Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile
LO STATO CHIAVE SARA’ LA PENNSYLVANIA MENTRE IL CONTO DI CAMERA E SENATO POTREBBE INVERTIRSI
Mancano pochi giorni alle elezioni negli Stati Uniti (si voterà nella notte tra il 5 e il 6 novembre, ora italiana) e i sondaggi mostrano ancora un grande equilibrio tra Kamala Harris e Donald Trump. Guardando ai singoli Stati chiave, quelli che sembrano restare più indecisi sono il Nevada e soprattutto la Pennsylvania, che ha abbastanza grandi elettori da diventare – potenzialmente – il punto decisivo nella corsa presidenziale.
C’è incertezza anche sui risultati di Camera e Senato. Per la prima volta nella storia degli Usa il controllo del Congresso si potrebbe invertire: la Camera potrebbe passare dai Repubblicani ai Democratici, e il Senato fare il percorso inverso.
Chi diventerà presidente tra Donald Trump e Kamala Harris
I sondaggi nazionali assegnano un leggero vantaggio a Kamala Harris (48,1% contro 46,7%), ma come è ormai noto questo dato è poco importante. Nel sistema statunitense, ciò che conta è arrivare ad avere almeno 270 grandi elettori. E per farlo è necessario vincere negli Stati chiave, quelli più indecisi, che possono assegnare la presidenza a uno o all’altro candidato.
Stando ai sondaggi più recenti, tra i sette Stati chiave individuati nelle scorse settimane ce ne sarebbero soprattutto due che sono ancora in bilico: il Nevada e la Pennsylvania. Escludendo questi due, e imaginando che Harris e Trump vincano tutti gli altri Stati in cui oggi sono in vantaggio (anche lieve), la situazione sarebbe questa: 262 grandi elettori per i Democratici, 251 per i Repubblicani.
La soglia da raggiungere, come detto, è di 270. Il Nevada ha sei grandi elettori, quindi non basterebbe a nessuno dei due. La Pennsylvania, invece, ne ha 19. In sostanza, se le cose si confermassero secondo le indicazioni dei sondaggi oggi, vincere la Pennsylvania significherebbe diventare presidente. Oggi, nello Stato, dalla media dei sondaggi Donald Trump avrebbe un vantaggio tra lo 0,4 e lo 0,6%. Naturalmente, però, bisogna ricordare che anche in diversi altri Stati il vantaggio di Trump su Harris e viceversa è molto risicato, e i pronostici potrebbero non essere tutti rispettati.
Cosa devono fare i Democratici per vincere la Camera
Bisogna poi ricordare che il 5 novembre non si voterà solamente per scegliere il o la presidente, ma anche per Camera e Senato. Tutti i 435 deputati della Camera sono in corsa per la rielezione, mentre tra i senatori solo 33 seggi su 100 saranno riassegnati. Oggi, alla Camera hanno una leggera maggioranza i Repubblicani (guadagnata alle elezioni di metà mandato del 2022), il Senato invece è controllato dai Democratici.
Le due camere non hanno esattamente gli stessi poteri. Tutte e due partecipano alla stesura delle leggi, ma la Camera discute le norme su bilanci, spese e entrate (spesso tra le più cruciali a livello politico), e per di più ha il potere di mettere in stato d’accusa i funzionari federali. Il Senato invece ha il compito di confermare le nomine effettuate dal governo (tranne quella a vicepresidente, che deve passare anche dalla Camera) e la ratifica dei trattati internazionali.
Partendo dalla Camera: i Democratici avrebbero bisogno di vincere solo quattro seggi in più rispetto a quelli che già controllano, su un totale di 435. Diversi distretti sono ancora contesi. Una zona critica potrebbe essere lo Stato di New York, dove nel 2022 i Repubblicani vinsero ben quattro seggi con pochissimo vantaggio (meno di cinque punti). Nel frattempo, i confini dei singoli distretti sono stati cambiati leggermente. Contando i voti con i nuovi confini, Joe Biden avrebbe vinto in ciascuno di questi distretti nel 2020.
Anche in California, ci sono cinque seggi repubblicani che sono considerati contesi. Vincere in almeno uno di questi aiuterebbe i Democratici. Ma, anche in questo caso, bisognerà aspettare i primi risultati per iniziare a fare previsioni esatte.
Cosa può succedere al Senato
Invece il Senato, controllato dai dem, vede i Repubblicani favoriti. Tra i 33 seggi che andranno a rielezione, la maggior parte sono attualmente democratici, e molti si trovano in Stati che tenderanno a votare i Repubblicani alle elezioni, stando ai sondaggi.
Il partito di Trump ha bisogno di vincere due seggi per controllare il Senato, ma gliene basterà uno solo se il tycoon sarà eletto, perché in caso di pareggio tra i senatori è il vicepresidente a dare il voto decisivo. I sondaggi indicano che in Montana e in West Virginia, attualmente rappresentate da senatori Democratici, dovrebbe essere relativamente semplice per i Repubblicani vincere.
Per di più, saranno contendibili l’Ohio (dove Trump ha vinto due volte nelle ultime due elezioni), Arizona, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin (tutti vinti da Trump nel 2016). Insomma, le opportunità per prendere il controllo del Senato sono tutte in mano ai Repubblicani. E per la prima volta in quasi 240 anni di elezioni, allo stesso tempo potrebbe succedere l’opposto alla Camera.
(da Fanpage)
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Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile
LE SORELLE MELONI: “SIAMO CIRCONDATE”… IL “GOMBLODDO” È IL SOLITO ALIBI PER MASCHERARE L’INAZIONE DEL GOVERNO: PERCHÉ NON RINFORZA I SERVER E LE RETI STATALI, CHE SONO UN COLABRODO?
Lo chiama “schifo”. Dice che ormai “siamo vicini all’eversione”. Promette che “il governo sarà implicabile”. Ed è pronta all’ennesima infornata di provvedimenti legislativi. Giorgia Meloni si sveglia la mattina e annusa aria di dossieraggi, peggio del napalm. La cronaca le viene incontro con un rosario di scandali – l’ultimo quello di Equalize a Milano – impossibili ormai da sottovalutare. L’idea di essere “circondati”, di potersi fidare di pochissime persone impregna le stanze, di natura malfidate fino all’ossessione, di Palazzo Chigi. Ma anche dei ministeri più sensibili. Come quello di Guido Crosetto – già oggetto delle attenzioni delle ricerche del finanziere Pasquale Striano – che l’altro giorno davanti all’ennesimo bubbone ha parlato di “punta dell’iceberg”. Il clima è questo, dunque. E anche Fratelli d’Italia, il partito collegato con un doppio filo al governo, non ne è immune. Al punto che da un po’ di tempo, dopo gli ultimi casi così eclatanti, nelle stanze che contano di Via della Scrofa, dove si svolgono riunioni riservate a porte chiuse, è spuntato un disturbatore di frequenze. Un aggeggio, facilmente reperibile su Amazon, che impedisce ai cellulari di ricevere o trasmettere onde radio.
Uno scrupolo ben fondato o forse una paranoia o più semplicemente una precauzione sulla scorta dei fatti. Quelli raccontati dalle cronache negli ultimi mesi dove “lo spione” è diventato un avversario invisibile ma costante, che ogni tanto cade in trappola, ma che è duro da debellare e sembra, a detta dei vertici di FdI, riprodursi. Sta lì. Un dolore intercostale, altro che opposizione. Non a caso, fra via della Scrofa e Palazzo Chigi – castello e residenza estiva delle regine della destra Arianna e Giorgia Meloni – rimbalzano ormai ragionamenti di questo tipo: “Siamo tutti ascoltati, siamo tutti dossierati, c’è un grande disegno, un complotto. Ci controllano”. Nel mirino della manina o dell’orecchio indiscreto “c’è solo il centrodestra e non da adesso, ma da quando si è capito che avremmo vinto le elezioni e saremmo andati a governo”, ripete Meloni come un mantra quotidiano. Se poi si aggiungono a questi pensieri storti la sfiducia “verso una parte della magistratura politicitizzata”, la presenza, acclarata, di alcuni funzionari dello stato infedeli e il rapporto complicato con un pezzo di servizi segreti dell’Aise (esplicitato dalle dichiarazioni di Crosetto nella deposizione ai pm di Perugia sul caso Striano, motivo per cui è stato convocato dal Copasir) lo scenario diventa esplosivo. Ansia palpabile. In questo contesto nella stanza che fu di Giorgio Almirante spesso occupata da Arianna Meloni e dalle altre figure apicali del partito negli ultimi tempi capita che venga acceso un disturbatore di frequenza. Tecnicamente si chiama Jammer. L’apparecchio quando entra in funzione crea un campo magnetico e neutralizza le comunicazioni in un’area circoscritta. Impedisce le intercettazioni. Una tecnologia che viene usata, di solito, per proteggere siti sensibili come ambasciate, aeroporti o centri di ricerca. E’ tutto un “non mi posso fidare”, “spegni il telefono”, “accendiamo questo” nelle ultime settimane. Non si sa se dietro queste accortezze ci sia una sfiducia generalizzata o un eccesso di zelo complottista. Di fatto ormai tutto, fra i dirigenti del partito ma anche nel palazzo del governo, passa dalla chat di Signal, un’applicazione di messaggistica istantanea centralizzata che consente di effettuare chat e chiamate audio-video crittografate end-to-end. E soprattutto è considerata più sicura di WhatsApp nella tutela dei metadati e quindi della privacy, garantendo, per esempio, che i file non siano condivisi con entità esterne.
A metà fra una sindrome da “Cimitero di Praga” e una serie di allarmanti fatti incontrovertibili tutto si mischia e poi rientra e scava, su e giù, nel dna di questa destra di governo. La cui parola d’ordine resta: “Ma posso fidarmi?”. Dinamiche già viste in tutti i gruppi ristretti di potere: ora è la Fiamma a essere magica, prima lo fu il Giglio (con Matteo Renzi), poi il tortello (con Pier Luigi Bersani) e poi il vero e proprio cerchio (a sostegno di Umberto Bossi) per non parlare del Raggio magico in Campidoglio ai tempi della sindaca grillina Virginia Raggi che saliva sul tetto di Palazzo Senatorio per prendere decisioni con il fidato capo staff Salvatore Romeo (“Saliamo lì sopra perché in ufficio ci sono le cimici”, disse il collaboratore al Messaggero). La storia si ripete e si amplifica ora dentro Fratelli d’Italia visti i dossier, le irruzioni esterne nei conti corrente, i dossier e i timori. E poi le chat che escono, così come i virgolettati delle riunioni riservate. A Palazzo Chigi c’è sfiducia anche nei confronti dei collaboratori. Mania del controllo, sospetti. Alcuni, fra chi conta assai, vengono bollati come “spie”. E cioè amici dei giornalisti nemici. Non se ne esce. Taci, il nemico ti ascolta, anzi fammi accendere il Jammer, e poi parla. E oggi magari ci sarà una nuova puntata: “Ma questa storia del disturbatore di frequenze come sarà uscita?”.
(da ilfoglio.it)
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Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile
DI IERI È LA NOTIZIA DELLA “CACCIATA” (PER MANCATO RINNOVO DEL MANDATO) DI STÉPHANE VERGER, ILLUSTRE ARCHEOLOGO, REO DI ESSERE STATO NOMINATO DALL’EX MINISTRO FRANCESCHINI ALLA DIREZIONE DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO… A FARLO FUORI ALFONSINA RUSSO, LECCESE SPONSORIZZATA DAL LECCESE RAFFAELE FITTO, CHE SI ERA GIÀ FATTA NOTARE NEL 2023 QUANDO, SU INPUT DI ‘’GENNY DELON’’, NOMINÒ NEL CDA DEL PARCO ARCHEOLOGICO DEL COLOSSEO UN NOTO STUDIOSO DELL’ANTICHITÀ ROMANA: CLEMENTE MIMUN
“Clima di mostrificazione”, lo definì il neo ministro Alessandro Giuli all’indomani delle dimissioni, dopo appena 10 giorni, di Francesco Spano. Ideologicamente per la base dei duri e puri di FdI in modalità Fazzolari e per i Pro Vita degli ultra-cattolici alla Mantovano era un rospo indigeribile.
La nomina da parte del neo-pagano post-evoliano Giuli di un capo di gabinetto de sinistra (scelto dalla Melandri come segretario generale del museo Maxxi) e dichiaratamente omosessuale con tanto di “marito” da unione civile, nonché zavorrato per una vicenda che nel 2017 lo aveva portato a dimettersi dall’Unar, l’Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali, per un finanziamento di 55mila euro verso l’Andoss, un’associazione Lgbtq+ che però gestiva un locale a luci rosse, non poteva non far saltare l’embolo alla zoccolo dei puri e duri dello “sfascismo”.
Alla faccia del “pensiero solare” e in culo alle sue orgogliose rivendicazioni di autonomia di Giuli nella scelta dei più stretti collaboratori (“Non sto qui a fare il passacarte”), abbiamo subito visto come è finita: anziché individuare, al posto del reietto Spano, una personalità del Consiglio di Stato o della Corte dei Conti in possesso di capacità ed esperienza per la gestione di un ministero di prima fascia e complesso nelle sue varie articolazioni come i Beni Culturali, dal Bunker di Chigi hanno partorito, un’altra debuttante assoluta al ruolo di capo di gabinetto: Valentina Gemignani
Sposata con Basilio Catanoso, politico catanese ex Msi, ex AN, ex Forza Italia, oggi FdI, la Gemignani è solo una dei cinque vice capo di gabinetto di Giorgetti al ministero dell’economia. E chi ha esperienza dei Palazzi romani sa benissimo quanto possa essere di rilievo il ruolo di vice capo di gabinetto: poco o niente.
“Poco o niente” è anche il dato più significativo della autonomia che ha avuto Giuli per la scelta del suo braccio destro. Mancava poco che lo leggesse sui giornali. Ha chinato i basettoni al pari del suo predecessore Sangiuliano che si ritrovò un funzionario del Senato, Francesco Gilioli, un altro debuttante ma sponsorizzato da Ignazio La Russa, come capo di gabinetto.
Passato “Report”, Giuli si è inchiodato sulla prima poltrona del Collegio Romano ma il bordello continua. Di ieri è la notizia della “cacciata” per mancato rinnovo del mandato di Stéphane Verger, illustre archeologo e professore all’Ecole Pratique des Hautes Etudes (un’istituzione pubblica con sede a Parigi che ha il compito di “formare alla pratica della ricerca fondamentale ed applicata”), reo di essere stato nominato dall’ex ministro “comunista” Franceschini alla direzione del Museo Nazionale Romano, vale a dire a capo di siti tra i più mirabili e importanti del mondo: Terme di Diocleziano, Museo Massimo, Palazzo Altemps, Crypta Balbi.
E come è arrivato a Verger l’invito a fare le valigie e ritornarsene a Parigi? Inviando una semplice lettera che gli comunicava il nome del nuovo direttore (ad interim) del Museo Nazionale Romano: senza una motivazione, senza un educatamente ipocrito ringraziamento “per il lavoro svolto”, niente.
A firmare la letterina è Alfonsina Russo, messa recentemente da Sangiuliano a capo di una nuova struttura che ha rivoluzionato (in basso) l’organigramma del Mic: DIVA-Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale.
La Russo, leccese sponsorizzata dal leccese Raffaele Fitto, si era già fatta notare nel 2023 come dirigente attenta agli umori dei politici quando come direttore del Parco Archeologico del Colosseo, su input di Gennarino Sangiuliano, nominò nel consiglio di amministrazione del Parco un noto archeologo e studioso dell’antichità romana, distaccato al Tg5, Clemente Mimun.
Ma nel CdA per un colosso della Storia come il Colosseo, avrà pensato Alfonsina, non bastava un giornalista: eccone un altro Alberto Samonà, però ex assessore della Regione Siciliana, cui va però aggiunto (non si sa mai come vanno a finire le diatribe dell’antichità) un notaio: Claudio Togna. Alla fine fa veramente strano trovare nel CdA il nome di una archeologa: Fulvia Strano….
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile
I SINDACATI: “GLI ACCORDI CON IL GOVERNO NON ERANO QUESTI, QUA NON SPRECO INDECENTE”
Su in collina, un pugno di agenti di polizia penitenziaria isolati dal mondo nei prefabbricati. Giù al mare, tutti gli altri negli hotel a cinque stelle: carabinieri, poliziotti e finanzieri, come in una gita scolastica perpetua.
A Gjader, reclusi nei container di un minicarcere d’esportazione non c’è nessuno da sorvegliare. Confinati nell’ultima parte di un centro di permanenza e rimpatrio per migranti più che mai vuoto e desolato, le guardie intorno a loro hanno il nulla. Ce ne sono undici, attualmente, che vivono così. «Dovrebbero essere quindici, ma qualcuno ha ottenuto il permesso per rientrare in Italia», spiega Gennarino De Fazio, della Uilpa. Il sindacalista denuncia il paradosso: «Qui a regime sono previsti quarantacinque agenti, uno ogni due detenuti e mezzo. Il contrario che in Italia, dove ne sono previsti due mezzo per ogni detenuto ma nella realtà ci sono carceri dove un singolo collega ne sorveglia cento». In Albania, i baschi azzurri alloggiano in stanze multiple, al secondo piano del prefabbricato che dovrebbe ospitare i migranti autori di reati. Un’eventualità nell’eventualità, perché al momento non c’è neanche chi possa commetterli. Per andare a dormire salgono da una scala metallica grigia, simile a una scala d’emergenza. E per ammazzare il tempo, nella stanza relax dove le sedie sono state prese dalle celle vuote del cpr, hanno una sola tv, come in certi ospedali.
Uscire per fare due passi? E dove vai? Intorno un deserto di alberi, melograni e pecore. E un cantiere infinito da cui entrano ed escono camion per l’ampliamento del centro fantasma. Al massimo si può raggiungere il villaggio, che ha un piccolo bar, un negozietto di generi alimentari, un fruttivendolo con le cipolle che invadono il marciapiedi: la movida è tutta qui, anziani che trascorrono le giornate a bere birra e fumare. E a berciare contro i governanti.
Grande invidia per poliziotti, carabinieri e finanzieri. Loro sono giù a Shengjjin, dove ancora si può andare al mare di Rana e Hedhun, una delle più belle distese di dune dell’Albania. La maggior parte dorme nell’hotel a cinquestelle Rafaelo executive: lì si fa un’ottima colazione e si cena anche bene. Se vuoi cambiare, non hai che la scelta: Goga Fish, o la trattoria marinaresca Detari, o altri posti ancora dove con venti euro mangi un signor pesce. Se invece resti in albergo, la tv è in ogni stanza. Al mattino puoi fare un tuffo in piscina. Fuori ci sono i taxi, 5 o 10 euro e arrivi a Lezhe, dove c’è qualche locale serale in più, perfino un night club. Anche i poliziotti, però, sono stanchi di andare in giro: «Questa estate c’era lo struscio, sul lungomare di Shengjjin», racconta Zef, un residente emigrato in Italia. «Ora un cuoco mi ha detto che non si cucina neanche più come prima».
Ormai la ragione della loro presenza, i migranti da accogliere nell’hotspot del porto e da trasferire a Gjader, è dall’altra parte dell’Adriatico. A Bari, nel centro di accoglienza per richiedenti asilo. Gli avvocati denunciano che alcuni di loro sono molto vulnerabili: un bengalese ha detto di voler togliersi la vita e il suo avvocato, Paolo Iafrate, è preoccupato. Tra i poliziotti di stanza a Shengjjin, invece, il passaggio dei naufraghi è il ricordo di un evento che ha interrotto la monotonia dorata della vita in hotel. Ancora più fugace è stata l’apparizione per i penitenziari. Che adesso si paragonano a loro: «Stiamo esportando caporalato — dice De Fazio — certo, è un’iperbole. Ma è anche vero che la polizia penitenziaria è alloggiata in situazioni peggiori di quelle previste, esattamente come si fa con i migranti». Il sindacato ha scritto a tutti i vertici dell’amministrazione penitenziaria e ora si rivolge a Giorgia Meloni: «Le condizioni concordate con il sottosegretario Andrea Delmastro non erano affatto queste. E in un corpo che ha 18mila unità in meno rispetto al fabbisogno, mandarne 45 in Albania è uno spreco indecente».
(da La Repubblica)
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Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile
SE NE FREGANO PERSINO DI ASPETTARE LA PRONUNCIA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
«Pronto? Volevamo solo avvisarvi che nei prossimi giorni partirà un’altra nave per l’Albania». È questa, in estrema sintesi, la comunicazione che martedì scorso arriva agli uffici del tribunale di Roma.
La telefonata parte da via Arenula, sede del ministero della Giustizia, e serve a preavvisare le toghe a “fini organizzativi”. E a comunicare, senza troppi giri di parole, che il braccio di ferro col governo sulla gestione dei migranti non è affatto finito, dopo la decisione del tribunale di Bologna di rinviare alla Corte di giustizia europea il decreto sui cosiddetti paesi sicuri.
L’annuncio per le vie brevi fa balzare sulla sedia i vertici della magistratura capitolina, sicura, fino a quel momento, di aver raggiunto una “tregua” col governo – dopo la mancata convalida dei trattenimenti oltre Adriatico – in attesa di un pronunciamento della corte lussemburghese. Nessuna pausa invece.
Palazzo Chigi non intende fare alcun passo indietro in materia di gestione dei migranti, a costo di lanciarsi in una sfida a viso aperto al potere giudiziario, colpevole, secondo la maggioranza, di voler interferire con le sue scelte politiche.
Il modello albanese non può essere messo in discussione. Ed è già tutto pronto per l’invio di una nuova imbarcazione verso i centri di Shengjin e Gjader, come confermano a Domani fonti del Viminale: la prossima settimana ricominceranno le missioni, senza aspettare alcun parere della Corte di giustizia europea. Anche a costo di continuare a spendere, per ora a vuoto, altro denaro pubblico: 9 milioni di euro per 12 mesi solo per mantenere i 295 agenti di polizia a guardia dei centri.
Lo scontro con le toghe
Per il governo è una questione di coerenza e determinazione: le scelte politiche non possono essere messe in discussione da un tribunale, secondo la linea dettata da Giorgia Meloni, che ha liquidato come «un volantino propagandistico» la decisione dei giudici di Bologna.
«L’accusa di politicizzazione mediaticamente imbastita raggiunge qualunque magistrato, sol che decida in senso contrario alle attese del governante di turno», si è difesa ieri la giunta esecutiva centrale dell’Anm. «Si respira un’aria pesante», per il “sindacato delle toghe”, «confidiamo fermamente che tornino a prevalere il rispetto istituzionale e la ragione democratica».
La scelta dei magistrati emiliani, in effetti, non sembra affatto avere il sapore della propaganda, pone semmai una questione centrale di diritto: può una legge ordinaria italiana prevalere sulla giurisprudenza sovranazionale? E ancora: quali sono i parametri oggettivi per definire “sicuro” un paese? Perché «rientra nella logica del rinvio pregiudiziale che la Corte di Giustizia sia invocata quando occorra dissipare gravissime divergenze interpretative del diritto europeo, manifestatesi nel caso di specie in modo obiettivo e virulento in seguito ad alcuni provvedimenti giurisdizionali sino alla decretazione d’urgenza», scrivono i giudici di Bologna nel loro provvedimento. E «in presenza di un gravissimo contrasto interpretativo del diritto dell’Unione, qual è quello che attualmente attraversa l’ordinamento istituzionale italiano, il rinvio alla Corte è opportuno al fine di conseguire un chiarimento sui principi del diritto europeo che governano la materia».
Nessuna propaganda, dunque, ma una normale prassi giurisprudenziale. Al centro della richiesta d’approfondimento dei giudici bolognesi, inoltre, c’è la definizione di paese sicuro, visto che il rinvio nasce dal ricorso presentato da un cittadino del Bangladesh (nell’elenco governativo dei luoghi sicuri) che si è visto negare la richiesta d’asilo dalla commissione territoriale di competenza.
A stonare, per i giudici bolognesi, è il principio secondo il quale potrebbe essere considerato sicuro qualunque stato in cui la maggioranza della popolazione viva in condizioni di sicurezza.
Ma «la persecuzione è sempre esercitata da una maggioranza contro alcune minoranze, a volte molto ridotte. Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari», si legge ancora nel provvedimento dei giudici.
Il nuovo decreto
Il paradosso è lampante, ma serve a mostrare le contraddizioni più rilevanti della legislazione. Poca cosa per il governo, che nel frattempo ha deciso di far confluire il decreto appena varato all’interno di un altro provvedimento: il decreto Flussi, di cui sarà un emendamento.
L’obiettivo è velocizzare tutte le procedure di approvazione – il testo sarà presentato alla Camera il 21 novembre – aggirando il dibattito parlamentare.
«Il decreto iniziale avrebbe seguito il normale iter, comprese le audizioni di molte organizzazioni e associazioni che si occupano di immigrazione», ci spiega Fulvio Vassallo Paleologo, giurista esperto di diritto d’asilo. «Si stravolge la funzione del parlamento nella conversione dei decreti legge. Con un emendamento al decreto Flussi si saltano tutte le tappe e si aggira la discussione parlamentare».
In attesa del 21 novembre e del parere della Corte di giustizia europea, il decreto Paesi sicuri resta comunque in vigore. Come attivi, anche se per ora vuoti, restano i centri in Albania. Il governo spera di riempirli a breve. O almeno ci proverà a partire dalla prossima settimana. A costo di sfidare ancora una volta la magistratura italiana.
(da EditorialeDomani)
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Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile
SCOPPIA UN ALTRO CASO: STANZA SINGOLA PER I PRIMI CON PISCINA, SPIAGGIA PRIVATA E CENTRO BENESSERE, STANZA MULTIPLA SENZA ARREDI E TV IN COMUNE…SCHLEIN DENUNCIA: “SPRECO SCANDALOSO DI SOLDI DEGLI ITALIANI”
Non solo stipendi di lusso – i 100 euro al giorno standard previsti dalla missione all’estero – ma anche una sistemazione di lusso. E che sulle casse dello Stato pesa parecchio: quasi 9 milioni di euro per 12 mesi.
Tanto costerà ospitare i 295 agenti di polizia e carabinieri da tempo di stanza in Albania, al momento a guardia dei due centri vuoti di Shegjin e Gjader. Per vitto e alloggio di ognuno di loro, il Viminale spenderà 80 euro, una cifra di tutto rispetto in Albania, dove prezzi e potere d’acquisto sono di gran lunga differenti dall’Italia.
Del resto le strutture del gruppo Rafaelo Resort sono di categoria lusso e le strutture ‘Rafaelo Executive’ e ‘Hotel Comfort’ scelte per ospitare gli agenti sono due alberghi sul mare a 5 e 4 stelle con spiaggia privata, centro benessere, piscine e ristorante.
Al momento non è chiaro se si sia stata fatta una gara per individuare la soluzione ottimale. Di certo di sa che la convenzione fra il gruppo Rafaelo e il Viminale è di dodici mesi e comprende “alloggiamento in camera singola, ristorazione e servizi connessi”, nonché “l’utilizzo esclusivo del ristorante Comfort Family”. Quando i lavori saranno ultimati e in caso di sopralluogo positivo, gli agenti saranno ospitati anche al ‘Rafaelo Lake’.
Insomma, una sistemazione assai comoda e di gran lunga differente a quella prevista per la polizia penitenziaria, “condannata” a vivere nei moduli prefabbricati , per altro in camere da dividere in due, all’interno del centro di Gjader. Circostanza questa che ha già provocato un paio di note arrabbiate del sindacato Uilpa e parecchi malumori
“Tutto questo mentre il Ministero della Giustizia (?), Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – sottolinea polemico il segretario Gennarino De Fazio – continua a tenere gli appartenenti alla Polizia penitenziaria impiegati nella gestione del penitenziario a Gjadër in strutture prefabbricate, poste al piano superiore degli uffici del carcere raggiungibile da una scala esterna (tipo scala di emergenza), in camera multipla, senza gli arredi più elementari, con un’unica TV sostenuta da due banchi simil scolastici (neppure a rotelle!) e installata in una ‘sala relax’ (sic!) allestita, parrebbe, con sedie provenienti dal CPR
Fra gli agenti c’è malcontento, in molti lamentano la disparità di trattamento e in sostanza anche loro chiedono di andare in resort.
Schlein: “Sperpero del denaro dei cittadini, è uno scandalo”
“L’accordo con l’Albania continua a far danni. Alle violazioni dei diritti umani di un’operazione che la giustizia ha già bollato come illegittima si aggiunge ancora l’enorme spreco di denaro proprio mentre il governo arranca con una manovra recessiva che non garantisce i servizi essenziali, primo fra tutti la sanità pubblica. E’ uno scandalo, perpetuato anche ai danni dei cittadini italiani”. Lo dice in una nota la segretaria del Pd Elly Schlein, che prosegue: “Giorgia Meloni brucia altri milioni di soldi pubblici per ospitare nei resort albanesi le forze dell’ordine italiane. Agenti che sarebbero molto più utili in Italia, dove invece non sono messi nelle condizioni migliori per fare il loro lavoro”.
Protesta anche Riccardo Magi di +Europa: “Altro che scenetta con la calcolatrice nel salotto televisivo di Bruno Vespa: Giorgia Meloni ha sbagliato tutti i conti anche sui Centri di detenzione per migranti in Albania. I 9 milioni di euro per l’alloggio degli agenti delle Forze dell’Ordine impiegati nei centri albanesi sono una parte del conto che gli italiani stanno pagando per questa cruenta pagliacciata propagandistica della premier”. Un’operazione “assurda” per Magi portata avanti “a costo di forzare il diritto italiano ed europeo” che finirà per costare “un miliardo di euro pagato dagli italiani. Un immane, inumano e illegale spreco di soldi pubblici”.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile
L’ONG ECCEPISCE LA CONFORMITA’ DELLA LEGGE CON LA CARTA: “NON SI PUO’ SUBORDINARE IL SOCCORSO A UN’AUTORIZZAZIONE”
Un fermo illegittimo perché illegittimo è affermare che i soccorsi debbano essere autorizzati dallo Stato di bandiera. Un fermo illegittimo perché incostituzionale è il decreto Piantedosi che lo ha permesso.
È questa la chiave del ricorso presentato da Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans contro l’ultimo stop imposto alla nave, che per il governo rischia di essere un nuovo grattacapo giudiziario da risolvere.
Il provvedimento di blocco è arrivato il 15 ottobre scorso, dopo lo sbarco a Porto Empedocle. Una missione particolarmente delicata, portata a termine proprio mentre la Libra per la prima volta faceva rotta verso l’hotspot di Shengjin, e che ha permesso di portare in salvo 58 bengalesi ed egiziani, che navigavano su una bagnarola in mezzo al mare.
Per le autorità italiane non dovevano farlo e non perché – come giù contestato in passato ad altre navi in base alla legge Piantedosi – avevano già un porto sicuro assegnato o avevano già fatto troppi salvataggi. Alla Mare Jonio – spiegano le legali Lucia Gennari, Cristina Laura Cecchini e Giulia Crescini – si contesta anche solo la possibilità di fare un unico salvataggio.
A detta del Viminale, la nave di Mediterranea Saving Humans avrebbe operato “in difformità delle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera”, e avrebbe “sistematicamente svolto una pluralità di interventi di soccorso e trasporto di un numero considerevole per volta di persone di volta in volta autonomamente e volontariamente oggetto di ricerca, soccorso e trasporto”.
Un’attività, si legge nel fermo, per la quale Mare Jonio non avrebbe “certificazione di idoneità e delle relative dotazioni, equipaggiamenti, strutture (bordo libero) e procedure (istruzioni al Comandante per la determinazione della stabilità), ai fini della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita in mare”.
In realtà era stata proprio la Guardia costiera, dopo un’ispezione della ‘squadra anti ong’, a ordinare di sbarcare parte degli equipaggiamenti.
Dalla sua, ricordano, Mare Jonio ha una certificazione Rina che identifica la nave come “particolarmente equipaggiata per il soccorso” e di certo la Guardia Costiera non può affermare di non sapere la natura della missione della nave ong: sono loro a dare luce verde a ogni imbarcazione che lasci un porto, obbligata a dichiarare rotta e intenti.
Quelli di Mare Jonio sono sempre stati – e come tali indicati anche nei contratti – “di attività di osservazione e tutela dei diritti fondamentali nel Mediterraneo centrale, dunque per lo svolgimento di attività di natura umanitaria”.
Ma il passaggio più delicato – e più scivoloso per il governo – è quello in cui il Viminale ha finito per mettere in discussione le precedenti missioni e attività dell’ong. Quelle contestazioni, si legge nel ricorso, non sembrano “riguardare la concreta condotta del comandante ma, in modo completamente illegittimo e contrario alla giurisprudenza delle alte corti domestiche e internazionali, condotte pregresse (tenute da altri comandanti) o imputabili al solo armatore, peraltro anch’esse assolutamente coerenti con le norme vigenti”.
A non esserlo, sostengono, sarebbe la legge Piantedosi perché “l’applicazione di tale norma, nei fatti, finisce per subordinare lo svolgimento di un’attività obbligatoria (prestare assistenza in mare) al possesso di una sorta di “autorizzazione”.
Per le legali di Mediterranea, si tratta di una “totale distorsione del senso e della ratio delle norme interne e internazionali sulla tutela della vita in mare e sui corrispettivi obblighi in materia incombenti sui comandanti e sugli Stati”, per altro “in aperto contrasto con la giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia Ue”.
Questioni su cui adesso toccherà ai giudici pronunciarsi, mentre Mare Jonio si dice pronta a dare battaglia. “In questa continua persecuzione amministrativa contro la nostra nave i nostri legali giustamente ravvisano un attacco autoritario ai diritti costituzionali della nostra associazione e alla nostra legittima attività umanitaria”, dice la presidente della ong Laura Marmorale. E non è l’unico terreno su cui Mediterranea Saving Humans si dica pronta a dare battaglia.
Un secondo ricorso presentato al Tar del Lazio inoltre chiede l’annullamento di tutti i provvedimenti che hanno giustificato “in maniera strumentale e pretestuosa, il diniego da parte delle Autorità marittime della certificazione della Mare Jonio come “nave da soccorso” e l’ordine illegittimo di sbarcare le “attrezzature di salvataggio”.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile
“NON SI PUÒ FAR NULLA CHE SI È ETICHETTATI COME POLITICIZZATI. FAI UN PROVVEDIMENTO CHE NON PIACE E DIVENTI ‘ROSSO’, E QUESTO È INACCETTABILE”
“Lunedì sarò a Bologna per una assemblea straordinaria che testimonia il clima di inquietudine per questo modo di fare della politica, dei media che sono intorno all’attuale maggioranza di governo che priva di serenità il lavoro dei magistrati: non si può far nulla che si è etichettati ex post come magistrati politicizzati. Fai un provvedimento che non piace e diventi ‘rosso’ e questo è inaccettabile”.
Lo ha detto nel corso della trasmissione Tagadà su La7, il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia. “Chiedo al ministro Salvini cosa c’è di inadeguato in un provvedimento che chiede alla corte di giustizia della Ue una pronuncia sulla conformità”, ha aggiunto.
“E’ solo un modo per rappresentare agli occhi dell’opinione pubblica la magistratura come un organo fazioso, sia rossa sia blu sia nera, la bandiera non importa, ma è dire ai cittadini che i magistrati non sono magistrati. L’altra cosa grave è rappresentare il magistrato come fazioso e anti-italiano.
Additare i magistrati come faziosi e nemici. E poi dire che i magistrati smontano di notte il lavoro che fa il governo: noi non siamo chiamati a completare il lavoro del governo”.
“O si accetta questo o non ci si intenderà mai, perché il magistrato non è lì per cooperare con il governo, certo non per andare contro il governo, ma per far rispettare – sottolinea Santalucia – i diritti e le garanzie delle persone. I programmi di governo devo soggiacere a questo principio che è fondante della nostra Repubblica”.
(da agenzie)
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Novembre 2nd, 2024 Riccardo Fucile
SI PUÒ COMPRENDERE COME E PERCHÉ L’ARDENTE EVOLIANO POST-DATATO GIULI FACCIA IL FENOMENO, ESSENDO IL PRIMO GOVERNANTE PAGANO DA QUALCHE SECOLO A QUESTA PARTE
Ma guarda tu i casi della vita! Proprio nei giorni in cui il ministro della Cultura Alessandro Giuli rilanciava la necessità di un «pensiero solare», a pochi passi da casa sua veniva riaperto al pubblico il Santuario Siriaco del Gianicolo, dedicato a Osiride, dio egizio del Sole.
“Figli del Sole”, d’altra parte, si designarono nel dopoguerra alcuni discepoli di Julius Evola, teorico della Tradizione e di un fascismo che poco aveva a che fare con Mussolini, inseguendo piuttosto un sistema di simboli e valori che lo precedevano di qualche millennio.
Quando il Barone stava per morire, nel 1974, i suoi più fidati adepti lo portarono a braccia davanti alla finestra per l’ultimo saluto al sole, proprio sul Gianicolo. Più che dileggiare l’oscuro frasario giuliesco, risulta arduo inoltrarsi nelle peripezie e diaspore dei “Figli del Sole”; per cui ci si limita a dire che molti degli evoliani, piano piano si ritrovarono tra le accoglienti braccia di Santa Romana Chiesa. Solo pochi e cocciuti spiriti rimasero fedeli all’ispirazione solare, esoterica e paganeggiante, fieri della loro sempre più bizzarra marginalità alimentata in cenacoli pazzerelloni che nel mondo della fiammella suscitavano incomprensione, sgomento e ilarità.
È in questi ambienti che negli anni 80, dopo il rilancio della Nuova destra francese, dovette approdare il giovanissimo Giuli, ardente evoliano post-datato, poi brillante giornalista e buffo conduttore di programmi Rai alla ricerca degli italici culti pre-cristiani con piffero catodico.
Per quanto le ideologie siano andate a ramengo, si può comprendere come e perché faccia oggi il fenomeno essendo il primo governante pagano da qualche secolo a questa parte. Con ovvio beneficio d’inventario sia tuttavia consentito di evocare la figura dell’imperatore Giuliano che a metà del III secolo volle ripristinare il culto degli dei e per questo fu bollato come l’Apostata.
A dire il vero, fu meglio di tanti altri: era un filosofo, pacificò le Gallie e abbassò le tasse prima di cadere in battaglia, trafitto da un giavellotto, a 32 anni, dopo venti mesi di regno. Eppure quando volle richiamare in vita gli dei dell’Olimpo, ha scritto Elemire Zolla, «se li vide comparire stanchi, umbratili».
E anche al Santuario Siriaco del Gianicolo stanno per richiudersi i cancelli per via dei lavori finanziati dal Pnrr.
(da La Repubblica)
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