Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
L’ULTIMO RAPPORTO DEL CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA: LE DISPARITA’ MIGLIORANO TRA GLI UNDER 35 MA TORNANO CON LA NASCITA DEL PRIMO FIGLIO
La casa di proprietà è ancora il cardine attorno a cui ruota la famiglia italiana. I giovani comprano meno, ma quelli che lo fanno continuano a ricevere l’aiuto dei genitori per l’acquisto. Questi ultimi aiutano i figli senza aspettarsi necessariamente qualcosa in cambio. Dentro casa, a occuparsi delle faccende domestiche sono principalmente le componenti femminili della famiglia, anche se gli uomini sono convinti di fare di più di quanto in realtà facciano. In quest’ambito i più giovani hanno una divisione dei compiti più equa che però tende a dissolversi con la nascita del primo figlio. Sono questi i principali elementi che emergono dal rapporto «Case e città a misura di famiglia», l’ultima edizione del rapporto annuale del Centro Internazionale Studi Famiglia (Cisf) in uscita oggi, 5 dicembre.
Chi cucina in casa?
Nell’indagine condotta tramite questionario ai componenti di 1.600 famiglie italiane, spicca come le coppie si spartiscono l’onere (o il piacere) di cucinare i pasti. Il 71% delle donne sostiene che il compito ricada prevalentemente su di loro. Lo stesso fa il 40,8% degli uomini. «Il totale non fa 100 perché nei sondaggi non abbiamo necessariamente intervistato entrambi i membri di una stessa coppia. Emerge però una tendenza degli uomini a sovrastimare il proprio contributo in casa», sottolinea a Open il direttore del Cisf, il sociologo Francesco Belletti. Situazioni simili si notano altri compiti, come spesa, bucato, e pulizia. Quest’ultima è divisa equamente secondo il 21% degli uomini ma chiedendo alle donne la percentuale scende al 16,5%. «I dati evidenziano un aspetto generale. Il carico mentale di dover gestire la casa ricade ancora in gran parte sulle figure femminili».
La simmetria (fino ai figli) tra uomini e donne nelle famiglie giovani
Al di là della distorsione percettiva, le cose vanno meglio tra gli under 34 che si dimostrano più equilibrati. Ad esempio, il 35% degli intervistati tra i 18 e i 24 anni sostiene di dividere equamente le pulizie della casa. Lo stesso fa il 33% degli intervistati tra i 25 e i 34 anni. Secondo Belletti, il fenomeno è correlato all’attitudine al lavoro delle nuove generazioni. «Generalmente il lavoro non è più il centro della vita per i più giovani. C’è molta più attenzione al tempo libero. Ciò consente di dividersi più equamente i compiti di casa», commenta il direttore. Ma c’è ancora un’incognita: «Spesso anche le coppie più simmetriche perdono questa caratteristica alla nascita del primo figlio. È chiaro che sono necessari interventi dello Stato per sostenere la genitorialità». «Inoltre, solo con salari alti si può lavorare meno ore», aggiunge Belletti.
La casa da una generazione all’altra
Anche l’acquisto della casa ha un valore centrale nel rapporto tra genitori e figli. Il mattone è per le famiglie italiane un modo di fissare la ricchezza e trasmettere il patrimonio da una generazione all’altra. «Significa che le famiglie italiane pensano al futuro e cercano sicurezza. Gli italiani vogliono avere la certezza di un tetto sulla testa anche se perdono il lavoro. Anche se non sempre l’acquisto della prima casa è la scelta finanziariamente più conveniente», commenta il direttore del Cisf. Ma soprattutto, aggiunge Belletti, per gli italiani, la casa è «un bene di solidarietà intergenerazionale che compensa la spesa pubblica iniqua».
L’Italia spende per gli anziani, le famiglie aiutano i giovani
Il sostegno statale italiano – continua Belletti – è sbilanciato verso gli anziani. «Pro capite, si spende di più per le pensioni e per le agevolazioni agli adulti, e molto poco per le politiche a favore dei giovani e dell’infanzia». In questo contesto, le famiglie si adattano, e usano la casa per compensare dei finanziamenti sbilanciati. Lo si nota anche osservando che in Italia il 34% dei bambini riceve la cura dei nonni. In Svezia, sono lo 0,89%. «Da un lato, in Italia non ci sono gli asili nido perché non vengono finanziati. Dall’altro, la richiesta scende perché in loro assenza le famiglie si organizzano diversamente. Ma ciò non vuol dire che il trend non possa essere invertito. Anche in Francia circa un terzo dei bambini riceve la cura dei nonni, però un quinto va all’asilo nido».
L’aiuto dei genitori per compare casa
La solidarietà in controtendenza alla spesa pubblica emerge anche quando arriva il momento di acquistare la prima casa, che molti comprano grazie all’aiuto dei genitori. Gli italiani si confermano acquirenti piuttosto che affittuari: il 79,6% degli intervistati possiede la casa in cui vive. Dato alto rispetto alla media europea (69%) e a Paesi limitrofi come Francia (63%) e Germania (47,6%). In Italia, l’acquisto avviene con il sostegno dei genitori nel 52,3% dei casi. Nel 37,4% dei casi il sostegno è parziale e nel 14,9% è totale. Il 56,5% dei genitori non vuole indietro i soldi anticipati mentre il 19,2% li considera un anticipo dell’eredità. Solo il 19,4% considera il contributo un prestito.
Compriamo casa? Sì ma fra un po’
La tendenza all’acquisto si riscontra meno tra i giovani. Il rapporto mette in relazione il fenomeno con la minore disponibilità economica di quella fascia demografica rispetto a quelle più anziane. Ma il fattore finanziario non è l’unico a pesare. Una percentuale significativa di giovani (25-34 anni) preferisce investire i propri risparmi in altri progetti (37,5%), un dato che sembra riflettere un cambiamento nei valori e nelle priorità delle nuove generazioni. Sono più orientate verso la realizzazione di esperienze e opportunità di crescita personale e professionale piuttosto che verso l’acquisto o il possesso di beni immobili, si legge nel rapporto. Secondo la ricerca, inoltre, ad avere un ruolo nella tendenza è la maggiore disponibilità delle nuove generazioni a spostarsi per un mercato del lavoro sempre più flessibile e instabile.
«Gli affitti brevi hanno appesantito il mercato»
Sullo sfondo c’è un panorama immobiliare che cambia. Oggi gli alloggi listati su AirBnb sono 640 mila, dieci anni fa erano 90 mila. «Il fenonomeno degli affitti brevi diffusi ha appesantito il mercato in moltissime città. Prevalentemente nelle città turistiche ma anche in quelle a vocazione lavorativa. Lo stock abitativo non è più messo a disposizione dei residenti», commenta Belletti sottolineando la necessità di intervenire per regolare il fenomeno che porta all’aumento del prezzo degli affitti, spesso in luoghi, come le grandi città, che sono già attrattivi e di conseguenza più cari. Secondo una ricerca del think tank Tortuga, per ogni punto percentuale di incremento di alloggi brevi su Airbnb, i canoni d’affitto crescono in media del 5,7%. «La soluzione non può essere univoca, perché un conto è quello che succede ad Assisi, un altro quello che succede a Milano», continua Belletti. «In certi luoghi sarebbe utile circoscriverli, in altri, come i borghi spopolati, si può pensare di riorganizzarli in alberghi diffusi, recuperando alloggi ed evitando di consumare ulteriore suolo». «Ma questo obiettivo si potrà raggiungere se la casa tornerà al centro delle politiche sociali del Paese», conclude il direttore del Cisf.
(da Open)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
QUANDO LA DONNA HA CHIESTO LORO DI MOSTRARE I BIGLIETTI, LE DUE HANNO REAGITO SPINTONANDOLA E FACENDOLA CADERE A TERRA. ALLA FINE IL TRENO È STATO SOPPRESSO … UN GOVERNO INCAPACE DI GARANTIRE SICUREZZA
Ennesima aggressione a un capotreno in Liguria da parte di alcuni passeggeri. Questa volta la vittima è una capotreno 32enne assalita da due viaggiatrici, madre e figlia, che hanno sfogato la loro violenza quando sono state trovate senza biglietto sul treno Intercity 633 in viaggio da Milano a Ventimiglia all’altezza della stazione di Finale Ligure (Savona).
La capotreno era impegnata a verificare i titoli di viaggio, quando ha chiesto alle due donne di vederli per vidimarli, le due passeggere hanno reagito spintonandola e facendola cadere a terra. Immediato l’intervento di un’ambulanza della croce bianca di Borgio Verezzi (Savona): la vittima dell’aggressione è stata trasportata al pronto soccorso dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure in stato di choc e poi dimessa dopo alcune ore di controlli sanitari.
Sul posto sono intervenuti anche gli agenti della polizia ferroviaria per le indagini. Il treno Intercity è stato soppresso e i viaggiatori sono stati costretti ad utilizzare i treni regionali per proseguire il loro viaggio. È soltanto l’ultima di una serie di aggressioni ai danni del personale viaggiante delle ferrovie, avvenute negli ultimi mesi in particolare in Liguria.
Esattamente un mese fa, il 4 novembre, un capotreno era stato accoltellato presso la stazione di Rivarolo (Genova) su un treno regionale diretto da Genova a Busalla. Mentre lo scorso agosto una capotreno era stata aggredita da tre passeggeri senza biglietto a bordo di un treno regionale in viaggio da Savona a Torino Porta Nuova.
“Quanto accaduto conferma la carenza di personale della Polfer. Le stazioni non sono presidiate, Salvini dove sei?”, afferma in una nota la senatrice e coordinatrice nazionale di Italia Viva Raffaella Paita secondo cui “se gli agenti della Polfer non sono sufficienti, si faccia ricorso all’esercito, almeno per controllare le stazioni. Fa rabbia apprendere queste notizie, sapendo che ancora decine di poliziotti si trovano in Albania a fare la guardia agli hub dei migranti deserti”.
“L’escalation di violenza sui treni provoca pesanti danni anche ai passeggeri – rimarcano il presidente di Assoutenti Liguria Furio Truzzi e il presidente nazionale dell’associazione Gabriele Melluso -. I responsabili dell’aggressione vanno puniti e destinati a lavori socialmente utili”. “Le lavoratrici e i lavoratori sono esasperati e spaventati – denuncia il segretario regionale della Uiltrasporti Liguria Giuseppe Gulli -: vogliamo un’azienda più vicina e maggiori controlli”.
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
RITA BELLEZZA, LA PASIONARIA CHE DA GIORNI STREPITA PER LO SGOMBERO DELLA SUA CASA A CAIVANO, PIANGE MISERIA, MA SUI SOCIAL POSTAVA LA SUA VITA DORATA: OLTRE ALLA CASA, SU TIKTOK HA DOCUMENTATO I SUOI VIAGGI E I PARTY DI LUSSO. TUTTO MERITO DEI LEGAMI CON I CLAN: NEL 2011 FINÌ IN MANETTE PER SPACCIO MENTRE LA MADRE, NOTA COME “ROSETTA ‘A TERRORISTA” È ANCORA IN CARCERE
Vasche idromassaggio, mobili laccati, pavimenti in marmo e finiture dorate. Erano così gli interni di alcune delle 36 case popolari sgomberate sei giorni fa giorni fa a Caivano, in provincia di Napoli, perché abitate da persone che non ne avevano diritto, sia per questioni di reddito, sia perché pregiudicate e risultate vicine alla camorra.
Trentasei alloggi del rione Parco Verde sono stati liberati dalle forze dell’ordine e nello stesso momento sono partite le proteste di un gruppo di mamme. Ma ce n’è una che ha preso la scena, Rita Bellezza.
Da giovedì scorso il suo volto imperversa sui social e sui media nazionali. La «pasionaria» del Parco Verde si fa portabandiera di famiglie senza mezzi, ma che, per lo più, vivevano in case lussuose.
Quarant’anni compiuti da pochi giorni e raccontati sui social in tutto il loro sfarzo, accanto alle story delle vacanze tra piscine e spettacoli nei villaggi Valtour, Rita Bellezza, che oggi attacca il governo e punta l’indice contro «l’operazione di legalità» coordinata dalla Prefettura di Napoli, è parte integrante dello stesso sistema che quei rioni li ha nutriti con l’illegalità.
Parla di diritti la «pasionaria» del Parco Verde e lo fa alzando i toni insieme alle altre donne che ripetono: «Non abbiamo niente».
Quella che raccontano i social è una realtà diversa. La donna affida a TikTok gli ultimi ricordi legati alla casa da cui è stata messa fuori. Sei camere arredate con sedie dorate in stile impero, divani impunturati rosso cardinale, lampadari di cristallo, oro e ostentazione kitsch ovunque. In camera da letto spicca una tv con schermo piatto applicata al muro e incastonata in una cornice. Dorata pure quella. Sulla testa del letto un baldacchino, mentre sui comodini spiccano una foto e una statuetta di Padre Pio. No, non proprio una casa popolare.
Le donne di Caivano hanno attaccato persino don Maurizio Patriciello, il prete anticamorra, che non avrebbe dato loro libero asilo in parrocchia. Il sacerdote smentisce: «Da un anno a questa parte, la più grande piazza di spaccio d’Europa non funziona, potete immaginare coloro che di questo vivevano quanto mi vogliono bene». Già, perché la camorra e la droga, in qualche modo, nella vicenda c’entrano. La donna che sta guidando le proteste a Caivano è la stessa che, nel febbraio 2011, fu coinvolta in un blitz che colpì i clan del Parco Verde.
Finì in manette insieme alla madre, Rosa Amato, nota come «Rosetta ‘a terrorista» che, per l’Antimafia, coordinava le attività di spaccio della piazza «dei carcerati». Rita fu poi condannata con rito abbreviato nel giugno del 2012. La madre, arrestata anche di recente, è ancora detenuta.
E non è la sola tra gli sfollati ad avere un cognome noto. Tra i destinatari del provvedimento di sgombero anche la figlia di un boss. Anche quella casa, neanche a dirlo, era rigorosamente in stile «Scarface».
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
MA IL CASO SI INGROSSA VISTO CHE LA REPORTER AVEVA DENUNCIATO MOLESTIE NELL’EMITTENTE ELVETICA: C’E’ UN NESSO COL LICENZIAMENTO?
Licenziata per un tweet. Questo è quello che sarebbe successo nei giorni scorsi alla giornalista italotedesca Paola Nurnberg. La reporter della Radiotelevisione Svizzera (RSI), secondo quanto riporta Ticino Online, citando una fonte interna al sindacato Unia informata sulla vicenda, sarebbe stata allontanata a causa di un post su X del 2023 in cui criticava l’efficacia del «pensiero della destra». La condotta della giornalista, ex Tg4 ed Euronews, è stata altrimenti immacolata nel suo periodo alla RSI. «Nemmeno un richiamo», ha commentato Matteo Poretti di Unia.
«Ha sbagliato? Certo, non doveva scriverlo. Ma da qui a licenziarla. A questo punto bisognerebbe licenziare metà del personale della Rsi», ha commentato il sindacalista. «In 20 anni di attività sindacale una cosa del genere non mi era mai capitata», ha aggiunto Poretti. Ha spiegato il sindacalista: «Con i nostri legali stiamo imbastendo una vertenza legale per licenziamento abusivo, grave nelle sua forma e nelle sue motivazioni. E non ci fermeremo alla sola vertenza giuridica».
Le molestie
Poretti ha aperto a un’altra ipotesi. Quella di possibili «attriti venutisi a creare dopo la conferma che Paola è stata vittima di molestie in seno alla Rsi». Alle domande di Ticino Online, l’emittente elvetica ha preferito non rispondere, limitandosi a precisare che «in linea di principio è importante sottolineare che esistono linee guida interne che devono essere seguite e rispettate da tutte e tutti i dipendenti della Srg Ssr (la Società Svizzera di Radiotelevisione, ndr)».
Quanto al possibile nesso tra molestie e licenziamento afferma: «Di questo si discuterà nelle sedi opportune. Certo è che all’epoca della denuncia, parliamo del 2020, io smisi di essere un volto della televisione per diventare una voce. Mi spostarono, semplicemente. E lì rimasi anche dopo che le molestie vennero accertate».
Il tweet sul «pensiero della destra»
Ma cosa contiene il tweet incriminato? Secondo Ticino Online, oggetto del contendere è il seguente testo, affidato ad X il 24 settembre 2023. «Il pensiero della destra (non solo in Italia) attecchisce perché non è elaborato. È semplice, è di pancia, fa credere alla gente di essere nel giusto e di non avere pregiudizi. Concima, insomma, l’ignoranza. Sta alle singole persone scegliere se evolvere, emanciparsi, oppure no».
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
SECONDO IL GIOVANE CHE HA ASSISTITO ALLA SCENA I CARABINIERI AVREBBERO SPERONATO IL MOTORINO
“Oggi è un giorno importante, dobbiamo avere rispetto. State calmi”. Con queste parole, pronunciate dall’imam Mahmoud Asfa subito dopo l’ingresso nel cimitero di Bruzzone, si è aperta la cerimonia funebre di Ramy Elgaml, il 19enne morto su uno scooter il 24 novembre durante un inseguimento con i carabinieri a Milano. In circa 200, tra cui i genitori e gli amici più stretti, si sono riuniti per dare al giovane l’ultimo saluto che si è svolto senza particolari tensioni.
Ma è sul versante delle indagini che si registra una novità: un testimone dell’inchiesta per omicidio stradale avrebbe parlato di un impatto tra la macchina dei carabinieri e lo scooter con a bordo Ramy. Il giovane ha detto di essere stato presente quella notte tra il 23 e il 24 novembre in via Ripamonti alla fine dell’inseguimento e all’incidente. Nel verbale di arresto dei carabinieri per resistenza a carico di Fares Bouzidi, il 22enne alla guida dello scooter, non si faceva riferimento all’impatto tra auto e moto.
Di un probabile impatto, invece, stando alle prime analisi delle immagini di videosorveglianza, si parlava – senza però certezze – in una prima informativa della Polizia locale. Ora la testimonianza, che potrebbe essere compatibile con uno scontro accidentale tra i due mezzi nelle ultime fasi dell’inseguimento e non con uno speronamento volontario, dovrà essere valutata anche con altri riscontri. Intanto è stato rinviato l’interrogatorio dello stesso Fares Bouzidi dopo un’istanza di legittimo impedimento per motivi di salute, dato che è ai domiciliari dopo essere stato dimesso soltanto martedì dall’ospedale.
Ma la giornata oggi è stata dedicata al saluto e al dolore: “È il funerale del nostro carissimo amico e fratello Ramy – ha detto l’imam – e dobbiamo dare un’immagine realistica, importante e straordinaria della nostra comunità, rispettando tutte le norme di questo Paese”. Dall’ingresso del cimitero, i presenti si sono avviati in silenzio verso il punto della sepoltura. La bara, sulla quale era stato deposto un drappo verde, è stata appoggiata nel prato davanti ai presenti. Lì ha nuovamente preso la parola l’imam, prima del momento dedicato alle preghiere.
“Facciamo le nostre condoglianze agli amici e ai parenti. Siamo molto vicini alla famiglia di Ramy. Dobbiamo essere i messaggeri di pace, giustizia e uguaglianza. Spero che Allah lo accetti nel suo grande paradiso”. A seguire, è stato lanciato un appello alle istituzioni, affinché venga data “più attenzione ai giovani”. L’auspicio, inoltre, è che la morte del 19enne sia un “punto di partenza per migliorare la nostra presenza come comunità musulmana a Milano e in Italia in generale”.
“Questo – ha aggiunto Asfa – è un Paese che rispetta la giustizia. Abbiamo fiducia nella giustizia italiana e se Ramy avrà ragione la giustizia gli darà ragione”. Dopo le preghiere e la deposizione della bara, la prima fase della sepoltura è stata un po’ movimentata, con diversi giovani che sono stati richiamati dall’imam ad allontanarsi dalla fossa perché troppo vicini e a rimanere “calmi”. Successivamente, è stata data loro l’opportunità di salutare per l’ultima volta l’amico.
Al termine Asfa ha sottolineato che si tratta di “ragazzi nati e cresciuti in Italia, sono giovani appartenenti a questa società, sono italiani e credo che le istituzioni hanno un compito molto importante. Con tutto il rispetto, questa legge per cui devi nascere qui e aspettare di avere 18 anni per avere la cittadinanza, complica la vita di questi giovani, non li fa sentire appartenenti a questa società”.
Tra i presenti, oltre al capogruppo del Pd in consiglio regionale Pierfrancesco Majorino, alla consigliera Carmela Rozza e al deputato Aboubkar Soumahoro, anche il presidente della comunità egiziana a Milano Aly Harhash, che ha ribadito la distanza dai disordini della scorsa settimana a Corvetto. “Siamo lontanissimi e abbiamo chiesto loro di calmarsi”.
Il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, intanto, ha fatto sapere che domani incontrerà la famiglia di Ramy: “Esprimerò la mia vicinanza”, “e poi mi complimenterò con loro per l’atteggiamento che hanno assunto”. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala, ha detto che li ha invitati a Palazzo Marino.
Il giovane testimone, sentito ieri nell’inchiesta milanese per omicidio stradale sulla morte di Ramy Elgaml, oltre ad aver riferito di aver visto un impatto, verosimilmente accidentale, tra la macchina dei carabinieri e lo scooter, ha messo a verbale pure che, a suo dire, quella notte avrebbe dovuto cancellare alcuni video che aveva fatto, perché così gli avrebbero detto di fare alcuni carabinieri.
Una versione, quella del giovane, che al momento non ha riscontri e tutta da verificare. Già ad alcune trasmissioni e testate televisive due giovani avevano parlato nei giorni scorsi di video “cancellati dai carabinieri”.
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
LE COLLUSIONI TRA CLAN MAFIOSI E SOVRANISTI
C’era un’associazione mafiosa di matrice ‘ndranghetista, legata alla cosca Tripodi, operativa nel Bresciano. E tra le persone coinvolte o in qualche modo in rapporti con il gruppo – sostengono gli inquirenti – figuravano anche l’ex consigliere comunale di Brescia in quota FdI, Giovanni Acri, nonché Mauro Galeazzi, ex esponente della Lega a Castel Mella. “A disposizione del clan” anche una religiosa, suor Anna Donelli. Tutti e tre sono finiti ai domiciliari, mentre per altri sono state disposte altre misure cautelari, al termine dell’inchiesta della Polizia e della Guardia di finanza, coordinate dalla Dda di Brescia.
Suor Anna, ad avviso degli investigatori, si sarebbe occupata di “garantire il collegamento con i sodali detenuti” in carcere agendo come una sorta di intermediaria “approfittando dell’incarico spirituale che le consentiva di avere libero accesso alle strutture penitenziarie”. Secondo gli inquirenti Acri – coinvolto in un’inchiesta con l’europarlamentare Carlo Fidanza che lo avrebbe convinto a dimettersi per far posto a un altro esponente del partito – si sarebbe messo a disposizione del gruppo guidato dai componenti della cosca Tripodi: in qualità di medico, stando alla ricostruzione dei pubblici ministeri, avrebbe aiutato gli “appartenenti” al sodalizio e “loro complici” anche “in occasione di ferimenti” durante “l’esecuzione di reati”.
Gravi anche le accuse rivolte dai pm antimafia a Galeazzi, arrestato nel 2011 per tangenti e poi assolto, che si sarebbe rivolto a Stefano Terzo Tripodi in occasione delle elezioni comunali di Castel Mella nell’ottobre 2021, quando era candidato sindaco, proponendo all’uomo di “procurargli voti in cambio dell’ottenimento di appalti pubblici”. Gli investigatori hanno anche sequestrato oltre 1,8 milioni di euro ed eseguito numerose perquisizioni anche nelle province di Reggio Calabria, Milano, Como, Lecco, Varese, Verona, Viterbo e Treviso. L’associazione era dedita alla commissione di estorsioni, traffico di armi e droga, ricettazioni, usura, reati tributari e riciclaggio
Quando potrà essere libero Filippo Turetta dopo l’ergastolo (la famiglia è sotto sorveglianza per minacce)
Attualmente non lavora ma segue un corso di perfezionamento. La Corte non ha disposto l’isolamento diurno. Dovrà tenere un comportamento esemplare per avere permessi e ottenere la semilibertà
Filippo Turetta ha ricevuto una condanna all’ergastolo per omicidio volontario premeditato, sequestro di persona e occultamento di cadavere dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Il tribunale ha però escluso l’aggravante della crudeltà e l’accusa di stalking. Turetta è apparso ai volontari del carcere di Montorio a Verona dove risiede come «distrutto» e con evidenti problemi psicologici. Attualmente non lavora ma segue un corso di perfezionamento di inglese, oltre a leggere libri e provare a imparare a suonare uno strumento musicale. Ma la sua condanna all’ergastolo non vuole dire che la sua sia una situazione di «fine pena mai»
Il Messaggero spiega che la Corte d’Assise non ha disposto nei suoi confronti l’isolamento diurno. E quindi in base alla legge se Turetta dovesse tenere un comportamento esemplare in carcere potrebbe accedere ad alcuni benefici. Dopo 10 anni di carcere (di cui uno praticamente già scontato, quindi nove) potrà ricevere permessi per frequentare percorsi formativi professionalizzanti all’interno o all’esterno del carcere. E dopo 26 anni – o 21 sempre in caso di premialità comportamentali – potrà ottenere la semilibertà. E uscire di prigione, dopo l’ok del tribunale di sorveglianza, all’età di 48 anni. Turetta subito dopo la sentenza ha detto che era giusta, dichiarando anche la volontà di rimettersi a studiare. Il verdetto se lo aspettava, mentre attende la prossima visita dei genitori in carcere.
La famiglia sotto sorveglianza
«È stata un’attesa angosciante, lunga. Lo sapevo, ero preparato alla parola ergastolo, sono rimasto impietrito, ma sono sereno, non mi aspettavo nulla di diverso», sono le parole di Turetta dopo la lettura della sentenza da parte del presidente Stefano Manduzio. «Un giovane distrutto», lo ha definito chi ha accesso, per lavoro o volontariato, alla terza sezione del carcere di Montorio a Verona. Intanto la sua famiglia è stata presa di mira dagli hater. Il Corriere della Sera fa sapere che i genitori Nicola ed Elisabetta e il fratello minore di Filippo sono sotto stretta sorveglianza da parte dei carabinieri. Le pattuglie presidiano la loro casa nel padovano. Dove è stato installato un sistema di sorveglianza. Anche nella seconda proprietà.
L’avvocata Paola Rubini
L’avvocata Paola Rubini è stata nominata «quest’estate – spiega al quotidiano – dopo che è stato pubblicato il video del famoso colloquio, che ha avuto conseguenze di rilievo dal punto di vista penale. Il padre è stato oggetto di un attacco esagerato». Sull’intervista del fratello di Filippo a Mediaset la legale spiega che quelle frasi sono ora «oggetto di valutazione, stiamo capendo come procedere. Non è corretto che terzi estranei al fatto debbano essere vittima del male non causato da loro. Il processo mediatico non lo sopporto, non esiste che ci sia un procedimento al di fuori delle pareti di un tribunale».
L’avvocato di Turetta
Anche l’avvocato di Turetta ha ricevuto minacce. Una busta con tre proiettili è stata recapitata allo studio del legale Giovanni Caruso, che secondo Gino Cecchettin con la sua arringa aveva offeso la famiglia. Le tre pallottole erano avvolte in un foglio di carta. Caruso ha da subito contattato la questura per riferire dell’episodio. In seguito all’episodio è stato convocato d’urgenza in Prefettura un comitato tecnico per l’ordine e la sicurezza pubblica, nel quale il prefetto Giuseppe Forlenza ha accolto le indicazioni del questore Marco Odorisio per la predisposizione di un servizio di vigilanza a tutela di Caruso, organizzato in tre aree: l’abitazione del legale, il suo studio, e l’istituto dell’Università di Padova dove Caruso è professore ordinario di diritto penale.
(da il Fatto Quotidiano)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
“LE SPARO UN COLPO IN TESTA. VOGLIAMO UNIRCI A FORZA NUOVA E AGLI ALTRI PER ANDARE GIÙ A ROMA A FARE UN COLPO DI STATO AL PARLAMENTO”… I CONTATTI CON JIHADISTI, L’ODIO PER LE PERSONE DI COLORE: “UN UOMO BIANCO VALE TRE NEGRI”- TRA GLI INDAGATI ANCHE FABIO TUIACH, IL PUGILE NO VAX
I neonazisti di Werwolf Division volevano uccidere la premier Giorgia Meloni. Mentre tra gli arrestati ci sono un ex concorrente della Corrida e un tenore con trascorsi anarchici. L’indagine della procura di Bologna ha anche accertato contatti con jihadisti e tentativi di reclutamento sul web. Ma anche relazioni con i vertici di Forza Nuova. Oltre all’odio per le persone di colore: «Un uomo bianco vale tre negri, come evoluzione». Ricercavano armi e poligoni per allenarsi a sparare. Con un obiettivo ben preciso: la presidente del Consiglio. «Le sparo un colpo in testa». Avevano svolto attività di dossieraggio, analizzavano i suoi spostamenti e facevano sopralluoghi a Palazzo Chigi e a Montecitorio. Cercando un posto per un attentato. Le accuse nei confronti dei 12 indagati vanno dal terrorismo alle armi
Il piano per uccidere Giorgia Melon
Il progetto di uccidere la premier Giorgia Meloni lo raccontano gli arrestati in un’intercettazione che risale al maggio 2023. A parlare è Salvatore Nicotra, bolognese di 45 anni, frequentatore di palestre di Thai Boxe e appassionato di armi da fuoco. «Allenavo cinque guerriglieri per dargli un’arma in mano, andare davanti alla Meloni e sparargli in testa», è il piano. Nicotra stesso si dichiarava «pronto a morire per la causa». Mentre il piano prevedeva un punto di cecchinaggio: «C’è un albergo davanti al Parlamento. Da lì puoi sparare un colpo dall’alto». Nicotra costruiva il suo piano operativo per «attentare alla vita» della premier. Definita «traditrice», «concubina di Sion», «fascista finché non è salita al potere» che «ora rinnega di esserlo». Il progetto era inserito in un quadro più ampio: «Io vi stavo addestrando perché volevo unirci appunto all’ordine di Hagal, cioè a Forza Nuova e a quegli altri».
L’ordine di Hagal
«Per andare giù a Roma a fare un colpo di stato contro il governo… al Parlamento. Volevo dare un’arma a ciascuno, un fucile a ciascuno, addestrati per fare guerriglia». E ancora: «È ora di formare due eserciti, uno davanti alle guardie del Parlamento italiano, uno alle spalle delle guardie stesse che le prenderebbe di sorpresa dopo il primo attacco. E un terzo fronte che attacca frontalmente ed entra dentro portando fuori i politici».
L’inchiesta nasce nel 2019 a Napoli, quando la Digos trova un canale Telegram. «Dall’analisi del traffico si arriva a un altro canale, “Werwolf Division”, di chiara ispirazione nazista, all’interno del quale gli utenti e gli amministratori possono condividere messaggi e file multimediali», scrive la gip Nadia Buttelli nelle 474 pagine di ordinanza di custodia cautelare.
Il canale Telegram
Per esempio: «Non vi è nessuna prova che i nazisti hanno praticato il genocidio o hanno deliberatamente sterminato 6 milioni di ebrei». E ancora: «Passato davanti a una scuola elementare, vedo ormai compiuta la sostituzione etnica: su 50 bambini avrò visto al massimo 3 facce italiane, il resto erano africani, arabi, rumeni, cinesi…». Il gruppo aveva tre capi: il “comandante” Daniele Trevisani era il leader ideologico del gruppo.
L’”istruttore” Salvatore Nicotra aveva il compito di arruolare e addestrare militarmente i membri dell’associazione. Andrea Ziosi, l’”editore”, «era la mente comunicativa e colui che teneva i contatti con le cellule dislocate in altri paesi». L’addestramento prevedeva recarsi a sparare presso un poligono clandestino con pistole verosimilmente procurate da soggetti vicini alla criminalità organizzata.
Ammazzare la Meloni
«Ammazzare la Meloni è un’ottima maniera per fare in modo che l’Italia scenda in guerra civile», dicevano tra di loro. Mentre cercavano il contatto con «un palestinese che può fare al caso nostro». Ovvero essere il cecchino che sale all’ultimo piano dell’albergo per sparare alla premier.
Agli atti ci sono pure i contatti con alcuni dirigenti di Forza Nuova (Ziosi ambiva a diventare un responsabile a Bologna). Dice Nicotra, parlando di 11 persone pronte ad assaltare la premier: «Vogliamo unirci a Forza Nuova e agli altri per andare giù a Roma a fare un colpo di Stato al Parlamento. Volevo dare un fucile ciascuno, addestrati a dovere per fare la guerriglia. Io non ho nulla da perdere. Sono pronto a morire».
Gli arrestati
Gli arrestati sono Daniele Trevisani, il fratello Federico Trevisani, Andrea Ziosi, Salvatore Nicotra, Luca Porta, Simone Sperotto, Valerio Tellenio, Pierluigi Cilano, Alessandro Giuliano, Diego Cavallucci, Davide Armenise, Giuseppe Fallis. La base dell’associazione era il gruppo Telegram «Werwolf Division», che contava un’ottantina di iscritti. Ospitava post che inneggiavano al «nuovo Stato autoritario» da far nascere con la «distruzione del sionismo» e del «regime liberale». Il canale era stato chiuso e poi riaperto con il nome di «Divisione Nuova Alba».
Trevisani era il fondatore anche della rivista online ardire.org, che pubblicava articoli come «La Shoah te la vogliono davvero ficcare in testa». Tra le persone perquisite, indagate a piede libero, ci sono anche Fabio Tuiach, ex pugile ed ex consigliere comunale di Trieste, tra i lavoratori portuali no vax, in passato militante della Lega e poi in Forza nuova. E Simonetta Cesari, 62 anni modenese, nel 2015 segretaria del Fronte nazionale della città emiliana.
L’ordinanza
Per il Gip Nadia Buttelli il progetto eversivo con la presidente del Consiglio nel mirino, lungi dall’essere meramente teorico, è stato accompagnato dalla formazione di ‘guerriglieri’ addestrati e formati in un ambiente violento come quello neonazista, con la concreta ricerca di armi sul web, istigando altri nazisti a prepararsi acquistando armi. Le accuse riguardano, infatti, attività di propaganda, proselitismo e predisposizione di azioni violente, come l’epurazione dei traditori del movimento.
L’esempio a cui si ispiravano erano terroristi come Pierluigi Concutelli o Giusva Fioravanti, il modello erano i Nar. Lo dimostra una conversazione intercettata in cui si parlava della possibilità di «rischiare tutto»” per migliorare la situazione in Italia, lanciando un sondaggio proposto da un utente. L’appello venne raccolto da altri utenti e uno di questi citò appunto dei Nuclei armati rivoluzionari, che pur essendo non più di 20, hanno «quasi rovesciato il governo».
Il tenore
Tra gli arrestati anche il tenore 76enne Joe Fallisi, pugliese, a cui viene contestato di essere l’amministratore di un gruppo Telegram. Tra gli indagati anche due minorenni e viene contestata all’associazione di aver coinvolto e istigato nell’attività illecita proprio ragazzi non ancora 18enni: secondo le indagini sono entrati in contatto anche con un 14enne non identificato che quando si è accorto che si parlava di armi e attività terroristiche non ha più voluto essere coinvolto.
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
E IL REFERENDUM ABROGATIVO RESTA IN PIEDI? IL QUESITO PREVEDE L’ABROGAZIONE DELL’INTERA LEGGE E FORMALMENTE RIMANE IN PIEDI. MA LA LEGGE CALDEROLI, DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE, NON È PIÙ LA STESSA LEGGE … PER LA VALIDAZIONE, IL REFERENDUM DEVE PASSARE ALL’ESAME DELLA CASSAZIONE, POI ALLA CORTE COSTITUZIONALE PER IL GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ. IN CASO DI RISCRITTURA IN PARLAMENTO, DOVREBBE DI NUOVO PASSARE ALLA CASSAZIONE
1 La sentenza della Consulta riscrive l’elenco di materie che si possono trasferire alle Regioni?
La Corte non riscrive ma interpreta l’articolo 116 comma 3 della Costituzione, sostenendo che il regionalismo differenziato non può intaccare materie e funzioni unitarie perché già di competenza Ue o perché è costituzionalmente corretto che rimangano allo Stato. Rileggendo il testo costituzionale riformato nel 2001, soprattutto alla luce della crescita dell’Unione europea, quell’elenco di materie — dalla scuola all’ambiente, dai trasporti al commercio con l’estero — risulta oggi non realistico.
2 Ci sono materie che la sentenza esclude del tutto dal novero di quelle delegabili alle Regioni?
Sì perché non c’è più spazio per differenziare.
3 Quali sono?
Le norme generali sull’istruzione non sono trasferibili perché la formazione, «intimamente connessa al mantenimento dell’identità nazionale», deve essere uniforme su tutto il territorio. La tutela dell’ambiente perché già normata dall’Ue. Il commercio con l’estero perché competenza esclusiva della Ue. Porti, aeroporti e grandi reti di trasporto sono parti di un sistema «euronazionale», spesso finanziati direttamente da Bruxelles.
4 La devoluzione delle funzioni dovrà essere coniugata con la salvaguardia della sussidiarietà?
Sì, la Corte non ammette un’impostazione astratta sul conferimento delle funzioni.
Ricorda che la sussidiarietà è un ascensore e la scelta del piano a cui fermarsi va fatta sulla base di una scelta pragmatica di equità ed efficienza.
5 Come rivedono i giudici il ruolo del Parlamento?
Ne esaltano la funzione privilegiando la sede parlamentare rispetto a quella governativa.
La Corte chiarisce che le leggi che conferiranno funzioni alle Regioni dovranno essere emendabili. Precisa poi che i Lep (Livelli essenziali di prestazione) non si possono costruire a partire da deleghe in bianco. Segnala peraltro che i Lep, appunto «essenziali», sono diversi da una garanzia minima.
6 Resiste la distinzione prevista dalla legge Calderoli, tra materie Lep e non Lep?
Esce molto ridimensionata. Le materie non Lep, in cui ci può essere devoluzione di funzioni senza fissare prima i Lep, per essere tali non devono incidere sui diritti.
7 La sentenza interviene sull’aspetto finanziario?
La Corte ha ritenuto fondata la tesi per cui le Regioni che conseguano un’autonomia differenziata non possano ritenersi esonerate dal principio dell’equilibrio di bilancio
8 Per effetto dei rilievi dei giudici, la legge Calderoli si può correggere in Aula o va riscritta?
Deve essere corretta in Aula: i limiti ai trasferimenti […] vanno sanciti a livello legislativo. Dopo la sentenza, la legge presenta dei buchi e andrebbe rivista per essere applicata. Ma il governo nelle prossime settimane potrebbe tentare di evitarlo sostenendo che la sentenza è autoapplicativa.
9 Il referendum abrogativo rimane in piedi?
Resta una questione controversa. Il quesito referendario prevede l’abrogazione dell’intera legge dunque formalmente potrebbe rimanere in piedi. Ma è chiaro che la legge Calderoli, dopo la sentenza della Corte, non è più sostanzialmente la stessa legge.
10 Quali sono i passaggi di validazione a cui è sottoposto il referendum?
Deve passare all’esame della Cassazione che deciderà se sono mutati i principi ispiratori e i contenuti normativi essenziali. Poi alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimità. In caso di riscrittura in Parlamento, dovrebbe di nuovo passare alla Cassazione che consulterà il Comitato promotore già nei prossimi giorni rispetto alla sentenza della Corte costituzionale.
Le risposte sono state elaborate con Stefano Ceccanti, professore di Diritto pubblico alla Sapienza di Roma e Annamaria Poggi, professoressa di Diritto costituzionale all’università di Torino.
(da Corriere della Sera)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
UN PARTITO DI CONTE SI ASSESTEREBBE ALL’8%
La nascita di un partito di Giuseppe Conte senza il nome e il simbolo M5S varrebbe intorno all’8% dei voti. Con un arretramento rispetto alle ultime rilevazioni dei 5 Stelle, ma potrebbe essere una buona base da cui ripartire.
Al momento non sappiamo come finirà la battaglia legale e politica tra Conte e Grillo, ma la vicenda sembra avviarsi a una “guerra termonucleare globale”, per citare Wargames, pellicola di successo degli anni Ottanta. Con il fondatore che minaccia di tenersi nome e simbolo e l’attuale leader intenzionato a proseguire con l’attuale brand. Un simbolo ancora molto evocativo, secondo gli istituti di ricerca, in grado di ricordare una storia e suscitare emozioni. Da solo varrebbe almeno 2/3 punti percentuali.
Un sondaggio ad hoc presentato da Antonio Noto a Porta a Porta ha attestato i 5 Stelle all’11,5%. Il dato più interessante, però, è che nell’elettorato pentastellato il 65% sceglierebbe un eventuale nuovo partito di Conte, il 28% un partito di Grillo e il 5% nessuno dei due (all’Eur il 63,2% si è schierato per l’eliminazione del ruolo del garante, mentre il 29% ha detto no).
Dati che, se spalmati sulla percentuale elettorale, danno un partito dell’ex premier al 7/8% e una forza politica guidata da Grillo al 3/4%.
“Conte gode ancora di un alto grado di fiducia da parte degli italiani, subito dietro Giorgia Meloni: la premier ha il 42%, l’avvocato del popolo il 35%, Elly Schlein il 32%, tutti gli altri leader sono sotto il 30%”, osserva Noto. Secondo cui, però, “il momento migliore per Conte per fondare un partito sarebbe stato subito dopo l’uscita da Palazzo Chigi nel 2021, con la popolarità al massimo”.
Il dato più alto ai 5 Stelle lo dà Nando Pagnoncelli, che il 28 novembre sul Corriere li ha attestati al 13%, in netto rialzo nei confronti delle Europee, quando sono scesi al 9,9%. Maurizio Pessato di Swg li dà invece all’11,7%.
“Stanno risalendo la china, dimostrando di essere una forza politica ancora viva e ben radicata nella società, che però dà il meglio di sé alle Politiche (15,6% nel 2022). Sono in maniera stabile il terzo partito italiano dopo FdI e Pd”, sostiene Pessato. “
Con simbolo e nome diverso, però è difficile azzardare un dato: un partito di Conte potrebbe stare sull’8%, ma va considerata la proposta politica messa in campo. Pescherebbe comunque in un’area intorno al 10%. Però c’è un rischio: cambiare nome e simbolo rischierebbe di suscitare freddezza nell’elettorato, che si troverebbe di fronte all’ennesimo partitino…”, aggiunge il vicepresidente di Swg. Insomma, meglio tenersi stretti nome e simbolo.
“Il Movimento sta tra l’11,3 e l’11,5%. Di cui l’80% è saldamente nelle mani dell’ex premier, che è ancora un leader molto popolare, soprattutto nel Mezzogiorno. Un suo partito nuovo di zecca potrebbe stare intorno all’8%”, fa notare Renato Mannheimer. Roberto Weber dell’Istituto Ixè vede i pentastellati all’11%, ma è difficile dare una percentuale per Conte in caso di scissione. “Nome e simbolo hanno una valenza ancora molto forte, con l’idea di un movimentismo dal basso che fa ancora la differenza rispetto agli altri partiti”. Il dato più preoccupante, per Weber, è però l’astensione: “Alle prossime Politiche voterà tra il 52 e 56% degli italiani e tutte le forze politiche dovranno farci i conti”.
(da agenzie)
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