Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
DA OGGI A DOMENICA LA NUOVA CONSULTAZIONE ON LINE SUL RUOLO DEL GARANTE
Oggi alle 10 si ricomincia, sempre online: i quasi 89 mila iscritti al M5S sono chiamati a votare per una seconda volta le modifiche statutarie che prevedono, in ipotesi, la soppressione della figura del garante, cioè Beppe Grillo. Un primo voto c’era già stato, dal 21 al 24 novembre, e la maggioranza degli attivisti aveva scelto per la defenestrazione del fondatore del Movimento. Il quale però si è appellato alla sua facoltà di indire una nuova consultazione: ora, come la volta scorsa, servirà raggiungere il quorum per ritenere valido il processo. Cioè dovranno votare la metà più uno degli aventi diritto. Il voto si concluderà domenica alle 22, quando si saprà se davvero il popolo del Movimento, o quel che ne rimane, vorrà mettere alla porta il cosiddetto “elevato”.
Si arriva all’appuntamento con uno scontro a tutto quartiere tra Grillo e Giuseppe Conte, quest’ultimo sostenuto dal grosso del gruppo parlamentare. E ci si arriva ben sapendo che, se pure vincerà la linea del presidente, il garante sfiduciato continuerà a battagliare sul piano giuridico. Grillo vuole il simbolo, vuole invalidare tutto il processo dell’assemblea costituente, vuole insomma costringere Conte e i suoi a sloggiare, creando un altro soggetto politico.
Anche per questo da Genova si stanno raccogliendo le testimonianze via mail di ex iscritti che non hanno potuto votare. La vicenda è questa: nei mesi scorsi dal portale del Movimento sono state depennato decine di migliaia di persone registrate, coloro cioè che da oltre un anno non accedevano alla propria area riservata. Prima di procedere, erano state inviate due mail invitando a cliccare su un link: in quel caso, si sarebbe rinnovata l’iscrizione. Chi non lo aveva fatto, si era ritrovato virtualmente fuori. Per Grillo però è stato un procedimento irregolare, finalizzato ad abbassare il quorum necessario per far passare le modifiche sottoposte alla base. Ma è chiaro che con queste premesse, a prescindere dal voto in corso, la guerra (più legale che politica) è destinata a continuare. «Quando ci sarà un contenzioso in tribunale anche per invalidare questo percorso costituente, che di trasparente non ha nulla, vedremo cosa decideranno i magistrati del tribunale», annuncia l’ex ministro Danilo Toninelli, del Collegio dei probiviri M55 e vicino a Grillo.
Quanto a Conte, ieri ha continuato la sua contro-narrazione rilasciando più interviste. «Si è esaurita l’idea originaria di Grillo — le sue parole al Tg1 — Da lunedì si volta pagina, saremo più radicali di sempre e certo non diremo mai che Draghi “è un grillino”. Il Movimento non è la casa di Beppe Grillo, ma è la casa di tutti gli iscritti. Nessuno può calpestarli, il loro voto conta». La presidente della Sardegna Alessandra Todde invece definisce il garante «Crono che si mangia i suoi figli». Anche la vicepresidente Chiara Appendino invita alla partecipazione, pur senza nominare Grillo: «Ci siamo sempre battuti per la partecipazione, per abbassare i quorum per i referendum, per la democrazia dal basso: invitare a non votare è la cosa più lontana che esista dai principi del Movimento. Io non solo voterò ma invito anche tutti gli iscritti a farlo. Dopo questa ulteriore tappa trarremo le somme e inizieremo a scrivere una pagina nuova per ridare un’identità forte al Movimento e risposte concrete ai cittadini».
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
IL TESTO GIA’ APPROVATO LO SCORSO SETTEMBRE VIETA AI CRONISTI DI RIPORTARE, PER ESTRATTO O INTEGRALMENTE, GLI ATTI DI CUSTODIA CAUTELARE. ORA LO STOP POTREBBE RIGUARDARE ANCHE I DOCUMENTI SUI SEQUESTRI, INTERDITTVE, MISURE CAUTELARI PERSONALI
Il governo è al lavoro ad un decreto legislativo che punterebbe ad estendere ulteriormente il divieto di pubblicazione degli atti di indagine. Le ipotesi in campo sul provvedimento, che potrebbe approdare in Cdm il 9 dicembre, vanno oltre quanto già contenuto nel decreto legislativo approvato lo scorso settembre che già vieta la pubblicazione, per estratto o integralmente, gli atti di custodia cautelare così come sono esattamente riportati nei documenti.
Al momento si sta valutando il perimetro entro il quale estendere lo stesso divieto, per capire se includere in generale tutti gli atti – come le misure cautelari personali, il carcere, le interdittive e i sequestri – o solo determinati documenti. La notizia è anticipata oggi dal Messaggero e dal Fatto Quotidiano.
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
A PARIGI ALEGGIA LO SCENARIO GRECO: IL DEFICIT È VOLATO AL 6,1%, IL BILANCIO CONGELATO INQUIETA ANCHE L’EUROPA. RESTANO “SOLO POCHE SETTIMANE DI LIQUIDITÀ PER PENSIONI E ASSISTENZA SANITARIA”. SI TEME PER LO SPREAD E LA REAZIONE DEI MERCATI
Michel Barnier se ne va accompagnato da una standing ovation. Quella della sua effimera minoranza all’Assemblea Nazionale.
Lo boccia la sinistra del Nouveau Front Populaire, che va dai radicali di Mélenchon ai socialisti, e lo boccia anche la destra estrema del Rassemblement National di Marine Le Pen. Nessun voto contrario è mancato all’appello. Barnier ha terminato il suo ultimo discorso da premier con la voce che si è rotta dall’emozione, quando è arrivato il momento di dire «il grande onore di aver servito la Francia e i francesi». Ha parlato prima del voto di «censura».
Non è servito citare Pierre Mendes France, o il Piccolo Principe di Saint Exupéry, fare appello alla responsabilità di tutti e ricordare che la crisi di governo «significa che il bilancio della nazione non potrà probabilmente essere adottato prima della fine dell’anno», che porterà «a una perdita del potere d’acquisto dei francesi» che «delle riforme tanto attese non troveranno finanziamento, come per esempio il reclutamento di nuovi poliziotti e militari, oppure misure a favore delle pensioni e degli agricoltori. I due blocchi, a sinistra e a destra dell’emiciclo, sono rimasti sordi all’appello. Marine Le Pen si è turata il naso e ha chiesto ai suoi di votare la mozione di sfiducia della sinistra.
Poco importa che il testo contenesse una virulenta critica a lei e all’estrema destra, poco importa che nel suo discorso di presentazione della mozione di sfiducia, il deputato della France Insoumise Eric Coquerel si fosse lanciato in un’invettiva anche contro i banchi del Rassemblement National. L’«osceno connubio» ha rovesciato il governo.
Jean-Luc Mélénchon, che non è deputato, aveva preso posto in balconata, cravatta rossa, imperturbabile. Passato il voto ha chiosato: «la sfiducia ineluttabile c’è stata. Anche con un Barnier ogni tre mesi Macron non resisterà per tre anni».
Dopo aver sferrato il suo colpo, Marine Le Pen ha dichiarato che Macron «deve dimettersi» anche se ha assicurato che non è lei a chiedere le dimissioni del presidente: «Si assumerà le proprie responsabilità, farà quello che deve in base alla sua coscienza. Una cosa è certa: è lui il grande responsabile della situazione attuale. Le Pen ha comunque promesso che il suo partito «lascerà lavorare» il prossimo primo ministro per «co-costruire un bilancio che sia accettabile per tutti».
Ora si passa subito al dopo. Caduto il governo Barnier, Macron dovrà far uscire dal cappello un nuovo nome. Questa volta non avrà davanti a sé la tregua olimpica e le vacanze estive.
Nel totoministri si insiste sul ministro della Difesa Sébastien Lecornu (ma è considerato troppo macronista), sono aumentate le quotazioni dell’ex ministro gollista François Baroin ora sindaco di Troyes (ma perché un conservatore, seppure più compatibile con la sinistra, dovrebbe riuscire là dove Barnier ha fallito?), si cita con insistenza il leader storico del centro François Bayrou. Molti ritengono che Macron sarà invece costretto a guardare a sinistra.
La scommessa è la stessa di quest’estate, convincere una frangia della sinistra moderata, in particolare quella socialista, a emanciparsi dagli Insoumis di Mélénchon, convincerla a raggiungere una «maggioranza di responsabili». Potrebbe tornare d’attualità l’ex premier Bernard Cazeneuve. Ieri spiraglio da parte del senatore ecologista Yannick Jadot che si è espresso per un governo con ministri «provenienti dal blocco centrale», sulla base di un «accordo di non sfiducia intorno a un numero limitato di misure indispensabili per i francesi».
Per i più allarmisti, la Francia si troverebbe addirittura davanti a uno «scenario greco». Per altri analisti, è una pericolosa «spirale all’italiana». Per i più critici verso il governo, si tratta di puro allarmismo fatto per evitare fino all’ultimo un disastro politico di più ampio respiro.
E intorno a questa crisi politica si staglia il baratro economico, finanziario e sociale.
Il debito è a 3.228 miliardi di euro. Il deficit è salito vertiginosamente, attestandosi al 6,1% del Pil, quando le previsioni parlavano di un 4,4%. L’obiettivo del governo era quello di ridurlo a 5 punti percentuali e arrivare sotto il 3% entro il 2029. Numeri da soglia europea che a questo punto appaiono praticamente irraggiungibili, tanto che qualcuno azzarda anche un aumento delle cifre dovuto all’instabilità politica. L’ennesima colpa che viene attribuita a Macron.
Come se non bastasse, sul futuro a brevissimo termine del Paese si staglia anche un’ombra: quella dei soldi rimasti nelle casse della Sécurité Sociale. In assenza della legge che doveva autorizzare la Sécurité Sociale a finanziarsi con i prestiti, l’ex premier Elisabeth Borne aveva addirittura paventato prima della sfiducia la paralisi del sistema, una sorta di “shutdown” in salsa francese.
Da Parigi hanno assicurato che anche con la sfiducia e senza una legge ad hoc, il sistema del welfare, delle pensioni e della sanità non smetterà di lavorare.
Molti esperti hanno voluto tranquillizzare la popolazione: un’autorizzazione potrebbe essere data anche tramite una legge speciale. Ma non tutti concordano su questa possibilità. E l’avvertimento è arrivato direttamente dal relatore sul bilancio della previdenza, Yannick Neuder, secondo il quale rimarrebbero «solo poche settimane di liquidità» per pensioni e assistenza sanitaria. Problema a cui si aggiunge tutto un elenco di provvedimenti e di possibili riforme sociali che rimarranno al palo. Un incubo per Macron e per i francesi
La Francia potrebbe andare avanti a leggi speciali, ma il bilancio congelato inquieta anche l’Europa. Lo spread tra i titoli di Stato francesi a 10 anni e i Bund tedeschi ieri sera era a poco meno di 84 punti: la stessa cifra della Grecia. E la reazione dei mercati ora potrebbe colpire in maniera ancora più dura.
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
I SOCIALISTI HANNO VOTATO LA SFIDUCIA CAPITANATI DA FRANÇOIS HOLLANDE TORNATO DEPUTATO
«Non posso credere che verrà votata la sfiducia», diceva ancora il giorno prima il presidente Macron, tradendo una volta di più la sua disconnessione dalla realtà. Perché alle 20 e 25 di ieri la presidente dell’Assemblea nazionale Yaël Braun-Pivet ha annunciato che la mozione di censura era approvata, e con ben 331 voti. Oltre 40 più dei necessari, visto che la soglia era 288.
Così il premier Michel Barnier sarà costretto ad andare all’Eliseo per rassegnare le dimissioni. Una batosta senza precedenti per un governo della V Repubblica Emmanuel Macron ha mostrato tutta la sua delusione verso il Partito socialista, che ha votato assieme al resto della coalizione di sinistra del Nouveau Front Populaire.
Il NFP è composto dalla sinistra radicale della France insoumise, dai comunisti, dagli ecologisti e da 66 deputati socialisti: era da loro che Macron e Barnier si aspettavano un sostegno dell’ultimo minuto. Il premier lo ha sperato sino alla fine, e lo ha dimostrato con l’ultimo intervento pieno di dignità ma al contempo un po’ lunare ieri in aula pochi minuti prima del voto, quando ancora ha invocato il «senso di responsabilità» dei deputati
Proprio Macron e Barnier hanno dato l’impressione di essere gli unici a non avere capito che era finita: contavano forse sulla «cultura di governo» del partito socialista, che fino al 2017 era al potere, ma l’ex presidente François Hollande tornato deputato della Corrèze ieri non ha avuto esitazioni a punire il suo ex ministro Macron, che lo tradì. Su 66 socialisti, solo una, Sophie Pantel, si è dissociata. Che la sinistra fosse all’opposizione contro Barnier, in fondo, non è una novità. Quel che è cambiato è il Rassemblement national, che da settembre garantiva un indispensabile appoggio esterno ora venuto meno.
(da Corriere della Sera)
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Dicembre 5th, 2024 Riccardo Fucile
LE FORZE IN CAMPO: SINISTRA 182 SEGGI. CENTRISTI 168 SEGGI, LEPENIANI 143 SEGGI
Con la sfiducia a Michel Barnier il Paese ripiomba nel tunnel dell’instabilità. Ecco cosa può accadere (e cosa no)
Con il voto all’Assemblea nazionale della mozione di censura al governo guidato da Michel Barnier, la Francia piomba di nuovo nel tunnel dell’incertezza politica. Situazione inedita per la Quinta repubblica voluta nel 1958 dal Generale Charles De Gaulle per dare forza e stabilità al sistema politico francese, ma che i cittadini d’Oltralpe hanno imparato a conoscere negli ultimi sei mesi. La decisione di Emmanuel Macron di sciogliere il Parlamento lo scorso 9 giugno dopo la batosta elettorale delle Europee ha terremotato il Paese. «Serve un chiarimento politico tramite il voto», disse quella sera il capo dello Stato. È andata all’opposto, con elezioni legislative anticipate che hanno consegnato un Parlamento ingovernabile, spaccato in tre blocchi che se la giurano l’un l’altro: il Nouveau Front Populaire (sinistre, 182 seggi), Ensemble (centristi, 168 seggi) e Rassemblement National (destra radicale, 143 seggi). Dopo aver mantenuto al governo ad interim Gabriel Attal per l’estate, in cui Parigi era chiamata anche all’appuntamento internazionale delle Olimpiadi, Macron ai primi di settembre aveva estratto dal cilindro il coniglio Michel Barnier: politico conservatore di lunga esperienza in grado di guidare un governo di centrodestra e di assicurare la «non-opposizione» in Parlamento del Rassemblement National. Sino ad oggi. Cos’è cambiato nel frattempo? E ora che succede? Oltre a Barnier rischia pure Macron? E la Francia? Domande e risposte.
Il Rassemblement National aveva consentito la nascita e la navigazione del governo-Barnier. Perché ora ha staccato la spina?
Ufficialmente per la contrarietà alle misure previste nel progetto di bilancio 2025, che comprende aumenti di tasse e tagli alle spese dello Stato per ridurre il deficit pubblico, esploso oltre il 6% del Pil quest’anno. Marine Le Pen si è presentata davanti alle telecamere lunedì pomeriggio per sottolineare come l’assenza di passi indietro convincenti di Barnier sulle «linee rosse» fissate dall’RN (sul costo di elettricità, farmaci, pensioni) ha condotto il partito a sfiduciarlo. Dietro le quinte a Parigi circola però anche un’altra interpretazione, tra il politico e il giudiziario: Le Pen avrebbe alzato la posta con Barnier, presentandogli richieste sempre più pressanti e inaccettabili sino a farlo cadere perché ha fretta. Sulla sua testa pende la spada di Damocle di una possibile condanna per la vicenda dell’uso improprio di fondi europei, che potrebbe comportare anche l’ineleggibilità a cariche pubbliche per 5 anni. La sentenza è attesa per il 31 marzo. Anche per questo Le Pen ha una gran fretta di spingere Macron a gettare definitivamente la spugna.
Michel Barnier è obbligato a dimettersi?
Sì. L’articolo 50 della Costituzione francese afferma chiaramente che quando l’Assemblea nazionale adotta una mozione di censura dell’esecutivo «il primo ministro deve rimettere al Presidente della Repubblica la dimissioni del Governo»: anche se non detta i tempi di tale atto, si desume le dimissioni debbano essere presentate senza indugio.
Quindi ora chi governerà la Francia?
Barnier resta alla guida del governo solo per la gestione degli affari correnti. Per il resto il pallino ora torna nelle mani di Macron, chiamato come detto dalla Costituzione a indicare un nuovo primo ministro. Può essere chiunque (non necessariamente un parlamentare), purché in grado di formare un governo che possa contare su una maggioranza all’Assemblea nazionale. Missione complicatissima nell’attuale Parlamento uscito spaccato in tre dalle legislative di giugno/luglio. Sui media francesi circolano in queste ore i nomi di alcuni politici che Macron starebbe considerando per tentare di sbloccare la situazione – l’ex socialista Bernard Cazeneuve, il centrista François Bayrou, l’attuale ministro della Difesa Sébastien Lecornu – ma anche l’ipotesi di un governo tecnico. Sarebbe una prima volta assoluta per la Quinta Repubblica. Sulle chances di successo di queste diverse strade, al momento nessuno in Francia è disposto a scommettere.
Macron potrebbe sciogliere il Parlamento per cercare di far emergere una nuova, chiara maggioranza?
No. O meglio, non subito. Il 9 giugno, dopo la dura sconfitta alle elezioni europee, Macron ha sciolto il precedente Parlamento e convocato elezioni anticipate, svoltesi poi in doppio turno il 30 giugno e il 7 luglio. A norma di Costituzione (articolo 12), «non si può procedere a una nuova dissoluzione nell’anno che segue queste elezioni», ossia quelle anticipate per una precedente dissoluzione. Tradotto: il Parlamento attualmente in funzione non può essere sciolto prima dell’8 luglio 2025.
Le opposizioni chiedono le dimissioni dello stesso Emmanuel Macron. Anche lui è obbligato a darle?
No, in Francia il presidente della Repubblica sceglie il primo ministro e presiede il consiglio dei ministri, ma la sua funzione di guida dello Stato è tutelata dalla Costituzione: non è tenuto a dimettersi in caso di crisi di governo, né di fatto in alcun altro caso. Può ovviamente scegliere di lasciare l’incarico per proprie autonome valutazioni politiche, ma in questi mesi Macron ha più volte messo in chiaro di non prendere in considerazione quest’ipotesi («fantapolitica», ha ribadito ieri dall’Arabia Saudita). Il suo mandato scade nella primavera del 2027.
E se cambiasse idea?
Se Macron dovesse a sorpresa cambiare idea e dimettersi, a norma dell’articolo 7 della Costituzione, nuove elezioni presidenziali sarebbero indette in tempi rapidi: «non meno di 20 giorni e non oltre 35 giorni» dopo la constatazione della vacanza di potere da parte del Consiglio costituzionale. Nel frattempo, le funzioni di presidente della Repubblica sono svolte ad interim dal presidente del Senato.
La Francia rischia di affrontare il 2025 senza una legge di bilancio?
Il rischio c’è. I giuristi francesi si dividono sul destino del progetto di legge di bilancio che Barnier aveva appena presentato: c’è chi sostiene che decada con le dimissioni del governo e chi che potrebbe essere ripreso in mano dal successivo esecutivo. Ma è evidente che i tempi per la formazione di un nuovo governo e l’elaborazione di una manovra – la precedente rimaneggiata o una nuova – prima della fine del 2024 sono strettissimi. Al limite dell’impossibile. Per questo partiti di centro e media da settimane paventavano il rischio di una seria crisi finanziaria in caso di caduta di Barnier. Di fronte a tale rischio, l’articolo 47 della Costituzione indica che il governo (dimissionario o nuovo) può chiedere l’autorizzazione d’urgenza al Parlamento per estendere provvisoriamente al 2025 lo stesso progetto di bilancio applicatosi nel 2024. È la strada apertamente indicata anche negli ultimi giorni da Marine Le Pen. Se anche su questo non dovesse trovarsi un accordo, esiste ancora l’extrema ratio disegnata dall’articolo 16, che dà al Presidente della Repubblica la possibilità di prendere misure straordinarie «quando le istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della Nazione, l’integrità del territorio o l’esecuzione dei suoi impegni internazionali sono minacciati». L’incapacità dello Stato di operare sul terreno economico-finanziario sembra poter ricadere in quest’ambito: Macron potrebbe dunque promulgare una sorta di manovra d’emergenza, se non altro per il tempo strettamente indispensabile prima dell’adozione di un progetto di bilancio strutturato da parte di un nuovo governo nella pienezza dei poteri.
(da agenzie)
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