Ottobre 19th, 2024 Riccardo Fucile
SAREBBE ORA CHE CHI SPUTTANA I SOLDI DEGLI ITALIANI PAGASSE DI TASCA PROPRIA
Non l’ha presa bene. Giorgia Meloni è furiosa per le sentenze dei giudici di Roma che non hanno convalidato il trattenimento dei 12 naufraghi nel centro di Gjader. E mentre prepara un decreto sui paesi sicuri che però rischia di essere inutile, si sfoga. Mentre le opposizioni puntano sullo spreco di denaro pubblico e sull’ipotesi di danno erariale. Sotto la lente c’è il costo dell’operazione pensata con Edi Rama: 650 milioni in 5 anni di cui 120 per le due strutture di Gjader e Shengjin.
Ma anche i viaggi nel Mediterraneo per portare i migranti fino ai centri. Ognuno costerebbe circa 80 mila euro. E di certo il primo è stato inutile. E la premier per ora punta il dito sui giudici: «Il problema è che è molto difficile dare risposte alla Nazione quando si ha l’opposizione di parte delle istituzioni».
La Corte dei Conti e la magistratura ordinaria
Ma la paura è quella di un intervento della Corte dei Conti. E, subito dopo, della magistratura ordinaria. Mentre il conflitto tra poteri dello Stato potrebbe finire per pregiudicare la durata della legislatura.
Mentre un autorevole ministro le ha girato la dichiarazione di Elly Schlein in cui si prefigura il danno erariale. «Occhio, Giorgia», c’era scritto nel messaggio di accompagnamento. «Schlein preannuncia l’intervento della Corte dei Conti. E dopo arriverà la magistratura ordinaria». Una prospettiva che porterebbe molte difficoltà in un finale di legislatura che si preannuncia scoppiettante grazie anche al referendum sull’autonomia differenziata.
L’opposizione dei giudici e la premier furiosa
I rischi di una forzatura con il decreto di lunedì 21 ottobre sono sotto gli occhi di tutti. La premier andrebbe allo scontro con i giudici. E rischierebbe anche di aprire una falla nel rapporto con il Quirinale. Mentre a quel punto diventerebbe anche probabile l’approdo del caso fino alla Corte Costituzionale. Che potrebbe essere chiamata a esprimersi proprio sulla legittimità di un decreto che contraddice una norma europea. In tutti i casi, finora, la decisione è stata la stessa. Ovvero la bocciatura delle norme nazionali. Intanto la premier sembra ancora adombrare complotti.
Tornano in privato le parole d’ordine del berlusconismo più aspro contro i magistrati «di sinistra» e le correnti «politicizzate». Che tentano di «indebolire il governo». Il rischio è che finisca allo stesso modo.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 19th, 2024 Riccardo Fucile
I RISCHI DI APRIRE UN CONFLITTO COL QUIRINALE… LA VOLONTÀ DI RIDIMENSIONARE IL RAGGIO D’AZIONE DEI GIUDICI POTREBBE PORTARE IL CASO FINO ALLA CONSULTA
Un decreto che stabilisca per legge la lista dei paesi sicuri. Sfidando la magistratura. Restringendo al massimo la possibilità delle toghe di interpretare la sentenza della Corte di giustizia europea, quella che ha smontato il “modello Albania” e messo in crisi le politiche migratorie di Giorgia Meloni.
Una forzatura che la presidente del Consiglio porterà lunedì prossimo in consiglio dei ministri. Accompagnata, forse, da nuove norme che attribuiscano maggiore potere alle commissioni del Viminale che valutano le richieste di asilo, riducendo invece la possibilità del migrante di ricorrere davanti a un giudice. È un piano azzardato. Che apre una nuova, pesante crepa tra poteri dello Stato.
er capirne la portata della sfida, bisogna partire dall’ira di Meloni.
Pubblica e privata. Incontenibile. La sentenza del Tribunale di Roma arriva nel giorno scelto per la missione in Libano. La premier si presenta davanti alle telecamere e si sfoga. Contro il pronunciamento dei giudici della sezione immigrazione della capitale, il suo primo bersaglio: «È molto difficile lavorare con l’opposizione di parte delle istituzioni. Così è impossibile difendere i confini. Non credo sia competenza della magistratura definire quali Paesi sono sicuri ». Tocca al governo, ribadisce.
La reazione è un consiglio dei ministri ad hoc che permetterà all’esecutivo di «chiarire meglio cosa si intende per Paese sicuro». E di farlo «per gli italiani, che mi chiedono di fermare l’immigrazione illegale».
Il piano, dunque. L’obiettivo è blindarsi con una legge di rango primario, irrobustendo l’impianto retto finora da un decreto interministeriale scritto da Interni, Giustizia ed Esteri. Esistono due opzioni al vaglio. La prima prevede un decreto legge che servirebbe a riproporre la lista dei ventidue Stati già indicati nel decreto interministeriale. La seconda immagina un intervento attraverso un disegno di legge governativo (non entrerebbe subito in vigore, ma dovrebbe attendere l’iter di approvazione parlamentare). In questo caso, l’elenco degli Stati in cui è consentito il rimpatrio verrebbe stilato da una commissione della Farnesina istituita per legge.
L’obiettivo politico e giuridico è vincolare i magistrati a queste indicazioni, limitando al massimo la possibilità interpretativa (e in attesa che un regolamento che entrerà in vigore nel 2026 — questa la tesi dell’esecutivo — superi i problemi sollevati dalla Corte di giustizia Ue).
I rischi di questa forzatura sono evidenti. La via del decreto legge potrebbe determinare una frizione con il Quirinale. E la volontà di ridimensionare il raggio d’azione dei giudici — nonostante la sentenza europea — potrebbe portare il caso fino alla Consulta.
Per il governo, però, l’obiettivo è molto più a breve termine: uscire dall’angolo, difendere il “modello Albania” — disintegrato in poche ore dai giudici romani — e lanciare un segnale alle toghe.
Ma non basta. Un altro colpo potrebbe arrivare da una serie di norme che potrebbero confluire nel nuovo pacchetto. L’idea è quella di affidare alle commissioni del Viminale le richieste di protezione internazionale, tutto verrebbe giustificato da ragioni di celerità. In questo modo, si proverebbe anche a limitare la possibilità di ricorrere in tribunale.
Da tempo, la destra di governo ha nel mirino proprio le sezioni immigrazione, considerate politicamente orientate, come non mancano di sostenere in queste ore i big dell’esecutivo. Un’idea allo studio è affidare la valutazione ai giudici di pace o alle corti d’Appello.
Per Meloni, non si tratta solo di un colpo contro l’hub in Albania: il tribunale, sostiene, fa collassare l’intera politica migratoria, rendendo impossibili i rimpatri. Tornano in privato le parole d’ordine del berlusconismo più aspro contro i magistrati «di sinistra» e le correnti «politicizzate », che tentano di «indebolire il governo». La reazione è un decreto legge contro le toghe. Una nuova battaglia è alle porte.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 19th, 2024 Riccardo Fucile
“SONO VUOTE LE CASSE DELLO STATO. È VUOTA LA MANOVRA FINANZIARIA PIÙ MISEREVOLE E TRUFFALDA DEL NUOVO MILLENNIO, È VUOTO IL MITOLOGICO CENTRO ITALIANO DI TRATTENIMENTO PER MIGRANTI IN ALBANIA
È vuoto il bilancio del governo Meloni alla vigilia del suo secondo compleanno: nulla di significativo che la gente possa ricordare per averle migliorato la vita. Sono vuote le casse dello Stato tra un condono (anzi, venti) e una retromarcia sulla tassa agli extraprofitti, mentre l’economia sommersa più quella illegale crescono più del Pil e superano i 200 miliardi (nel 2022, figurarsi oggi).
È vuota la manovra finanziaria più miserevole e truffalda del nuovo millennio, che non mette nuove tasse perché aumenta quelle vecchie e riporta la spesa sanitaria ai livelli miserevoli del 2007.
È vuota la piazza palermitana di Salvini e dei suoi camerieri (fra cui alcuni cosiddetti ministri) per delibare la psico-arringa della Bongiorno e protestare contro i “giudici comunisti” nella beata indifferenza della città, ma pure del resto del mondo.
È vuoto il mitologico Centro italiano di trattenimento per migranti in Albania, mezzo ancora da fare, che dovrebbe contenerne 800, ma finora ne ha visti 16, traghettati a costi esorbitanti su una nave italiana prima di scoprire che due non possono stare lì perché minorenni, due non possono stare lì perché vulnerabili e gli altri 12 non possono stare lì perché provenienti da Paesi non sicuri (Egitto e Bangladesh), quindi tornano tutti in Italia, sempre a spese nostre.
E magari qualche medico, qualche infermiere e qualche malato si domanderà perché questi geni abbiano buttato 800 milioni per la tragicomica campagna d’Albania: la stessa cifra dell’aumento del Fondo sanitario per il 2025, che avrebbe potuto essere il doppio.
È vuoto lo share del programma su Rai2 dell’ex Iena Nino Monteleone, il noto sfollagente che doveva sbaragliare la fantomatica egemonia culturale della sinistra per la modica cifra di 350mila e rotti euro l’anno solo per lui: s’intitola L’altra Italia perché si rivolge a quella dove il segnale non prende o, se prende, si guarda altro.
Sono vuote le bocche e le zucche dei ministri e dei sottosegretari, che passano il tempo fra cazzate (quando si capisce ciò che dicono) e supercazzole (quando, per fortuna, non si capisce). È tutto un grande buco col vuoto intorno. Aspetta soltanto che qualcuno lo riempia.
Marco Travaglio
per “Il Fatto Quotidiano”
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 19th, 2024 Riccardo Fucile
NON BASTA GIURARE IPOCRITAMENTE SULLA COSTITUZIONE, BISOGNA ANCHE SAPERLA LEGGERE E RISPETTARLA
Riparte la solfa dei “giudici comunisti” che mettono il bastone tra le ruote dei valorosi governanti di destra. Spiace che il suo ultimo interprete, il Salvini, a dispetto del vantato staff mediatico, si presenti sulla scena con un’inquadratura che lo fa sembrare un pallone da rugby. Il Berlusca, almeno, aveva cura della messa in onda.
È una solfa, questa dei giudici comunisti, che ormai ha trent’anni (il brevetto, si sa, è di Berlusconi) e se ha retto per così tanto tempo significa che i suoi interpreti ci credono davvero. Quello che non capiscono – oppure, se lo capiscono, non hanno il coraggio di dirlo – è che sono le leggi di questa Repubblica a stabilire alcuni vincoli sociali, e alcuni limiti di potere, che sono oggettivamente di ostacolo all’idea del demiurgo che risolve i problemi per sua sola volontà. E dunque, a impicciare, non sono i giudici, sono le leggi, a partire dalla Costituzione sulla quale hanno sbadatamente giurato personaggi che sicuramente non l’hanno letta, e se l’hanno letta non l’hanno capita.
Certo non dev’essere facile prendere atto che l’attuale assetto istituzionale osta alla realizzazione di un regime populista che, tra il Capo e il Popolo, non prevede frapposizioni. Il premierato, insomma. Non dev’essere nemmeno facile dire a chiare lettere che l’attuale assetto della Repubblica non garba alla destra al governo; che vorrebbe sovvertirlo; che le stesse ambizioni in campo culturale (“adesso cambia tutto”) sono mature anche in campo istituzionale: fine della Repubblica antifascista, nascita della Repubblica Populista.
Forse sono ipocriti. O hanno paura di dirla tutta. Al Quirinale, per adesso, c’è chi sulla Costituzione non transige. Ed è anche colui che presiede la magistratura.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 19th, 2024 Riccardo Fucile
L’IRA FUNESTA DEI NOSTRI GOVERNANTI CONTRO I “GIUDICI COMUNISTI”
Giudici comunisti! Si abbatta ordunque sui magistrati di Roma, di Palermo e pure di Lussemburgo, l’ira funesta dei nostri governanti, ministri del popolo intralciati nell’adempimento del primo impegno assunto di fronte agli elettori: erigere barriere contro l’invasione dei migranti. Senza curarsi neanche, le subdole toghe rosse, degli attestati di stima pervenuti a Meloni e Salvini dall’estero per questa loro meritoria azione. Non solo dal sovranista Orbán, dal genio americano Musk, dalla presidente europea Von der Leyen, ma perfino dal laburista britannico Starmer.
Fra l’Albania e la Sicilia, nella giornata di ieri, il “modello italiano” s’è manifestato nella forma teatrale della commedia dell’arte. Dodici ignari sfigati del Bangladesh e d’Egitto acciuffati in mezzo al mare e destinati a inaugurare una struttura detentiva extraterritoriale nuova di zecca, nel ruolo degli invasori posti in condizione di non nuocere. Respinte con finto esame accelerato le domande d’asilo, ma per espellerli bisogna prima farli entrare in Italia. L’altra grottesca sceneggiata ha visto schierarsi al grido di “Matteo, Matteo” un manipolo di leghisti in una piazza di Palermo dove sventolavano l’articolo 52 della Costituzione – “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” – confidando sulla certezza che gli invasori in questione, sempre loro, i migranti, ignorano che fossero stati secessionisti fino all’altroieri. Naturalmente tutti sanno che, quand’anche condannato, Salvini non farà mai neanche un giorno di galera; ma il coraggio con cui vietò lo sbarco del centinaio di pericolosi individui trasportati dalla Open Arms lo rende meritevole di medaglia agli occhi di una cospicua quota di opinione pubblica.
A far bene i conti, risale a trent’anni fa abbondanti la prima volta di un leghista a capo del Viminale (Roberto Maroni) e in quel governo stava già anche la destra della giovane Meloni. Niente di nuovo sotto il sole del Mediterraneo: quali risultati abbia riscosso la linea securitaria, consistita essenzialmente nel blocco dell’immigrazione regolare programmata, chiunque di destra o sinistra si succedesse al governo, è sotto gli occhi di tutti. Ma nel frattempo qualcosa di nuovo succedeva, eccome, prima di tutto sul piano culturale. Man mano che la questione migratoria assumeva centralità nel dibattito pubblico, e l’età media s’innalzava fino al triste primato di 48 anni, e il sistema economico s’inceppava di pari passo con le prestazioni del welfare, appariva sempre più ragionevole chi sprezza come sottouomini i pretendenti al suolo italiano, non meritevoli di cittadinanza neppure dopo dieci anni di residenza; mentre liquidava come cosmopolita modaiolo chi si preoccupa dei loro diritti. È una storia che conosciamo tutti e che ci ha perfino un po’ stufato, desensibilizzati come siamo dalle catastrofi umanitarie abbattutesi una dopo l’altra dai Balcani, dal Medio Oriente, dall’Africa. Seguite in casa nostra da singoli episodi di crudeltà (il bracciante dissanguato a Latina, lo scippatore investito a Viareggio), furie e psicosi collettive, ricoperte infine dalla melmosa coltre dell’abitudine. Se Salvini al principio della scorsa legislatura voleva impersonare la “cattiveria al governo”, Meloni con la trovata dell’hotspot all’estero ha pensato di dare corpo al miraggio dei benpensanti: non gli facciamo neanche mettere piede in Italia, ai clandestini. Altrettanto emblematica, benché facilmente aggirabile, la norma dell’ultimo decreto Sicurezza che vieterebbe ai tabaccai di vendere schede telefoniche agli stranieri privi di permesso di soggiorno. Compiacerà parecchi, ne sono sicuro, questa forma di vessazione apparentemente superflua, ma funzionale alla degradazione di chi si vuole stigmatizzare.
Non dimentico certo che fra il vecchio Maroni bossian-berlusconiano e l’attuale destra di governo, al Viminale ci sono passati anche Napolitano e Minniti. Una sinistra che si autoproclamava sensibile al disagio delle classi subalterne quando seguiva il solco tracciato dalla destra. È successo così, fino alla metamorfosi, in quel laboratorio di socialdemocrazia xenofoba che è diventata la Danimarca. Sta succedendo nella sinistra tedesca dove la Bsw di Sahra Wagenknecht (diffidare sempre dei partiti che prendono il nome del loro capo) cresce teorizzando “più Stato sociale, meno immigrazione”, rievocando nostalgicamente la classe operaia bianca del tempo che fu, lei sì davvero progressista ma ora ridotta a minoranza; da veteromarxisti che rinnegano l’internazionalismo proletario. È quello che Enrico Gargiulo, Enrica Morlicchio e Dario Tuorto, autori del saggio Prima agli italiani (Il Mulino) chiamano “lo sciovinismo del welfare, che considera gli immigrati un salasso delle risorse della nazione”. La politica del malumore che va a sbattere sulle normative di civiltà.
(da Il Fatto Quotidiano)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 19th, 2024 Riccardo Fucile
IL TRIBUNALE “LIBERA” I 12 NAUFRAGHI E COSI’ FARA’ PER I PROSSIMI: NON PUO’ DECIDERE LA MELONI SUI PAESI “NON SICURI”, LO AVREBBE CAPITO ANCHE UNI STUDENTE DEL PRIMO ANNO DI GIURISPRUDENZA
Alla fine i piani del governo si sono infranti su una sentenza europea che rende illegittimo ogni ulteriore trasferimento di migranti in Albania. Ad applicarla è stato il Tribunale di Roma (ma così sarà per ogni altro arrivo) stabilendo che i richiedenti trattenuti “hanno diritto di essere condotti in Italia”. Finisce così l’avventura albanese dei 12 egiziani e bangladesi rinchiusi a Gjader, dove sono arrivati mercoledì per essere sottoposti all’esame accelerato delle domande d’asilo in quanto provenienti da Paesi di origine che il governo considera sicuri. E così è stato, con la commissione d’asilo che, al posto del previsto video collegamento, è stata portata in Albania per procedere a spron battuto. Tanto che le richieste d’asilo sono state tutte respinte ancor prima che i giudici potessero esprimersi.
Il trattenimento dei richiedenti va convalidato entro 48 ore dal Tribunale competente. Una “garanzia costituzionale” della libertà personale, hanno poi scritto i giudici nei provvedimenti, che “deve essere riacquisita in caso di non convalida”, indipendentemente dall’esito delle procedure d’esame. In base agli accordi con Tirana, però, nessuno può essere rilasciato in territorio albanese e va quindi trasferito in Italia, cosa che per i 12 di Gjader avverrà oggi a bordo di una nave militare. Ma per quale ragione? Più che una decisione, quella dei giudici è stata una scelta obbligata. “I trattenimenti non sono stati convalidati in applicazione dei principi, vincolanti per i giudici nazionali e per la stessa Amministrazione, enunciati dalla recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre 2024”, ha chiarito il Tribunale.
La Corte Ue è chiamata a interpretare il diritto europeo e, nel caso specifico, ha chiarito i limiti da rispettare quando si dichiara sicuro un Paese d’origine ai fini delle procedure da applicare alle richieste d’asilo. Il governo Meloni ha designato 22 Paesi sicuri, ma per 15 di questi, compresi quelli da cui proviene la maggioranza dei migranti che attraversano il Mediterraneo, ha escluso alcune categorie di persone che considera a rischio nel Paese. Il 4 ottobre la Corte ha spiegato che la vigente direttiva 32/2013 non lo ammette, che un Paese è sicuro per tutti o non lo è per nessuno. La Corte ha citato espressamente il legislatore europeo, chiarendo che proprio le implicazioni sulle procedure d’asilo impongono un’interpretazione restrittiva della norma. “L’insussistenza del presupposto necessario per la procedura di frontiera e per il trattenimento – hanno scritto ieri i giudici – determina l’assenza di un titolo di permanenza del richiedente protezione nelle strutture”. Non solo. Le sentenze della Corte sono immediatamente vincolanti per ogni Stato membro in ogni sua parte, compreso il governo che avrebbe dovuto applicarla e invece l’ha ignorata portando i migranti in Albania ed esaminando le loro domande con le ridotte garanzie della procedura accelerata senza che ce ne fossero i presupposti.
Una forzatura giuridica che ha avuto costi esorbitanti, a partire dai 300 mila euro spesi per trasportare i migranti a bordo di un pattugliatore della Marina Militare, quella nave Libra che adesso non avrà più nessuno da trasferire in Albania, se non illegalmente. Il Viminale ha già annunciato ricorsi e Meloni nuove norme: “Credo che sia competenza del governo stabilire quali paesi sono sicuri e quali no”. E crede male, perché la facoltà di stabilirlo è stata introdotta in Italia attraverso l’ordinamento europeo, che ne definisce i limiti appena ribaditi dalla Corte Ue.
Quanto ai 12 migranti, i provvedimenti dei giudici non annullano la bocciatura delle domande d’asilo, come del respingimento che l’accompagna. Dovranno fare ricorso al Tribunale di Roma. Ma decaduti i presupposti per la procedura in frontiera scatterà la sospensione automatica del respingimento prevista per le procedure ordinarie. E fino a quando un altro giudice non esaminerà la loro domanda i 12 rimarranno in Italia da richiedenti asilo col diritto di accedere al sistema di accoglienza.
(da ilfattoquotidiano.it)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 19th, 2024 Riccardo Fucile
MELONI BASTONA I GIUDICI CHE SMONTANO LA PATACCA ALBANIA MENTRE SALVINI ATTACCA QUELLI DI PALERMO PER OPEN ARMS
Era dai tempi del berlusconismo da combattimento che non si vedeva un potere dello Stato colpire al cuore, con tanta virulenza, un altro potere dello Stato. E non vi fate incantare dalla tv di regime, che all’ora di cena serve nel piatto degli italiani la solita sbobba rancida della “guerra tra politica e giustizia”.
Non è così: qui, come in Ucraina, non ci sono due combattenti, ma solo un aggressore e un aggredito. Come prevedeva l’ortodossia del rito arcoriano, c’è un governo che si proclama sciolto dal principio di legalità, perché protetto dal voto del popolo che lo ha eletto. E dunque accusa di “golpismo” qualunque magistrato che, nel normale esercizio delle sue funzioni, osi giudicare il suo operato in base ai principi dell’ordinamento giuridico interno e internazionale. Nello stesso giorno succede l’impensabile. La premier Meloni, affiancata dalla “guardia nera” di La Russa e i suoi Fratelli, bastona i giudici di Roma. Il vicepremier Salvini, con ben quattro ministri al seguito, pesta i giudici di Palermo.
Prima ancora del merito, importa questo metodo. Questa sfida a viso aperto agli organi di garanzia previsti dalla Costituzione. Questa deriva ormai davvero “ungherese” della democrazia italiana, mai così esposta alle spallate di una coalizione illiberale e irresponsabile.
Perché deflagri adesso, e con questa furia da junta cilena, è presto detto. Questione troppo complessa per essere lasciata nelle mani ruvide e corrive dei nuovi patrioti, la politica migratoria sancisce il doppio fallimento di una coalizione sfascista e cattivista. Da una parte, crolla il castello di carta del “modello Albania” tanto caro alla Sorella d’Italia. Dall’altra parte, fallisce l’adunata voluta dal Capitano della Lega. Male, per un governo che evidentemente passa troppe ore a “fare la Storia”, non ha tempo per ripassare la geografia e meno che mai per studiare il diritto. La somma di questi fattori — ideologia e xenofobia, arroganza e incompetenza — produce come risultato una Caporetto politica, che fa schiumare di rabbia un ceto politico senza disciplina e senza onore.
Sui migranti perde la premier, che si era illusa di aver trovato l’uovo di Colombo, grazie a un patto scellerato con l’amico Edi Rama, depositando a casa sua i “carichi residui” di carne umana che noi non vogliamo più vedere per le strade delle nostre città (a meno che non ci rimpiazzino in tutto quello che non ci degniamo più di fare, pulire cessi o imbiancare muri, raccogliere pomodori o consegnare pizze, il tutto per un pugno di euro e preferibilmente in nero). L’aveva pensato come un perfetto spot elettorale, da mandare in onda nella settimana del voto europeo di giugno: un bel bastimento carico di profughi, a favore di telecamere del fido Tg1 delle 20, da far partire sulla rotta inversa rispetto a quella che seguirono i 20 mila albanesi della nave Vlora, l’8 agosto ’91. Allora vennero loro da noi, in massa, e li accogliemmo a Bari. Oggi noi gli restituiamo gli “indesiderabili” sbarcati qui, deportandoli nei due lager costruiti a Gjader e Shengjin. Un’ideona, ricalcata sull’immondo esempio inglese di Rishi Suniak, che i suoi migranti voleva spedirli addirittura in Ruanda: noi, più furbi, ci accontentavamo dell’Albania, a un braccio di Mar Adriatico dalle coste tricolori. Gli elettori italici avrebbero apprezzato, gli osservatori stranieri avrebbero copiato. Non è andata così. Sull’esodo niente affatto biblico dei 16 poveri cristi sbarcati dalla Libra, glorioso pattugliatore d’altura da 81 metri, è calata subito l’ovvia mannaia del Tribunale di Roma. L’illegittimità del trattenimento di quei migranti negli hotspot albanesi era chiaro come il sole, come sapeva chiunque, tranne gli astuti Fratelli di Giorgia. Per capirlo, bastava leggere la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre, che non riconosce come “sicuri”, ai fini del rimpatrio, almeno 20 dei 22 Paesi che invece lo sarebbero, secondo i giuristi all’amatriciana formati alla sezione di Colle Oppio. Quelle anime perse, ora, hanno “diritto ad essere condotte in Italia”, come scrive nella sua pronuncia Luciana Sangiovanni, presidente della Sezione Immigrazione del collegio capitolino. Dunque, contrordine camerati: tutti a bordo, e si riparte. Anche se non si sa più per dove.
Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. L’operazione Albania è dettata solo da una cieca follia. Un autodafé giuridica, economica, umanitaria. E buon per Meloni se, per avere conforto, le bastano un po’ di von der Leyen, un pizzico di Barnier e le solite cattive compagnie dell’Internazionale Sovranista, riunite in fretta e furia per un pre-vertice a Bruxelles. È noto che nelle vene d’Europa scorre il virus dell’odio e dell’ignavia, dell’intolleranza e del razzismo. Col supporto di Ungheria e Repubblica Ceca, Slovacchia e Austria, l’Italia meloniana sogna lo stesso inferno. Ma per fortuna c’è un giudice a Strasburgo e un altro giudice a Roma. Ci indicano la strada: le migrazioni vanno gestite, con regole certe e anche rigorose. Ma come ci insegna la civiltà dei Padri, sempre nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Questo fa le democrazie diverse dagli altri regimi. Di questo dovrebbero prendere atto le destre al comando, invece di inveire contro i magistrati, che hanno il solo torto di applicare la legge. Nella Dottrina Meloni, invece, il potere giudiziario ha solo un dovere: aiutare il potere esecutivo. Se non lo fa, è parte dell’ennesimo “complotto”, naturalmente ordito insieme alla sinistra. “Abbiamo contro una parte delle istituzioni” tuona la premier, sovvertendo i ruoli e i principi: qui è l’istituzione-governo che aggredisce l’istituzione-magistratura, non il contrario.
Salvini è una conferma vivente del teorema. Anche lui esce disfatto dal fronte migranti. La sua “chiamata alle armi” a Palermo — a pochi passi dall’altro tribunale, quello che lo sta processando per la vicenda Open Arms — è stato un colossale flop. Non c’era la folla, a sostenere il leader leghista nel suo atto sedizioso contro i giudici, copia sbiadita delle erinni berlusconiane accorse in massa sulla scalinata del Palazzo di Giustizia di Milano per difendere il Cavaliere dalla “persecuzione delle toghe rosse”. A dare manforte al Capitano erano in quattro gatti, Calderoli e Giorgetti, Valditara e Locatelli. Parafrasando Andreotti, ai tempi del famoso viaggio aereo di Bettino Craxi in Cina: davanti al Politeama c’erano giusto Matteo e i suoi cari. Ma a prescindere dal numero dei partecipanti, il fatto in sé resta gravissimo, e fa il paio con il misfatto di Meloni. Un vicepresidente del Consiglio e capo del secondo partito della maggioranza, insieme alla sua delegazione ministeriale, scende in piazza contro l’ordine giudiziario. Come nella peggiore tradizione populista, siamo alla “secessione delle classi dirigenti”: la politica che, per sottrarsi al controllo di legalità, fa saltare il banco. Un’enormità, di fronte alla quale ci permettiamo di suonare la sveglia a Elly Schlein: cara segretaria del Pd, nell’abominio albanese la posta in palio non è “il danno erariale”, ma è il patto costituzionale. Una sfida molto più impegnativa, che richiede un’opposizione all’altezza. Questo film dell’orrore l’abbiamo già visto negli anni di fango del Caimano. Non credevamo di rivederlo oggi, negli anni di palta dell’Underdog.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 19th, 2024 Riccardo Fucile
IL GOVERNO INCASSA LA PEGGIORE FIGURACCIA DELLA SUA INSIPIDA STORIA
Mentre in Albania il governo Meloni incassa la peggiore figuraccia della sua insipida storia, gli avvocati di Salvini arringano la corte per evitare che si becchi sei anni per aver ostacolato gli sbarchi. Chissà come se la ghignano nei centri di accoglienza e nei kebab nostrani e chissà quanti italianissimi segni dell’ombrello. Evidente karma per un paese storicamente di migranti che la ricchezza ha inaridito. Giornata storica per i migranti che si apprezza appieno solo mettendosi nei loro sgualciti panni. Lasciata alle spalle la loro vita e sopravvissuti all’odissea, si ritrovano nelle sgrinfie italiane in balia delle onde anche burocratiche, malvisti e perfino col rischio di venire dirottati in Albania. Su una nave militare, in container circondati da filo spinato. Un vile accanimento contro i più deboli da parte di politicanti che invece s’inchinano al cospetto dei potenti. Di Washington e Bruxelles ma anche dei miliardari in giro a fare affari sulla pelle de noialtri. Ci dovrebbero andare Elon Musk e quelli di fondi d’investimento in Albania così magari si rendono utili e capiscono i danni che fa il loro turbocapitalismo. Se i popoli del mondo si sono messi in marcia non è perché sono dei criminali, ma perché troppi soldi finiscono nelle tasche di gente come loro mentre la grande maggioranza del pianeta vive nella miseria. Ed è questo che i politicanti si ostinano a non capire. Le migrazioni non sono il problema ma la conseguenza di un mondo ingiusto e la responsabilità ricade principalmente su di noi uomini bianchi che abbiamo colonizzato ed insanguinato gli altri paesi per secoli e che ancora oggi portiamo avanti un modello economico e sociale che si fonda sull’avidità materiale, lo sfruttamento altrui e l’ingiustizia sociale. Accanirsi contro quei quattro migranti che sbarcano, è nascondere la polvere sotto al tappeto. È fare propaganda, non politica. Già, servirebbe un modo per risvegliare i politicanti, tipo spedirli nei villaggi di provenienza dei migranti, farli soggiornare nelle loro catapecchie, mangiare riso e fagioli con le mani, farla nelle loro latrine puzzolenti e provare a dormire sdraiati per terra. Contando gli scarafaggi sulla lamiera ed immaginando cosa vuole dire non poter far nulla per quei vecchi genitori e quei figli che riposano qualche centimetro più in là. Cosa vuol dire non avere nemmeno la speranza di un futuro migliore. Poi una volta tornati in Italia, i politicanti dovrebbero farsi un giro per le cucine dei ristoranti, per i cantieri, per i campi e per le fabbriche e guardare negli occhi gli uomini e le donne che hanno lasciato le loro catapecchie e oggi si spaccano la schiena per guadagnare qualche spicciolo da mandare ai loro cari contribuendo al benessere loro ma anche di paesi vecchi e imborghesiti come il nostro. Altro che scemenze da comizio, i migranti non sono la disgrazia del nostro paese, ma la sua fortuna. E non solo economica ma anche sociale e culturale, perché portano nuova linfa e ci aiutano ad aprirci e rimanere al passo con un mondo che sta evolvendo molto in fretta. L’unica vera colpa dei migranti è turbare certe false certezze esistenziali, è costringere anche i più ottusi ad affrontare la paura del cambiamento e il proprio egoismo. Le migrazioni sono un fenomeno che appartiene alla storia dell’umanità e nessun governo potrà mai impedirle. È vero che per colpa delle guerre inutili, dell’ingordigia dell’uomo bianco e di un pianeta sempre più piccolo, i flussi sono aumentati. Bene, compito della politica è quello di gestirli, non di schivarli. Quanto al ridurli, serve invece capire che le migrazioni non sono il problema ma la conseguenza di un mondo ingiusto e la responsabilità ricade principalmente su di noi alfieri del mondo ricco nonché ipocrita. Dobbiamo abbandonare il turbocapitalismo invece d’inchinarci ad esso e sviluppare un modello economico e sociale più giusto ed intelligente oltre che nuove forme di governance globale. Serve fare politica, non propaganda. Ma per adesso godiamoci questa giornata storica, tra kebab e segni dell’ombrello.
(da Infosannio)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 19th, 2024 Riccardo Fucile
COLPA DELL’INFLAZIONE E DEI BASSI STIPENDI, COMBINATI CON L’ABOLIZIONE DEL REDDITO DI CITTADINANZA DECISO DAL GOVERNO.. TRA I PIÙ VULNERABILI CI SONO GLI OPERAI E CHI HA FIGLI
Avere un figlio. Averne due o tre. Essere straniero. E con figli. Avere meno di 18 anni. Vivere in affitto. Fare l’operaio. Abitare al Sud, ma anche al Nord. Sono alcune delle cause alla base del record di povertà assoluta in Italia: 2 milioni e 217 mila famiglie che non riescono a permettersi l’essenziale e che corrispondono a 5 milioni e 694 mila persone, di cui un milione e 295 mila minori, record assoluto dal 2014.
La situazione è stabile ma critica, dice Istat che rivede i dati relativi al 2023 e li confronta con l’anno prima. La percentuale di persone povere è la stessa: 9,7%. Cresce di poco quella delle famiglie: dall’8,3 all’ 8,4%. Le differenze in termini assoluti tra i due anni sono trascurabili, ma solo statisticamente: altre 30 mila famiglie e altre 20 mila persone scivolate nel bisogno.
Il Reddito di cittadinanza, operativo dal 2019 al luglio del 2023, ha evitato un altro milione di poveri in pandemia, dice Istat. Ma l’inflazione e il lavoro povero, combinati con l’abolizione del sussidio da parte del governo Meloni, hanno fatto il resto. L’Assegno di inclusione, erede del Reddito, va a molte meno famiglie: da oltre un milione siamo a 700 mila.
Spiega Istat nel Report diffuso ieri, il 46,5% di tutte le famiglie povere vive in affitto: sono un milione. Pagano in media 317 euro al mese rispetto ai 435 euro di chi non è povero. Il 31% delle famiglie con minori che vive in affitto è povero: un terzo. L’inflazione ancora alta nel 2023 ha fiaccato le famiglie. Tassa dei poveri per eccellenza, era al 5,9% per tutti, al 6,5% per i meno abbienti.
«Le spese per consumi di queste famiglie non hanno tenuto il passo dell’inflazione, calando dell’1,5%, nonostante l’andamento positivo del mercato del lavoro», scrivono gli statistici. Da un anno all’altro l’incidenza della povertà assoluta tra gli operai è salita al record storico in Italia: dal 14,7 al 16,5%. Poveri anche lavorando. Drammatica poi la situazione delle famiglie straniere, quasi un terzo delle famiglie povere in Italia, «pur rappresentando solo l’8,7% di tutte le famiglie residenti», osserva Istat.
Il 35% delle famiglie straniere in Italia vive in povertà assoluta, quattro volte tanto gli italiani (7,4%). Quelle con bambini sono 331 mila e il 34% è povero contro l’8% degli italiani.
I dati Istat danno poi conto anche della povertà relativa che a differenza della assoluta non misura la capacità di comprare un dato paniere di beni e servizi, ma la distanza da un reddito medio variabile per territorio e composizione familiare. Ebbene, se le famiglie quasi povere nel 2019 erano il 7,2% ora siamo all’8,1%, Quelle appena povere sono passate dal 5,6 al 6%. Due gruppi che crescono e si addensano appena sopra e appena sotto la soglia di povertà.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »