Dicembre 21st, 2024 Riccardo Fucile
ASSOLTO PER UN REATO SPECIFICO. MA RESTA COLPEVOLE POLITICAMENTE DI CREAZIONE DI NEMICI IMMAGINARI CONTINUATA E DISTRAZIONE DI MASSA
E allora, tutto ok? No. Matteo Salvini non è innocente politicamente, quando dice “ho difeso i confini”. Perché nessuno ha mai attaccato i confini dell’Italia, certamente non quei poveracci costretti a fuggire dal luogo in cui sono nati. Quelle persone non attaccano i confini, chiedono aiuto.
Matteo Salvini non è innocente politicamente, quando dice “meno partenze, meno morti”. Perché senza navi da soccorso in mare, non partono meno persone. Semplicemente non veniamo a conoscenza del numero preciso dei morti
Matteo Salvini non è innocente politicamente, quando dice “ho agito per il bene del popolo italiano”. Perché non causa mai nessun bene, lasciare dei poveracci che chiedono soccorso in mezzo al mare
Matteo Salvini non è innocente politicamente, quando dice “ho contrastato l’immigrazione di massa”, perché sbraitare contro il salvagente portato da qualche ONG a qualche donna vittima di violenza sessuale, o a qualche uomo vittima di tortura, o a qualche bambino che non è mai potuto andare a scuola, non significa contrastare l’immigrazione clandestina, ma contrapporsi a un principio minimo di umanità.
Matteo Salvini non è innocente politicamente, quando dice “perché non entrano in modo regolare?” perché sa bene che per loro non è possibile entrare in Europa legalmente. Non esiste il rilascio di visti né l’ufficio passaporti, dai luoghi dai cui scappano.
Matteo Salvini non è innocente politicamente, quando dice “è stata riconosciuta la correttezza del mio operato”, perché lasciare dei poveracci su una nave, impedendo loro di sbarcare, anche se non è sequestro di persona, è scomparizione di umanità.
Matteo Salvini non è innocente politicamente, quando indica un nemico. Quando semplifica. Quando usa slogan. Quando dice “non ho mai fatto una campagna contro gli immigrati ma contro l’illegalità”, perché invece pubblica notizie di reati indicando la nazionalità degli accusati, soltanto quando non sono italiani.
Matteo Salvini non è innocente politicamente quando accusa la Germania di “pagare le ONG per farle sbarcare in Italia”, perché mente sapendo di mentire.
Matteo Salvini non è innocente politicamente, quando indica la Tunisia come porto sicuro, oppure Malta, soltanto perché in questo momento lì non c’è una guerra fatta con le bombe.
Matteo Salvini non è innocente politicamente quando dice che “gli immigrati arrivano qui con il telefonino, la catenina, l’orologino”. Perché gli basterebbe aspettare una nave in porto e vedere come arrivano, con le cicatrici sulle gambe o i piedi viola, senza scarpe. O i segni delle percosse sulle braccia, senza orologio.
Matteo Salvini non è innocente politicamente quando dice “porti chiusi”, perché non ha mai chiuso niente, non si può chiudere un porto, o fermare il vento. E lui lo sa.
Matteo Salvini non è innocente politicamente, quando parla di “toghe rosse”, altrimenti non lo avrebbero assolto.
Potrei continuare così per molto tempo, però concludo. E cito Fabrizio De André: “Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”. Vale per tutti, anche per Matteo Salvini.
(da Fanpage)
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Dicembre 21st, 2024 Riccardo Fucile
SALTA L’IPOTESI DI POTER “SALVARE” DANIELA SANTANCHÈ, CHE RISCHIA IL PROCESSO PER TRUFFA E FALSO IN BILANCIO (E ORA È INDAGATA ANCHE PER BANCAROTTA), E IL SOTTOSEGRETARIO ALLA GIUSTIZIA, ANDREA DELMASTRO, A PROCESSO PER RIVELAZIONE DI SEGRETO D’UFFICIO
Alle 19:41 di venerdì sera il tam tam parte dai banchi del governo. “Assolto…”, sospira il sottosegretario Federico Freni insieme alla collega forzista Matilde Siracusano. I leghisti, che per tutto il giorno avevano preparato i manifesti anti-giudici in caso di condanna, si alzano in piedi lo stesso. Telefonano, si scambiano Whatsapp con i colleghi volati a Palermo. Arriva la conferma: “Assolto!”.
I ministri della Lega escono in batteria, come se armati ancora dalla “Bestia” di Luca Morisi: Matteo Piantedosi, Giancarlo Giorgetti (“L’ho appena sentito, è stato molto coraggioso”, dice alla Camera), Giuseppe Valditara, Roberto Calderoli.
Poi riceve una telefonata: è la premier Giorgia Meloni dalla Lapponia. I due scherzano, la premier si congratula. E anche lei fa un comunicato, poi un post: “La difesa dei confini non può essere mai un reato, proseguiamo con determinazione a combattere il traffico di essere umani, l’immigrazione illegale e difendere la sovranità”.
La premier, politicamente, può tirare un sospiro di sollievo perché un Salvini condannato le avrebbe creato un problema interno ed esterno. In primis perché il leghista era già pronto a una lunga campagna da martire contro i magistrati in grado di farlo risalire nei sondaggi. Inoltre, la premier temeva il tweet di Elon Musk contro i giudici italiani che aveva già provocato uno scontro con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Dall’altra parte, però, l’assoluzione di Salvini crea una grana a Palazzo Chigi: in questo modo salterà l’ipotesi di poter “salvare” il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro (a processo per rivelazione di segreto d’ufficio) e la ministra del Turismo Daniela Santanchè che rischia il processo per truffa e falso in bilancio a Milano.
La ministra di FdI sabato scorso al Fatto aveva detto che non si sarebbe dimessa anche in caso di rinvio a giudizio probabilmente forte della possibile condanna del vicepremier leghista, ma in questo modo la sua posizione si fa più difficile. La premier dovrà valutare e, nel caso, sostituirla.
All’interno della Lega, invece, l’assoluzione nei confronti di Salvini rischia di renderlo un po’ più fragile. I vertici del Carroccio spiegano che in caso di condanna il leader sarebbe stato stabile al suo posto e il partito si sarebbe compattato su alcune battaglie identitarie per difendere il suo segretario “vittima della giustizia”.
Così non sarà e, secondo alcune fonti interne al Carroccio, l’assoluzione indebolisce Salvini in vista del congresso che il partito dovrà fare l’anno nuovo, pur senza grossi avversari interni. Non è un caso, forse in risposta a questo scetticismo, che Salvini in serata ribadisca la volontà di andare avanti sulla riforma della Giustizia: “Ora bisogna ripensare tempi e modi della giustizia”. L’unico leader dell’opposizione che ha solidarizzato col collega leghista è Matteo Renzi, anche lui assolto giovedì nel processo Open.
(da agenzie)
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Dicembre 21st, 2024 Riccardo Fucile
LA DUCETTA HA OSPITATO GLI ALLEATI A CASA SUA DOVE HA SERVITO TORTE, TÈ, PIZZETTE E SPRITZ, PRESENTE ANCHE GIORGETTI IN ESTASI PER MILEI
I patti si siglano spesso davanti ai piatti. Perché il cibo aiuta a superare le formalità e a creare un clima complice. Che serve quando in una discussione affiorano contrasti. Insomma, a tavola gli accordi vengono meglio. Anche se il patto, come il piatto, potrebbe in certi casi rivelarsi indigesto. Nella storia politica, infatti, molte volte la pietanza è andata di traverso ai commensali. Ma nonostante questo il rito si rinnova. E il patto, immancabilmente, prende il nome del piatto.
Giusto per rimanere alle vicende degli ultimi trent’anni, tutto ebbe inizio il 13 luglio del 1994 con il “patto delle vongole” tra Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione, che si trovarono a Gallipoli in un locale vista mare per preparare la crisi del primo governo guidato da Silvio Berlusconi. Erano gli albori della Seconda Repubblica e quel piatto di spaghetti fu solo l’antipasto del “patto delle sardine”, che venne celebrato insieme a Umberto Bossi il 22 dicembre del 1994.
Quando i due cospiratori entrarono nella casa romana del Senatùr, nel frigo del segretario della Lega scorsero solo scatolame e pan carrè. Tanto bastò per scambiarsi gli auguri di Natale e mettere a punto il “ribaltone”, sotto l’alto patrocinio di Oscar Luigi Scalfaro. Dal canto suo, il presidente della Repubblica aveva tentato in estate il “patto del brodino” con il cardinale Camillo Ruini, così da coinvolgere anche la Chiesa nell’operazione. (Quando si dice gli arbitri). Ma durante il pranzo organizzato al Quirinale il capo della Cei respinse la richiesta e nel gelo della conversazione la pietanza si raffreddò.
Del patto tra Bossi, Buttiglione e D’Alema si seppe solo dopo, perché certi piatti vanno consumati nella riservatezza per evitare il “piattino” di chi non è stato invitato. Sarà anche per questo che tre anni dopo il cibo di una famosa cena sarebbe andato a male. La colpa fu dei giornalisti che la sera del 18 giugno 1997 seguirono le tracce dei politici del tempo e li videro infilarsi a casa di Gianni Letta: prima arrivò Berlusconi; poi D’Alema accompagnato da Cesare Salvi; poi ancora Gianfranco Fini con Pinuccio Tatarella e Domenico Nania; e infine Franco Marini con Sergio Mattarella al seguito. L’appuntamento serviva per evitare il fallimento della Bicamerale e trovare un’intesa sulla riforma della Costituzione.
Dell’incontro c’è un dettagliato resoconto. A verbale risultano le imprecazioni di D’Alema, nel momento in cui si rese conto di essere stato scoperto, e un duetto tra Marini e Tatarella. Il primo si volse sconfortato verso gli altri leader: «Lo sapevo. Finché siamo stati solo noi quattro, come l’altra volta, non si è saputo nulla. Appena abbiamo allargato la lista è saltata la riservatezza».
Il secondo provò a consolarlo: «Non esiste cosa riservata se a saperla c’è più di una persona». La cena passerà alla storia come il “patto della crostata”, anche se anni dopo Salvi disse che “per dessert c’era il budino”. A casa Letta sono passati in molti per cercare di stringere intese con il Cavaliere: tra questi anche il segretario del Pd Walter Veltroni.
Un anno dopo il “patto della crostata” (o del budino) fu attorno a un piatto di pesce che si ritrovarono il braccio destro di Romano Prodi, Arturo Parisi, e il braccio sinistro di Armando Cossutta, Oliviero Diliberto. Era il 15 agosto del 1998, il governo dell’Ulivo vacillava sotto i colpi del leader di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti, e così il sottosegretario alla presidenza del Consiglio invitò il capogruppo di Rc a pranzo. Essendo sardi, i due si videro a Cagliari, a casa del fratello di Parisi, per concordare la scissione del partito di Diliberto ed evitare la crisi di governo. Per anni quel colloquio rimase riservato, ma non per questo l’operazione andò a buon fine, perché il 9 ottobre Prodi cadde per un voto.
Da allora molti piatti furono serviti per patti di minore importanza. Alcuni ebbero una rilevanza mediatica superiore alla loro valenza politica. Ma ormai l’abitudine di definire un accordo accostandolo a una pietanza era diventata una moda, anche se i cibi erano roba da fast food come le intese: si consumavano in fretta e non avevano gusto. Era in atto una mutazione genetica del patto. Al punto che gli incontri riservati diventarono happening. Come quello dei “saggi” della Casa delle Libertà, che nell’agosto del 2003 trascorsero quattro giorni a Lorenzago. Lì, il leghista Roberto Calderoli, il forzista Andrea Pastore, il finiano Nania e il centrista Francesco D’Onofrio, smontarono e rimontarono più volte la Costituzione «tra pantagrueliche abbuffate e allegre scaraffate», come scrisse Gian Antonio Stella sul Corriere
Più che un convivio tra costituenti fu un’indimenticabile Woodstock. Perché in quel paesino del Cadore dove tutti si chiamano Tremonti, quello vero – cioè Giulio – ospitò sedute dottrinali intervallate da sfide di resistenza alcolica e sessioni musicali. A notte fonda ci si poteva imbattere persino nelle esibizioni di Bossi al pianoforte dell’Albergo Trieste. Anche se poi la riforma chiamata Devolution fece una stecca al referendum e venne bocciata.
In ogni caso l’evento di Lorenzago aveva fatto scuola. I politici abbandonarono la riservatezza e si diedero a vere e proprie esibizioni folkloristiche aperte al pubblico. Avvenne con il “patto della pajata”, che nel 2010 sancì la pace tra destra e Lega, con tanto di degustazione in piazza Montecitorio del tipico piatto romano. E avvenne anche con il “patto del tortellino”, organizzato nell’estate del 2014 dall’allora segretario del Pd Matteo Renzi, che fece quasi prendere un coccolone ai leader socialisti europei – suoi ospiti alla Festa dell’Unità – costretti a mangiare il brodo sotto l’afa padana. Molto più glamour e fastoso era stato il pranzo stellato chez D’Alema, che il 21 novembre del 1999 aveva raccolto a Firenze «i riformisti del XXI secolo»: Bill Clinton, Tony Blair, Gerard Schroeder, Lionel Jospin, e ovviamente «Max»…
Bisognerà attendere l’autunno del 2017 per assistere alla prima di Giorgia Meloni, che a Catania siglerà il “patto dell’arancino” con Berlusconi e Matteo Salvini. Ora che è premier, tocca a lei la lista degli inviti. E settimane fa ha ricevuto nella sua abitazione gli alleati per il “patto dell’apericena”, servendo torte e tè, pizzette e spritz. Meloni, Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi devono aver fatto però indigestione, se pochi giorni dopo il governo è “incespicato” alla Camera.
Ma quella sera si sono divertiti. La premier era appena tornata da Buenos Aires, dove aveva incontrato Javier Milei insieme a Giancarlo Giorgetti. Pare che il ministro italiano si sia politicamente innamorato del presidente argentino. Tanto che durante l’apericena ha parlato solo di lui: «Milei c’ha le palle», «Milei sa come fare», «Milei sì che taglia la spesa». Finché Meloni è scoppiata in una fragorosa risata: «A Gianca’,
(da agenzie)
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Dicembre 21st, 2024 Riccardo Fucile
E HA RILANCIATO UN VIDEO DELL’INFLUENCER NAOMI SEIBT CONTRO I MIGRANTI E LE POLITICHE VERDI
In meno di tre giorni Elon Musk è riuscito a portare il governo degli Stati Uniti a un passo dalla chiusura e a interferire con le imminenti elezioni tedesche. Il tutto senza alzare gli occhi dal suo telefonino. È con un tweet sul social X (di cui è proprietario) che venerdì il miliardario sudafricano ha espresso il suo appoggio per l’Afd, “Alternativa per la Germania”, il partito tedesco di estrema destra fortemente anti immigrazione e con legami con i neonazisti, sostenendo che è il solo che può salvare la Germania
.Il tweet rilanciava un video dell’influencer di estrema destra Naomi Seibt, in cui si commenta il fatto che il candidato cancelliere dell’Unione cristiano democratica tedesca (Cdu), Friedrich Merz, si sia rifiutato di affrontare in un dibattitto televisivo i rappresentanti di AfD prima delle elezioni del 23 febbraio.
E, ancora, dopo l’attentato di Magdeburgo ha attaccato il cancellieri Olaf Scholz: «Si deve dimettere immediatamente». Con un’allusione alle politiche migratorie che avrebbero favorito l’arrivo di potenziali terrorista.
Ormai chiaro che il “copresidente” degli Stati Uniti punta a influenzare le elezioni del prossimo 23 febbraio. Sul fronte interno americano l’impatto del magnate è altrettanto forte. Sempre con i suoi tweet, giovedì ha fatto saltare il disegno di legge che il Congresso americano aveva redatto in forma bipartisan e che avrebbe garantito fondi al governo per funzionare almeno fino a marzo, con l’appoggio sia dei democratici che dei repubblicani.
Se sono test di forza per far vedere quanto sia potente la sua influenza, allora li ha superati, senza contare che è riuscito a dominare il ciclo di notizie per tre giorni consecutivi. Ormai il titolo di uomo più ricco del mondo gli sta stretto.
A capo del Doge – il gruppo che dovrà consigliare il presidente sulle riduzioni da fare all’interno del governo federale – usa il suo social come il presidente argentino Javier Milei usa la motosega: «Tagliare, tagliare, tagliare».
In quelle mille pagine negoziate a fatica sotto la leadership del presidente della Camera Mike Johnson, c’erano quasi 100 miliardi di dollari in aiuti per gli americani colpiti da molteplici disastri nazionali, aiuti economici per gli agricoltori, un impegno federale per ricostruire il Francis Scott Key Bridge di Baltimora, la criminalizzazione del porno usato come arma di vendetta, oltre al finanziamento degli stipendi per i lavoratori federali non essenziali – scienziati, guardie forestali, impiegati dei musei – che, in questo modo, rischiano di subire un blocco degli stipendi.
«Chiudere il governo è infinitamente meglio che approvare un disegno di legge orribile» ha scritto Musk in una dozzina di post. Fino a vere e proprie minacce politiche: «Qualsiasi membro della Camera o del Senato che voti a favore di questa scandalosa proposta di legge sulla spesa merita di essere cacciato via tra due anni!».
Convinti e spaventati dalle sue parole i repubblicani di Capitol Hill hanno fatto saltare l’accordo. Molti democratici hanno iniziato a chiamarlo «presidente ombra» o «co-presidente», un po’ per sottolineare il suo potere, un po’ per stuzzicare l’ego di Trump, il vero Presidente eletto che non si sa quanto fosse a conoscenza dell’iniziativa del padrone di Tesla, salvo poi andargli dietro una volta che si era espresso
E c’è già chi mette in discussione il ruolo del presidente della Camera Johnson, promotore del disegno affossato: la deputata Marjorie Taylor Greene della Georgia e il senatore Rand Paul del Kentucky stanno già pensando di sostituirlo. Con chi? Ma con Musk stesso, ovviamente, dal momento che la Costituzione degli Stati Uniti non obbliga che il presidente della Camera sia un membro del Congresso.
Giovedì l’hashtag #PresidentMusk era argomento di tendenza su X, mentre i deputati democratici si divertivano a postare immagini generate dall’intelligenza artificiale in cui il padrone di Tesla manovrava un Trump burattino. Misura dell’irritazione del presidente eletto è anche il fatto che il miliardario sudafricano – visto come aveva preso piede l’hashtag #PresidentMusk – ha successivamente cercato di minimizzare il suo contributo.
(da La Stampa)
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Dicembre 21st, 2024 Riccardo Fucile
IN CASO DI CONDANNA, IL CARROCCIO SI SAREBBE COMPATTATO PER DIFENDERE IL SUO SEGRETARIO “VITTIMA DELLA GIUSTIZIA”… ORA IL VICEPREMIER HA DAVANTI A SÉ SOLO GLI SCAZZI E I MALUMORI, DA ZAIA A FONTANA FINO A ROMEO, DI UNA LEGA RIDOTTA AI MINIMI TERMINI, E CON IL CONGRESSO FEDERALE PREVISTO A INIZIO 2025
La notizia dell’assoluzione raggiunge la presidente del Consiglio mentre è con la figlia Ginevra nella terra di Babbo Natale, a Saariselkä, villaggio sami di 350 anime, 260 chilometri a nord del circolo polare artico, igloo col soffitto di vetro e renne al pascolo. Qui si tiene un vertice a quattro per discutere di sicurezza (il confine con la Russia è a 40 km) e di migranti, anche se da queste parti scarseggiano. Meloni sperava nell’assoluzione del leghista, ma la sentenza ingarbuglia altri nodi politici.
Intanto rimette in discussione la linea che avrebbe potuto tenere Palazzo Chigi per i procedimenti giudiziari che coinvolgono altri componenti del governo, dalla ministra Daniela Santanchè al sottosegretario Andrea Delmastro. Una condanna del leghista avrebbe automaticamente scudato politicamente tutti gli altri. Il cosiddetto “lodo Salvini”, appunto. L’assoluzione invece, almeno in teoria, rimette in discussione la strategia. Anche se chi conosce bene Santanchè, tipo tosto e affatto arrendevole, è convinto che rimarrà sulla stessa posizione, a prescindere.
Sul fronte internazionale, con l’assoluzione del capo del Carroccio, la premier evita contraccolpi in Ue. Prima di arrivare al polo nord, era indaffarata a Bruxelles, trattando proprio sul nuovo patto migranti e asilo. Ritrovarsi col vicepremier condannato per una vicenda legata agli sbarchi avrebbe ridimensionato il suo margine di manovra.
C’è poi un altro motivo di godimento che i Fratelli bisbigliano, nella notte in cui cadono le accuse per il segretario lumbard: senza più la posa da perseguitato delle toghe rosse, è difficile che la Lega strappi consensi a FdI. E anche gli assist social di Elon Musk al leghista, incentrati quasi unicamente sul processo Open Arms, sono destinati a ridursi drasticamente. Meloni tornerebbe l’unica con un canale diretto col magnate iper trumpiano.
Per Salvini, sono convinti gli alleati, l’assoluzione non è un balsamo politico, anzi. Una condanna sarebbe coincisa con una blindatura automatica nel partito. Ora lo scenario cambia. I suoi avversari interni potranno sfidarlo senza temere di essere tacciati di pugnalate alle spalle.
Il momento è delicato: il segretario della Lega ha tentato il braccio di ferro al congresso in Lombardia, ma ha dovuto cedere al capogruppo al Senato, Max Romeo, critico sulla linea politica del “Capitano”, da Vannacci alla fiacchezza con cui si affronta la questione settentrionale, tesi sposata pure dai governatori Luca Zaia e Attilio Fontana.
Il congresso lombardo è stato uno smacco, per Salvini, che ha fatto buon viso a cattivo gioco. Un segnale preoccupante, comunque, in vista del congresso federale che si terrà all’inizio dell’anno prossimo. Soprattutto ora che il ruolo di martire dei giudici comunisti non potrà più interpretarlo.
(da La Repubblica)
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Dicembre 21st, 2024 Riccardo Fucile
IL 50ENNE TALEB AL ABDULMOHSEN, LO PSICHIATRA SAUDITA AUTORE DELLA STRAGE A MAGDEBURGO, ERA UN RIFUGIATO PERFETTAMENTE INTEGRATO, CHE HA POI ABBRACCIATO UN FANATISMO DI DESTRA E ANTI-ISLAMICO – AVEVA POSTATO VIDEO DELIRANTI: “DOBBIAMO FERMARE L’ISLAMIZZAZIONE DELL’EUROPA”
L’hanno preso a cento metri dalla strage. La polizia lo ha fermato all’altezza di una fermata del tram, lui si è sdraiato a terra per farsi ammanettare accanto alla sua Bmw presa a noleggio, calmo. Ma tra i pochi secondi del massacro e la cattura, Taleb Al Abdulmohsen è riuscito a postare un paio di video deliranti che potrebbero essere una delle chiavi della strage dell’avvento che ha sconvolto la Germania.
“Sono perseguitato dai tedeschi”, sostiene nei video. E in un post su X scrive che “Socrate è stato ucciso dai greci e nessuno ha pagato. Se giustizia deve essere fatta, dovrebbe essere quella di fermare l’islamizzazione dell’Europa”.
Emerge il profilo di un lento ma inesorabile deragliamento di un cittadino modello. Emerge la storia di un approdo in Germania cominciato secondo i migliori auspici, da rifugiato perfettamente integrato, e di una biografia finita fuori strada per un crescente fanatismo anti islamico che aveva portato l’ex rifugiato ad abbracciare tesi e figure di spicco dell’estrema destra contemporanea, da Elon Musk ad Alice Weidel, passando per il capo degli Identitari, Martin Sellner.
Abdulmohsen arriva in Germania nel 2016, dopo la specializzazione in psichiatria. Comincia a lavorare nella clinica di Bemburg, in Sassonia-Anhalt, una cinquantina di chilometri a sud di Magdeburgo. E in quegli anni, il suo profilo sembra quello di un migrante integrato e generoso: Al Abdulmohsen si attiva per le donne saudite che vogliono scappare dal regime e “dagli stupri dei loro tutori maschili”, come racconta nel 2019 alla Frankfurter Rundschau.
“Sono la persona più critica dell’Islam della storia”, confessa al quotidiano tedesco. Altre interviste seguono: grandi quotidiani tedeschi, la Bbc. All’epoca, Al Abdulmohsen ha ancora fiducia nel sistema di asilo tedesco che “può donare alle donne la libertà”. Anzitutto alle sue concittadine oppresse da una monarchia islamica.
E lui stesso ottiene lo status di rifugiato nel 2016 perché sostiene che il suo totale rifiuto dell’Islam lo abbia esposto a minacce di morte da parte dei fanatici. Negli anni successivi, però, qualcosa va storto.
Al Abdulmohsen comincia a postare video sempre più lunghi, sempre più deliranti. Lo psichiatra sembra aver perso fiducia nella Germania, si radicalizza. Su X attacca sempre più spesso il Paese che lo ospita, reo di “dare la caccia ai rifugiati sauditi all’interno del Paese e all’estero per distruggere le loro vite”. Sostiene che la Germania voglia “islamizzare l’Europa”, posta una foto dell’ex cancelliera Angela Merkel con la scritta in inglese “Ho distrutto l’Europa”.
E un tarlo comincia a mangiargli il cervello. Che i suoi concittadini siano minacciati dalle “autorità” tedesche, che agli atei come lui, la Germania preferisca “gli jihadisti”. Su siti americani anti islamici comincia a chiedere che si chiudano le frontiere. E la sua deriva si spinge talmente in là che inizia a simpatizzare con l’estrema destra, tedesca e globale.
Gli piace il tecno-sovranista Elon Musk, ama l’ultradestra tedesca della quale scrive: “Chi, se non l’Afd, combatte l’Islam?”. Si sente confortato, nel suo viscerale odio contro i musulmani, persino dal capo degli Identitari, Martin Sellner. E ad Alice Weidel, capa dell’Afd, Al Abdulmohsen scrive direttamente su X: “La sinistra è pazza, abbiamo bisogno dell’Afd per proteggere la polizia”.
(da La Repubblica)
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