Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
“SONO VENUTI MENO AL PRIORITARIO E INELUDIBILE OBBLIGO DI SALVAGUARDARE LA VITA IN MARE”… IL COMANDANTE CATONE: “LA CAPITANERIA DI PORTO RESTIA A OPERARE A CAUSA DELL’APPROCCIO DELL’ALLORA MINISTRO DEGLI INTERNI”
Non solo i “capitani” o gli uomini dell’equipaggio della Summer Love. Anche sei fra ufficiali e sottoposti di Finanza e Guardia costiera devono rispondere dei 94 morti del naufragio di Cutro. Ci crede la procura di Crotone che per tutti ha chiesto il rinvio a giudizio, convinta che se nella notte fra il 25 e il 26 ottobre da parte loro non ci fossero state «omissioni» e «inerzie» quel pezzo di spiaggia in Calabria non si sarebbe trasformato in un cimitero.
Un passaggio quasi scontato dopo l’avviso di conclusione indagini del luglio scorso
In aula il pm Pasquale Festa, titolare anche delle inchieste contro l’equipaggio del caicco, ha chiesto la condanna dei tre uomini accusati di aver aiutato i “capitani”, già condannati in abbreviato. Per il resto si aspetta la data dell’udienza preliminare, quando davanti al giudice dovranno presentarsi Giuseppe Grillo, Alberto Lippolis, Antonino Lopresti e Nicolino Vardaro della Finanza e Nicola Nania e Francesca Perfido della Guardia Costiera.
Tutti rischiano il processo per omicidio colposo plurimo e naufragio colposo perché sono venuti meno al «prioritario, fondamentale e ineludibile obbligo di salvaguardare la vita in mare»
Al centro dell’inchiesta ci sono cinque ore di comunicazioni, rimpalli di responsabilità, consapevoli sottovalutazioni. Sono quelle che passano dall’avvistamento del caicco — individuato da un aereo di Frontex e subito segnalato come possibile barcone con migranti a bordo — e lo schianto sulla secca.
Era notte di tempesta. E lo sapevano tutti, a partire dalla Finanza che aveva autorizzato una delle sue unità a rientrare proprio per le pessime condizioni meteo. Lo rivelano anche le conversazioni, istituzionali e non, di quella notte. «Abbiamo là una nostra motovedetta che l’attenderà, mare permettendo», diceva uno degli indagati. Ma non c’era nessuno ad aspettare la Summer Love e con il radar cieco oltre le 12 miglia, nessuno a monitorarla.
Fuori dall’inchiesta è rimasto il “livello politico”, che trapela però dalle 650 pagine di informativa finale e dalle parole di ufficiali come l’ex comandante Alberto Catone, che a verbale parla di una Capitaneria di Porto «restia a operare» salvo in situazioni di conclamato pericolo a causa «dell’approccio dell’allora ministro dell’Interno». Era Matteo Salvini, oggi come all’epoca del naufragio, ai Trasporti e da cui direttamente dipende la Guardia Costiera.
(da agenzie)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
IL COMUNE: “SEGNALATE QUESTE SITUAZIONI”
Il monolocale da 8 metri quadri affittato a Bologna a 600 euro al mese non è un caso isolato. Scorrendo tra le offerte immobiliari dei principali aggregatori è facile imbattersi in altri annunci che testimoniano la situazione fuori controllo del mercato nel capoluogo emiliano. Ad addentrarsi nella giungla degli annunci è Repubblica Bologna, che racconta di altre offerte a prezzi esorbitanti ma anche con spazi al limite della legge. Un esempio? Un appartamento di 15 metri quadri in via Torleone al costo di 650 euro al mese più 20 di spese condominiali. E pure con una serie di rogne burocratiche: «È registrato come studio. Il proprietario l’ha sistemato da monolocale ma non si potrà prendere la residenza».
Gli altri annunci shock
Un altro annuncio riguarda un monolocale da 20 metri quadri a 600 euro al mese, dove però non c’è nemmeno il gas per cucinare. «Solo una piastra elettrica e manca la lavatrice. E sì, è buio e umido come tutti i piani bassi di questa città», dice il proprietario al telefono con Repubblica. Eppure, complice l’assenza di alternative, le richieste non mancano. Per un monolocale di 25 metri quadro a 730 euro al mese ci sono più di dieci visite in un solo giorno.
Il Comune ai cittadini: «Segnalate»
Poi ci sono le zone centrali e ancora più costose. In via Nazaurio Sauro o in via Zamboni, un monolocale da 20 metri quadri va a 1.040 euro al mese. Emily Clancy, vicesindaca di Bologna, assicura di essere al lavoro per far fronte alla crisi abitativa e invita i cittadini a segnalare ogni caso al limite: «I cittadini si rivolgono già all’Urp, allo sportello edilizia, alla Polizia Locale, con una media tra le 200/300 segnalazioni all’anno, di cui circa la metà porta ad un verbale di sanzione o a una segnalazione alla Procura».
(da Open)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE LEGHISTA DELLE RONDE “HA PEDINATO IL SENZATETTO E AVEVA GIA’ DIMOSTRATO OSTILITA’ NEI SUOI CONFRONTI, NON E’ STATA LEGITTIMA DIFESA”
La sera del 21 luglio 2021 in piazza Meardi a Voghera l’ex assessore alla sicurezza della Lega Massimo Adriatici non ha sparato per legittima difesa. Per questo va processato per omicidio volontario. Lo ha deciso la giudice delle indagini preliminari Valentina Nevoso. Contraddicendo la procura e rimandando gli atti al pubblico ministero, che dovrà riformulare l’accusa per la Corte d’Assise. L’ex agente di polizia aveva ucciso con un unico proiettile Younes El Bossettaoui, un vagabondo che aveva l’abitudine di importunare i clienti di bar e locali. E che aveva cominciato anche a litigare con Adriatici. Il quale girava armato per le sue ronde.
Modalità pedinamento
Adriatici ha pedinato Younes per dodici minuti. Poi il cittadino marocchino l’aveva colpito con una manata in viso, provocando la sua caduta a terra. E avanzando contro di lui, come a voler proseguire l’aggressione. E proprio qui il giudice scrive: «Non si vede come Adriatici abbia deciso di mostrare la pistola che sapeva essere carica e senza sicura, se non avendo aderito psicologicamente all’evento nefasto, quantomeno in termini di accettazione del rischio…». Il proiettile di calibro ridotto dell’arma tascabile ha ucciso sul colpo il migrante. Il pm Roberto Valli aveva chiesto una pena di 3 anni e 6 mesi: «Adriatici poteva difendersi con la mano sinistra visto che gli era caduto il telefonino, sparare un colpo in aria a scopo intimidatorio, poteva alla peggio inserire la sicura e usare l’arma come oggetto contundente. Non è vero che aveva come unica scelta quella di sparare».
L’intervento delle forze dell’ordine
Non solo. Adriatici avrebbe anche arbitrariamente ritardato l’intervento delle forze dell’ordine. E nella fase dell’aggressione si era posto volontariamente in una situazione di pericolo. Dalla quale, secondo la giudice, era prevedibile attendersi che sarebbe servita la necessità di difendersi. Poteva allontanarsi o scappare. O gestire diversamente il conflitto, data la sua esperienza. La sua condotta esclude invece «in radice» l’ipotesi della legittima difesa, e rende «persino superfluo l’accertamento dell’istante» dello sparo. Anche se «sarebbe stato più ragionevole attendersi» che Youns venisse colpito alle gambe, perché l’imputato «avrebbe dovuto limitarsi da terra a una flessione del braccio certamente inferiore a quella richiesta per il direzionamento dell’arma all’emitorace».
Il problema di Voghera
Subito dopo aver sparato l’ex assessore delle ronde di Voghera aveva dimostrato di avere un atteggiamento freddo e distaccato. Anche se si è descritto come sotto choc. Ha telefonato agli ex colleghi e all’amico Fabrizio Scabini, ex comandante del commissariato locale. E ha chiesto a un testimone se avesse «osservato la dinamica» dell’aggressione. Non solo. La giudice parla anche diun «substrato sociale di forte ostilità per la vittima». E Adriatici durante il primo interrogatorio ha definito la vittima «il problema di Voghera».
(da Open)
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Novembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
“POI TRUMP BLOCCHERA’ TUTTO”
74 giorni. È il tempo che manca all’inizio ufficiale della seconda era Trump. Stracciata Kamala Harris alle elezioni, il tycoon giurerà e assumerà le funzioni il 20 gennaio 2025. Joe Biden gli ha già telefonato per congratularsi per la sua vittoria e l’ha invitato alla Casa Bianca (l’incontro avverrà «a breve», ha confermato il direttore della campagna di Trump Steven Cheung), da dove oggi pomeriggio parlerà al Paese.
È probabile che l’anziano leader democratico – così come ha fatto la vice sconfitta ieri sera – sottolineerà l’importanza del peaceful transfer of power, una transizione ordinata e costruttiva tra la vecchia e la nuova amministrazione Usa.
Un’implicita ultima nota velenosa contro lo stesso Trump, che quattro anni fa giocò col fuoco del caos e della violenza, invece, dopo la sua sconfitta. La verità però è che dietro la maschera formale del fair play alla Casa Bianca e al Pentagono sono già stati avviati piani d’emergenza per salvare il salvabile dell’eredità Biden, per lo meno su un punto cruciale: quello del sostegno all’Ucraina.
Secondo Politico l’amministrazione dem sta lavorando infatti in queste ore per accelerare l’invio di armi e altri materiali utili all’Ucraina per oltre 6 miliardi di dollari prima che Trump prenda ufficialmente le redini dell’America e chiuda i rubinetti degli aiuti a Kiev, come ha più volte promesso o evocato in campagna elettorale.
I fondi per le armi e la stanchezza Usa
L’importo indicato è quanto resta nel “tesoretto” a disposizione della Casa Bianca dell’ultimo pacchetto di aiuti approvato dal Congresso Usa la scorsa primavera. Di quei 61 miliardi di dollari ne restano da spendere 4,3 per rimborsare il Pentagono per l’invio a Kiev di equipaggiamento militare già disponibile, e 2,1 per finanziare l’acquisto di nuove armi da compagnia del settore americane. Pedale sull’acceleratore, dunque, prima che sia troppo tardi. «È l’unica opzione che abbiamo per permettere all’Ucraina di continuare a resistere agli attacchi russi», hanno detto alla testata Usa due funzionari della Casa Bianca sotto anonimato.
Sondaggi e rilevazioni indicano come Trump abbia vinto in primis per come ha saputo intercettare la frustrazione degli americani – la classe media, gli “ultimi” con bassi livelli d’istruzione, ma pure fette rilevanti delle minoranze – sul terreno dell’economia. La geopolitica non sembra essere stata in cima al pensiero degli elettori mentre deponevano la scheda nell’urna. Ma è un fatto che nel «pacchetto» di risposte alle preoccupazioni economiche degli everyday Americans Trump ha inserito pure un ghiotto boccone legato alla politica estera: lo stop agli aiuti alla “lontana” Kiev. Volodymyr Zelensky è «il più grande venditore di tutti i tempi», lo ha attaccato a giugno dopo l’ennesima visita a Washington conclusa con la promessa di denaro fresco per le difese del suo Paese. Epiteto poi ribadito (anche se quel salesman è per lui un mezzo complimento) più volte nei comizi della campagna. «Sistemerò la cosa prima ancora di prendere funzione alla Casa Bianca da presidente eletto», ha assicurato. Obiettivo proclamato a più riprese di fronte a folle osannanti: riportare la pace tra Russia e Ucraina «in 24 ore» dal ritorno al timone. Già, ma come?
La dottrina Trump e la paura dell’Ucraina
In quei giorni di fine giugno, rivelò Reuters, i suoi consiglieri stavano mettendo a punto il vero piano per tradurre in realtà la promessa di The Donald. Trump, secondo il piano, porrà a Zelensky un aut aut: o accetta di sedersi al tavolo coi russi per mettere fine al conflitto, o gli Usa interromperanno l’invio di armi. A Putin chiederebbe di fermare l’aggressione, in cambio del riconoscimento di fatto dell’annessione dei territori ucraini conquistati dall’inizio della guerra, o di buona parte di essi. Un boccone pesantissimo da digerire per Kiev, che si chiede anche che ne sarebbe – dal giorno dopo – delle garanzie di sicurezza per il suo futuro: resterà nei radar il percorso di adesione alla Nato? E se così non fosse, chi e come assicurerà a Zelensky o ai suoi successori che Mosca non riprenderà l’iniziativa militare, presto o tardi per «completare il lavoro»? Il leader ucraino è stato non a caso tra i primi, ieri mattina, a twittare le sue congratulazioni a Trump per la sua rielezione. «Contiamo sulla continuità di un forte sostegno bipartisan all’Ucraina negli Usa», gli ha ricordato ricoprendolo contestualmente di lodi. Un tentativo se non disperato estremamente ambizioso di convincere Trump a desistere da una linea d’azione fallimentare – non solo per l’Ucraina, ma per gli Usa e l’Occidente intero, secondo questa lettura – prima del fatidico 20 gennaio.
L’ultimo azzardo di Zelensky
Nel frattempo l’amministrazione Biden farà di tutto per far arrivare ancora armi e altre attrezzature vitali. Anche se, confessano le stesse fonti di Politico, c’è il timore che i tempi siano in realtà troppo stretti: una volta date le autorizzazioni ci vogliono mesi prima che le munizioni arrivino effettivamente a Kiev, anche perché il Pentagono deve di volta in volta assicurarsi che per ogni elemento militare inviato all’estero ci siano pezzi di ricambio pronti. Tradotto: Trump potrebbe bloccare i carichi di armi già autorizzati prima che arrivino a Kiev. Sarebbe uno spettacolare inizio di mandato, uno di quei coup de théatre che lui ama molto. «Potrebbe dire “promessa mantenuta”, di certo stopperà (gli aiuti) molto presto», prevede cupo un ex dirigente del Pentagono di fede democratica come Jim Townsend. Sempre che Zelensky non riesca nel frattempo nel “miracolo” di far cambiare idea all’umorale president elect.
(da Open)
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