Novembre 9th, 2024 Riccardo Fucile
VENDITORI COSTRETTI A FARE LE PULIZIE (PURE DEI BAGNI), A LAVORARE IN PIEDI E A SOTTOPORSI AI RAPPORTI DI UN “MISTERY SHOPPER”, UNA SORTA DI CLIENTE-SPIONE INGAGGIATO DALL’AZIENDA PER CONTROLLARE IL LORO OPERATO DURANTE IL LAVORO… UNA EX VENDITRICE DI SALOTTI A FAENZA DOVRÀ ESSERE RISARCITA CON 60 MILA EURO
Dipendenti sferzati continuamente con insulti, prevaricazioni, gogne professionali, minacce di multe e di licenziamenti. Ma anche venditori costretti a fare le pulizie (pure dei bagni), a lavorare in piedi e a sottoporsi ai rapporti di un “mistery shopper”, una sorta di cliente-spione ingaggiato dall’azienda per controllare il loro operato durante il lavoro.
Un quadro di mobbing quello delineato dal giudice del Tribunale di Ravenna Dario Bernardi, costato alla Mobili Dondi srl una condanna a versare ad una sua ex venditrice di salotti del punto vendita di Faenza – una 58enne tutelata dagli avvocati Manuel Carvello e Silvia Dolcini – circa 60mila euro in totale tra le diverse voci.
La srl (avvocato Andrea Pezzi) dovrà inoltre pagare 5.000 euro alla cassa delle ammende per la “gravità dei fatti e della condotta processuale”. Alla lavoratrice – come riportato dal Resto del Carlino – infine l’Inail (avvocato Gianluca Mancini) dovrà pagare circa 20 mila euro per la malattia professionale riportata secondo la consulenza tecnica disposta dal Tribunale: “Disturbo dell’adattamento con sintomi ansioso-depressivi”. L’Inail avrà ora la possibilità di promuovere una azione di rivalsa contro la srl.
“Le condotte – ha scritto il giudice nella sentenza – lesive della dignità, dei rapporti umani e delle regole contrattuali”, hanno riguardato “una pluralità di lavoratori” e “sono provate per tabulas: non è possibile comprendere la strenua resistenza negazionista” del datore di lavoro. La ricorrente era rimasta nelle fila della srl tra il 2008 e il 2021 quando erano state notificate le dimissioni per giusta causa . Nei suoi confronti risultano tre multe da 20 euro irrogate “senza alcun procedimento disciplinare: un comportamento inammissibile”. Inoltre era costretta a “fare le pulizie, bagni compresi”.
E a lavorare in piedi, potendosi sedere al massimo “talvolta sul divano con il cliente all’atto della vendita”. Tra le condotte riportate nella sentenza, spicca quella legata all’uso di un “mistery shopper”, ovvero, come l’ha descritto un teste dell’ex area manager, “un elemento di controllo dell’azienda per verificare il comportamento del lavoratore dall’accoglienza al congedo del cliente”. Non solo, ha proseguito il giudice, una pratica del tutto illegittima: ma i risultati “venivano condivisi con tutti i lavoratori in una ennesima gogna”. Nelle carte agli atti, occupano spazio rilevante le numerose mail del datore con insulti espliciti, minacce di chiusura, fallimento o licenziamento specie in concomitanza con la pandemia da covid19.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2024 Riccardo Fucile
CHI VIENE INTERCETTATO DALLA GUARDIA COSTIERA TUNISINA VIENE ABBANDONATO NEL DESERTO: QUESTE SONO LE CONSEGUENZE DEL LAVORO SPORCO CHE IL GOVERNO MELONI HA APPALTATO ALL’AUTOCRATE DI TUNISI SENZA CHIEDERE GARANZIE PER IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI
Un puntino rosso su una distesa di sabbia è l’unica traccia di loro: 18 persone abbandonate nel deserto dalla polizia tunisina. Sei uomini, otto donne, di cui tre incinte, diversi bambini e due neonati di quattro e due mesi.
“Siamo senz’acqua e senza cibo, abbiamo donne e bambini qui”, urlano al telefono due di loro, durante un difficile collegamento con Fanpage.it. Vengono tutti dalla Sierra Leone e una settimana fa avevano provato a fuggire dalla Tunisia per raggiungere le coste italiane. Lampedusa non è mai stata raggiunta perché la guardia costiera tunisina, finanziata e addestrata dall’Italia, li ha bloccati, catturati, picchiati e riportati indietro a Sfax per poi abbandonarli nel deserto.
“Eravamo in mezzo al mare quando i tunisini sono arrivati, ci hanno fermati, e ci hanno costretti a tornare indietro. Durante il respingimento la guardia costiera ci ha picchiati molto forte, hanno sequestrato i nostri telefoni e i nostri soldi e hanno preso tutto quello che avevamo”, spiega Sebotè, uno dei sei uomini. “Poi ci hanno abbandonati qui, nel deserto, senza niente. Allora abbiamo provato a tornare indietro a Sfax ma ci hanno intercettati di nuovo, picchiati e riportati nel deserto ma ancora più lontano. Abbiamo camminato sei giorni avanti e indietro”.
Adesso si trovano nel nulla tra Tunisia e Algeria, a sei chilometri più o meno di distanza dalla città tunisina di Gafsa, dove non possono andare o verrebbero nuovamente catturati dalla polizia e deportati ancora più lontani. Una pratica, quella delle deportazioni nel deserto da parte della polizia tunisina, divenuta prassi del nuovamente eletto governo Kais Saied. L’accordo con l’Italia e l’Europa, siglato a luglio del 2023 e ampliato con nuovi finanziamenti da parte dell’Italia lo scorso aprile, d’altronde, prevede proprio questo: bloccare le partenza dei migranti subsahariani dalle coste tunisine. Come lo si fa poco importa.
“Come Refugees in Libya nell’ultimo anno abbiamo ricevuto centinaia di migliaia di segnalazioni come queste”, dichiara David Yambio, portavoce dell’organizzazione per i diritti umani dei rifugiati, “riceviamo chiamate di questo genere quotidianamente, nel video che questi rifugiati ci hanno inviato, ci sono bambini e donne con loro nel deserto, dov’è il rispetto dei diritti umani? Questo è ciò che ci chiediamo ogni giorno, consapevoli che quello che accade in Tunisia così come in Libia è responsabilità degli accordi con l’Italia e con i governi europei”, conclude Yambio. Nell’ultimo anno potrebbero essere più di mille le persone morte nel deserto del Sahara, al confine con Tunisia, Algeria e Libia. Persone di cui si non si ha più nessuna traccia.
In quello che è ormai un cimitero di esseri umani, Sebotè e i suoi compagni di viaggio sono ancora vivi. “È dall’altro ieri che chiamiamo l’OIM di Zarzis, ma nessuno è venuto ad aiutarci. Qui fa freddo e i bambini hanno fame, abbiamo bisogno di aiuto, vi prego aiutateci, vi prego salvateci”, prega disperato l’uomo. Poi cade il segnale, si spegne quel precario collegamento reso possibile grazie a un telefono prestatogli da un signore tunisino che vive a pochi chilometri di distanza da dove si trovano i migranti. Lì dove loro non possono andare, dove rischiano di essere intercettati di nuovo dalla polizia tunisina.
(da Fanpage)
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Novembre 9th, 2024 Riccardo Fucile
IL DOSSIER DEI RADICALI SULL’ALTA VELOCITA’: RITARDI MEDI DI 40 MINUTI E PUNTE DI TRE ORE… SU 7.931 TRENI VELOCI BEL 6.159 HANNO ACCUMULATO RITARDI
C’è il Frecciarossa Reggio Calabria – Milano con un ritardo medio di 47 minuti e punte di 199. Mentre il Lecce – Milano ne porta abitualmente 44 e arriva a 160. E poi il Napoli – Torino che ne accumula fino a 196. Un’indagine dell’informatica Chiara Calore diffusa dai Radicali spiega perché l’Alta Velocità in Italia è spesso in ritardo. I numeri si riferiscono all’ottobre 2024. E dicono che su 7.931 treni veloci ben 6.159 hanno accumulato ritardi. Il dossier si chiama “Altra Velocità” e punta il dito su corse e infrastrutture obsolete. Al di là dei chiodi piantati male e dei lavori sui binari. Il ritardo è accumulato dai Frecciarossa (77%), i Frecciargento (83%), i Frecciabianca (78%). Il giorno con maggiori ritardi è il mercoledì. Le ore accumulate di ritardi arrivano a 1.881, dice La Stampa.
Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca
Il dossier analizza i ritardi di Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca. Il ritardo maggiore accumulato durante la settimana è dovuto al carico di pendolari, che cresce con le corse messe a disposizione. Le peggiori corse, dopo quelle citate, sono la Torino – Reggio Calabria, il Bari – Roma, la Venezia – Reggio Calabria e la Milano – Taranto. I singoli episodi fanno spesso pensare che si tratti di eventi eccezionali. Secondo Calore non è così: «La realtà è ben diversa: da questo dossier emerge l’altra velocità sulla linea AV di Trenitalia, un problema di ritardi strutturale e sistematico». Questo perché i disagi per i viaggiatori tendono a crescere con l’aumentare del numero di treni in circolazione. Più traffico, più ritardi e ancora più lunghi del solito.
Più traffico, più ritardi
Il termine giusto è sovraccarico di sistema. «L’analisi del mese di ottobre evidenzia un quadro critico, in cui la maggior parte dei treni AV soffre di ritardi cronici che appaiono ormai come la norma piuttosto che l’eccezione. Con il 78% dei convogli in ritardo e fasce orarie in cui le attese superano regolarmente i 15 minuti, emerge una situazione che va ben oltre l’imprevedibilità dei singoli episodi», è il ragionamento. E proprio l’eccessivo numero di corse fa accumulare ritardo. Che si amplificano «soprattutto nelle ore di punta, quando la rete è congestionata e diventa impossibile rispettare gli orari con la frequenza attuale dei treni. Questa condizione non solo compromette la qualità del servizio, ma espone i viaggiatori a continui disagi».
I cantieri senza colpe
Silvja Manzi, esponente di Europa Radicale, dice al quotidiano: «L’amministratore delegato di Trenitalia Luigi Corradi a inizio anno aveva assicurato che il 70% delle corse arrivava a destinazione in orario. Non potendo far altro che prendere per vere le sue affermazioni, constatiamo che in appena dieci mesi il calcolo si sia letteralmente ribaltato, se non peggio». È meglio avere «tante corse a disposizione dei pendolari, ma che rispettino i tempi. Oggi è evidente che la rete del Paese è sovraccarica. Non regge e così crescono i disagi. Anche perché, come conferma il report sullo scorso ottobre, i disservizi si concentrano proprio durante i giorni feriali, cioè quando la gente prende il treno principalmente per motivi di lavoro».
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2024 Riccardo Fucile
VANNACCI IN UMBRIA SOSTIENE LA CANDIDATURA DELL’EX COMUNISTA OGGI SOVRANISTA FOLCLORISTICO MARCO RIZZO, PECCATO CHE IL CARROCCIO APPOGGI DONATELLA TESEI
Se la lingua italiana nel mondo al contrario ha ancora un senso, la nascita del “movimento politico” fissato per il 23 novembre a Marina di Grosseto è tecnicamente il battesimo del partito di Roberto Vannacci. Ci sarà infatti anche lui al primo convegno nazionale del Mondo al contrario organizzato dal fido colonnello in congedo Fabio Filomeni, incontro che è insomma una sorta di assemblea fondativa.
Appuntamento all’hotel Terme di Leopoldo II, resort termale affacciato sul mare. Il generale sospeso dall’esercito ed eletto al Parlamento europeo come indipendente della Lega da mesi dice e non dice, rifugiandosi nell’ambiguità: sto nella Lega ma senza prenderne la tessera (né contribuendo al Carroccio come fanno tutti gli eletti), non fondo un partito ma do il via libera alla nascita del mio movimento politico.
L’ambiguità diventa massima se si va a vedere l’incontro che Vannacci sta promuovendo per domani a Perugia: logo di Democrazia sovrana e popolare, il micro-agglomerato sovranista guidato da Marco Rizzo, e accanto il logo del Mondo al contrario, presenti Rizzo e Filomeni. Evento che “spero serva a schiarire le idee a chi prossimamente si recherà alle urne in Umbria, la vostra Decima può fare la differenza”, scrive il generale.
Ecco, il punto è che Rizzo è candidato a presidente dell’Umbria, in contrapposizione con la Lega e il centrodestra che invece sostengono Donatella Tesei. Insomma, Vannacci invita i suoi simpatizzanti a votare l’ex comunista Rizzo, oggi convertito alla causa sovranista, filorussa e no vax Come si concili tutto questo con i tappeti rossi che gli sta offrendo Matteo Salvini nel Carroccio rimane ad oggi un mistero per gli stessi altri dirigenti leghisti che mai hanno visto di buon occhio la sua candidatura del giugno scorso.
Di certo l’oltre mezzo milione di preferenze conquistate da Vannacci hanno aiutato Salvini a restare a galla. Ma il generale era già impegnato ad andare oltre
(da La Repubblica)
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Novembre 9th, 2024 Riccardo Fucile
IL GRUPPO, NATO NEL 2012, E’ VICINO ALL’ESTREMA DESTRA DELLO STATO EBRAICO E SONO STATI PROTAGONISTI DI DIVERSI EPISODI DI VIOLENZA NEGLI ULTIMI ANNI
Il Maccabi e l’Hapoel. Il calcio a Tel Aviv vive di una rivalità cittadina che, come spesso accade, sfocia anche nella politica. I tifosi dell’Hapoel sono dichiaratamente progressisti, e portano nella loro curva le immagini di Che Guevara e di Karl Marx, accompagnate da bandiere con la scritta “Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!”.
I fan del Maccabi non hanno una caratterizzazione politica così marcata, ma fanno eccezione i Maccabi Fanatics , gli ultrà che si riconoscono nelle posizioni di Itamar Ben-Gvir, responsabile del dicastero della Sicurezza nazionale e leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit.
I Fanatics sono stati fondati nel 2012, dopo lo scioglimento di Ha-Shachen Ha-12 (Il dodicesimo uomo) gruppo decisamente più moderato. Fin da subito si sono scontrati con i tifosi dell’Hapoel, durante i derby cittadini, e si sono stati protagonisti di manifestazioni di violenza e intolleranza.
Nel 2014 presero di mira un giocatore della loro squadra, il centrocampista arabo-israeliano Maharan Radi, che pure era cresciuto nel Maccabi fin dal settore giovanile, coprendolo di insulti razzisti e di fatto costringendolo a trasferirsi nel 2015 all’Hapoel Be’er Sheva.
Lo scorso 7 marzo, ad Atene, poche ore prima della partita di Conference League tra l’Olympiacos e il Maccabi, gli ultrà israeliani aggredirono selvaggiamente un ragazzo che sventolava una bandiera palestinese.
In rete è ancora possibile trovare il video girato dai testimoni della scena, avvenuta su una scalinata: tanti, con maglie giubbotti neri, contro uno, tra calci, cazzotti e sputi.
Prima della partita con l’Ajax di giovedì, gli ultrà israeliani hanno cantato cori contro gli arabi, strappando e bruciando le bandiere palestinesi incontrate sul loro cammino per le vie di Amsterdam.
Poi, allo stadio, i tifosi nel settore ospiti hanno fischiato e acceso fumogeni durante il minuto di silenzio per le vittime dell’alluvione di Valencia, probabilmente una forma di contestazione contro la Spagna per il suo supporto alla causa palestinese.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2024 Riccardo Fucile
ARRIVATO IN STAZIONE, L’UOMO E’ FUGGITO PERCHE’ NON C’ERANO FORZE DELL’ORDINE A FERMARLO
Una capotreno è stata aggredita ieri sera su un convoglio della linea Milano-Mortara, che stava per arrivare a destinazione. La donna, di 48 anni, è intervenuta per chiedere a un passeggero di spegnere la sigaretta.
Il giovane si è rifiutato, ha risposto in malo modo e ha preso la capotreno a schiaffi. A quel punto dal convoglio la chiamata al 112. I carabinieri sono arrivati in stazione a Mortara ma l’aggressore ormai era riuscito a scendere e a fuggire.
Denunciano i sindacati: nell’ultimo anno si è registrato un preoccupante aumento delle aggressioni al personale di Trenord, con 44 casi denunciati da inizio anno. Lo conferma all’Adnkronos Christian Colmegna, segretario regionale della Fit-Cisl Lombardia. “Stiamo parlando – sottolinea il sindacalista – di episodi che vanno dalle aggressioni fisiche e verbali ai danneggiamenti del materiale ferroviario”.
Per far fronte a questa situazione, Trenord e i sindacati stanno valutando diverse misure. “Si sta ragionando – spiega Colmegna – sull’introduzione di squadre di supporto al capotreno e sull’uso di bodycam, strumenti che potrebbero avere un effetto dissuasivo”.
Il problema, prosegue Colmegna, è che spesso le conseguenze legali per gli aggressori sono minime. “C’è una mancanza di deterrenza immediata: chi viene fermato per un’aggressione viene spesso rilasciato subito, senza misure restrittive efficaci. Questo porta a situazioni paradossali, dove chi denuncia un’aggressione rischia di trovarsi nuovamente faccia a faccia con il suo aggressore, che potrebbe persino ricordarsi del volto o dell’indirizzo di chi lo ha denunciato”.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2024 Riccardo Fucile
IL FRONTE ALLEATO CONCEDEREBBE A MOSCA LA PROMESSA CHE ALMENO PER I PROSSIMI 20 ANNI L’UCRAINA NON ENTRERÀ NELLA NATO…NON È BEN CHIARO INVECE QUALI GARANZIE DOVREBBE RICEVERE L’UCRAINA, CHE IN QUESTO SCENARIO FINIREBBE CORNUTA E MAZZIATA
Sono trascorsi solo tre giorni dalla vittoria elettorale di Donald Trump e già il conflitto russo-ucraino diventa tema incandescente. Trump aveva dichiarato di essere certo di poter terminare la guerra «in 24 ore». Da Mosca Putin apre al dialogo. Non è escluso un loro colloquio diretto a breve. Una mossa che de facto indebolirebbe grandemente la portata del mandato di cattura emesso contro il presidente russo dal Tribunale internazionale dell’Aja e lo riporterebbe al centro dei grandi giochi, dopo quasi tre anni di embargo da parte del campo occidentale.
L’Europa si divide fra le posizioni filorusse di Viktor Orbán e pro ucraine di Emmanuel Macron. L’Ucraina trema. Zelensky mercoledì ha parlato al telefono con Trump. Il presidente ucraino teme di essere scaricato dagli americani, Il piano Trump non è ancora stato reso pubblico. Ma nelle ultime settimane la stampa anglosassone ne ha anticipato alcuni elementi, rivelati per lo più dal vicepresidente James David Vance.
1) Congelare subito la guerra in corso. La Russia si tiene le terre occupate con la forza sia nel 2014-15 che dal 2022. Si tratta di circa il 20 per cento del territorio ucraino e comprende la penisola di Crimea, il Donbass (con le regioni di Lugansk e Donetsk sino a Mariupol), tutta la fascia di territorio lungo il Mare di Azov sino a Kherson e larga parte della regione di Zaporizhzhia. In questo contesto, gli ucraini potrebbero cedere ciò che ancora controllano dal 6 agosto scorso della regione russa di Kursk (circa 500 chilometri quadrati) in cambio di altre zone occupate dai russi.
2) Viene creata una fascia demilitarizzata di circa 1.000 chilometri, che deve ancora essere definita. Potrebbe venire pattugliata da truppe europee: Trump non vuole inviare soldati americani o pagare con fondi Usa. Le spese per questo progetto devono soprattutto essere europee.
3) Il fronte alleato promette a Mosca che almeno per i prossimi 20 anni l’Ucraina non entrerà nella Nato. Non è ben chiaro invece quali garanzie militari dovrebbe ricevere l’Ucraina. In alcune versioni del piano si spiega che la difesa militare della nuova Ucraina «rimpicciolita» dovrebbe essere affidata soltanto agli europei. In altre viene ventilata la possibilità che gli americani possano inviare armi e attrezzature per aiutare a costruire e mantenere solide difese sui nuovi confini.
Zelensky vorrebbe tenere una conferenza di pace internazionale al più presto con la presenza di una delegazione russa, ma sulla base del suo piano di pace in 10 punti così riassumibili.
1) Garantire agli ucraini l’entrata certa a pieno titolo nella Nato entro un lasso di tempo ragionevole dopo la fine della guerra. Nel frattempo, la coalizione occidentale dovrebbe continuare a inviare armi e munizioni per fermare l’aggressione russa, liberare tutte le terre occupate e convincere Putin che non può sperare in alcuna vittoria militare. Gli alleati dovrebbero inoltre fornire missili a lunga gittata e aerei con il permesso di potere colpire le basi nel profondo della Russia. «I russi possono essere convinti alla pace soltanto con la forza», è la formula di Kiev.
2) L’Ucraina ha il diritto di tornare a controllare tutti i suoi confini che sono quelli definiti al momento della sua indipendenza dopo l’implosione dell’Unione Sovietica nel 1991. Dunque, la Russia deve ritirarsi da tutti i territori occupati, comprese la Crimea e le zone del Donbass prese dai separatisti nel 2014.
3) Mosca deve pagare i risarcimenti per i danni provocati dalla guerra e rendere conto dei crimini di guerra.
Putin ha più volte ribadito la sua convinzione per cui non esiste una nazione ucraina indipendente dal Rusky Mir. A suo dire neppure Zelensky è un presidente legittimo: il suo «regime va denazificato» e oltretutto il suo mandato è scaduto in primavera. Putin pone come condizione imprescindibile l’accettazione della sua piena sovranità sulle zone prese nel 2014-15, e delle quattro regioni ucraine di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson occupate nel 2022. Secondo il Cremlino l’Ucraina va demilitarizzata, deve diventare uno Stato neutrale e non potrà mai entrare nella Nato.
(da il Corriere della Sera)
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Novembre 9th, 2024 Riccardo Fucile
IL POLITICO DEL PARTITO POPOLARE (ALLEATO CON L’ESTREMA DESTRA DI VOX) È SOTTO ACCUSA PER I RITARDI NEL LANCIARE L’ALLARME ALLA POPOLAZIONE E PER LA CAOTICA GESTIONE DELL’EMERGENZA
Decine di migliaia di persone sono scese in piazza oggi a Valencia per protestare contro la cattiva gestione della ‘Dana’ che si è abbattuta il 29 ottobre sulla regione e delle alluvioni che ne sono conseguite, chiedendo le dimissioni del governatore della Comunità Valenziana, Carlos Mazòn.
La protesta, convocata da una cinquantina di enti e organizzazioni sociali, si svolge in maniera pacifica. Decine di cartelli dei manifestanti attiribuiscono al presidente della regione, Carlos Mazon, del Partito Popolare (alleato con l’estrema destra di Vox), la responsabilità della mala gestione delle alluvioni, prima per i ritardi nel lanciare l’allarme alla popolazione e poi per la caotica gestione dell’emergenza.
La marcia si è svolta inizialmente in silenzio per decisione dei promotori, in memoria delle vittime dell’alluvione, poi dal corteo si sono levati slogan contro Mazon. A margine della protesta sono state portate decine di paia di scarpe sporche di fango davanti alla sede del governo della Regione.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2024 Riccardo Fucile
“EL PAÌS” RIVELA CHE NELLE ORE PRECEDENTI ALLE INONDAZIONI, CHE HANNO PROVOCATO ALMENO 223 MORTI E 78 DISPERSI, MAZÒN ERA A PRANZO CON UNA GIORNALISTA ED È ARRIVATO CON OLTRE UN’ORA DI RITARDO ALLA RIUNIONE DEL CENTRO EMERGENZE
Non solo il video con le imbarazzanti dichiarazioni sui tempi del passaggio della Dana su Valencia – prima pubblicato poi cancellato dai social – il governatore della Regione autonoma Carlos Mazón è finito al centro di una nuova polemica dopo che El País ha pubblicato un report secondo il quale il 29 ottobre – giorno del passaggio dell’uragano mortale – l’esponente del Partido Popular (alleato con l’estrema destra di Vox) avrebbe trascorso un lungo pranzo con una giornalista, finendo per arrivare tardi alla riunione del centro emergenze.
Mentre i fiumi del dipartimento stavano per esondare, gonfiati dalla violenza della pioggia caduta in poche ore sulla zona, portandosi via abitazioni, automobili e persone – almeno 223 vittime, di cui 48 ancora non identificate, mentre i dispersi sono 78 – Mazón mangiava nel centrale ristorante di Valencia El Ventorro. La conferma è arrivata al quotidiano spagnolo dal ristoratore Alfredo Romero che ha individuato l’orario di fine del pasto intorno alle 18 e 30.
Il governatore sarebbe tornato nella sede della Regione alle 18 inoltrate e si sarebbe presentato al Centro di coordinamento operativo (Cecopi) con oltre un’ora di ritardo considerato che la riunione – secondo la radio Cadena Ser – era stata convocata per le 17.
“Irrilevanti” per alcune fonti del governo valenciano le attività e le compagnie del governatore nel giorno della Dana, dato che in carica della gestione in quel momento era la consigliera della Giustizia e responsabile delle emergenze Salomé Pradas. Ma anche sull’operato di quest’ultima sono emerse le prime perplessità: nelle ore precedenti le piogge, la delegata del governo nella Comunità Valenciana, la prefetta Pilar Barnabé, l’avrebbe chiamata almeno tre volte per offrire mezzi e aiuti senza ricevere alcuna risposta.
Continuano le manifestazioni per chiedere le dimissioni del presidente della Generalitat. L’ultima si è tenuta ieri a Barcellona davanti alla sede del Partido Popular (Pp) dove si sono radunate decine di persone con cartelloni dalle scritte “Mazón criminale”, “Mazón dimissioni”, “Mazón, la tua incompetenza è la nostra penitenza”. In programma per sabato nuovi raduni: a Valencia una ventina di associazioni civiche e sindacali si ritroveranno per “denunciare l’inazione del governo locale” di fronte all’emergenza provocata dalla Dana e chiedere le dimissioni del governatore mentre a Madrid è prevista una concentrazione a Puerta del Sol.
(da agenzie)
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