Novembre 13th, 2024 Riccardo Fucile
IL PIDDINO RICCI: “BASTA VITTIMISMO: IL PROBLEMA SIETE VOI, NON IL POVERO FITTO”
“Meloni, basta vittimismo: Il problema siete voi, non il povero Fitto”. Lo scrive sui social, Matteo Ricci, europarlamentare Pd, che replica al post su X della Presidente del Consiglio, in merito alla posizione del gruppo S&D sulla nomina a vicepresidente della Commissione Ue di Raffaele Fitto.
“Cara Meloni, – afferma Ricci – basta vittimismo da quattro soldi. Il tuo partito in Europa ha votato contro il programma di governo europeista. Siete contro la transizione ecologica, contro il piano Draghi, contro un’Europa più forte e unita. Il problema siete voi, – conclude l’europarlamentare dem – non il povero Fitto”.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2024 Riccardo Fucile
SAPERE L’INGLESE NON È OBBLIGATORIO, TUTT’ALTRO. MA PARLARLO SENZA SAPERLO È RIDICOLO. PERÒ NON È PER QUESTO CHE RAFFAELE FITTO HA FATTO UNA FIGURA BARBINA. IL CONTENUTO DELLE SUE RISPOSTE ERA MOLTO PEGGIO DELLA FORMA”
Sapere l’inglese non è obbligatorio, tutt’altro. Ma parlarlo senza saperlo, magari scrivendosi a matita la pronuncia in italiano sopra il testo, è ridicolo. Però non è per questo che Raffaele Fitto, aspirante commissario alla Coesione e Riforme e vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, ha fatto una figura barbina e l’ha fatta fare all’Italia all’Europarlamento (peraltro abituato alle performance di altri poliglotti, tipo Renzi).
Il contenuto delle sue risposte era molto peggio della forma. A un certo punto ha dovuto spiegare l’inspiegabile: come può uno di FdI, che sul Pnrr si astenne a Bruxelles e a Roma dicendone peste e corna, aver fatto per due anni il ministro del Pnrr e ora assumerne la delega Ue?
Alla domanda ha risposto comprensibilmente in italiano, l’unica lingua al mondo che consente la supercazzola, spiegando che il Nì ai 209 miliardi di fondi al suo Paese piegato e piagato dal Covid era un mezzo Sì, come quello dei fidanzatini che fanno i ritrosetti per accrescere il desiderio: “In quella fase avevamo perplessità e dubbi. L’astensione era una posizione di attesa. Posso dire che l’esperienza che ho avuto da ministro del Pnrr mi porta a dire che è un’esperienza positiva e quindi quella astensione sarebbe un voto favorevole”.
Traduzione: quando nel 2020 c’era da votare su un successo di Conte, dovevamo dire che era una porcata; ma ora che i soldi li distribuiamo noi e grazie alla smemoratezza generale possiamo prendercene il merito, diciamo che è una figata.
Ce ne sarebbe abbastanza per rimpatriare col foglio di via questo free-climber della logica e del pudore, come già accadde a Buttiglione.
Se le istituzioni e i fondi pubblici non sono di tutti gli italiani, ma proprietà private della premier, anche Fitto è roba sua: quindi bocciarlo non sarebbe uno sgarbo all’Italia, ma solo alla Meloni.
Marco Travaglio
per “il Fatto quotidiano”
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Novembre 13th, 2024 Riccardo Fucile
PREVISTA “LA DETRAZIONE DI ANZIANITÀ E IL DIMEZZAMENTO DELLO STIPENDIO” – LA MISURA DISCIPLINARE ERA SCATTATA SU SOLLECITAZIONE DEL MINISTRO DELLA DIFESA, GUIDO CROSETTO: CON IL SUO LIBRO “IL MONDO AL CONTRARIO”, VANNACCI HA LESO IL PRINCIPIO DI IMPARZIALITÀ DELLE FORZE ARMATE
Via libera alla sospensione per undici mesi del generale (ed eurodeputato della Lega) Roberto Vannacci. Il Tar del Lazio ha respinto la richiesta di sospensiva alla misura stabilita dai vertici dell’esercito nei mesi scorsi. Provvedimento che porta con sé «la detrazione di anzianità e il dimezzamento dello stipendio». Si tratta di una misura disciplinare attivata in seguito all’istruttoria avviata nei confronti del generale su sollecitazione del ministro della Difesa, Guido Crosetto.
In sostanza secondo i vertici dell’esercito l’ufficiale avrebbe leso il principio di imparzialità delle forze armate con il suo testo «Il mondo al contrario». Un libro che denota «carenza del senso di responsabilità» e «lesione al principio di neutralità/terzietà della Forza Armata».
Per i contenuti espressi in quella pubblicazione Vannacci è finito sotto inchiesta da parte del pm Erminio Amelio il quale dovrà decidere se il generale sia incorso a meno nell’istigazione all’odio razziale.
(da Corriere della Sera)
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Novembre 13th, 2024 Riccardo Fucile
UN ITALIANO SU DIECI NON CE LA FA A METTERE INSIEME IL PRANZO CON LA CENA E SI ASSISTE A UN’AVANZATA SILENZIOSA DELLA POVERTÀ ANCHE AL NORD… E IL GOVERNO CHE FA? NON SOLO ABOLISCE IL REDDITO DI CITTADINANZA, GENERANDO 331MILA FAMIGLIE “ESODATE”, MA LASCIA SENZA SUSSIDIO IL 40% DEI BISOGNOSI PROPRIO AL NORD
L’Italia è un Paese per poveri. E, a sorpresa, il Nord sorpassa il Sud: quasi un milione di famiglie in povertà assoluta, il doppio di dieci anni fa. Anche se il Sud vince per incidenza, cioè la percentuale dei poveri sul totale: 12% contro l’8,9% del Nord. Se questo è il quadro, da record storico, come certifica Istat – un italiano su dieci non ce la fa a mettere insieme il pranzo con la cena – il governo Meloni non solo abolisce il Reddito di cittadinanza, generando 331 mila famiglie “esodate”. Ma lascia senza sussidio il 40% dei bisognosi proprio al Nord, il territorio dove la povertà, nel silenzio generale, avanza senza remore.
Numeri chiari. Messi in fila dalla Caritas nel suo 28esimo Rapporto sulla povertà, intitolato “Fili d’erba nelle crepe. […] L’anno scorso la rete Caritas – fatta di 3.124 Centri di ascolto in 206 diocesi – ha incontrato e supportato quasi 270 mila persone, il 12% delle famiglie in povertà assoluta, in crescita del 5,4% sul 2022.
2015 ad oggi, il numero di persone sostenute da Caritas è balzato del 41,6%. Con un «peggioramento della vulnerabilità al Nord», lo stesso segnalato da Istat.
I record non si contano. Preoccupa quello dei minori (un milione e 295 mila bambini poveri in Italia). E dei lavoratori poveri: l’8% degli occupati è povero, il 16,5% tra gli operai, il 21% tra i disoccupati.
Tanti anziani soli. Sempre più senza fissa dimora. Ai poveri viene «negato il diritto di aspirare», di sognare un futuro diverso, un destino migliore. Tre focus della Caritas richiamano sulle non risposte al dramma in atto. L’assenza di una politica per la casa (un milione e mezzo di famiglie vive in abitazioni fatiscenti). L’assenza di un’alternativa al carcere (10 mila “esuberi” nei penitenziari sovraffollati).
Il passaggio brutale da una misura universale di sostegno, come il Reddito di cittadinanza, a due misure fatte per “categorie” (occupabili e non), come l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro.
Nessuna delle due funziona, osserva Caritas. Le famiglie che ricevano il Reddito sono state dimezzate (da 1,4 milioni a 700 mila). L’Adi ha requisiti più stringenti e molta più burocrazia («Iter di accesso complesso e vincolante»), al punto che i centri Caritas fanno da supplenza.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2024 Riccardo Fucile
IL GRUPPO S&D PROPONE DI VOTARE PRIMA I CANDIDATI VICEPRESIDENTI DI PPE, SOCIALISTI E RENEW, CHE FANNO PARTE DELLA “MAGGIORANZA URSULA” (A DIFFERENZA DEL GRUPPO ECR, DI CUI È MEMBRO FRATELLI D’ITALIA), LASCIANDO PER ULTIMO FITTO: COSÌ SI NEUTRALIZZEREBBE IL POTERE DI VETO DEL PPE SUI CANDIDATI DI SINISTRA E MACRONIANI … IL FRANCESE GLUCKSMANN: “UNA LINEA ROSSA È UNA LINEA ROSSA, E QUESTO VALE PER LE ALLEANZE CON L’ESTREMA DESTRA”
“Si votino prima i 5 candidati vicepresidenti di Ppe, Socialisti e Renew, poi si parlerà della nomina di Raffaele Fitto”: è questa, a quanto si apprende da diverse fonti parlamentari socialiste, la linea con la quale il gruppo S&D si è presentato all’incontro con la presidente della Commissione Ue assieme ai leader del Ppe e di Renew.
I Socialisti, come anche i Liberali, chiedono una revisione al ribasso delle deleghe del candidato commissario ungherese Oliver Varhelyi.
“Una linea rossa è una linea rossa, e questo vale anche per le alleanze con l’estrema destra”. Lo ha detto l’eurodeputato socialista francese Raphael Glucksmann uscendo dalla riunione di gruppo dei socialisti a Bruxelles. “Parlo esattamente di questo”, ha continuato Glucksmann rispondendo alla domanda se questo valesse anche per la vicepresidenza esecutiva della Commissione a Fitto.
L’accordo tra Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi sulle audizioni dei nuovi commissari è saltato “lunedì sera”, quando i Socialisti hanno detto a Manfred Weber, numero uno del Ppe, che Raffaele Fitto e Oliver Varhelyi, il candidato ungherese, loro non li avrebbero votati. Lo spiegano fonti parlamentari a Bruxelles.
A quel punto, Weber avrebbe deciso di mettere in stand-by anche la nomina di Teresa Ribera, la candidata spagnola alla vicepresidenza, che deve ancora essere ascoltata dalle Cortes sulle alluvioni che hanno devastato la provincia di Valencia, che pure è governata dal Partido Popular.
Per il Ppe, “è importante che i commissari non abbiano ombre” per via del loro operato in patria, quindi il passaggio di Ribera nel Parlamento spagnolo viene considerato importante. Ai Popolari i Conservatori in Parlamento servono, perché hanno bisogno di una sponda per poter temperare i testi del Green Deal
Per i Popolari, prendersi sulle spalle la responsabilità di votare per Fitto e per Varhelyi insieme alle destre, secondo questa versione, avrebbe consegnato nelle mani dei Socialisti un formidabile argomento polemico. Nella riunione di gruppo di oggi alcuni coordinatori Ppe nelle commissioni, in particolare tedeschi, avrebbero espresso qualche perplessità sulla linea tenuta da Weber, perché temono che questo stallo possa mettere a rischio l’insediamento della nuova Commissione.
“I giochi politici irresponsabili e miopi del Ppe mettono in pericolo l’alleanza democratica di questa Assemblea. Il Ppe, volendo disperatamente formare alleanze senza scrupoli con l’estrema destra, mina il processo democratico di valutazione delle competenze dei candidati commissari. La loro politica da quattro soldi e le loro manovre oscure stanno creando una destabilizzazione dannosa nelle istituzioni dell’Ue in un momento in cui il contesto internazionale e’ diventato sempre piu’ ostile all’integrazione europea”. Lo afferma la co-presidente del gruppo dei Verdi al Parlamento europeo, Terry Reintke, in una nota. “Parti rilevanti del Ppe sono diventate totalmente inaffidabili e divisive.
Questo atteggiamento contrasta fortemente con la nostra posizione, che e’ stata chiara fin dall’inizio a tutti gli attori: il portafoglio del commissario Varhelyi deve essere riorganizzato e la vicepresidenza esecutiva deve essere ritirata da Fitto”, aggiunge Reintke. “La maggioranza democratica pro-europea e’ stata messa in pericolo dalla sconsiderata insistenza del Ppe nel sostenere un candidato di estrema destra che non e’ adatto a diventare vicepresidente esecutivo.
Raffaele Fitto ha chiaramente dimostrato di non sostenere i valori dell’Unione europea e, nel corso della sua audizione, ha mostrato una completa mancanza di competenza e di interesse per gli argomenti trattati nel suo portafoglio”, sostiene Bas Eickhout, co-presidente del gruppo.
“Sin dall’inizio di questo nuovo mandato, noi del gruppo dei Verdi abbiamo espresso il desiderio di partecipare a una maggioranza democratica costruttiva. Votando per la rielezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione, abbiamo permesso che fosse eletta da una maggioranza europeista radicata nei valori democratici. Invitiamo tutti i gruppi democratici a tornare al tavolo dei negoziati e a trovare un compromesso che garantisca la possibilita’ di mettere in moto la Commissione”, conclude Eickhout.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2024 Riccardo Fucile
IL GIORNALE DENUNCIA “I CONTENUTI SPESSO INQUIETANTI” CHE VENGONO DIFFUSI SULLA PIATTAFORMA… ANCHE ELIO E LE STORIE TESTE ABBANDONANO IL SOCIAL: “ORMAI È SIMILE A UNA CLOACA, MUSK È UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA”
Il Guardian, storica testata della sinistra britannica, ha annunciato che non pubblicherà più contenuti su X, il social di proprietà di Elon Musk. In un messaggio rivolto ai lettori, il giornale – che conta più di 80 account e circa 27 milioni di follower – ha spiegato che i vantaggi di essere sulla piattaforma sono superati dagli aspetti negativi, citando i “contenuti spesso inquietanti” che vengono diffusi.
“È qualcosa che stavamo prendendo in considerazione da un po’ di tempo, dati i contenuti spesso inquietanti promossi o trovati sulla piattaforma, tra cui teorie cospirative di estrema destra e razzismo”, ha affermato il Guardian, precisando che la campagna elettorale statunitense è “servita solo a sottolineare ciò che ritenevamo da molto tempo: che X è una piattaforma mediatica tossica e che il suo proprietario, Elon Musk, è stato in grado di usare la sua influenza per plasmare il discorso politico”. “Sono una laboriosamente vile macchina di propaganda”, ha replicato Musk.
Nuovo addio a X nel mondo della musica dopo le parole di Elon Musk. “Abbiamo deciso di chiudere il nostro profilo su X, ormai sempre più simile a una cloaca – si legge sul profilo di Elio e Le Storie Tese -. Riteniamo Elon Musk un pericolo per la democrazia e la libertà e non abbiamo intenzione di continuare a far parte di una piattaforma di cui è proprietario e che utilizza spudoratamente per la sua orribile propaganda. Ringraziamo tutti coloro che ci hanno seguito negli anni: ce ne andiamo e vi invitiamo a fare lo stesso. Potrete continuare a trovarci sul nostro sito e sugli altri social”.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2024 Riccardo Fucile
LO SCORSO 5 NOVEMBRE, DOPO ALCUNI MINUTI DI UTILIZZO IL SISTEMA È COLLASSATO E HA PERSO IL DOCUMENTO SIN LÌ FORMATO… NELL’APPLICAZIONE MANCANO CONVALIDE DI ARRESTI, DECRETI PENALI, PATTEGGIAMENTI
Fallisce per il secondo anno consecutivo il ministero della Giustizia nel predisporre l’applicativo che dall’1 gennaio 2025 (dopo proroga in extremis nel 2024) dovrebbe attuare l’obbligatorietà (per legge del 2023) del telematico per tutto il penale.
Il 5 novembre il dicastero di Carlo Nordio è stato messo dal Csm di fronte agli esiti concreti: dopo alcuni minuti di utilizzo il sistema collassa e perde il documento sin lì formato; nell’app mancano convalide di arresti, decreti penali, patteggiamenti; il pm scrive un atto ma l’“esistenza” è subordinata alla validazione dell’utente “segreteria”.
Specifiche tecniche del ministero agli avvocati, per il deposito telematico diretto dal 30 settembre di qualunque atto nel fascicolo del pm, fanno impazzire le cancellerie perché il sistema non verifica la coerenza tra titolo e atto, accetta depositi fatti nell’ufficio sbagliato (ignaro quello giusto), non tiene scadenze, non rileva urgenze.
Istruttivo esempio di come la tecnica, mai neutra, surrettiziamente condizioni l’esercizio della giurisdizione.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2024 Riccardo Fucile
MA GRILLO POTREBBE RICHIEDERE LA RIPETIZIONE DI ALCUNE VOTAZIONI. NEL CASO DI UN SECONDO GIRO DI CONSULTAZIONI, IL RAGGIUNGIMENTO DEL QUORUM DELLA METÀ PIÙ UNO DEGLI ISCRITTI SAREBBE UNO SCOGLIO NON DA POCO: GRILLO POTREBBE INVITARE ALL’ASTENSIONE
Un Consiglio nazionale lunghissimo, terminato a tarda notte, non è riuscito a definire i dettagli di un lavoro complesso e delicato. Sul tavolo del più alto organo pentastellato, i quesiti che saranno messi ai voti degli iscritti per rilanciare il M5s. Per la stesura definitiva bisognerà attendere ancora 48 ore.
I vertici sono impegnati sulle limature, ma la sostanza c’è. L’Assemblea costituente di fine novembre voterà, sul ruolo del garante, sul limite dei mandati e sulle alleanze. Così come sul simbolo e sul nome del Movimento che verrà. Nessun referendum, invece, sulla leadership del presidente Giuseppe Conte. Mentre prendono forma i contorni delle operazioni di voto.
Consultazione in rete aperta già dal 21 novembre, due giorni prima dell’inizio di ‘Nova’, l’evento culmine della Costituente fissato al Palazzo dei Congressi dal 23 al 24. Voto online fino al primo pomeriggio di domenica, poi la comunicazione dell’esito in chiusura della kermesse. Intanto, sono ore di intenso lavoro e febbrile attesa nelle fila del Movimento. Il lavoro sui quesiti non è tra i più facili. E le lunghe ore di discussione al Consiglio nazionale lo dimostrano. La pubblicazione era attesa per oggi, ma si dovrà ancora aspettare.
“La stesura segue pedissequamente il report di Avventura Urbana che tira le fila del processo costituente”, si tiene a precisare da Campo Marzio. E sono tanti, forse troppi, gli spunti emersi nei gruppi di lavoro e sintetizzati nel report. La sfida è quella di condensare una mole di differenti proposte in quesiti chiari ed equilibrati. La tendenza, emersa nel Consiglio, sarebbe quella di una modalità ibrida tra quesiti referendari e quesiti con opzione di scelta. E questo vale per la modifica del nome e del simbolo, per l’intricata revisione del limite dei due mandati e per il nodo delle alleanze.
L’esempio più discusso in Transatlantico, però, è quello relativo al ruolo di Beppe Grillo. A una domanda secca, come potrebbe essere “vuoi eliminare il ruolo del garante?”, l’iscritto si troverebbe di fronte a un bivio: “sì” o “no”. Nel caso di una risposta negativa, si aprirebbe una sorta di menù a tendina con altre proposte tra cui scegliere. Sempre tra quelle emerse durante il confronto deliberativo: e si va dal convertire la figura in un ruolo a tempo determinato al trasformarla in una carica onorifica.
Al di là della procedura, una cosa è certa: i poteri di Beppe Grillo usciranno ridimensionati dalla consultazione, se non definitivamente cancellati. Non a caso, ora, i fari sono tutti puntati sulle possibili reazioni del garante. A cominciare da un suo possibile intervento infuocato in Assemblea, dopo mesi di guerra aperta con il presidente. Nessuno lo esclude, molti si aspettano la sorpresa. E c’è chi, come Pasquale Tridico, auspica un viaggio di Grillo a Roma per la Costituente. Ma non finisce qui. Tra i corridoi della Camera, comincia a consolidarsi l’ipotesi che l’Assemblea rischi di non chiudere il nodo Grillo. Molti sottolineano come il garante possa sempre richiedere la ripetizione di alcune votazioni
E, nel caso di un secondo giro di consultazioni, ipotesi già di per sé dirompente, il raggiungimento del quorum della metà più uno degli iscritti sarebbe uno scoglio non da poco. Sul quale Grillo potrebbe giocarsi la carta dell’invito all’astensione. I timori ci sono. Dopo un Consiglio in cui non sono mancati momenti di acceso confronto, con alcuni consiglieri equidistanti tra Conte e Grillo e qualcuno critico sulla strategia, il presidente si prepara a serrare le fila.
Riunisce i gruppi, anche per frenare qualche malumore tra parlamentari che si sono sentiti esclusi dal processo Costituente. Ed è pronto a parlare alla sua comunità, con l’intenzione di lanciare due ulteriori momenti di dibattito online prima dell’Assemblea. Un modo per mobilitare la base, ma anche il consenso. Intanto, sono oltre 2000 le registrazioni arrivate per ‘Nova’
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2024 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DI MILENA GABANELLI SUL CORRIERE DELLA SERA
Era il 1973 quando l’economista-filosofo Ernst Friedrich Schumacher scrisse «Piccolo è bello». Nella sua analisi suggeriva di suddividere le grandi imprese in più virtuose micro-strutture, anche perché i grandi gruppi traggono benefici dalle infrastrutture create con spesa pubblica, ma a vantaggio di pochi. Da allora il mondo è cambiato ma se, per esempio, parliamo dei piccoli aeroporti italiani, basta guardare i loro bilanci per vedere che spesso vengono tenuti in piedi succhiando denaro pubblico più per interesse politico o di qualche lobby che per le reali ricadute sulla comunità locale.
La linea rossa
In Italia abbiamo 41 scali commerciali gestiti da una trentina di società diverse, che nella maggioranza dei casi rappresentano un mix di pubblico e privato. Un report commissionato da Aci Europe e Assaeroporti e trasmesso a settembre 2024 alla Commissione europea, mostra la relazione tra la dimensioni degli aeroporti e la loro capacità di realizzare profitti e di avere solidità finanziaria: nel 2023 sono transitati dai nostri scali 197 milioni di passeggeri complessivi, ma il 76% si sono concentrati nei 10 aeroporti più grandi. Per farsi un’idea, Roma-Fiumicino da solo muove oltre 40 milioni di persone, Milano-Malpensa 26, Bergamo 15 milioni, Napoli 12, Venezia 11. Agli altri,restano le briciole e questo mette in seria discussione la loro stabilità. La linea rossa di sopravvivenza – si legge nel report – si posiziona sul milione di passeggeri. E se si scende a meno di 500mila, senza l’aiuto dello Stato è pressoché impossibile stare in piedi.
La regola: fare sistema
Chi conosce bene i conti è il presidente Assaeroporti Carlo Borgomeo: «Se i piccoli aeroporti italiani non vogliono integrarsi con i grandi, non ce la possono fare: si faranno la guerra e moriranno tutti. A meno che la comunità decida che avere quello scalo è proprio indispensabile, ma allora dovrà prepararsi a pagare l’ira di Dio». Che le cose stiano in questi termini, lo sanno bene i gestori che ogni anno si svenano per tenere in vita i piccoli scali. L’alternativa alla chiusura è quella di fare squadra creando sistemi regionali dove gli aeroporti maggiori fanno da stampella agli altri. Aeroporti di Puglia, ad esempio, gestisce Bari (decimo scalo d’Italia con 6,4 milioni di passeggeri) e Brindisi (oltre 3 milioni), ma anche i piccoli di Foggia (48.900) e Taranto (1.080) . A Nordest invece c’è la società Save che gestisce il «Marco Polo» di Venezia (11 milioni) e Treviso, (3 milioni) ma controlla anche Verona (3,4 milioni di passeggeri) e Brescia (8.831).Se poi vogliamo prendere come parametro un modello economicamente più redditizio bisogna guardare alla Spagna, dove un’unica società statale controlla quasi tutti gli aeroporti, registrando utili per 2 miliardi l’anno.
I piccoli aeroporti di provincia
Dei 18 aeroporti italiani sotto il milione di passeggeri, il professor Ugo Arrigo del Centro di ricerca di economia industriale e pubblica (Cesisp) dell’Università Bicocca, ne individua 8 che non fanno sistema e la cui tenuta, sulla base dei bilanci degli ultimi dieci anni, è a rischio. Fra questi, Trieste, Pescara, Perugia e Rimini: alternano conti in rosso ad annate in leggero utile. Sono tutti sopra al mezzo milione di passeggeri l’anno, tranne Rimini che infatti nel 2013 era perfino fallito, salvo poi risorgere e tentare il rilancio. Si può aggiungere Trapani, che fino al 2022 perdeva -2,3 milioni di euro con 890mila passeggeri, ma nel 2023 ha portato i viaggiatori a quota 1,3 milioni tornando così in utile. «Questi aeroporti – spiega Arrigo – con una gestione oculata, anche senza il ricorso ad aiuti pubblici possono sperare di raggiungere un equilibrio e arrivare quindi all’autosufficienza». Gli scali da bollino rosso sono invece Ancona, Forlì, Parma e Cuneo: tutti da mezzo milione di passeggeri in giù, e tutti stabilmente in perdita. «Sono gli aeroporti più problematici, ai quali servono continue iniezioni di liquidità. Non significa che vadano per forza chiusi, ma senza un vero piano di rilancio o un’alleanza con altri aeroporti, probabilmente sono condannati a non essere in grado di mantenersi da soli».
L’esempio di Parma
Per capire cosa significhi tenere in vita un piccolo aeroporto, prendiamo il «Giuseppe Verdi» di Parma. L’hanno definito «un morto che cammina»: 134mila passeggeri, bilanci disastrosi. A volerlo sono stati i grandi industriali come i Barilla, i Pizzarotti (che tuttora detengono quote) e Calisto Tanzi. A gestirlo è Sogeap: fin dalla nascita con maggioranza ai privati e il resto ai soci pubblici a cominciare da Comune, Provincia e Camera di commercio di Parma, che difendono con i denti lo scalo cittadino, sebbene a un tiro di schioppo ci siano gli aeroporti di Bologna e Linate. Un mix di orgoglio e campanilismo. Nel 2006 la Regione Emilia Romagna – che all’epoca partecipa alla gestione di Bologna, Forlì e Rimini – propone a Sogeap di entrare con una quota per costruire una Rete Regionale che garantisca a tutti una fetta di mercato. La risposta dei soci: «Un aeroporto e una città come Parma non possono fare accordi con Bologna, abbiamo già avviato trattative con Milano e Roma, ritenute più in linea con le nostre ambizioni». Alla fine non viene fatta alcuna alleanza e oggi, in un esposto presentato in procura a Parma dall’avvocato Veronica Dini, si analizzano 82 milioni di perdite degli ultimi 31 anni. Tutti in rosso tranne uno, quello del 2018. Il caso vuole che proprio quell’anno Enac versi 1,2 milioni relativi a un vecchio contenzioso, mentre altri 1,7 milioni di debiti vengano dichiarati prescritti. Senza quell’intervento Sogeap avrebbe perso la concessione. Resta il fatto che tenere in vita lo scalo costa a soci pubblici, Enac e ministeri oltre 65 milioni di euro
L’affaire Gazzetta di Parma
Quando il passo è più lungo della gamba c’è sempre qualcuno che paga il prezzo. Nel 2019 Sogeap perde il suo maggior azionista, Meinl Bank, che Oltreoceano finisce in un’inchiesta per riciclaggio. A tappare il buco interviene l’Unione Parmense degli Industriali (Upi) con 8,5 milioni. Upi però controlla anche la Gazzetta di Parma e, poco dopo, circa la stessa somma viene tolta dal capitale sociale dello storico giornale della città. Da una parte quindi si salva l’aeroporto, dall’altra – osserva «con sgomento» il comitato di redazione del quotidiano – la Gazzetta di Parma è costretta a chiedere al ministero lo stato di crisi con avvio del piano di prepensionamenti e cassa integrazione. A carico della spesa pubblica.
I 12 milioni per i cargo
In quegli anni entra nel vivo il Piano di rilancio che punta a trasformare l’aeroporto in uno scalo di riferimento per il trasporto merci. Per farlo – spiega Sogeap – occorre prima allungare la pista e creare un hub logistico: progetto da 20,8 milioni. La Regione ci crede e ne mette 12, presi dal Fondo Sviluppo e Coesione. Iniziano gli espropri e Sogeap prevede che, terminati i lavori nel 2025, entro un paio d’anni i conti saranno finalmente in attivo. Merito delle 53mila tonnellate di merci l’anno che gireranno sullo scalo? Non esattamente. Il24 luglio 2023 il presidente di Sogeap, Guido Dalla Rosa Prati, convocato in Comune dice: «Il trasporto merci è stata una scusa che ho utilizzato per portare a casa i 12 milioni. Ma qui parliamo di trasporto passeggeri…». A giugno 2024 la canadese Centerline Airport Partners si prende il 51% di Sogeap e conferma che a loro le merci interessano poco, ma vogliono arrivare «a 700mila passeggeri entro 5 anni». Prima però serve un nuovo aumento di capitale da circa 6 milioni: Comune e Provincia non parteciperanno perché la legge vieta agli enti pubblici di investire in società partecipate stabilmente in perdita. E allora qual è il piano?
La via d’uscita
A Parma volano solo due compagnie, Ryanar e FlyOne, che garantiscono qualche collegamento con Cagliari, Palermo, Malta e Chişinău (Moldavia). Come abbiamo detto, muovono in tutto 134mila passeggeri l’anno. Per superare la soglia che metterebbe al sicuro i conti, si dovrebbe strappare quasi un milione di passeggeri agli altri aeroporti della zona, a cominciare da quello di Bologna che ne muove 10 milioni (il 95% del traffico regionale). Ma perché Bologna dovrebbe lasciarseli portare via? Governo ed Enac dicono di essere pronti a mettere dei limiti allo sviluppo di Bologna così da costringerlo a cedere alcune tratte o, meglio ancora, a entrare direttamente in società con gli aeroporti vicini, cominciando proprio dal «Giuseppe Verdi» e da Forlì. Bologna replica: «Siamo quotati, quindi diamo via libera soltanto a operazioni che abbiano un senso dal punto di vista del mercato». Tradotto: le alleanze le faremo solo se ci conviene.
Milena Gabanelli e Andrea Priante
(da il corriere.it)
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