Dicembre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
“PRIVAZIONE DELLA LIBERTA’ PERSONALE INTESA COME LIBERTA’ DI MUOVERSI NELLO SPAZIO”… SCOMMETTIAMO CHE IL PRETESTO PER ASSOLVERE SALVINI SI BASERA’ SUL FATTO CHE I MIGRANTI STREMATI POTEVANO TUTTO SOMMATO MUOVERSI DA POPPA A PRUA?
Il bene giuridico tutelato dall’art.605 c.p. è la libertà personale ed in particolare la libertà di agire; tale bene viene leso da qualsiasi limitazione della libertà fisica, intesa come possibilità di movimento, senza che la durata minima della privazione della libertà di locomozione possa escludere la configurabilità del reato; parimenti irrilevante è lo scopo per il quale detta limitazione sia stata operata.
La contestazione del delitto di sequestro di persona è precisata dalla giurisprudenza della Cassazione, secondo cui “l’elemento oggettivo di tale reato consiste nella privazione della libertà personale intesa come libertà di muoversi nello spazio”.
Non è necessario che la privazione sia totale, ma è sufficiente che il soggetto passivo non sia in grado di vincere gli ostacoli frapposti né ha rilevanza la maggiore o minore durata di tale privazione. Il delitto di sequestro di persona, che è un delitto contro la libertà personale, sussiste allorchè si ha la privazione della libertà di agire, intesa come libertà di locomozione, di movimento nello spazio, di libertà di scelta dove stare.
La procura di Agrigento prima e poi quella di Palermo hanno giustamente ravvisato nel caso Open Arms un chiaro sequestro di persona, dopo tre fasi di indagini dettagliate. Nessuna persecuzione giudiziaria, semmai i perseguitati e minacciati sono stati i tre Pm che hanno rappresentato l’accusa (su questo torneremo) con migliaia di lettere e messaggi di insulti e minacce di morte .
Come sono riusciti i tre giudici ad assolvere Salvini su una minima base giuridica? Eliminato l’abuso d’ufficio da Nordio, restava il sequestro di persona. Scommettiamo che la “libertà di muoversi nello spazio” poteva essere quella di arrivare da poppa a prua incuneandosi tra le decine di corpi stremati stesi per terra?
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Dicembre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
OPEN ARMS, SALVINI E CONTE: NORDIO E’ IL MINISTRO DELLE BALLE… DIMENTICA I PROCESSI IN CUI ERA PM CONCLUSI CON UN NULLA DI FATTO, QUANDO INDAGO’ D’ALEMA E OCCHETTO SENZA RISULTATO SE NON FAR PAGARE AL MINISTERO 9.000 EURO DI RISARCIMENTO, QUANDO APPOSE LA FIRMA CONTRO LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE
L’onda lunga della sentenza di Palermo su Matteo Salvini è l’occasione per il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, di riprendere e inasprire il suo conflitto con la magistratura. Lo fa con un’intervista al Messaggero, il quotidiano della famiglia Caltagirone di cui è stato anche editorialista. Gioca “in casa”, Nordio, lo si intuisce già dall’attacco enfatico e simpatizzante dell’articolo (“La scrivania di Togliatti, l’ammirazione per Vassalli (…), le citazioni in latino, i suoi libri sulla Giustizia”). Soprattutto, al ministro viene concesso di dire qualsiasi cosa, senza contraddittorio. Tra cui una lunga serie di amnesie, inesattezze o autentiche bugie.
“Questo processo, fondato sul nulla, non si sarebbe nemmeno dovuto iniziare: e comunque avrebbe dovuto coinvolgere anche Conte, allora presidente del consiglio, come concorrente in base all’art 40 2 comma del codice penale
La prima argomentazione è talmente bizzarra che è persino difficile da commentare, se non con una domanda retorica: è normale che un ministro della Giustizia sostenga – neanche troppo velatamente – che un’indagine non andava nemmeno avviata se si conclude con un’assoluzione? Da ex pm anche Nordio – ovviamente – è stato protagonista di numerose indagini che si sono concluse con un nulla di fatto.
Sulla responsabilità di Conte, invece, Nordio ignora o finge di ignorare fatti noti. Nei giorni del caso Open Arms la diversità di vedute tra Conte e Salvini era pubblica. Breve riassunto: l’ex premier scrive per la prima volta al ministro leghista il 13 agosto 2019 chiedendogli di far sbarcare almeno i minori e Salvini lo ignora. Due giorni dopo Conte gli invia una lettera formale: “Ier l’altro… ti ho invitato, ‘nel rispetto della normativa in vigore, ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori’… Ma parlare come Ministro dell’Interno e alterare una chiara posizione del tuo Presidente del Consiglio, scritta nero su bianco, è… un chiaro esempio di sleale collaborazione, l’ennesimo, che non posso accettare”.
“In due casi identici, quello della Diciotti e della Gregoretti, erano state infatti adottate soluzioni opposte, sia a livello politico, negando l’autorizzazione a procedere, sia a livello giudiziario, con l’archiviazione”
È proprio il caso Diciotti che smentisce la teoria di Nordio. In quell’occasione il blocco fu effettivamente condiviso da tutto il governo (a differenza di Open Arms). Infatti Conte, Luigi Di Maio e Danilo Toninelli si autodenunciarono per essere processati con l’ex ministro dell’Interno e furono indagati anch’essi per sequestro di persona dalla procura di Catania. Furono archiviati dal Tribunale dei ministri perché ciascuno è responsabile dei propri atti e quel blocco l’aveva firmato Salvini. Nordio cita il codice penale, ma è la Costituzione a stabilire che la responsabilità è personale: “I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri” (art. 95).
“Bisognerà pur pensare a risarcire le persone che finiscono nella graticola giudiziaria per anni (…) perché qualche pm non ha riflettuto sulle conseguenze della sua iniziativa avventata”
Nordio continua clamorosamente ad associare un’indagine che non si conclude con una condanna a un errore giudiziario. Peraltro dimentica la propria stessa biografia, anche se nell’intervista cita una sua vecchia indagine su Massimo D’Alema. L’attuale Guardasigilli infatti indagò senza risultati l’ex premier diessino e Achille Occhetto, ma si dimenticò la richiesta di archiviazione per ben 4 anni, fino alla prescrizione. Per colpa sua il ministero della Giustizia fu condannato a versare ai due danneggiati 9mila euro di risarcimenti.
“(La separazione delle carriere) è un principio che adottano tutti i paesi del mondo, garantisce la terzietà del giudizio”
Nordio è uno dei tanti magistrati (tra cui Falcone e Borsellino) ad aver cambiato carriera: è stato prima giudice e poi pm. E infatti nel novembre del 1992, in piena Mani Pulite, il barricadero Nordio firmava il manifesto dell’Anm contro la separazione delle carriere.
“Il giudice ha diritto di esprimersi come vuole, ma poi l’imputato lo può percepire non più come imparziale. Ed è la magistratura stessa che dovrebbe prendere le distanze da certe frasi”.
Torniamo al Nordio del 1992. Era un pubblico ministero che commentava e contestava apertamente le leggi approvate all’epoca. Con frasi come questa: “È un brutto giorno per la giustizia, ma anche per la libertà di stampa. Stando alla norma sulla segretezza dell’avviso di garanzia, potrebbe cadere un velo su inchieste importantissime come quelle sul Sisde o su Ustica”. Oggi è davvero irriconoscibile.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Dicembre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
L’ATTORE CHE HA VISITATO OPEN ARMS: “SIAMO TUTTI RIFUGIATI”
Richard Gere nell’agosto 2019 ha visitato Open Arms al largo di Lampedusa. L’allora ministro degli Interni Matteo Salvini è stato processato e assolto. «Quando sali su un’imbarcazione come quella, cosa che ho fatto in quell’occasione e poi anche in altre, vedi le stesse cose che, in questi anni, abbiamo visto in tanti luoghi del pianeta, India, Honduras, Bangladesh, Africa e anche in America. Gente che cerca una casa, un posto dove vivere, un riparo. In un certo senso siamo tutti rifugiati e, anche se non conosco i dettagli di questo caso giudiziario, penso che, se non riusciamo a specchiarci nelle sofferenze dei nostri fratelli, vuol dire che, come razza umana, abbiamo fallito», dice oggi in un’intervista a La Stampa.
Gere parla anche dell’elezione di Donald Trump: «Ho incontrato rappresentanti del Congresso, sia repubblicani che democratici, con l’obiettivo di capire quale percezione abbiano del futuro che ci aspetta. Sa come è andata? Nessuno ha saputo rispondere».
Gere trova inquietante che «del governo Trump, facciano parte due tra le persone più ricche dell’intero pianeta e che esse abbiano, quindi, la facoltà di esercitare il loro potere. Il fatto che siedano nell’ufficio presidenziale è per me molto allarmante. Nella Costituzione americana ricorre più volte la formula “noi, il popolo”, non certo “noi, i miliardari”. Dimenticare il popolo americano, quello vero, che non è certo fatto da super-milionari, è la cosa che più mi spaventa, quella che veramente fa tremare se pensiamo alle nostre sorti future. In America, ma anche in tante altre nazioni».
La diffusione delle armi
Poi parla della diffusione delle armi: «Restiamo sconvolti ogni volta che assistiamo alle stragi nelle scuole, con ragazzini che vengono ammazzati, ma la vendita delle armi continua a proliferare e l’esercizio della violenza in Usa è onnipresente, sempre in crescita. Mi sono attivato in questo senso, cerco di promuovere movimenti che controllino la diffusione delle armi». Infine: «Faccio parte esattamente di quella generazione che ha ricevuto la prima chiamata al fronte, quando è scoppiata la guerra in Vietnam. Era un periodo molto particolare, c’è stato come un risveglio universale, una voglia di reagire da parte dei ragazzi di allora, di dire no a quello che stava succedendo, forse anche perché gli orrori dell’Olocausto e del Secondo conflitto mondiale erano ancora vicini e allora quei giovani hanno saputo dire “no, non voglio essere parte di una nuova guerra”».
(da agenzie)
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Dicembre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
SALVINI RINGALLUZZITO VUOLE TORNARE AL VIMINALE, LA MELONI BLOCCA PIANTEDOSI
Nonostante sia ancora in visita ufficiale all’estero – prima in Lapponia e poi in Lituania in visita al nostro contingente militare – la premier Giorgia Meloni è inseguita dal ribollire della politica interna in Italia.
Se l’assoluzione nel processo Open Arms di Matteo Salvini le ha risparmiato la difesa d’ufficio contro i giudici, l’effetto opposto è stato di rinfocolare le ambizioni del vicepremier.
Prima in piazza a Roma e poi a Milano, infatti, Salvini ha esplicitato il suo desiderio di tornare al Viminale, ora che su di lui non pende più la spada di Damocle dell’inchiesta. Il leader leghista gioca coi giri di parole, ma il messaggio è chiaro: «Occuparsi della sicurezza è qualcosa di bello» e «se qualcuno in passato poteva dire “Salvini non può andare agli Interni perché c’è un processo in corso sulla sua condotta da ministro”, adesso questo alibi non c’è più».
Infine si è anche sbilanciato: «Sto bene dove sto», ma «poi parlerò con Giorgia e con Matteo» Piantedosi, attuale ministro e suo ex braccio destro proprio nel governo giallo-verde che approvò la stretta sui migranti con i decreti sicurezza.
Che quella di Salvini sia più che un’ambizione ma un vero e proprio progetto politico, a Meloni è subito risultato chiaro. Secondo fonti di governo, il leghista vorrebbe convincere la premier a spostare Piantedosi al Dis, il dipartimento per le informazioni di sicurezza oggi diretto da Elisabetta Belloni e in scadenza tra pochi mesi.
Del resto, sarebbe la tesi di Salvini, Piantedosi era già stato preso in considerazione per quel ruolo di prestigio e così Meloni guadagnerebbe anche un ministro in più per FdI, da collocare ai Trasporti.
Accattivante, ma da FdI si conferma che nella testa della premier l’ipotesi non sia nemmeno presa in considerazione.§Infatti, a chi le ha posto la domanda durante la conferenza stampa in Finlandia ha risposto con un lapidario «sia io che Salvini siamo contenti del lavoro che svolge l’ottimo ministro dell’Interno» Piantedosi. Del resto, la premier non vuole sentire parlare né di rimpasti che la costringerebbero a una difficile interlocuzione con il Quirinale (che per primo aveva posto il veto sulla nomina di Salvini al Viminale al momento della formazione del governo) né di valzer ai ministeri, che solleticherebbero gli appetiti degli alleati. «Tutto deve rimanere così come è», è il mantra che si ripete in Fratelli d’Italia.
Adesso l’obiettivo è quello di archiviare le schermaglie post-sentenza di Palermo e rimettere a fuoco gli obiettivi del governo più che i desiderata del vicepremier. In particolare in materia migratoria.
I cpr in Albania
Del resto, i fatti che hanno prodotto l’indagine a carico di Salvini sono più che superati. Ora le navi Ong non vengono più bloccate in mare, ma al massimo dirottate verso altri porti: una forma di disincentivo che le organizzazioni umanitarie denunciano, ma che evita cortocircuiti come quello del caso Open Arms.
Al centro dell’agenda del governo, infatti, c’è la vera scommessa di Meloni in materia di gestione migratoria: i centri per i rimpatri in Albania, oggi vuoti e oggetto di vari pronunciamenti giudiziari da parte dei giudici italiani. Sul loro utilizzo e sulla definizione di “paesi sicuri” di provenienza dei migranti che lì dovrebbero essere portati pende una decisione della Corte di giustizia dell’Ue, attesa per la primavera.
Intanto, però, Meloni è decisa a difendere la sua scommessa: lo ha ripetuto sia ad Atreju che alla Camera, «i centri in Albania funzioneranno». Già oggi riprenderà il filo del progetto, con un vertice «per vedere come procedere» insieme al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, il ministro della Difesa Guido Crosetto, il ministro per gli Affari Ue Tommaso Foti, il sottosegretario Alfredo Mantovano e il consigliere diplomatico Fabrizio Saggio.
La speranza del governo italiano, infatti, è che «le regole del nuovo Patto europeo sulle migrazioni e l’asilo aiutino ad affrontare il problema», ha detto Meloni, ma «devono esserci risposte migliori sui rimpatri».
Entro marzo dovrebbero venire approvate nuove norme sui Paesi sicuri (la questione che ha indotto i giudici italiani a non convalidare i trattenimenti in Albania) e l’esplorazione delle cosiddette «soluzioni innovative», ovvero i modello dei centri in Paesi terzi.
«Bisogna pensare fuori dagli schemi: l’Italia è stata la prima a fare un accordo con un Paese extra Ue, stiamo avendo qualche problema nell’interpretazione delle regole ma lo stiamo superando», ha assicurato la premier. In realtà, la strada sul fronte giuridico appare tutt’altro che spianata.
Meloni ha infatti fatto propria una sentenza della Cassazione, che in realtà ha dato torto al governo perché ha stabilito – in linea con quanto fatto dal tribunale di Roma – che i giudici possono disapplicare in via incidentale il decreto ministeriale contenente la lista dei Paesi sicuri.
La premier ha però enfatizzato la seconda parte della sentenza che, secondo lei, «ha sostanzialmente dato ragione al governo italiano sul fatto che è diritto dei governi stabilire quale sia la lista dei Paesi sicuri, mentre i giudici possono entrare nel singolo caso rispetto al paese sicuro ma non disapplicare in toto». Sfumature giuridiche, che tuttavia lasciano inalterata l’attesa per la pronuncia dei giudici europei.
A loro Meloni si era indirettamente rivolta in Aula, chiedendo che non avallino le «sentenze italiane dal sapore ideologico» che «rischierebbero di compromettere i rimpatri da tutti gli Stati membri». Segno che il timore che qualcosa vada storto, facendo crollare quello che è ormai il progetto simbolo del governo, c’è.
Eppure questa è la grande scommessa politica di Meloni, che non tollera interferenze. Men che meno dal leader della Lega, nonostante lui abbia già dimostrato di voler tornare ad occuparsi di migranti. Anche per questo un suo ritorno al Viminale è considerato fantascienza, dentro FdI. Certamente Sergio Mattarella non lo apprezzerebbe e con Piantedosi la premier ha coltivato un buon rapporto personale. Soprattutto però significherebbe regalare al leghista spazio nella lotta all’immigrazione, capitalizzando i frutti del lavoro altrui in questi anni.
(da editorialedomani.it)
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Dicembre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
L’OCCIDENTE “DALLE RADICI CRISTIANE” COSA CELEBRA A NATALE?
Sarebbe interessante chiederci che cosa celebri per Natale l’Occidente “dalle radici cristiane”. La venuta delle slitte di Babbo Natale? È una domanda che si impone di fronte a fatti recenti, troppo frettolosamente derubricati a cronaca politica. Come nel caso della sentenza pro-Salvini. Anche qui non si tratta di deplorare o esaltare, ma di intendere, e intendere significa collocare un evento nel suo contesto generale, cercare di analizzarne le cause e prevederne gli effetti.
Anzitutto la vicenda denuncia una situazione di drammatica insicurezza nell’amministrazione complessiva della Giustizia. L’accelerazione dei processi di trasformazione economica e sociale in ogni settore della nostra vita spiazza sistematicamente il legislatore.
La norma, quando anche venga emessa con coerenza, appare sempre in ritardo, si limita a definire un ordine precario per processi già in atto, fallendo ogni finalità preventiva. Nella imperante confusione tra diritto positivo e “diritti umani”, vengono decise in forma occasionale da una Corte all’altra norme interne e internazionali, tutte le questioni di frontiera, intrecciate tra loro, da quelle riguardanti lo strapotere delle grandi corporazioni economico-finanziarie e le straordinarie innovazioni tecnologiche che esse promuovono, a quelle su fine vita e manipolazione del Dna umano.
Fino alla gestione dei flussi di immigrazione riguardanti più di un decimo dell’umanità, quando diano vita a contraddizioni e “liti” . Il diritto si fa strada attraverso mucchi di contraddittorie sentenze.
La stessa fattispecie può venire giudicata in modo finanche opposto. Questo il primo ragionamento da svolgere in merito alla sentenza Salvini. Il giudice manca di ogni legge univocamente definita e chiaramente applicabile alla quale riferirsi, e da qui l’inevitabile confusione tra diritto, politica, ideologia.
Ciò non significa che, per ciascun ambito della nostra vita, e pur coscienti del disordine globale nel quale viviamo, non possano essere definiti orizzonti di senso, capaci di sovraintendere le nostre azioni, di porle in una coerente prospettiva. Nel caso dei fenomeni di migrazione di massa il quadro è chiaro. Pur investendo l’intero pianeta, essi conoscono il punto di massima drammaticità tra le sponde del Mare fu-nostro. Spostamenti di masse telluriche: l’intero immenso calderone dell’Africa sub-sahariana preme a Nord, e a ciò si aggiunge l’effetto delle guerre medio-orientali. Il dramma sta nel fatto che, a differenza di altre bibliche migrazioni, come quelle tra ’800 e ’900 dall’Europa alle Americhe, qui il flusso si dirige verso un continente, l’Europa appunto, in profonda crisi politica, economica, culturale, in cui lo stesso processo di unità, se vinceranno le Le Pen e le destre tedesche, si farà prossimo al collasso.
Come potrebbe uno spazio politico così profondamente in crisi svolgere una razionale politica di accoglienza? Che fare, realisticamente, se non difendersi? Le responsabilità di una tale situazione, la debacle etica e culturale delle forze politiche che hanno costruito l’Unione europea sono tanto evidenti, quanto ormai inutile raccontarle. La realtà oggi è che questa non-Europa non è in grado di affrontare adeguatamente la trasformazione globale, così come si esprime anche sul terreno dell’immigrazione. E figurarsi se lo potrebbe un suo singolo Stato.
Allora? Allora dobbiamo attingere a una, magari disperata, volontà di dare un senso al nostro agire. La più perfetta consapevolezza dei suoi limiti non può esonerarci dal dovere di trarre in salvo chi sta annegando, di nutrire l’affamato, di vestire chi è nudo. Possiamo riconoscere con il più spietato realismo la nostra impotenza ad affrontare le questioni di frontiera che ho prima citato, ciò non consente di voltarci dall’altra parte di fronte al massacro di donne e bambini. Se lo facciamo, è la nostra vita che perde senso. Se lo facciamo, vuol dire che siamo pronti a tutto, anche a subire qualsiasi regime. Possiamo, anzi: dobbiamo, rappresentarci con realismo tutte le difficoltà e contraddizioni, ma, prima di tutto e a prescindere da tutto, dobbiamo aiutare chi sulla nostra strada troviamo a terra massacrato o annega nel nostro mare. O il male finirà con l’apparirci la norma e, alla lunga, la nostra anima sarà perduta, pronta a obbedire a chi il male lo fa.
Può anche darsi che la nostra azione appaia insignificante rispetto alle cause e agli effetti della crisi globale, e questa dobbiamo certo sforzarci di comprendere e affrontare, guai tuttavia se questa coscienza serve a mascherare colpevoli negligenze e indecente egoismo.
Ora non sta manifestandosi soltanto una generale crescente assuefazione alla strage degli innocenti. La nostra politica non si volta soltanto dall’altra parte. Essa è chiaramente indirizzata a ostacolare ogni forma di aiuto, a renderlo, fosse possibile, impossibile.
Poiché non siamo in grado di accogliere – o non lo vogliamo – non solo lasciamo che i barconi affondino o paghiamo perché chi fugge da guerre e miserie venga torturato in lager sull’altra sponda, lontano dai nostri occhi, ma scegliamo politicamente di rendere il più possibile impervia l’opera di chi si ostina a credere che prima di tutto una vita umana vada salvata. Il messaggio è chiaro: non cercate di raggiungerci, in mare non troverete che guardie libiche e chi vi deruba per lasciarvi su barconi alla deriva. Più comodo per tutti che crepiate a casa vostra.
Una volta, all’inizio di questa tragedia, vi era ancora dell’antica ipocrisia. Le lacrime della Merkel, ricordate? Ipocrisia vuol dire anche coprire la propria vergogna, e perciò in qualche modo avvertirla. Quando si sente vergogna è possibile ancora cambiar mente.
Se anche l’ipocrisia viene meno e non si avverte vergogna nell’affermare che la propria politica consiste nel non volere che si dia aiuto a chi annega, un salto davvero mortale è compiuto. E temo l’Europa lo stia compiendo. Più che di secolarizzazione dovremmo forse parlare di radicale scristianizzazione. L’Annuncio del Natale è quello delle parabole del Samaritano o del Figliol prodigo. Vi è, in qualche deserto, chi le ricorda ancora? Nelle nostre metropoli il loro senso è stato sradicato. Un lungo processo storico-culturale è giunto al suo compimento: dalla “morte di Dio” al profondo silenzio in cui su questa terra sembra inabissarsi la parola, il Verbo, di Gesù.
Massimo Cacciari
(da lastampa.it)
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Dicembre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
I GUADAGNI ITALIANI DEL MILIARDARIO FINISCONO NEI PARADISI FISCALI CHE ELONI DEFINIVA “PARASSITI DA SANZIONARE”… NEGLI ULTIMI SEI MESI SI SONO AFFIDATI A STARLINK MINISTERI, MARINA MILITARE, PROTEZIONE CIVILE E VIGILI DEL FUOCO
La marina militare, il ministero degli Esteri, la protezione civile, i vigili del fuoco, il comando operativo di vertice interforze. Sono alcuni dei più importanti enti pubblici italiani che negli ultimi sei mesi, secondo i dati analizzati da Domani, si sono affidati ai satelliti Starlink per ottenere connessione internet.
Gli stanziamenti non superano quasi mai i 15mila euro, ma dimostrano che il più importante imprenditore del momento per Giorgia Meloni, Elon Musk, è già entrato a far parte dei fornitori della pubblica amministrazione italiana.
Alcune settimane fa, peraltro, Andrea Stroppa, considerato il suo referente in Italia, è finito in un’indagine della procura di Roma, che indaga su un giro di mazzette attorno ad aziende di stato.
Uno dei protagonisti, intercettato, diceva all’uomo di Musk: «Ti mando un documento che è veramente riservato eh». L’inchiesta non riguarda il colosso americano e farà il suo corso.
Di certo però l’uomo più ricco al mondo, finanziatore principale di Donald Trump e, come ha detto pochi giorni fa Nigel Farage, possibile donatore del partito di estrema destra britannico Reform Uk, Musk è in realtà già attivo in Italia da anni.
La sua Tesla, di cui è principale azionista, ha una filiale per il mercato nostrano. Si chiama Tesla Italy Srl. L’anno scorso ha fatturato 818 milioni di euro, il doppio rispetto al 2022, chiudendo con 9 milioni di utile netto. I guadagni macinati vendendo auto elettriche non restano però a Roma. Finiscono in Olanda, dove è registrata la holding Tesla International Bv. Funziona così anche con Starlink, il marchio con cui Musk vende connessione internet satellitare.
Secondo i dati pubblicati a settembre da Space X, la società che controlla Starlink, gli abbonati al servizio internet in Italia erano già 40mila. Musk ha costituito una società a Milano a fine 2020: si chiama Starlink Italy Srl, è proprietaria di quattro “gateway antenne”, che servono per le comunicazioni con i satelliti. Se un cittadino comune acquista l’abbonamento internet di Musk dall’Italia, però, la fattura non arriva dalla srl milanese. Arriva da Dublino. Ad emetterla è la Starlink Internet Services Limited, che incamera i ricavi provenienti dall’Italia così come da altri Paesi europei. Proprio come nel caso di Tesla, alla fine si approda in Olanda, perché l’irlandese è controllata dalla holding Starlink Holding Netherlands Bv.
Contraddizioni patriottiche
L’Aia permette alle società holding di non pagare imposte sui dividendi ricevuti da filiali estere: è da anni la specialità della casa. «Ora sanzioni contro i paradisi fiscali interni all’Ue, a cominciare dall’Olanda. Basta con i parassiti che si nutrono della nostra ricchezza e del nostro lavoro», scriveva nel 2020 Meloni. «Combattere i paradisi fiscali in Europa, drenano risorse all’Italia», ha ribadito lo scorso anno. La premier non deve essersi informata bene sulla struttura societaria di Musk o, se l’ha fatto, la scoperta non ha rovinato la sua luna di miele con il vulcanico imprenditore nato in Sudafrica 53 anni fa.
A settembre Meloni è stata premiata da lui con il Global Citizen Award dell’Atlantic Council. A inizio novembre ha chiamato «l’amico Elon Musk» per complimentarsi dopo l’elezione di Trump. Pochi giorni dopo l’imprenditore ha sparato contro le decisioni dei giudici italiani («se ne devono andare») provocando la reazione seccata del Quirinale. Da allora niente più notizie del legame tra Elon e Giorgia, il rapporto di amicizia è stato tolto dalla vetrina, oscurato.
Restano però gli affari che Musk punta a fare in Italia. Tra SpaceX, Tesla, l’ex Twitter ribattezzato X, The Boring Company, xAI, Hyperloop, Neuralink e il nuovo incarico di capo del Dipartimento per l’efficienza del governo statunitense, è quasi impossibile stare dietro a tutti i progetti del miliardario con tripla cittadinanza (sudafricana, canadese e americana).
Di sicuro, fra tutte le sue attività ce n’è una che lo rende particolarmente potente: i satelliti piazzati a circa 500 chilometri dalla Terra, la cosiddetta orbita bassa. Con intuito straordinario, Musk ha iniziato a lanciarli nello spazio nel 2019 e oggi la “costellazione Starlink” consiste in circa 7 mila unità. Da quella distanza sono in grado di fornire internet a banda larga sulla Terra, e in questo l’imprenditore non ha eguali.
Secondo la ong CelesTrak, a settembre i suoi satelliti rappresentavano due terzi di tutti quelli operativi. «Ha un monopolio sostanziale», ha detto di lui a novembre, parlando davanti alla commissione Esteri e Difesa del Senato, il ministro Guido Crosetto. Francesco Sacco, docente di Digital economy all’Università dell’Insubria e alla Sda Bocconi, riassume vantaggi e svantaggi competitivi di Starlink: «Oltre ad avere la capacità di lanciarli in orbita e di farlo a prezzi ridotti rispetto ai concorrenti, questi satelliti costano meno e garantiscono una latenza inferiore (il tempo di connessione, ndr). La tecnologia di Musk ha però anche un limite che spesso non viene ricordato. I suoi veicoli spaziali devono continuamente riallocare tra loro la capacità di connessione, di conseguenza, per le videochiamate, Starlink non può garantire al momento un collegamento senza interruzioni». Ciononostante, l’Italia a trazione Meloni ha deciso di puntarci forte.§
Affari di stato
Telespazio, controllata da Leonardo, a giugno ha firmato un accordo con Starlink per rivendere i suoi servizi in Italia. È da allora che diversi enti pubblici, tra cui quelli citati all’inizio di questo articolo, si sono rivolte a Telespazio per utilizzare la tecnologia del neo consulente di Trump. «Stiamo parlando di qualcosa che, nel lungo termine, sarà come ricostruire internet nello spazio», disse Musk a Seattle nel gennaio 2015, presentando per la prima volta Starlink. Un decennio dopo, l’obiettivo non sembra più utopico. L’accelerazione è arrivata con la guerra in Ucraina. Aiutando l’amministrazione americana, Musk ha messo a disposizione i suoi satelliti per garantire le comunicazioni internet nel Paese, sia quelle militari che quelle civili, mostrando al mondo l’importanza del suo prodotto. Ora sta passando alla seconda fase del progetto, quella annunciata nel 2015: offrire una nuova linea internet, complementare o alternativa a quella via cavo, diventando un fornitore strategico degli Stati.
Con gli Usa i rapporti sono già ottimi. Il New York Times ha scritto che negli ultimi 10 anni le sue società hanno ottenuto contratti pubblici per 15,4 miliardi di dollari, e che solo l’anno scorso le forniture alle varie autorità federali sono valse 3 miliardi di fatturato.
Ora, grazie anche al feeling politico con Meloni, sembra essere arrivato il nostro turno. Il piano Italia a 1 Giga, finanziato con 3,6 miliardi di fondi del Pnrr e da ultimare entro giugno 2026, ha l’obiettivo di connettere a banda larga le aree più remote del Paese, ma secondo i dati del governo aggiornati a fine ottobre le aziende incaricate di portare la fibra ottica in tutto lo Stivale (Open Fiber e FiberCop) finora hanno coperto solo un terzo degli edifici interessati. Per portare a termine l’opera, l’esecutivo ha scelto una strada alternativa rispetto a quella tracciata in passato. «Con riferimento alle aree più remote, stiamo valutando con Starlink e altri operatori l’integrazione della tecnologia satellitare», ha annunciato lo scorso ottobre il sottosegretario all’Innovazione digitale, Alessio Butti, che circa un mese fa ha fatto sapere anche in quale regione inizierà la sperimentazione: Lombardia.
Lunedì 9 dicembre Reuters ha scritto che i primi test con Starlink verranno realizzati a gennaio, con i risultati attesi per marzo. Se il progetto dovesse andare in porto, l’Italia diventerà un Paese importante per Musk, molto più di quello che rappresenta adesso. E in vista ci sono affari ancora più grossi. In discussione alla Commissione Attività produttive della Camera c’è infatti il disegno di legge Spazio, che punta a sviluppare la cosiddetta space economy. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha detto che sarà approvata entro la prossima primavera. L’articolo 25 prevede che l’Italia abbia a disposizione una rete internet di «riserva», non fatta di cavi ma di satelliti «gestiti esclusivamente da soggetti appartenenti all’Ue o alla Nato». Abito che sembra disegnato su misura per Musk.
(da editorialedomani.it)
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Dicembre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
DIVERSI PARLAMENTARI AZZURRI HANNO SOSTENUTO LA PROPOSTA DEL PD CHE CHIEDE DI PROCEDERE CON LE MULTE: “SONO GIUSTE E COMMINATE A NORMA DI LEGGE”
Ancora tensione nella maggioranza sullo stop alle multe per i No Vax, misura voluta dalla Lega nel decreto Milleproroghe, che approderà in Parlamento – con tutta probabilità al Senato – all’inizio del 2025.
Durante la discussione degli odg alla manovra, infatti, Forza Italia si è smarcata, con diversi parlamentari che hanno sostenuto la proposta del Pd che chiede di procedere con le multe. «Sono giuste e comminate a norma di legge», ha detto l’azzurro Giuseppe Mangialavori, presidente della commissione Bilancio
Ma il Carroccio non sembra voler mollare la presa: «Scripta manent», ha sottolineato il deputato leghista Alberto Bagnai.
Anche perché una defezione di FI può far andare sotto il governo come accaduto sul canone Rai.
(da agenzie)
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Dicembre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
IL GIORNALE HA 95 ANNI: “IL NOSTRO LAVORO CONTRIBUISCE ALLA VITTORIA DI KIEV”
Nella città di Velyka Pysarivka, a 5 chilometri dal confine con la regione russa di Kursk, Oleksiy e Natalia Pasyuga stanno preparando il prossimo numero di Vorskla, un giornale locale ucraino fondato nel 1930 che prende il nome dal fiume locale, affluente del Dnepr.
Nonostante l’invasione russa e i continui bombardamenti che hanno distrutto l’edificio che ospitava la redazione, i giornalisti – che da febbraio del 2022 sono stati costretti a reinventarsi corrispondenti di guerra – non hanno mai smesso di stamparlo.
«Solo durante la Seconda guerra mondiale è stata interrotta la pubblicazione», racconta a Open Oleksiy. «All’inizio della guerra la tipografia e l’ufficio postale che utilizzavamo per inviare le copie sono stati messi fuori uso a causa degli attacchi russi – spiega -, così stampavamo il giornale con una normale stampante prima di distribuirlo ai residenti dei villaggi al confine con la Russia. Ora abbiamo ripreso la pubblicazione, ma soltanto una volta a settimana».
Da marzo di quest’anno l’insediamento nell’Oblast di Sumy, a pochi chilometri dal territorio russo, prima linea della guerra contro Mosca dove i soldati ucraini hanno lanciato un’offensiva lo scorso agosto, è stato definito «zona di ostilità attiva».
«I raid di Mosca stanno distruggendo villaggi e abitazioni – afferma -. E i russi utilizzano i droni contro militari e civili». Anche per questo motivo, la maggior parte degli abitanti ha abbandonato la città e le zone limitrofe. «Ora a Velyka Pysarivka siamo in 300 – dice -. Prima dell’invasione eravamo 4.500».
«Il nostro lavoro contribuisce alla vittoria»
Nella regione dell’Ucraina nord-orientale, che condivide con la Russia un confine lungo circa 500 chilometri, manca spesso la connessione internet, l’elettricità è scarsa e i telefoni non funzionano. Oleksiy e Natalia, che nel frattempo si sono trasferiti a Okhtyrka, a pochi chilometri dallo loro città natale, sono costretti a consegnare porta a porta le copie del giornale agli ultimi abitanti dei villaggi.
Dopo aver stampato il cartaceo, prendono le proprie auto – una delle quali colpite non molto tempo fa da un attacco russo – e raggiungono le città dell’Oblast per distribuire tra i residenti il settimanale. Unico collegamento con il mondo esterno, e che dà a chi è rimasto indietro la sensazione di non essere dimenticato.
«Per loro è la sola fonte di informazione: la televisione e la radio ucraine non funzionano più e la tv russa trasmette soltanto disinformazione e propaganda – spiega Oleksiy -. Crediamo che il nostro lavoro contribuisca alla vittoria di Kiev. Se non combattiamo sulla linea del fronte, con le truppe ucraine, dobbiamo contrastare i nemici con l’informazione».
Smentire la propaganda è una missione per i due coniugi, e con tutti i timori che si porta dietro. «Ho paura – confida -, soprattutto per mia moglie Natalia, che è una collega. Viaggiamo insieme per raccogliere informazioni e per distribuire le copie».
In questa zona la maggior parte dei giornali ha deciso di chiudere i battenti «perché non hanno lottato o semplicemente non sono riusciti a resistere alle circostanze», dice. «I giornalisti della nostra redazione, composta ora da 4 persone – precisa ancora -, non si arrendono, anche se manca la pubblicità e non ci sono fondi».
Il prossimo numero sarà quello di Capodanno: «Vogliamo che sia gentile e che parli di un futuro luminoso: conterrà storie allegre, sogni, ricordi e speranze. Intervisteremo le persone per scoprire cosa è stato positivo nel 2024, nonostante – conclude Oleksiy – la guerra ancora in corso». Dopo quasi tre anni.
(da Open)
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Dicembre 23rd, 2024 Riccardo Fucile
UN ALTRO “GRANDE RISULTATO” PER LA SICUREZZA DELL’ITALIA DEL GOVERNO SOVRANISTA
Vi ricordate il generale (criminale di guerra) Khalifa Haftar? Ma sì, quello ricevuto in pompa magna a Palazzo Chigi, da Giorgia Meloni. L’uomo forte della Cirenaica osannato dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, come un partner sicuro per la stabilizzazione della Libia e nel contrasto ai migranti. Bene, anzi male.
Ora il generale Haftar si appresta a ospitare in Cirenaica le basi navali russe “sfrattate” dalla Siria dal nuovo regime jihadista “moderato” che ha scacciato dal devastato Paese mediorientale il “macellaio di Damasco”, Bashar al-Assad, riparato a Mosca.
Alle porte di casa nostra
Per comprendere la portata di questo schiaffo in faccia che Haftar ha mollato all’Italia, ci aiutano un dettagliato report di Agenzia Nova e un altrettanto documentata analisi di su Formiche.net
Scrive Agenzia Nova, molto addentro alle complicate, a dir poco, vicende libiche: “La Russia sta ritirando i sistemi avanzati di difesa aerea e altre armi sofisticate dalle basi in Siria e li sta trasferendo in Libia. Lo hanno affermato fonti statunitensi e libiche citate dal “Wall Street Journal”, secondo cui aerei cargo russi hanno trasportato equipaggiamenti di difesa aerea, tra cui radar per i sistemi intercettori S-400 e S-300, dalla Siria alle basi nella Libia orientale controllate dal comandante in capo dell’Esercito nazionale libico (Enl), Khalifa Haftar, sostenuto dal Cremlino. Secondo le stesse fonti, i russi starebbero valutando se potenziare le strutture che già dispongono a Tobruk per ospitare le navi da guerra russe. Non è chiaro se i sistemi d’arma, compresi i componenti dell’S-400, rimarranno in Libia o saranno riportati in Russia, ha affermato un funzionario Usa citato dal “Wsj”. Per ora, gli aerei russi sembrano fare fermate regolari in Libia. Lo scorso 16 dicembre, secondo il sito web di tracciamento dei voli “AirNav Radar”, un aereo cargo di proprietà del ministero russo per le Situazioni di emergenza, che è coinvolto in missioni militari e umanitarie, ha fatto tappa – per la seconda volta in una settimana – nella Libia orientale durante il suo viaggio dalla Russia al Mali, dove la Russia ha una presenza militare. Non è chiaro cosa trasportasse l’aereo. Un aereo cargo di proprietà di Rubistar, una società che secondo gli Stati Uniti ha consegnato personale ed elicotteri russi in Africa, è inoltre volato da Minsk, in Bielorussia, alla Libia orientale il 13 dicembre, secondo il sito di tracciamento aereo “Flightradar24”. I funzionari libici hanno affermato che il volo trasportasse attrezzature logistiche come veicoli e apparecchiature per le telecomunicazioni.
Il viceministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, ha dichiarato che Mosca è in contatto con la leadership politica di Hayat Tahrir al Sham (Hts), il gruppo ribelle che ha guidato l’offensiva per rovesciare il presidente siriano Bashar al Assad, per discutere il futuro delle basi russe. La Russia è già presente in Libia, anche tramite il gruppo paramilitare Wagner, che ha stretti legami con Haftar, il cui Esercito nazionale libico controlla l’est del paese devastato dalla guerra. I combattenti Wagner hanno utilizzato le strutture di Haftar, tra cui una base aerea, come “hub” di transito verso altri paesi africani. L’anno scorso alti funzionari russi hanno incontrato Haftar per discutere dei diritti di attracco a lungo termine nei porti di Bengasi o Tobruk, entrambi situati a meno di 400 miglia dalla Grecia e dall’Italia, ha riportato il “Wall Street Journal”. Per anni Haftar ha chiesto alla Russia sistemi di difesa aerea per rafforzare la sua presa sul paese diviso, che è stato scosso dalla violenza da quando una rivolta del 2011 ha rovesciato il dittatore di lunga data Muammar Gheddafi. Da allora, gruppi armati e potenze straniere si sono contesi il potere, con una guerra civile scoppiata nel 2019. Il paese rimane diviso tra fazioni a est e a ovest. La presenza della Russia in Libia offre ad Haftar protezione dai gruppi sostenuti dalla Turchia con base nella Libia occidentale.
Secondo gli analisti, le basi aeree e navali in Libia non compenserebbero completamente la perdita che la Russia rischia di subire in Siria. Secondo l’ex ufficiale dell’aeronautica russa Gleb Irisov, che in passato ha prestato servizio nella base russa di Khmeimim, in Siria, avere la Libia come scalo per il rifornimento in Africa limiterebbe notevolmente il peso delle attrezzature che Mosca può trasportare. Per anni Mosca ha gestito importanti basi navali e basi aeree in cambio del supporto che ha fornito per sostenere Assad, fuggito a Mosca dopo la resa dell’esercito di Damasco alle forze ribelli. Le basi siriane sono state la pietra angolare della capacità di Mosca di sviluppare la propria proiezione in Medio Oriente e in Africa, fungendo da “hub” per incanalare truppe, mercenari e armi. La base navale di Tartus è stata l’unico punto di rifornimento e riparazione per la marina russa nel Mediterraneo”.
Scenario nefasto
Lo delinea Massimiliano Boccolini su Formiche.net: “Lo scenario peggiore per l’Italia, conseguente alla crisi siriana, è quello che sembra essere ogni giorno il più vicino alla realtà. Le forze armate russe di stanza in Siria stanno smobilitando, a causa della caduta del regime di Bashar al-Assad, e i suoi mezzi e i suoi uomini si stanno spostando in Libia. A rivelarlo è l’emittente televisiva al Jazeera secondo la quale sabato scorso un aereo cargo russo è partito dalla base di Hmeimim verso la città costiera di Latakia, in Siria, diretto in Libia. Un funzionario dell’ex regime siriano, di stanza fuori dalla base aerea russa, ha aggiunto che altri aerei russi dovrebbero decollare da Hmeimim nei prossimi giorni, senza alcuna notizia sul motivo per cui l’aereo sia diretto in Libia o cosa stia trasportando
In quello stesso giorno è stato osservato un aumento delle attività nella base aerea. Oltre all’aereo cargo decollato, sono stati visti atterrare alla base un aereo cargo Ilyushin IL-76 e un elicottero Alligator. Sono stati visti volare anche elicotteri all’interno della base e un Su-34 è atterrato per fare rifornimento. All’interno della base sono stati visti due camion che trasportavano bandiere russe. Il giorno prima, venerdì, le immagini satellitari hanno mostrato il trasporto di equipaggiamento militare russo nella base di Hmeimim e sono comparsi due aerei cargo Antonov AN-124. Mosca ha detto che spera di preservare le sue basi in Siria, vale a dire la base aerea di Hmeimim a Latakia e una base navale a Tartous, al fine di continuare gli sforzi contro quello che ha descritto come “terrorismo internazionale”.
La perdita da parte della Russia della base aerea siriana di Hmeimim e della base navale di Tartus non sarà solo un problema logistico militare, ma rappresenterà anche un grave ostacolo geopolitico per Mosca, che utilizza queste due basi dal 2015 per rafforzare la propria influenza nel Medio Oriente. Si tratta di una stazione importante che alimenta le sue ambizioni nel continente africano.
“Effettivamente grosse quantità di mezzi russi si sono spostati dalla Siria tramite l’aeroporto Hmeimim verso la Libia e in particolare la base strategica di al-Jufra o quella di Brak al-Shati nel sud della Libia dove sono state distribuite ingenti quantità di armi”. A confermarlo a Formiche.net è l’analista di Difesa libico, Adel Abdel Kafi. “Ciò avviene nell’ambito del rafforzamento della presenza russa in Libia. Va ricordato che le forze siriane erano già presenti in queste due basi prima della caduta del loro regime e che negli ultimi mesi ci sono state diverse visite dei rappresentanti russi per l’apertura di una base navale a Tobruk. Va detto però che le forti pressioni degli Stati Uniti su Haftar stanno impedendo l’apertura di questa base che potrebbe essere una minaccia per le basi della Nato nella sponda nord del Mediterraneo”.
Le armi che vengono spostate dalla Siria alla Libia “sono di tipo strategico come i sistemi S-400. La presenza russa in Libia parte dal 2019 e si è rafforzata con l’arrivo dei mercenari russi e con diversi tipi di armi media e pesanti. Non c’è dubbio che l’arrivo di queste armi dalla Siria alla Libia rappresenta un pericolo per la sicurezza della Libia e della regione intera e mina gli sforzi della Commissione Militare Congiunta 5+5”, ha aggiunto l’analista.
Nonostante si parli di garanzie che Mosca ha ottenuto dal nuovo corso siriano riguardo alla sicurezza delle sue basi militari e delle rappresentanze diplomatiche in Siria, Mosca non esclude, a causa degli sviluppi sul terreno, l’abbandono di queste due basi, secondo quanto riportato dalla rivista Jeune Afrique, che cita una fonte vicino all’intelligence russa.
Mosca sta valutando diverse opzioni per garantire la continuità della sua posizione strategica nel continente africano, secondo quanto riportato dalla rivista citando un esperto del “Gruppo Wagner”. “Mosca può semplicemente spostare le sue strutture dalla Siria alla Libia orientale, in particolare nel porto di Tobruk e l’aeroporto di Bengasi, facendo affidamento sul suo alleato, Khalifa Haftar”.
L’utilizzo della Libia presenta inoltre importanti sfide tecniche dal punto di vista logistico, poiché gli aerei da trasporto pesante russi, come l’Ilyushin Il-76, non possono volare direttamente dalla Russia alla Libia a pieno carico senza fermarsi per fare rifornimento, il che limiterebbe notevolmente la loro utilità. Mosca sta anche esplorando la possibilità di stabilire una base militare sul Mar Rosso a Port Sudan. Questa opzione era già oggetto di negoziati tra la Russia e le autorità sudanesi e nel 2020 sono stati compiuti notevoli progressi, ma la guerra civile in Sudan ha minato questo progetto.
Inoltre, la lentezza delle istituzioni russe nel fornire un sostegno efficace al governo sudanese riduce anche le possibilità di ottenere una base di appoggio logistico in questa regione, e ogni giorno che passa rende questa possibilità sempre più incerta.
Per Mosca, una base a Port Sudan garantirebbe una posizione strategica sul Mar Rosso, con accesso diretto alle rotte commerciali che collegano Europa, Asia e Africa, ma nelle circostanze attuali la fattibilità di questa opzione rimane a rischio.
Il cambiamento in atto in Siria avviene con la caduta del regime di Bashar al-Assad, che ha concesso alla Russia basi militari nel suo Paese che costituivano importanti punti di comunicazione e trasporto per attrezzature e soldati russi verso le loro posizioni in Libia.
Sebbene Mosca sia in contatto con Haftar dal 2017, gli inizi della presenza militare russa in Libia sono avvenuti durante il sostegno di Mosca all’aggressione contro la capitale Tripoli, con membri della compagnia mercenaria “Wagner”,
La rete della presenza militare in Libia è diventata chiara già da tempo. A metà luglio, i vertici delle milizie di Haftar hanno annunciato di aver organizzato una cerimonia di ricevimento ufficiale per due fregate militari nel porto di Tobruk senza specificare il motivo del loro attracco nel porto e i loro compiti, in un momento in cui le autorità italiane esprimevano i loro timori per le conseguenze dell’intenzione di Mosca di costruire una base navale a Tobruk al largo delle coste europee.
Abdel Kafi ha spiegato l’importanza della base militare di Tobruk per i russi. “Si tratta del transito via terra e via aerea attraverso la base di Al-Kharouba, nell’est del Paese, in due direzioni: la prima verso la base di Qardabiya a Sirte la seconda verso Al-Jufra, indicando che le due direzioni sono legate a importanti strategie militari”, ha aggiunto. L’esperto rileva che “al-Qardabiya a Sirte si trova sul lato opposto della costa meridionale europea, mentre Al-Jufra si trova al centro del sud, ed è una delle basi militari libiche più importanti e grandi, e quindi lì si concentra la presenza russa, che presidia vaste aree e controlla una vasta rete di trasporti”.
L’esperto di Difesa libico ha sottolineato che attraverso questa base è possibile raggiungere le basi di Barak al-Shati a Sebha e Kufra, al confine con il Sudan, nonché i confini meridionali della Libia che collegano con il Niger e il Ciad. Secondo le informazioni di Abdel Kafi, fin dai primi giorni del crollo del regime di Assad in Siria, aerei cargo russi hanno iniziato ad effettuare voli verso la base di Al-Kharouba, vicino a Tobruk, il che indica la possibilità che si pensi di compensare la perdita dei suoi siti militari in Siria attraverso i suoi siti in Libia, avvertendo che ciò aumenterà la dimensione della presenza russa in numero e attrezzature in Libia nei prossimi periodi”, conclude Boccolini.
Se non c’è da ridere o da piangere scegliete voi, quando la presidente del Consiglio millanta, amplificata dai media mainstream, il ruolo primario dell’Italia nel Mediterraneo.
Il generale Haftar, come la Turchia, l’Egitto, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, la Russia etc…danno conto della realtà: in Nord Africa e nel Vicino Oriente, l’Italia sta in panchina e non tocca palla. Ah, sì, ci sarebbe il “Piano Mattei”. Materia da Chi l’ha visto? dell’ottima Sciarelli.
(da Globalist)
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