Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
ECCO TUTTI I COSTI DELL’OPERAZIONE PAGATA CON SOLDI DEGLI ITALIANI… SOLO 42.466 EURO A TESTA PER IL VIAGGIO, 600.000 EURO PER VITTO E ALLOGGIO DELLA FORZE DELL’ORDINE… E I NUMERI SONO APPROSSIMATI PER DIFETTO
Più di 85 mila euro per migrante per un totale approssimato per difetto di più di due milioni di euro, cifra buona per riempire di medici almeno un paio di reparti. Ecco quanto è costata fino a oggi l’operazione Albania, lo “strumento innovativo” – così lo ha definito la premier Giorgia Meloni – per “contrastare l’immigrazione clandestina”. Solo di viaggio, a bordo della nave Libra e per alcuni della motovedetta Visalli della Guardia costiera, sono andati via 42.466 mila a persona, che diventano 42.934 se si considera il costo di permanenza nei centri albanesi, calcolato dal governo stesso in 156 euro al giorno
Costi alle stelle mentre gli arrivi crollano del 62%
Costi monstre, buoni per un viaggio in prima classe e hotel a cinque stelle in una località esclusiva, ancor più insensati alla luce della verticale diminuzione degli arrivi, crollati del 62 per cento. Il dato arriva dal ministro Matteo Piantedosi, che se ne è vantato il 4 novembre scorso durante l’audizione al Comitato Schengen. È il risultato – ha spiegato – della “strategia della deterrenza” di cui i centri in Albania sarebbero la punta di diamante.
Peccato che – dati alla mano – il baraccone messo su nel Paese delle Aquile al momento sia servito solo per infliggere più o meno una settimana di viaggio in più a ventiquattro naufraghi individuati di fronte a Lampedusa, trascinati in Albania e riportati in Italia perché – hanno stabilito i giudici – l’intera procedura è contraria al diritto europeo. Un flop clamoroso, su cui l’esecutivo insiste a costo di un decreto confezionato ad hoc, che già pesa parecchio sulle casse dello Stato.
Costi approssimati per difetto
Numeri il governo si è rifiutato di darne, ma almeno in parte i costi dell’operazione possono essere ricostruiti. Premessa in partenza: rischiano di essere sottostimati rispetto a quelli reali.
Partiamo dal viaggio e dal vettore. È la Libra, gioiellino della Marina militare di ottanta metri di lunghezza e che funziona con a bordo “un equipaggio fisso di 64 uomini, di cui 3 ufficiali, che arriva fino a 81 durante l’attività operativa in mare”, recita la scheda del ministero della Difesa.
A oggi, per l’operazione Albania, la Libra ha dovuto affrontare almeno dieci giorni di viaggio e tre ferma in acque internazionali a venti miglia da Lampedusa. Per Piantedosi, il giochino è costato “solo 8.400 euro in più” della gestione ordinaria. Peccato che per muovere la Libra ci vogliano circa 60-70 mila euro al giorno – confermano fonti della Difesa – che scendono a 50 mila quando deve stare ferma in mezzo al mare.
La costosa carambola di nave Libra
Risultato, solo per far viaggiare la Libra da Lampedusa a Shengjin per poi farla tornare a Augusta, previo pit-stop necessario a Brindisi per far sbarcare i quattro naufraghi che mai avrebbero dovuto essere trasferiti in Albania, quindi spedirla ancora a Lampedusa con nuovo ritorno a Shengjin sono andati via 959.200 euro. Al conto tocca aggiungere anche i 60 mila euro almeno spesi per spedire la motovedetta Angelo Visalli, generalmente agli ormeggi fra Trapani e Messina, fino a Shengjin per riportare a Brindisi i 12 naufraghi per i quali i giudici di Roma non hanno convalidato il trattenimento.
Bilancio finale: 42.466 euro a migrante solo viaggio, che diventano 42.934 se si considera il costo medio di permanenza giornaliera nei centri, che il governo stesso stima in 156 euro al giorno.
Il macigno dei costi fissi
Già così sarebbero già cifre insostenibili, tuttavia c’è da considerare un altro dato, ugualmente sottostimato. Il baraccone Albania non funziona solo nei giorni sbarcano a Shengjin una manciata di naufraghi, ma ha dei costi di gestione e mantenimento fissi, che in mancanza di dati precisi si possono calcolare solo a spanne e per difetto.
Partiamo dal personale. Si sa – ed è dato certo – che solo di trattamento di missione, più vitto e alloggio, per “il centinaio” – numeri precisi non sono mai stati comunicati – di poliziotti, finanzieri e carabinieri di stanza a Shengjin vanno via 180 euro al giorno. Prendendo come data di riferimento l’11 ottobre – data da cui i centri sono ufficialmente operativi – sono già andati via 504.000 euro. Meno costa il mantenimento dei sedici uomini della penitenziaria, confinati – tra le polemiche – nel centro di Gjader.
Nei primi giorni di ottobre erano stati alloggiati nei resort convenzionati, al prezzo di 38 euro a notte. Se ne deduce che il vitto – servito nello stesso ristorante che serve colazione, pranzo e cena alle altre forze di polizia – costi 42 euro al giorno. Insieme al trattamento di missione, significa 77.952 euro.
Spese di funzionamento
Per il personale medico, le cifre di riferimento sono quelle riportate nelle tabelle della legge di conversione del protocollo Italia-Albania. Il governo fa una previsione di spesa di 900 mila euro l’anno, il che significa che nei primi 28 giorni di funzionamento del protocollo sono andati via 69 mila euro per viaggi, vitto, alloggio, più 53.699 di diarie.
A questo tocca aggiungere le spese di funzionamento dei centri, al momento le più difficili da calcolare, perché molto dipenderà da fatture e rendiconti presentati dall’ente gestore, la cooperativa Medihospes. Un calcolo orientativo però si può fare. Mediamente il governo prevede di spendere 3.784.173 l’anno, cioè 10.368 al giorno. Facendo un calcolo aritmetico – e solo per i 28 giorni passati dall’ufficiale apertura dei centri siamo già a 290.293.
Bilancio finale di 28 giorni di operazione
Al conto totale mancano diverse voci – personale del Viminale, interpreti, spese di giustizia, tasse, assicurazioni, mezzi – impossibili da ricavare alla luce della reticenza governativa nel fornire dati e numeri. In più ci sono le spese sostenute per la costruzione delle strutture. Ma già così le cifre sono da capogiro.
Sommando i costi dei viaggi, di vitto, alloggio e diarie di personale di polizia e medico, più le spese di funzionamento si arriva a 2.055.112 euro, pari a 85.629,6 euro a migrante. Paradosso: a spingere per l’operazione è chi non più tardi di qualche anno fa tuonava contro i 35 euro al giorno messi a base di gara per i centri di accoglienza in Italia.
E per le casse dello Stato, la formula lontano dagli occhi, lontano dal cuore, su cui il governo probabilmente puntava per strappare rimpatri rapidi, non funziona. Le fatture tocca pagarle comunque. E sono salate.
(da La Repubblica)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
SOTTO LA LENTE 11 COLLABORAZIONI PAGATE TRA I 400 E GLI 800 EURO AL MESE A PERSONE VICINE: INDAGA LA PROCURA DI LA SPEZIA
Mentre si stanno per definire i patteggiamenti conseguenza dell’inchiesta per corruzione che ha portato alle dimissioni del presidente Giovanni Toti e a nuove elezioni vinte da Marco Bucci ed ecco che la Regione Liguria è di nuovo al centro di un’inchiesta.
L’indagine della procura di La Spezia e affidata alla squadra mobile riguarda Gianmarco Medusei, presidente del Consiglio regionale nella passata legislatura, quando militava nella Lega ed oggi rieletto consigliere ma nelle fila di Fratelli d’Italia, dopo un addio al partito di Salvini accompagnato da durissime polemiche e accuse da parte degli ex compagnia di partito.L’ipotesi accusatoria che ha portato a una serie di acquisizioni di documenti in Regione, riguarda una serie di consulenze affidate da Medusei ad alcuni collaboratori legati al partito. Secondo un esposto, che la procura ha ritenuto comunque degno di approfondimento, le consulenze sarebbero state solo un paravento per ricompensare economicamente persone amiche, senza che svolgessero in realtà nessun vero compito di segreteria
(da agenzie)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL RICAMBIO GENERAZIONALE DEL PARTITO PARTE DALLA TV: TRA I NOMI IN RAMPA DI LANCIO CI SONO IL CONSIGLIERE REGIONALE LIGURE CARLO BAGNASCO, IL DEPUTATO STEFANO BENIGNI (AMICO DI MARTA FASCINA E DA LEI SPONSORIZZATO) E FEDERICO BENASSATI
Prima i mugugni di Fedele Confalonieri, che si è lasciato sfuggire qualche lamentela su Forza Italia e i dirigenti azzurri che vanno in televisione: “Sempre i soliti, volti vecchi e senza carisma: ci vogliono giovani”. Poi nei giorni scorsi, l’intervento di Pier Silvio Berlusconi che ha chiamato i capi informazione di Mediaset chiedendo loro di invitare in tv alcune giovani leve azzurre.
Un intervento che ha colpito non solo Mediaset ma anche Forza Italia per un semplice motivo: “Ha fatto esattamente quello che faceva il padre quando voleva rilanciare l’immagine del partito in momenti chiave e questo dimostra la voglia di Pier Silvio di stare vicino al partito”.
Anche a costo di andare in contrasto con la sorella Marina, che non vorrebbe un intervento diretto in politica del fratello: ma Pier Silvio e “lo zio” Confalonieri, come lo chiamano a casa Berlusconi, non mollano la presa su Forza Italia guardando al 2027, alle prossime Politiche.
Di certo c’è che nei giorni scorsi Pier Silvio ai suoi di Mediaset ha fatto il nome di Carlo Bagnasco: sindaco di Rapallo, appena eletto consigliere regionale, figlio del deputato e grande amico di famiglia Roberto Bagnasco. È lui uno dei volti su quali Pier Silvio vorrebbe puntare per rilanciare il partito, al Nord soprattutto, parlando di temi cari alle imprese e alle partita Iva di un’area del paese dove Forza Italia arranca.
Non a caso padre e figlio Bagnasco sono stati già contattati in questi giorni dai dirigenti informazione Mediaset. Altro volto tra i giovani che Pier Silvio vorrebbe di più in tv è quello del deputato Stefano Benigni, grande amico di Marta Fascina, capello sempre curato e senza barba esattamente come piace ai Berlusconi. Qui il suggerimento a Pier Silvio è arrivato dalla stessa Fascina.
Tra i nomi in Mediaset che girano c’è anche quello di Federico Benassati, altro volto tipico della filiera berlusconiana: importante che sia sempre in giacca e senza barba e che parli bene con una intonazione milanese. Il giovane consigliere comunale ha queste caratteristiche e la sua resa in video sarebbe stata gradita.
La linea comunque che Pier Silvio ha ribadito a Mediaset, ma anche al partito, è quella di avviare davvero un rinnovamento di immagine in pieno raccordo con il segretario Antonio Tajani
(da la Repubblica)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
DENTRO AL SUO BAGAGLIO LA 28ENNE AVEVA NASCOSTO UN GPS CHE LE HA PERMESSO DI SEGUIRE IL LADRO…I CARABINIERI, A CUI AVEVA CHIESTO AIUTO, SE NE SONO FREGATI E LA RAGAZZA SI E’ DOVUTA ARRANGIARE
Le rubano lo zaino, per la seconda volta nel giro di pochi mesi, ma lei non demorde e insegue il ladro, fino al recupero della refurtiva: protagonista della rocambolesca vicenda (a lieto fine) Elena Pantaleo, campionessa di kickboxing, che su Instagram denuncia il mancato aiuto da parte delle forze dell’ordine.
Classe ‘96, palermitana d’origine, Elena Pantaleo – membro del Consiglio nazionale Coni – ha già conquistato 3 titoli europei e 3 mondiali. L’ultima impresa, però, non l’ha compiuta sul ring, ma per le strade della Capitale: “L’incredibile storia di come ho recuperato la mia borsa rubata” è il titolo che la stessa ragazza ha scelto per raccontare quanto le è accaduto in zona Termini due giorni fa.
La storia comincia la sera di mercoledì 6 novembre, in piazza della Repubblica: “Ieri, ore 21, ero di fronte al cinema a chiacchierare con il regista e gli attori di un nuovo film di cui avevamo appena visto l’anteprima. Faccio per andarmene e mi accorgo che il mio zaino/valigia che avevo appoggiato al muro pochi metri dietro di noi non c’era più. L’unica altra volta che mi hanno rubato una borsa ero esattamente qui, a Termini, sei mesi fa. Quel giorno ho comprato una decina di AirTag e li ho messi in ogni mia borsa e veicolo per evitare che si ripetesse qualcosa del genere. Quindi guardo l’app e vedo la mia borsa allontanarsi dalla mia posizione”.
A quel punto Pantaleo chiede immediatamente aiuto ad alcuni carabinieri in servizio a poca distanza dal gruppo: ma questi, sempre secondo quanto riportato dalla giovane, non solo non l’aiutano attivamente nel tentativo di recupero, ma le chiedono i documenti per identificarla, ostacolando di fatto la sua corsa contro il tempo per non perdere di vista il ladro.
“Mi metto a correre verso tre macchine dei carabinieri che erano esattamente di fronte al cinema – prosegue il dettagliato racconto – Faccio vedere l’app e chiedo se qualcuno potesse venire con me a cercare di recuperare la borsa. ‘Eh, noi possiamo andare con la macchina alla posizione indicata, ma tu non puoi salire con noi e non ci possiamo prendere il tuo telefono per vedere la posizione’ (rispondono i militari, ndr). ‘Ok, ma visto che si sta muovendo se non sono con voi e non avete il telefono non riuscirete a bloccarlo’.
Insisto, capisco che è inutile. ‘Lasciate stare, vado da sola’. ‘No, a questo punto siamo obbligati a intervenire e tu ci devi dare i documenti così ti possiamo identificare’. ‘Mi scusi non mi può lasciare correre all’inseguimento? Dobbiamo per forza perdere 5 minuti preziosi?’. Ebbene sì. E fatta sta utilissima trafila con i carabinieri (che partono con una macchina verso via Torino senza manco darmi un contatto per aggiornarli magari sulla posizione) salgo su un monopattino e mi fiondo a Termini dove intuisco che stava andando la mia borsa”.
Arrivata a due passi dalla stazione, Pantaleo prova a chiedere nuovamente aiuto ai militari presenti: il risultato, però, non cambia. “Chiedo aiuto, di nuovo, all’Esercito che sta lì in presidio permanente. ‘Guardate è proprio lì sotto i portici, lo vedete sull’app? Qualcuno può venire con me ad aiutarmi?’. ‘Eh no, non possiamo muoverci, tu vai da sola quando hai identificato il ladro torna qui e possiamo accompagnarti’. A quel punto vado sotto i portici”. La giovane quindi, dopo aver tolto per precauzione orecchini e bracciali, si avvia verso i portici di via Giolitti, camminando avanti e indietro alla ricerca della sua borsa.
“Guardo tutto, persone per terra, borse, chi cammina, dentro i negozi. Finalmente lo vedo, uno con la mia borsa sulle spalle. Penso di tornare dall’Esercito ma in quei tre minuti necessari potrei perderlo di vista e loro non si rimetterebbero a cercarlo. Quindi mi tengo a distanza, aspetto, lo guardo. Posa la borsa dietro a una colonna, vicino a della gente che dorme, e si allontana. Cammino piano, faccio l’indifferente, la afferro e mi metto a correre col cuore a mille e l’adrenalina sparata fino al cervello”.
Una storia a lieto fine, quindi, ma che ha lasciato alla giovano un retrogusto amaro: “Il tutto è durato 20 minuti, io sono al settimo cielo, mi sento Batman, mi sembra che sia stato l’universo che voleva permettermi di rifarmi quando mi hanno rubato la valigia 6 mesi fa. Fare kickboxing mi ha dato coraggio, gli airtag sono la migliore spesa della mia vita, ogni volta che dico che le forze dell’ordine in Italia sono pessime e andrebbero riformare mi si dice ‘Sì, poi quando ti rapinano chi chiami?’. Eh, infatti, chi dovrei chiamare?”.
(da La Repubblica)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
LA SODDISFAZIONE DELL’ÉLITE RUSSA DI FRONTE ALLE ELEZIONI AMERICANE: “ABBIAMO VINTO”
Il campo di calcio della monumentale Puskás Arena è vuoto, ma i padiglioni del nuovo stadio di Budapest, dove ieri si sono riuniti i 42 capi di stato e di governo della Comunità politica europea e oggi si rivedranno solo i 27 dell’Ue, assomigliano per un giorno a un drammatico ring.
Quasi un match a due. Da una parte Viktor Orbán. Il padrone di casa, accusato di essere la quinta colonna di Vladimir Putin a Bruxelles e che ora può contare sulla ritrovata sponda di Donald Trump negli Usa.
Il premier magiaro dichiara subito che va chiusa rapidamente la guerra in Ucraina, chiede un cessate il fuoco a stretto giro, dichiara che va ridiscusso il prestito da 50 miliardi deciso solo pochi mesi fa, al G7 in Puglia, perché se gli Usa non saranno più disposti a finanziarlo, chi paga? Dall’altra c’è Volodymyr Zelensky: il presidente ucraino chiede ai partner europei di continuare a sostenere Kiev militarmente.
«Non ci servono parole per i negoziati, ma armi». Fermare la guerra adesso sarebbe «una sconfitta». Un cessate il fuoco è «totalmente sbagliato», in queste condizioni, perché «ci abbiamo già provato nel 2014: abbiamo perso la Crimea e nel 2022 abbiamo subito un’invasione».
Si batte ancora, Zelensky, per «una pace giusta secondo un piano deciso dall’Ucraina ». E risponde duramente alle parole del leader magiaro. L’Ungheria «non ha diritto di critica», perché non ha mai fornito armi.
Non solo: «Alcuni di voi – accusa nel suo intervento – abbracciano Putin da vent’anni e le cose stanno solo peggiorando ». Per Zelensky ogni concessione a Mosca è «inaccettabile». Di più: un «suicidio per l’Europa». Ma per primo ammette di non sapere quale sarà la strategia di Washington: «Nessuno può prevedere cosa farà Trump».
Per questo chiede sostegno all’Ue. Per il primo ministro ungherese, però, anche fra i 27 «cresce il numero di Paesi a favore della pace ». Per Zelensky, invece, «non è così », replica in conferenza stampa.
Sono al lavoro i consiglieri di Donald Trump per consentirgli di mantenere la prima e forse più difficile promessa elettorale, quella di metter fine alla guerra in Ucraina entro l’Inauguration Day, il prossimo 25 gennaio. Come ci riuscirà, resta un gigantesco punto interrogativo.
A chi glielo chiedeva, Trump ha risposto di non poter rivelare «i miei piani, perché se ve li dico non sarò più in grado di usarli».
Eppure, qualcosa è trapelato nelle ultime settimane. Il dato fondamentale, che lo stesso Zelensky ha sottolineato a commento dell’elezione di Trump, è che «nessuno può prevedere che cosa farà» il presidente eletto.
Quanto agli scenari, si scontrano diverse visioni tra i “suggeritori” del tycoon. Mike Pompeo, già segretario di Stato e in lizza per il Pentagono, ha un approccio tradizionale e ritiene che non si debba darla vinta a Putin.
Al momento, quindi, non dovrebbero interrompersi gli aiuti militari, semmai bisognerebbe imbastire un’azione diplomatica di Trump per portare allo stesso tavolo lo Zar e Zelensky
Al contrario, secondo uno dei candidati alla Segreteria di Stato, Richard Grenell, la guerra dev’essere fermata al più presto, costringendo Kiev a fare concessioni in termini di territorio accogliendo l’idea di un congelamento della linea del fronte (la Russia occupa circa un quinto dell’Ucraina).
Il terzo scenario, riportato dal Wall Street Journal citando tre consiglieri anonimi di Trump, aggiunge alla cessazione delle ostilità in base allo status quo anche un impegno di Kiev a non aderire alla Nato per almeno vent’anni.
In cambio, però, gli Stati Uniti continuerebbero ad armare l’Ucraina come deterrenza verso la tentazione di Putin di affondare il coltello e invaderla nuovamente. Si dovrebbe poi definire una zona cuscinetto demilitarizzata lunga circa 1200 chilometri, presidiata non da americani (Trump ha detto che non ha alcuna intenzione di mandare altri soldati Usa a combattere le guerre degli altri, per di più a caro prezzo).
Semmai dagli europei, perché è venuta l’ora che l’Europa si assuma le proprie responsabilità. Un quarto possibile “piano”, tratteggiato da Keith Kellogg e Fred Fleitz, collaboratori di Trump durante il primo mandato alla Casa Bianca, ipotizza che venga sospeso l’invio di armi a Kiev finché Zelensky non si persuaderà ad avviare un negoziato serio.
Ma questa opzione è considerata da molti poco commestibile per un macho come Trump, perché renderebbe la posizione negoziale ucraina troppo debole al cospetto della Russia (che continua ad avanzare sul campo di battaglia, a martellare con droni la capitale Kiev e ieri anche a bombardare Zaporizhzhia, la città della centrale nucleare).
Nei corridoi del potere di Mosca, la vittoria dell’argomentazione populista di Trump, secondo cui l’America dovrebbe concentrarsi sui problemi interni piuttosto che aiutare Paesi come l’Ucraina, è stata salutata come una potenziale vittoria per gli sforzi della Russia di ritagliarsi una propria sfera di influenza nel mondo.
In termini ancora più ampi, è stata vista come una vittoria delle forze conservatrici e isolazioniste sostenute dalla Russia contro un ordine globale liberale e dominato dall’Occidente che il Cremlino (e i suoi alleati) hanno cercato di minare.
Nelle sue prime dichiarazioni dopo le elezioni, il Presidente Vladimir Putin ha affermato giovedì che il monopolio del potere globale dell’Occidente dopo la Guerra Fredda sta “irrevocabilmente scomparendo”, prima di elogiare Trump per essersi comportato “coraggiosamente” durante un attentato alla sua vita quest’estate.
“Le sue parole sul desiderio di ripristinare le relazioni con la Federazione Russa e di aiutare a risolvere la crisi ucraina, a mio avviso, meritano attenzione”, ha detto durante il suo discorso annuale al Valdai Forum di Sochi
I membri dell’élite russa sono stati più schietti nella loro risposta alla vittoria di Trump. “Abbiamo vinto”, ha detto Alexander Dugin, l’ideologo russo che da tempo promuove un’agenda imperialista per Mosca e ha sostenuto gli sforzi di disinformazione contro la campagna di Kamala Harris. “Il mondo non sarà mai più come prima. I globalisti hanno perso la loro battaglia finale”, ha scritto su X.
Il vicepresidente della Camera alta del Parlamento russo, Konstantin Kosachev, ha dichiarato sul suo canale Telegram: “La vittoria della destra nel cosiddetto ‘mondo libero’ sarà un colpo per le forze di sinistra-liberali che lo dominano. Non è un caso che l’Europa abbia “tifato” così apertamente per Harris, che in realtà avrebbe preservato il dominio del “clan” Obama-Clinton”.
Konstantin Malofeyev, il miliardario russo ortodosso che ha finanziato un’agenda conservatrice che promuove i valori cristiani tradizionali all’estrema destra e all’estrema sinistra in tutto l’Occidente, ha affermato su Telegram che sarebbe possibile negoziare con Trump, “sia sulla divisione dell’Europa che sulla divisione del mondo. Dopo la nostra vittoria sul campo di battaglia”.
In termini più immediati, ci si aspettava che la vittoria di Trump avesse un impatto drammatico sulla guerra della Russia in Ucraina, secondo Leonid Slutsky, capo della commissione affari esteri del Parlamento.
“A giudicare dalla retorica pre-elettorale… la squadra repubblicana non ha intenzione di inviare sempre più denaro dei contribuenti americani nella fornace della guerra per procura contro la Russia”, ha dichiarato. “Una volta che l’Occidente smetterà di sostenere il regime neonazista del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la sua caduta avverrà nel giro di pochi mesi, se non di giorni”.
Le azioni della borsa di Mosca hanno registrato un’impennata di quasi il 3% nelle prime contrattazioni dopo i risultati delle elezioni, tra le diffuse speculazioni sul fatto che Trump potrebbe revocare le sanzioni contro la Russia in cambio della fine delle sue azioni militari
“Trump è una persona abituata a fare accordi”, ha detto un uomo d’affari di Mosca, parlando a condizione di anonimato per paura di essere punito. “L’aspettativa è che sotto Trump si arrivi più rapidamente a decisioni per porre fine al conflitto e alleggerire le sanzioni”. “Per le grandi imprese, l’elezione di Trump è un fattore di speranza”, ha aggiunto. “Le sanzioni stanno strangolando l’economia e i costi sono in aumento”.
In seguito, però, i prezzi delle azioni si sono stabilizzati e alcuni analisti hanno affermato che rimane alto il rischio che le relazioni si arenino e che lo stallo possa peggiorare sotto Trump. Alexei Venediktov, l’editore di lunga data dell’emittente radiofonica Echo of Moscow, ha affermato che la possibile conquista da parte dei repubblicani di entrambe le camere del Congresso romperebbe l’annosa situazione di stallo del sistema politico statunitense, consentendo al governo di prendere decisioni con una velocità molto maggiore e creando nuovi rischi.
(da agenzie)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
SAREBBE IL CASO DI CAMBIARE IL NOME DELL’ORGANIZZAZIONE LIMITANDOSI AD “AZIONE”, VISTO CHE LA LEALTA’ E’ VENUTA MENO
Dichiararsi antifascisti pur di ottenere lo spazio comunale per festeggiare il compleanno di un’associazione che, spesso, non ha fatto mistero di avere simpatie neofasciste. È il contrappasso a cui si è sottoposta la sezione monzese di Lealtà Azione, arrivata a festeggiare il suo decimo compleanno. La sede brianzola è stata nominata Valinor, che è un regno di Arda, l’universo immaginario creato dallo scrittore inglese J. R. R. Tolkien.
Comunque, sabato 9 novembre alle ore 17, non meglio precisati «politici, giornalisti, rappresentanti di associazioni e della società civile» parteciperanno alla kermesse intitolata «Dieci anni di cultura e solidarismo». Le poche informazioni si recuperano dal sito ufficiale del movimento di destra che, sempre presentando l’iniziativa, descrive Valinor come «un punto di riferimento di cultura e solidarismo per tutti i nostri concittadini che hanno ancora sete di sapere e di ricostruire il tessuto sociale distrutto dall’individualismo».
Per festeggiare il compleanno di Valinor gli organizzatori hanno individuato il Teatro binario 7, uno spazio di proprietà del Comune di Monza.
L’amministrazione, non appena sono emerse le prime contestazioni per l’affitto dei suoi locali a Lealtà Azione, ha imposto ai concessionari che gestiscono il teatro di far firmare «una dichiarazione di antifascismo e di riconoscimento dei valori democratici». E gli uomini di Valinor hanno accettato. Tuttavia, i focolai di polemica rimangono accesi in Brianza. L’Anpi, tra le tante realtà che hanno protestato per la locazione, ha commentato così lo sviluppo della dichiarazione antifascista: «Ci chiediamo quale valore possa avere questa firma, poiché tale organizzazione si ispira a idee e principi diametralmente opposti a quelli sanciti nella nostra Costituzione». Lealtà Azione si è trovata coinvolta, un paio di anni fa, in una lunga inchiesta sulla cosiddetta lobby nera della Lombardia.
(da agenzie)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
UN FINANZIAMENTO TEATRALE FINITO AD UNA ASSOCIAZIONE CON SEDE A CASA DELLA MADRE DEL FRATELLO D’ITALIA
Arriverà presto in Parlamento la vicenda siciliana che ha visto il deputato regionale Ismaele La Vardera minacciato da Carlo Auteri, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia a Palazzo dei Normanni. «Se tu a me mi fai girare la minchia, io ti piglio e ti butto di sotto», gli ha detto il meloniano, in una discussione riguardante i fondi stanziati dalla Regione all’associazione culturale Progetto Teatrando, la cui sede legale si troverebbe allo stesso indirizzo di casa della madre di Auteri, nel piccolo Comune di Sortino.
Oggi, 8 novembre, il senatore del Partito democratico Antonio Nicita ha annunciato che porterà il tema «all’attenzione del Parlamento nazionale». Nicita ha telefonato a La Vardera, ex giornalista delle Iene, esprimendo la sua solidarietà: «Emerge, dalle ricostruzioni fin qui disponibili, un quadro sconcertante di ipotesi di reato, di società fantasma intestate a parenti, ma soprattutto un complessivo clima omertoso di degrado politico e morale su meccanismi e modalità di finanziamento di eventi “culturali” che, secondo quanto riportato di stampa, coinvolgerebbero sia gli esponenti del governo regionale che hanno autorizzato finanziamenti sia taluni deputati regionali beneficiari a vario titolo degli stessi».
Le minacce del meloniano nel bagno del Parlamento siciliano
Nell’Aula del Parlamento siciliano, La Vardera – recentemente uscito dal gruppo Sud chiama Nord di Cateno De Luca – denuncia un caso di elargizione di contributi pubblici relativi al mondo degli spettacoli. Tra questi, ci sono 100 mila euro sono destinati a un’associazione che sarebbe legata ad Auteri per la realizzazione di iniziative culturali al Teatro Musco di Catania. Poco dopo, nei bagni di Palazzo dei Normanni, Auteri si approccia in questi termini a La Vardera: «Vedi che io mi scordo che faccio il parlamentare, io ti piglio e ti butto là sotto». La conversazione viene registrata e alcuni stralci sono trasmessi da La7, a Piazza Pulita. «Non ti permettere di dire ai colleghi “ha dato soldi alla madre” perché io ti affogo là dentro, tu a me non mi conosci», incalza il deputato di Fratelli d’Italia. «Vedi che io sono fuori di testa… vedi che io non sono come gli altri, tutti, savoir faire, la politica. È chiaro, non ti permettere mai di dire a un collega che io ho dato soldi a mia madre perché io ti do legnate. Dove sei? Sei qua dentro? Poi chiama i carabinieri, chiama chi ti pare, voglio dire, è chiaro? Questa cattiveria che tu hai la puoi utilizzare con chi vuoi, ma non dire mai cose che non esistono. È chiaro perché io non sono normale. Tu non devi dire minchiate»
(da agenzie)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL GRUPPO DI S&D PUNTA A MODIFICARE IL PORTAFOGLIO CHE URSULA HA AFFIDATO AL MELONIANO, MA NON A BOCCIARLO ALL’AUDIZIONE NEL PARLAMENTO EUROPEO… SE MANTENGONO LA POSIZIONE A QUESTO PUNTO FITTO OTREBBE PASSARE SOLO CON I VOTI DEI NEONAZISTI DI AFD
La decisione era già stata assunta al summit del Pse che ha preceduto il Consiglio europeo di ottobre: i socialisti non voteranno a favore della vicepresidenza esecutiva della Commissione per Raffaele Fitto. Tre settimane fa era stata la capogruppo di S&D, Iratxe Garcia Peres, a spiegare esplicitamente che «il gruppo non è in grado di sostenere un voto favorevole per il rappresentante italiano».
In discussione non è tanto il ruolo di commissario quanto quello di vicepresidente. Il motivo è semplice: Ecr, il partito di Meloni e Fitto, non fa parte della maggioranza politica che a luglio ha eletto Ursula von der Leyen, e la sua nomina alla vicepresidenza modificherebbe la coalizione. In più i socialisti temono che la presidente della Commissione persegua la politica dei “due forni” per rendere ininfluenti i socialisti.
«Se quindi io dessi il via libera a Fitto — aveva spiegato Garcia Peres — il gruppo esplode. Non lo controllo». Su questa linea ci sono anche i Verdi e i Liberali di Renew.
I dubbi del Pse sono stati ieri confermati dal leader dei socialisti francesi, Rafael Glucksmann: «Per quel che mi riguarda Raffaele Fitto non deve essere vicepresidente della commissione Ue e per quel che so il mio gruppo non ha cambiato posizione a riguardo. È semplice: l’alleanza che ha sostenuto von der Leyen a luglio non include Ecr e quindi non c’è motivo di dargli una vicepresidenza».
Il gruppo S&D, dunque, punta a modificare il portafoglio di Fitto e non a bocciarlo. Su questo la delegazione francese è la più ferma anche a causa dei rapporti tra Meloni e Le Pen.
L’audizione nel Parlamento europeo dell’attuale ministro per gli Affari regionali è fissata per martedì prossimo. Nella commissione Regi, il Ppe che difende Fitto, può costruire una maggioranza alternativa con tutte le destre. Quindi in extremis — sono possibili tre voti per promuovere o bocciare — il candidato commissario italiano potrebbe superare l’esame con il sostegno di Ecr, Patrioti e Esn (il gruppo dei neonazisti di Afd).
Ma tutto si gioca sul filo del rasoio. I socialisti poi, soprattutto gli spagnoli, sanno che se salta Fitto, il Ppe si potrebbe vendicare sulla candidata vicepresidente indicata da Madrid: Teresa Ribera. La cui audizione è stata programmata, non a caso, il giorno dopo quella di Fitto. La speranza del Pse è che von der Leyen accetti di modificare le deleghe di Fitto. Fino ad ora, però, la presidente della Commissione non ha mai ceduto.
(da agenzie)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
A FERRARA I CARABINIERI HANNO SEQUESTRATO UN QUADRO DEL XVII SECOLO E A ROVERETO È RICOMPARSA UNA SCULTURA “SPARITA” DALLA TOMBA DI UN RAGAZZO… L’EX SOTTOSEGRETARIO È GIÀ ACCUSATO DI ESPORTAZIONE ILLECITA A IMPERIA E DI RICICLAGGIO A MACERATA
Un quadro del Seicento sparisce da una mostra senza che nessuno lo sappia. Una statua ricompare dopo un furto in un’altra esposizione, senza che nessuno se n’accorga. Era di un giudice che l’aveva messa sulla tomba del figlio tragicamente morto a soli 22 anni per un incidente stradale: 27 anni dopo ricompare come proprietà di Vittorio Sgarbi, che l’ha messa in mostra.
L’inchiesta congiunta Fatto-Report porta alla luce due rivelazioni clamorose, che aggravano la posizione dell’ex sottosegretario già accusato di esportazione illecita a Imperia e di riciclaggio a Macerata.
Due giorni fa Alan Fabbri lo ha confermato presidente del museo civico di Ferrara Arte, mentre a Rovereto ci aveva pensato a gennaio Maurizio Fugatti, come se nulla fosse successo. Ma ecco servito il colpo di scena: in due mostre che Sgarbi ha organizzato proprio nei due musei pubblici che continua a presiedere spuntano altre opere che presenta come sue proprietà ma risultano rubate.
A Palazzo dei Diamanti sabato 12 ottobre apre la mostra ideata da Sgarbi Ferrara e il Cinquecento: 113 tele di autori ferraresi come Mazzolino, Garofalo, Dosso e di Giovanni Battista Benvenuti detto “l’Ortolano”. Lui stesso presta una decina di opere tra le quali spicca una copia “inedita” da questo pittore: una pala d’altare di 118 per 86,5 cm dal titolo Compianto sul Cristo morto datata metà del XVII secolo.
Figura nel voluminoso catalogo, ma la scheda curatoriale non ne riporta la provenienza. Allora battiamo tutte le 14 stanze dell’esposizione, ma l’opera non c’è. Chiediamo ai commessi, neppure loro la trovano. Per le sue dimensioni, dicono, dovrebbe stare alla numero nove, quella delle grandi pale. Alla parete di destra – a circa due metri d’altezza – c’è un foro col segno d’un chiodo.
“Quella pala non entrava qui dentro, così ci han detto”, riferisce un custode. Ma non è andata così. Tre giorni prima dell’inaugurazione era avvenuto qualcosa che molti sanno, ma nessuno dice: “Il 9 ottobre i carabinieri l’hanno sequestrata, impacchettata con il pluriball lasciando solo la cornice. L’hanno portata via su un furgone, pare fosse rubata”.
E infatti, l’opera oggi non è più a Ferrara bensì a Roma, tra i beni sequestrati dal reparto operativo del Nucleo Tutela Patrimonio, non lontano dal Manetti rubato per cui Sgarbi rischia fino a sette anni.
Arriva infine la conferma del direttore di Fondazione Ferrara Arte, Pietro di Natale: “Non è stato esposto perché c’è un provvedimento dell’autorità giudiziaria per un’indagine in corso”, ammette.
A Rovereto invece nessuno si era accorto dell’improvvisa ricomparsa di una scultura in terracotta del volterrano Raffaele Consortini, Madre e figlio, anno 1939, misure 42,5 per 32,17. Il furto è stato denunciato nel 1997. Riemerge ora, 23 anni dopo. Ma dove? In quel di Rovereto, nella mostra Giotto e il Novecento che si è tenuta dal 5 dicembre 2022 al 4 giugno 2023 al Mart.
Proprio così, risulta tra i 178 prestiti che il presidente Sgarbi negli anni ha chiesto allo Sgarbi collezionista privato. Quella terracotta però arriva da Cascina, 350 km più a sud, in provincia di Pisa. Qui incontriamo l’ex giudice della Corte d’Appello di Firenze in pensione Antonio Nannipieri.
L’appuntamento è al cimitero. Davanti alla foto del catalogo strabuzza gli occhi. “È la stessa , la nostra, non ho dubbi: me la regalò mia madre per mio figlio, tragicamente morto nel 1987 in un incidente stradale con la fidanzata. Stava proprio qui, sull’altare della cappella di famiglia”.
Nannipieri, 88 anni, stringe la foto del catalogo che riporta invece la dicitura Proprietà della Fondazione Cavallini-Sgarbi, le mani gli prendono a tremare. Si appoggia all’altare dove trova sostegno. Un po’ frastornato prova a mettere insieme i pezzi.
“Due anni fa erano venuti i carabinieri e mi avevano chiesto se era la stessa di cui avevo denunciato il furto nel 1997. Da allora non si è più fatto vivo nessuno, e adesso scopro da voi che Sgarbi, un ex sottosegretario di Stato, l’ha esposta come fosse sua”. Il mestiere della legge gli viene in soccorso. “Magari non sapeva fosse rubata eh, ma un collezionista dovrebbe controllare la provenienza delle cose che acquista, specie se poi le mette in una mostra”.
Guarda e riguarda le foto del catalogo, quelle dell’epoca, rilegge la didascalia. Annoda e riannoda i fili della storia. Spiega che non è il valore economico che gli preme “mi creda, dopo vent’anni vorrei solo tornasse al suo posto”. Poi l’anziano giudice alza la testa dalla foto, gli occhi si velano: “Per me è una cosa sconvolgente guardi, mai avrei immaginato, mai… ”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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