione di tratti stradali. Finiscono così indagati i fratelli Stefano, Luigi e Marco Liani.
Il primo, ex responsabile “progettazione e realizzazione lavori” Anas fino al 2019, ora alla struttura territoriale Anas Toscana, gli altri due ex funzionari della società a controllo pubblico, che hanno poi creato le srl per incassare le commesse. Con loro, indagati anche altri tre attuali funzionari di Anas: Eutimio Mucilli, ex responsabile “nuove opere” e ora alla direzione “investimenti e realizzazione lavori”; Vincenzo Giarratana, responsabile “geologia” nord ovest; Mauro Ernesto Pelagalli, passato da Anas al privato per poi tornare come capocantiere Lombardia.
Con loro, l’ex manager Anas ed ex dirigente del Mit Giovanni Proietti, imputato per il crollo del ponte Morandi di Genova, e il figlio Nicholas; Alberto Brentegani, nel cda di Autostrade Brescia-Verona-Vicenza-Padova spa.
Solo per una gara d’appalto, quella del 2019 per i lavori sulla SS340 “Regina”-Variante Tremezzina, sul lago di Como, la procura quantifica in 846mila euro la presunta corruzione. Con Stefano Liani e Mucilli che avrebbero «intrattenuto rapporti economici personali con il Consorzio Stabile Sis» (non indagato), aggiudicatario dell’appalto da 388 milioni. Stefano Liani avrebbe «percepito dal Consorzio, dal 2018 al 2021, 485.896 euro» e Mucilli «360.074 euro ».
Il sospetto è che gli incarichi «fossero funzionali a garantire al consorzio la fedeltà e la benevolenza dei due alti dirigenti pubblici nell’assegnazione e nella successiva esecuzione del remunerativo appalto». Per i due lotti dell’A4 da Brescia a Padova, secondo la Gdf avrebbe avuto un ruolo Proietti, «nominato direttore dei lavori» da Alberto Brentegani, nel cda della società autostradale, aggiudicato al Consorzio Stabile 3 Emme, «riconducibile alla famiglia Liani».
Un incarico che «Proietti avrebbe dirottato al figlio». La famiglia avrebbe ricevuto in cambio «un appartamento e un’automobile pagati » da una società del gruppo Liani. Anche l’appalto da due milioni e mezzo di euro della Ss 469 Sebina Occidentale, sarebbe stato «di fatto subappaltato » alla società di Marco Liani, grazie a Giarratana.
Un filone che comprende anche l’appalto per la Ss 412 della Val Tidone. Anas, non indagata, esprime «piena fiducia nella magistratura, fornendo tutta la necessaria collaborazione».
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
TRENI E CASELLI BLINDATI, RAFFORZATI I CONTROLLI A RIDOSSO DELLA SINAGOGA, SCUOLE E CENTRI EBRAICI… LE OPPOSIZIONI ATTACCANO PIANTEDOSI: “SBAGLIATO VIETARE LA PIAZZA”
Una piazza senza interlocutori. Fra tanti timori per la sicurezza. Partiranno oggi i controlli in vista dalla manifestazione pro Palestina prevista domani a Roma, che si terrà senza autorizzazioni.
«Il divieto c’è e va fatto rispettare» ha ribadito il neo questore Roberto Massucci che nel tavolo tecnico di questa mattina metterà a punto gli ultimi dettagli.
Al momento previste più di 30mila persone che si ritroveranno davanti alla Piramide a Ostiense. Tra loro i Giovani Palestinesi, che avevano promosso l’iniziativa con parole radicali, causando lo stop per ragioni di ordine pubblico: «Il 7 ottobre 2023 è la data di una rivoluzione, non è una ricorrenza».
Non scenderà in piazza parte della comunità palestinese, che si è data appuntamento il 12 ottobre. Ci saranno invece il Movimento No Tav, Potere al Popolo e l’Usb, anche perché il perimetro della protesta si è allargato al contrasto del decreto Sicurezza.
La presenza di alcuni centri sociali del nord, come Askatasuna di Torino e Pedro di Padova, preoccupa. Si temono scontri, per questo sono previsti 1500 agenti, con particolare attenzione ai caselli e alle stazioni per filtrare gli arrivi, decimati anche dallo sciopero del trasporto pubblico locale. La gestione del corteo è il nodo centrale. Di fronte a numeri esigui, sarà concesso un presidio statico, fortificando la piazza con blindati e idranti.
In vista del primo anniversario della strage di Hamas in Israele già da giorni sono stati rafforzati i controlli in tutto il paese a ridosso di sinagoghe, scuole. centri ebraici e rappresentanze diplomatiche di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele.
«La manifestazione pro Palestina è anti Israele. È una celebrazione del 7 ottobre », afferma Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. Mentre Matteo Renzi contesta la decisione della questura: «Dire che il 7 ottobre è stato l’inizio di una rivoluzione (e non un massacro!) è scandaloso. Ma vietare le manifestazioni è una scelta sbagliata».
La deputata del M5S Stefania Ascari ha annunciato un’interrogazione parlamentare «per capire il perché di questo divieto».
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
L’EX ASSESSORE DI FROSINONE HA SBAGLIATO LA PROCEDURA DI SELEZIONE DEI NUOVI DIRIGENTI
Quella di Fabio Tagliaferri ad Ales è stata una falsa partenza. Il presidente e amministratore delegato della società in house del ministero della Cultura (Mic), tanto discusso per il suo scarno curriculum nel campo della cultura e altrettanto noto per essere un protégé delle sorelle Meloni, ha subito portato con sé Simona Scaccia, vecchia conoscenza risalente dai tempi delle esperienze amministrative al comune di Frosinone (Tagliaferri è stato assessore e vicesindaco del comune). Scaccia era nella segreteria del sindaco Nicola Ottaviani.
Ora ha messo piede dentro Ales, che ha il compito di garantire il supporto alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale italiano, dopo che la precedente segretaria si è accomiatata dalla società, con un contratto di lavoro interinale da marzo a luglio. Una situazione troppo instabile.
Allora è stato pubblicato un bando per assegnare un ruolo affine alla segreteria. Il concorso è stato vinto proprio da Scaccia, che adesso risulta a pieno titolo nell’organico societario.
Procedure sbagliate
Un punto di riferimento per Tagliaferri, che è però scivolato sul potenziamento dell’organico a più ampio raggio. Appena arrivato ha pensato di arruolare altri dirigenti, almeno quattro.
Di conseguenza ha predisposto la lista dei profili prescelti: quattro quadri interni sarebbero stati promossi. Ha inviato tutto al Collegio Romano, sede del Mic. Negli uffici ministeriali sono saltati dalla sedia di fronte all’errore da matita blu che ha denotato una certa inesperienza di fronte alle questioni di una realtà da oltre 2mila dipendenti.
La Arte, lavoro e servizi (Ales, appunto) è una società che dal 2016, dopo la fusione con Arcus spa, può assegnare quei ruoli solo dopo la pubblicazione di un bando e l’avvio di una selezione pubblica, che risponda a criteri di imparzialità e di trasparenza
Tagliaferri ha fatto marcia indietro. E secondo la versione ufficiosa, parlando con gli interlocutori ministeriali, avrebbe addossato le responsabilità dell’errore alla struttura interna di Ales.
I dirigenti in carica, stando a quello che avrebbe riferito, gli avrebbero suggerito di prendere come esempio quanto avvenuto nelle precedenti gestioni con una promozione diretta. In quel caso il concorso pubblico poteva effettivamente essere bypassato perché lo statuto di Ales era diverso. Secondo quanto risulta a Domani, tuttavia, le strutture interne non erano state informate della decisione assunta dall’amministratore delegato sulla promozione dei quadri. Si sarebbe mosso sostanzialmente in solitaria.
Fatto sta che lo svarione di Tagliaferri – responsabile quantomeno dal punto di vista oggettivo – ha provocato un primo slittamento. Ora, a ritmo serrato, bisogna scrivere e chiudere i bandi, a cui potrebbero partecipare i candidati preferiti (e indicati) dall’ad, per provvedere al completamento del parco-dirigenti.
Un impatto notevole su Ales quello dell’esponente del partito meloniano, che ha beneficiato di un cordone di sicurezza da parte di Fratelli d’Italia. L’ordine impartito dall’alto è quello di fare quadrato intorno al nuovo dirigente. Ed ecco che è stata scelta la linea dello scaricabarile, secondo cui i responsabili di ogni disguido sono sempre le precedenti gestioni.
Il grande teorico della strategia è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, e vari ministri si sono ispirati a questo modello.
Addirittura il moderato Raffaele Fitto, fresco di nomina a commissario europeo, ha spesso lasciato sottintendere che i problemi legati al Pnrr fossero da mettere sul conto dei precedenti esecutivi. Governo Draghi incluso.
L’attacco di Giuli
Così Tagliaferri si è allineato provando a caricare a testa bassa le precedenti gestioni. Fino a coinvolgere nello scontro il neo ministro della Cultura, Alessandro Giuli. Il caso riguarda la polemica sul rapporto tra Ales e Monte dei Paschi di Siena, istituto presso cui la società ha un conto corrente aperto da anni.
Fratelli d’Italia ha scatenato i suoi deputati, sostenendo che Ales avrebbe concesso alla banca di mantenere sul conto il tasso di interesse allo zero. Giuli, durante il question time alla Camera della scorsa settimana, ha avallato la tesi di «cecchinaggio» politico e mediatico verso Tagliaferri.
L’ex direttore del MAXXI ha optato per una sceneggiata politica, definendo il rapporto tra Ales e Mps una vicenda con «chiaroscuri».
Eppure, per fare luce sul caso, al ministro sarebbe bastato leggere e citare la nota che proprio Ales ha inviato al ministro dopo la presentazione dell’interrogazione, come avviene di prassi di fronte ai quesiti posti dai parlamentari. Un documento, visionato da Domani, che reca la firma di Tagliaferri. È l’amministratore delegato che certifica il contenuto.
La lettera spiega, con dovizia di dettagli, che il tasso allo zero per cento è legato alle decisioni della Banca centrale europea, che aveva per un certo lasso temporale portato in territorio negativo i tassi. Anzi, sempre Ales evidenzia che c’è stato un risparmio da parte della società di circa 375mila euro, grazie alla cancellazione della liquidity fee, una commissione che poteva essere applicata. E non solo. La risposta della società spiega le ragioni per cui è stato conservato il rapporto con Mps e che comunque sono stati sondati altri istituti.
La proposta migliore era quella di Banco Poste che offriva il tasso allo 0,02 per cento di interessi, senza poter garantire altri tipi di servizi. Alla fine, comunque, Ales spiega di essersi attivata per l’eventuale recupero di somme di denaro su possibili inesattezze nel calcolo. Ma resta un dato: il tasso è stato inchiodato a zero per una serie di motivazioni. Era sufficiente che Giuli prendesse spunto da documento trasmesso ai suoi uffici da Tagliaferri.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
GIORGETTI DICE LA VERITA’ SUI CONTI E SULLA NECESSITA’ DI NUOVE TASSE E IL CENTRODESTRA QUASI LO LAPIDA
Prima o poi doveva succedere: un ministro di questo governo parla, e riesco a leggere le sue parole senza inorridire o ridere. Si tratta del Giorgetti, democristiano in dotazione alla Lega (fa finta di non accorgersene, ed è il solo modo per sopravvivere, da democristiano, nel partito più fascista d’Italia).
Il Giorgetti, da ministro dell’Economia, ha parlato di «sacrifici per tutti», di «più tasse su redditi immobiliari e finanziari», e addirittura di considerare probabile un prelievo più alto sull’industria delle armi, che come è noto sta andando a gonfie vele: si sentono i botti fin sotto casa, ormai. Ha anche detto che non esistono extraprofitti. Solo profitti. E che non c’è niente di più normale che tassarli un poco di più, qualora serva.
Non oso entrare nel dettaglio tecnico, ci capisco poco, ma era dai tempi della professoressa Fornero che non si sentiva qualcuno far presente che da qualche parte i quattrini si dovranno pure trovare. E la parola «sacrifici» non echeggiava, a Roma, ormai da tempo, essendo il melonismo tutto un trallallà su quanto è produttiva e intrepida la nostra Patria, che ha i numeri in ordine, l’economia che tira e il morale alle stelle.
Sbaglierò, ma secondo me il Giorgetti, prima o poi, sarà richiamato all’ordine. È troppo mesto, non abbastanza ottimista, non frequenta gli ultras e, che si sappia, nemmeno le signore di Pompei, non scalpita per ristabilire l’egemonia economica della destra dopo secoli di evidente egemonia comunista, insomma, dentro questo governo, fa la figura del corpo estraneo.
A meno che abbia una doppia vita, e a notte fonda vada a cantare nei pub del Varesotto con un gruppo nazirock, sembra proprio quello che è: un ministro dimenticato a Roma dal governo Draghi.
(da La Repubblica)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
LA SCELTA TRA TAGLI DI SPESA E NUOVE TASSE FORSE AVREBBE DOVUTO ESSERE FATTA IN GRANDE ANTICIPO RISPETTO AL 2024. ARRIVARCI ADESSO, IN QUESTE CONDIZIONI, HA DATO LA SENSAZIONE DI UN’ITALIA CON L’ACQUA ALLA GOLA. BASTA RICORDARE CHE IL SOLO PNRR VALE 200 MILIARDI, MA È COMPOSTO PER 120 DI DEBITI, DEBITO CONCORDATO CON L’EUROPA MA COMUNQUE DA RESTITUIRE. E I COSTI DEL SUPERBONUS EDILIZIO SI AGGIRANO SU ULTERIORI 200 MILIARDI, PER ARRIVARE ALLA CIFRA MOSTRUOSA DI 320 MILIARDI, DESTINATA A PESARE PER I PROSSIMI DIECI ANNI SUI NOSTRI CONTI
L’annuncio del ministro Giorgetti […] sull’avvento di un “contributo” fiscale da parte di banche e imprese ha provocato un terremoto sui mercati, con un repentino calo delle Borse in Francia e in Italia. Ma mentre in Francia Barnier si è mosso sulla linea di marcato risanamento dei conti pubblici decisa dal Presidente della Repubblica Macron, e inaugurata con la riforma delle pensioni contestata duramente nelle piazze, da noi le parole del ministro dell’Economia hanno rotto la continuità di una lunga serie di valutazioni positive da parte del governo e della premier Meloni. L’ultima appena qualche giorno fa, relativa alla crescita migliore delle previsioni, all’occupazione sopra a livelli mai raggiunti prima e alle attese ancora più rosee per i prossimi mesi.
Si dirà che è giunta l’ora della verità, per un esecutivo che era riuscito a galleggiare sul rapporto di fiducia mai seriamente intaccato con l’elettorato e sui comportamenti tipici in materia economica dei governi degli ultimi trent’anni: a ogni manovra d’autunno, a ogni legge di stabilità, un ulteriore aumento del debito e del deficit per consentire il varo di misure elettorali, si trattasse della “flat tax” per i lavoratori autonomi fino a 85 mila euro di reddito, o al taglio del cuneo fiscale per i dipendenti pubblici (un aumento in busta paga tra 80 e 100 euro) o della prima tranche di una riforma fiscale in cui la revisione delle aliquote con le sue conseguenze venivano pagate dallo Stato, cioè dagli stessi cittadini che s’illudevano di aver fatto un buon affare.
A giugno l’Italia con gli altri Paesi membri dell’Unione europea ha firmato un nuovo Patto di Stabilità che prevede appunto un rientro del debito graduale ma progressivo nei prossimi sette anni. E soprattutto prevede che il debito italiano non possa essere aumentato per nessuna ragione.
Di qui appunto la scelta tra tagli di spesa e nuove tasse che forse avrebbe dovuto essere fatta in grande anticipo rispetto al 2024. Arrivarci adesso, e giungerci in queste condizioni, ha dato la sensazione di un’Italia con l’acqua alla gola. E d’altra parte, basta ricordare che il solo Pnrr, che ha messo in moto progetti onerosi su tutto il territorio, vale 200 miliardi, ma è composto per 120 di debiti, debito concordato con l’Europa ma comunque da restituire.
E basta aggiungere l’ultima valutazione sui costi del Superbonus edilizio, che si aggirano su ulteriori 200 miliardi, per arrivare alla cifra mostruosa di 320 miliardi, destinata a pesare per i prossimi dieci anni sui nostri conti. A questa, appunto, bisognerà sommare la rata del “percorso virtuoso” per rientrare dal debito, un altro giro di vite.
Va detto che le conseguenze dell’annuncio di Giorgetti non potranno essere valutate in poche ore, guardando ai listini di Borsa, e neppure in pochi giorni. L’idea che quel che lo Stato, il governo non sono in grado di pagare, se lo debbano caricare sulle spalle banche e imprese, potrà piacere a una parte o a tutto l’elettorato di destra-centro, ma non è detto che funzioni.
Fare banca, fare impresa in Italia, si sa, è più difficile che altrove. Venire dall’estero a investire qui, non ne parliamo. E prima che i politici, la politica, la maggioranza e le opposizioni, il giudizio vero sulle parole di verità di Giorgetti lo daranno i mercati internazionali. Si ballerà. Forse è venuto il momento di allacciare le cinture.
(da la Stampa)
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