Novembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI 17 MILIONI DI “POVERI”, CHE POSSIEDONO IN GRAN PARTE IMMOBILI E AUTO, SMARTPHONE, ABBONAMENTI A INTERNET E ALLE PAY-TV
Cittadini talmente poveri da non avere redditi (in realtà, spesso assenti perché non dichiarati…) o comunque da averli talmente bassi da non versare neppure un euro di Irpef, condizione nella quale si trova quasi un contribuente su due (il 45%, per la precisione)
Pochi eletti, circa il 15% dei contribuenti con redditi oltre 35mila euro, che si accollano quasi il 64% di tutta l’imposta personale. Numeri drammatici per molti motivi. Non ultimo per il fatto che, analizzando ancor più in profondità la composizione delle fasce reddituali, risulta che quasi il 75% dei cittadini vive totalmente o parzialmente a carico degli altri. Senza versare imposte o versandone poche, usufruisce di assistenza, servizi e bonus che sono interamente pagati dall’Irpef del restante 25% di contribuenti.
Tanti poveri o pochi benestanti?
Allora, siamo una società di tanti poveri oppure siamo una società di pochi benestanti? La sintesi, siamo «una società di poveri benestanti»: l’ha fornita Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, che il 29 ottobre ha presentato l’annuale analisi sulle dichiarazioni dei redditi del 2022 e sulle altre imposte dirette e indirette.
Il paradosso: niente Irpef, ma tanti beni
Tanti poveri, o presunti tali, per il fisco. Molti di più dei cittadini in stato di povertà censiti dall’Istat (17milioni contro 14milioni, contando le persone e non i contribuenti). Però, questo è il paradosso, tanti poveri benestanti, con primati (quasi) mondiali nel possesso di immobili e automobili, oppure di smartphone, di abbonamenti a internet e alle pay-tv e altro ancora. Tanti indicatori che le statistiche fiscali non riescono proprio, non tanto a intercettare – cosa che per altro non rientra tra le loro finalità – ma neppure a far trasparire.
L’accanimento sul ceto medio che paga le tasse
Con un carico fiscale esorbitante che finisce per accanirsi non solo sui redditi più elevati, ma anche su quel ceto medio che viene puntualmente escluso da qualsiasi beneficio sia in termini di riduzione del prelievo fiscale sia in termini di accesso ai servizi pubblici e assistenziali, con l’Isee che fa da barriera invalicabile contro queste opportunità.
D’altra parte, nel nostro Paese per essere considerati ricchi, basta avere un reddito superiore a 50mila euro lordi all’anno (meno di 2,6 milioni di italiani), livello dal quale scatta l’aliquota marginale massima del 43 per cento. Per tacere del fatto che con la manovra si introducono addirittura penalizzazioni per chi supera i 75mila euro di reddito, con una sforbiciata alle detrazioni fiscali per oneri e oltre spese detraibili.
(da Il Sole24ore)
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Novembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
M5S CHIEDE LE DIMISSIONI: “COMPROMESSA LA CREDIDIBILITA’ DELL’ANTIMAFIA”
“Con una simile presidenza, la credibilità della commissione Antimafia, una istituzione che deve essere al di sopra di ogni sospetto, è irrimediabilmente compromessa e la stessa reputazione internazionale del Paese nel contrasto alla mafia rischia di essere appannata. Per senso di responsabilità dei confronti del Paese, Chiara Colosimo deve rassegnare le dimissioni da presidente della commissione Antimafia”. Lo affermano i rappresentanti del M5S nella commissione Antimafia Stefania Ascari, Federico Cafiero De Raho, Francesco Castiello, Michele Gubitosa, Luigi Nave e Roberto Scarpinato.
“Dopo i rapporti di ‘affettuosa’ vicinanza con Luigi Ciavardini, efferato esecutore della strage di Bologna e feroce assassino del giudice Amato che aveva scoperto i legami della destra eversiva con la P2 – denunciano i commissari M5s in Antimafia- si accerta ora che la presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo ha uno zio di primo grado, Paolo, già condannato a 4 anni e 6 mesi con sentenza definitiva e radiato dall’albo degli avvocati, che era a disposizione di potenti cosche della ‘Ndrangheta e che di tali rapporti parlava tranquillamente al telefono con il fratello Cesare, padre di Chiara Colosimo”.
“Non ci si meraviglia dunque che senza dare alcuna spiegazione plausibile e nonostante reiterate sollecitazioni – concludono i parlamentari pentastellato- la presidente abbia sino ad ora impedito alla commissione Antimafia di svolgere indagini conoscitive anche sulle piste che evidenziano i legami nel piano stragista degli anni 1992-93 tra Cosa Nostra, la ‘Ndrangheta ed esponenti della destra eversiva, tra i quali Paolo Bellini, condannato insieme a Ciavardini per la strage di Bologna, uomo legato ai servizi segreti ed interlocutore diretto degli esecutori mafiosi della strage di Capaci”.
(da agenzie)
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Novembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
PER CAPIRLO NON E’ NECESSARIO ESSERE “TOGHE ROSSE”, E’ SUFFICIENTE NON ESSERE SEQUESTRATORI DI ESSERI UMANI
Nel provvedimento con cui stabilisce il non trattenimento della persona migrante arrivata dall’Egitto, il giudice di Catania dichiara «irrilevante la questione di legittimità costituzionale sollevata dal richiedente protezione». La decisione è del presidente della sezione Immigrazione del Tribunale di Catania, Massimo Escher. Il giudice ha voluto ribadire la necessità, nel valutare il trattenimento, di esaminare la qualifica data all’Egitto, con il decreto legge del 23 ottobre 2024, che lo include «in una lista che non prevede alcuna eccezione, né per aree territoriali né per caratteristiche personali». Ma per il tribunale questa «qualificazione non esime il giudice dall’obbligo di verifica della compatibilità della designazione con il diritto dell’Unione europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di giustizia europea nella sentenza della Gran Camera del 4 ottobre 2024».
Il presidente Escher scrive che «in Egitto esistono gravi violazioni di diritti umani che, in contrasto con il diritto europeo citato, persistono in maniera generale e costante e investono non soltanto ampie e indefinite categorie di persone (come dimostra l’inserimento tra le eccezioni della categoria dei “difensori dei diritti umani”, che individua l’esistenza di violazioni dei diritti di soggetti che agiscono per la stessa tutela dei diritti dell’uomo) ma anche il nucleo delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico e che dovrebbero costituire la cornice di riferimento in sui ci inserisce la nozione di Paese sicuro secondo la direttiva europea».
L’avvocata Lo Faro ha ripreso il provvedimento del Tribunale di Catania per spiegare che «il decreto non va applicato perché l’Egitto non è un paese sicuro per svariati motivi derivanti dalle schede per la determinazione del ministero degli Esteri, e, ancora una volta, afferma che in Italia il diritto di asilo è previsto dall’articolo 10 della Costituzione e nessuna legge ordinaria lo può scalfire».
(da agenzie)
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Novembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
“EMERGONO UNA INACCETTABILE PRESSIONE E UN OBIETTIVO CONDIZIONAMENTO PER QUELLI CHE IN FUTURO SI DOVRANNO OCCUPARE DELLE MEDESIME QUESTIONI”… LA RICHIESTA NON È STATA SOTTOSCRITTA DAI TRE TOGATI SU SETTE DI MAGISTRATURA INDIPENDENTE (DI AREA CENTRODESTRA)
I componenti togati del Csm, esclusi tre membri, hanno depositato la richiesta di apertura di una pratica a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati del collegio giudicante del tribunale di Bologna che alcuni giorni fa aveva rinviato alla Corte di giustizia europea il decreto del governo sui Paesi sicuri.
Secondo la richiesta quel provvedimento era stato poi “oggetto di dichiarazioni fortemente polemiche di titolari di altissime cariche istituzionali” e la “situazione determina una inaccettabile pressione sui giudici” e “un obiettivo condizionamento per quelli che in futuro si dovranno occupare delle medesime questioni; essa, pertanto, vulnera l’indipendenza dell’intera magistratura”. Su sette togati di Magistratura Indipendente, in tre non hanno aderito alla richiesta.
I tre togati di Magistratura Indipendente che non hanno aderito sono Luisa Mazzola, Vittoria Marchianò e Bernadette Nicotra mentre tutti gli altri togati di MI e delle altre correnti del Csm e anche i tre laici Carbone, Romboli e Papa, hanno firmato.
Nella richiesta di tutela depositata viene fatto riferimento a “dichiarazioni fortemente polemiche di titolari di altissime cariche istituzionali; dichiarazioni in nessun modo correlate al merito delle argomentazioni giuridiche sviluppate nell’ordinanza e gravemente delegittimanti dei magistrati che l’hanno pronunciata e di tutta la magistratura” e si sottolinea che “tali dichiarazioni sono state inoltre accompagnate e seguite, su alcuni organi di stampa, dalla esposizione mediatica di fatti e atti della vita del Presidente del Collegio giudicante, non limitata agli interventi pubblici svolti da quest’ultimo nel corso degli anni ma attinente direttamente alla sfera della sua vita privata e familiare.
Questa situazione – prosegue il documento – determina una inaccettabile pressione sui giudici che hanno emesso l’ordinanza suddetta e un obbiettivo condizionamento per quelli che in futuro si dovranno occupare delle medesime questioni; essa, pertanto, vulnera l’indipendenza dell’intera magistratura. Si impone, quindi, una richiesta urgente di apertura di pratica a tutela della indipendenza e autonomia dei magistrati del Collegio giudicante, e in particolare del suo presidente, e della stessa magistratura”
Inoltre oggi all’assemblea Associazione nazionale dei magistrati che si svolge a Bologna partecipano come consiglieri del Csm gli indipendenti, Roberto Fontana e Andrea Mirenda, la consigliera di Magistratura Democratica Mimma Miele, e quello di Area, Antonello Cosentino.
(da agenzie)
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Novembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
LE TRE VARIABILI CHE POTREBBERO SPOSTARE GLI EQUILIBRI DELLA COSTITUENTE
Novembre: i Cinque Stelle entrano in un mese fondamentale per determinare il loro destino. Lo scontro Giuseppe Conte e Beppe Grillo sta per arrivare a un punto cruciale. Tra tre settimane ci sarà la Costituente, che potrebbe cambiare gli equilibri di forza ai vertici del Movimento e che – con l’eventuale superamento del tetto dei due mandati per gli stellati – potrebbe avere riflessi anche nell’immediato futuro. Prima ancora, però, il 17-18 ci sarà il nuovo test elettorale alle Regionali, in cui il M5S rischia di uscire ancor più ridimensionato in seno alla coalizione di centrosinistra.
Ma quali sono le variabili che possono incidere in un momento così complesso? Sostanzialmente tre: gli schieramenti, le prospettive e gli iscritti. Il Movimento – è noto – è diviso tra filo-contiani e movimentisti più vicini alle posizioni del garante. A livello di classe dirigente del partito e di eletti, stravince Conte, anche perché buona parte delle liste per le Politiche e le Europee risentono sia della sua mano sia della “tagliola” caduta sui big in Parlamento dal 2013. A Grillo però rimangono dei punti fermi di primaria importanza: Danilo Toninelli e Virginia Raggi hanno appeal tra la base stellata. Non solo il garante può vantare anche dei network di giovani come i Figli delle Stelle e uno sparuto numero di parlamentari dalla sua, un numero che potrebbe anche crescere.
Qui, infatti, entra in gioco il secondo tassello: la prospettiva. Diversi parlamentari al primo mandato stanno attendendo la Costituente con una certa apprensione: un superamento del tetto dei due mandati avrebbe un impatto sulle loro chance di ricandidatura con successo alle prossime Politiche, specie di fronte a un calo del M5S nelle intenzioni di voto. C’è chi già da tempo nicchia sulle restituzioni. Una fetta di questi delusi potrebbe rimpolpare le fila pro-
Tutti questi elementi concorrono a rendere ancora più indecifrabile l’ultima variabile: gli iscritti. Che i votanti attivi siano in larga maggioranza contiani e che sposino la linea dei vertici lo dimostrano le ultime votazioni del Movimento, con ratifiche convalide in tranquillità e con scelte in linea agli auspici del presidente. Ma le ultime votazioni hanno evidenziato anche una disaffezione della base. L’affluenza è molto bassa, tra il 15 e il 20% di media nelle votazioni nazionali. Conte, in caso di ripetizione del voto chiesta da Grillo sull’esito della Costituente, avrà bisogno di arrivare al quorum della maggioranza più uno degli aventi diritto. Dopo che il M5S ha festeggiato il soprasso sul Pd la scorsa primavera a quota 170mila iscritti, le liste dei militanti sono state riviste. Il numero definitivo non è ancora pubblico, ma si parla di una forte riduzione, di un effettivo dimezzamento (che renderebbe in sostanza più facile raggiungere il quorum). Ma la lontananza dai territori (che si è palesata plasticamente in Liguria), l’appeal di qualche movimentista e del garante e l’esito delle Regionali di novembre (con un eventuale riposizionamento politico del Movimento) rendono incerta anche la battaglia degli iscritti.
(da corriere.it)
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Novembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
“IL FONDO SANITARIO NAZIONALE SCENDE DAL 6,12% DEL 2024 AL 6,05% NEL 2025 E 2026, PER POI PRECIPITARE AL 5,9% DEL 2027”
“Il Disegno di legge sulla Manovra 2025 è molto lontano dalle necessità della sanità pubblica: le risorse stanziate non bastano a risollevare un Servizio sanitario nazionale (Ssn) in grave affanno. Sono ampiamente insufficienti per finanziare tutte le misure previste dalla Manovra e mancano all’appello priorità rilevanti per la tenuta della sanità pubblica”.
Queste le criticità principali emerse dall’audizione della Fondazione Gimbe presso le Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, dove il presidente Nino Cartabellotta ha invitato a non utilizzare la sanità come terreno di scontro politico ed ha avanzato proposte concrete per il rifinanziamento del Fondo sanitario nazionale.
Per Cartabellotta “emerge chiaramente la riduzione degli investimenti per la sanità rispetto alla ricchezza prodotta dal Paese, segno che il rafforzamento del Ssn e la tutela della salute non sono una priorità nemmeno per l’attuale Governo”.
Infatti, in termini di percentuale di Pil, il Fsn scende dal 6,12% del 2024 al 6,05% nel 2025 e 2026, per poi precipitare al 5,9% nel 2027, al 5,8% nel 2028 e al 5,7% nel 2029. “Questo trend – ha osservato – riflette il continuo disinvestimento dalla sanità pubblica, avviato nel 2012 e perpetrato da tutti i Governi.
L’aumento progressivo del Fsn in valore assoluto, sempre più sbandierato come un grande traguardo, è in realtà una mera illusione: perché la quota di Pil destinata alla sanità cala inesorabilmente, fatta eccezione per gli anni della pandemia quando i finanziamenti straordinari per la gestione dell’emergenza e il calo del Pil nel 2020 hanno mascherato il problema.
E con la Manovra 2025 si scende addirittura sotto la soglia psicologica del 6%, toccando il minimo storico”. Dall’analisi dettagliata delle misure previste emerge un netto divario con le risorse stanziate. Nel periodo 2025-2030, il costo complessivo delle misure ammonta a 21.365 milioni, a cui vanno aggiunti i rinnovi contrattuali del personale sanitario, non riportati dal testo della Manovra.
Costi che la Fondazione Gimbe ha stimato in 7.649 milioni: 3.618 milioni per il triennio 2025-2027 e 4.031 milioni per il 2028-2030. “Calcolatrice alla mano – spiega Cartabellotta – le misure previste dalla Manovra per il periodo 2025-2030 hanno un impatto complessivo di oltre 29 miliardi, mentre le risorse stanziate ammontano a circa 10,2 miliardi. Con un divario che sfiora i 19 miliardi e un Ssn già in grave affanno, è ovvio che anche le Regioni più virtuose faticheranno a implementare le misure disposte dalla Manovra e dovranno tagliare i servizi e/o aumentare le imposte regionali”.
Dalla Manovra 2025 – ha rilevato Cartabellotta – restano escluse priorità cruciali per la tenuta del Ssn. Innanzitutto, il piano straordinario di assunzione medici e infermieri, l’abolizione del tetto di spesa per il personale e risorse adeguate per restituire attrattività al Ssn, visto che le indennità di specificità sono solo briciole. Mancano inoltre risorse per ridurre/abolire il payback sui dispositivi medici e per gestire il continuo sforamento del tetto di spesa della farmaceutica diretta, che pesa sempre di più sull’industria del farmac”».
Infine, anche i ‘nuovi’ LEA per le prestazioni specialistiche e protesiche, attesi da ben 8 anni, rischiano di slittare oltre il 1° gennaio 2025, per esiguità delle risorse stanziate. Secondo il report Ocse sulla sostenibilità fiscale dei servizi sanitari, pubblicato nel gennaio 2024, la spesa sanitaria crescerà ‘fisiologicamente’ in media del 2,6% annuo fino al 2040, spinta dal costo crescente di farmaci e tecnologie sanitarie, invecchiamento della popolazione e inflazione.
“Purtroppo – ha spiegato Cartabellotta – gli incrementi previsti dalla Manovra 2025, ben al di sotto di questa soglia, non saranno sufficienti a mantenere il passo, lasciando il nostro Ssn sempre più indietro”. Con il finanziamento assegnato dalla Legge di Bilancio 2025, infatti, dal 2026 ci allontaneremo dal tasso di crescita del 2,6% annuo, accumulando un gap di circa 12 miliardi nel 2030.
Secondo Cartabellotta – il titolo dell’art. 47 ‘Rifinanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard’ e ancor più le modalità con cui vengono presentati gli importi sono fuorvianti: vengono riportati solo gli incrementi cumulativi del Fsn, anziché le risorse aggiunte annualmente, con la relativa rideterminazione del Fsn’. Cartabellotta ha proposto di rinominare l’articolo ”Fabbisogno sanitario nazionale standard” e di esplicitare per ciascun anno sia l’incremento in valore assoluto, sia l’importo rideterminato del Fsn”.
In generale Fondazione ha evidenziato come la crescita del Fsn sia nettamente insufficiente rispetto alle difficoltà della sanità pubblica di garantire in maniera equa il diritto alla tutela della salute. “L’incremento di 2,5 miliardi per il 2025, che porta ‘in dote’ 1,2 miliardi dalla Manovra 2024 – spiega Cartabellotta – aumenta il Fsn a 136,5 miliardi, di fatto solo dell’1% rispetto a quanto già fissato nel 2024″. E negli anni successivi, eccezion fatta per il 2026 (+3%), gli incrementi percentuali del Fsn sono risibili: +0,4% nel 2027, +0,6% nel 2028, +0,7% nel 2029 e +0,8% nel 2030”.
(da agenzie)
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Novembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
IN EFFETTI, CON LE ARMI POZZOLO HA DIMOSTRATO DI AVERE UNA CERTA FAMILIARITA’
Si sta evidentemente rasserenando il cielo politico (per quanto riguarda il suo partito, Fratelli d’Italia) sulla testa del parlamentare Emanuele Pozzolo, dopo i ben noti fatti della notte di Capodanno che gli avevano procurato non pochi problemi interni.
Infatti, il capogruppo alla Camera di FdI Tommaso Foti gli ha comunicato che il partito della Meloni, oltre a mantenerlo al suo posto all’interno della III Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera, presieduta da Giulio Tremonti (Forza Ialia), dove sostituisce il vice ministro Edomondo Cirelli, adesso lo ha inserito anche nella IV Commissione Difesa di cui è presidente Antonino Minardi del Gruppo Misto.
(da agenzie)
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Novembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
SONO IL LEGHISTA ALESSIO PIANA, LA MELONIANA SIMONA FERRO, IL FEDELISSIMO DI TOTI GIAMPEDRONE E MARCO SCAJOLA, NIPOTE DI CLAUDIO E RECORDMAN DI PREFERENZE
Più che un toto-giunta, sarebbe un Toti-giunta. Se si ascoltano le prime indiscrezioni a una settimana dal voto regionale in Liguria, sembra che almeno quattro dei sette assessori della nuova giunta di Marco Bucci, già facessero parte dell’esecutivo nella precedente legislatura, quella dell’ex presidente Giovanni Toti.
I quattro nomi sono quelli del leghista Alessio Piana e di Simona Ferro, già assessora allo Sport per Fratelli d’Italia.
Quindi Marco Scajola, che dopo aver lasciato i “totiani” è tornato alle sue origini politiche: capolista a Imperia con Forza Italia ha raccolto 6.308 preferenze, in un collegio che si è stato determinante per la vittoria finale del centrodestra. Infine Giacomo Giampedrone, fedelissimo dell’ex governatore, assessore dalle multi deleghe tra le quali la Protezione Civile.
Giampedrone non è stato eletto, ha raccolto 3.430 voti nello spezzino, con Vince Liguria, la lista civica totiana, che ha visto eletto solo Alessandro Bozzano. Ora per Giampedrone sembra possibile un ritorno alla Protezione Civile.
Oggi arriverà dalla Corte d’Appello di Genova la proclamazione dell’elezione di Bucci a presidente della Regione Liguria. E domani, in consiglio comunale a Genova, via all’iter per la decadenza di Bucci, con un percorso che si concluderà il 26 novembre e che quindi vedrà la prima seduta del nuovo consiglio regionale agli inizi di dicembre.
Insomma, Bucci e i suoi alleati hanno qualche giorno per trovare i giusti equilibri e comporre la nuova giunta regionale. Ascoltando anche le proposte delle diverse forze della maggioranza. Già piuttosto chiare le proposte della Lega.
Alessio Piana potrebbe occuparsi ancora di Sviluppo Economico, mentre Sara Foscolo potrebbe ricoprire le deleghe ad Agricoltura e Politiche per l’Entroterra. Per la segretaria della Lega savonese, una possibile candidatura anche a un altro assessorato, forse il meno ambito, quello alla Sanità, in una Regione Liguria che in quel settore ha appena registrato un rosso di 250 milioni.
Insomma, un assessorato chiave, ma anche politicamente insidioso, tanto che lo stesso Bucci potrebbe tenere per se la delega, individuando quindi al suo fianco un project manager. Terza via il ritorno in giunta di Angelo Gratarola, medico, già assessore tecnico dell’ultima giunta Toti. Gratarola si è candidato alle ultime regionali, non è stato eletto, ha raccolto poco più di 500 voti. E ha confermato una sensazione: quello alla Sanità non è un assessorato per politici.
(da La Stampa)
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Novembre 4th, 2024 Riccardo Fucile
L’USCITA DELL’EX GOVERNATORE DELLA LIGURIA SCATENA I COMMENTI DI SOCIAL, COMPRESO QUELLO DEL GEOLOGO MARIO TOZZI: “È ANDATO…”
«Vista la tragedia di Valenza, in attesa di abbattere le polveri sottili, alziamo gli argini, costruiamo dighe più robuste, vasche di raccolta per le acque. Più cemento, non meno. L’ho scritto nel mio libro: ‘Confesso: ho governato’ certo ambientalismo ci danneggia».
Con questa riflessione su Twitter, Giovanni Toti, ex presidente uscente della Regione Liguria, dimessosi dopo l’inchiesta giudiziaria a suo carico, ha scatenato una bufera social. C’è anche il commento di Mario Tozzi, geologo, scrittore e conduttore tv, «È andato» scrive nella valanga di battute.
Parlando dell’alluvione di Valencia, l’ex governatore ligure ha attaccato un “certo ambientalismo” e sostenuto la necessità di opere capaci di evitare le esondazioni dei fiumi. La reazione al tweet è stata immediata. Nessuno si è fatto sfuggire quello che forse potrebbe essere un refuso: «Valencia» che è improvvisamente diventato «Valenza».
Con facili ironie su Valenza Po, Comune in provincia di Alessandria: «Ma certo, cementifichiamo gli argini, è il toccasana. Anche a Valenza Po lo sanno», la risposta di un utente.
«Dopo Novi Ligure in Liguria, Valenza in Spagna. Deve essere iscritto all’ordine dei giornalisti del Burkina Faso, altrimenti non si spiega», riferendosi a una gaffe del 2015 quando Toti, neo candidato alla presidenza della Regione Liguria, sostenne che Novi Ligure si trovasse in Liguria (in realtà, anche Novi Ligure è in provincia di Alessandria e quindi in Piemonte).
E ancora: «Più cemento per tutti. Affermazioni di una certa “valenza”» oppure «Pur di speculare e nonostante le evidenze, continuate a progettare di cementificare la natura che si riprende inesorabilmente i suoi spazi! Proposte da criminali sulla pelle delle persone che ne subiscono le conseguenze. Siete incoscienti, dovreste essere rinchiusi per sempre!»
(da agenzie)
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