Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile
ROMANA, 29 ANNI, E’ DIVENTATA UNA DELLE FIRME PIU’ NOTE DEL GIORNALISMO DI ESTERI: DAL VENEZUELA AL CILE, DALL’UCRAINA A KABUL FINO ALL’IRAN, UNA REPORTER SEMPRE IN PRIMA LINEA
Romana, 29 anni, Cecilia Sala è una giornalista italiana che si trova al momento nel carcere di Evin, a Teheran, in Iran. La reporter è stata arrestata lo scorso 19 dicembre ma la notizia è stata diffusa solo dopo Natale perché sono in corso da giorni trattative tra il governo italiano e quello iraniano per il rilascio della giovane e i negoziatori avevano chiesto il massimo riserbo per non comprometterle.
Il governo locale non ha ancora reso noto le accuse a suo carico. Di certo, Sala si trovava in Iran dove aveva raccolto informazioni per il suo podcast “Stories” di Chora Media, che quasi quotidianamente racconta una storia dal mondo. Proprio qualche giorno prima dell’arresto, il 16 dicembre, Sala aveva pubblicato un podcast dal titolo “Una conversazione sul patriarcato a Teheran”, in cui racconta della sua conversazione con una 21enne iraniana, Diba, e della nuova legge sull’hijab.
Chi è Cecilia Sala, la giornalista italiana arrestata in Iran
Ma chi è Cecilia Sala? Nonostante la giovane età (è nata nel 1995), è già una delle penne più importanti del giornalismo italiano. Dopo aver mosso i primi passi nel mondo dell’informazione come collaboratrice di testate come Vice Italia, nel 2016 approda nella redazione di Servizio Pubblico di Michele Santoro su La7, dove diventa giornalista professionista. Nel frattempo, dal 2014 al 2018, frequenta l’università Bocconi a Milano, interrompendo poi gli studi pochi mesi prima di conseguire la laurea proprio per dedicarsi alla passione del giornalismo.
La carriera di Cecilia Sala e il Podcast “Stories”
Negli anni successivi segue sul campo la crisi in Venezuela, le proteste in Cile, la caduta di Kabul nelle mani dei talebani e la guerra in Ucraina come freelance. Dal 2019 collabora sempre come giornalista freelance con Il Foglio e dal 2022 inizia a lavorare come conduttrice e autrice ad un podcast quotidiano, “Stories”, prodotto da Chora Media, dove parla, per l’appunto di esteri attraverso il racconto di una storia dal mondo.
Ha scritto anche libri, come “Polvere. Il caso Marta Russo”, edito da Mondadori, pubblicato il 25 maggio 2021. Sempre per Mondadori ha pubblicato nel 2023 “L’incendio. Reportage su una generazione tra Iran, Ucraina e Afghanistan”.
(da Fanpage)
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Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile
SCHLEIN: “UNITI PER RIPORTARE CECILIA IN ITALIA”… IL FOGLIO: “E’ UNA SFIDA ALL’OCCIDENTE”… LA SOLIDARIETA’ DI ZAKI
Iniziano ad arrivare le reazioni politiche alla notizia dell’arresto della giornalista Cecilia Sala in Iran. La prima a intervenire è la segretaria del Pd Elly Schlein che chiede al governo “di mettere in campo ogni iniziativa per fare chiarezza e riportare in Italia Cecilia Sala quanto prima”. Segue l’appello di Amnesty Italia: “Scarcerarla. Il giornalismo non è reato”. “Massimo sostegno agli sforzi diplomatici del governo”, afferma il leader di Italia viva, Matteo Renzi. Mentre Sandro Gozi (Renew) e Riccardo Magi (+Eu) chiedono anche l’impegno dell’Ue nella vicenda. “Tutelare i suoi diritti”, chiede il rossoverde Angelo Bonelli. Non lesina toni duri il Foglio, il quotidiano con cui Sala collabora: “L’arresto di Cecilia Sala – scrive il direttore Claudio Cerasa – è l’ennesima sfida di Teheran all’Occidente”. Dal governo parla il ministro della Difesa Guido Crosetto che definisce l’arresto “inaccettabile” e prova a rassicurare: “Siamo al lavoro fin dal primo giorno seguendo ogni strada”. Il M5S chiede a Teheran la liberazione dell’italiana, e a Tajani di riferire in Parlamento. Chiede “il massimo impegno” al governo anche l’Anpi.
Il caso è seguito dalla presidenza del Consiglio e dalla Farnesina, che dichiara in una nota, “ha lavorato con le autorità iraniane per chiarire la situazione legale di Cecilia Sala e per verificare le condizioni della sua detenzione”.
Oggi la reporter ha ricevuto la visita dell’ambasciatrice italiana in carcere a Teheran. La famiglia è stata informata dell’esito della visita, e, conclude il comunicato “in accordo con i genitori della giornalista la Farnesina invita alla massima discrezione la stampa per agevolare una veloce e positiva risoluzione della vicenda”.
“Sono con te”, scrive sui social Alessia Piperno, la scrittrice e travel-blogger detenuta per 45 giorni nel carcere di Evin, lo stesso in cui è ora Sala. “Il giornalismo non è un crimine”, ha postato su X l’attivista egiziano Patrick Zaki, esprimendo solidarietà all’italiana.
Schlein: in contatto con governo
‘Siamo molto preoccupati per il fermo in Iran della giornalista Cecilia Sala e seguiamo il caso da vicino e con grande apprensione. Chiediamo da subito al governo, con cui siamo già in contatto, di mettere in campo ogni iniziativa utile a far luce su questa vicenda, chiarezza sui motivi di questo trattenimento e, soprattutto, a riportare Cecilia Sala in Italia quanto prima”. Così la segretaria del Pd, Elly Schlein.
Amnesty Italia: “Scarcerarla al più presto”
“Stiamo seguendo con attenzione la vicenda. Auspichiamo che sia scarcerata e possa riprendere al più presto la sua attività di giornalista, come è suo diritto. Il giornalismo non è reato”. Lo dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, sulla notizia dell’arresto della giornalista Cecilia Sala avvenuto il 19 dicembre a Teheran.
Renzi: “Massimo sostegno agli sforzi diplomatici”
“In questo momento l’unica cosa che conta è che Cecilia Sala torni a casa subito. Massimo sostegno agli sforzi diplomatici del governo. E un abbraccio grandissimo alla famiglia di Cecilia e ai suoi colleghi giornalisti”. Lo scrive su X Matteo Renzi.
Gozi: “Si adoperi l’Ue”
“Il governo italiano e l’Unione europea si adoperino senza indugio per ottenere l’immediato rilascio di Cecilia Sala. Coraggio Cecilia, siamo con te!”. Lo scrive Sandro Gozi sui social.
Magi, vigilino governo e Ue
“Tutta la nostra vicinanza a Cecilia Sala, giornalista del Foglio e Chora News, arrestata in Iran mentre svolgeva il suo lavoro. Chiediamo al governo, che si sta già adoperando, e alle istituzioni europee di vigilare e fare tutto il possibile per riportare quanto prima Cecilia a casa”.Lo afferma il segretario di Più Europa, Riccardo Magi.
Il Foglio: “L’arresto ennesima sfida all’Occidente”
L’arresto di Cecilia Sala in Iran e’ l’ennesima sfida di Teheran all’Occidente. Lo scrive Il Foglio, quotidiano con cui collabora la giornalista, detenuta dal 19 dicembre. “Cecilia era in Iran, con un visto regolare, per raccontare un Paese che conosce e che ama”, scrive il direttore Claudio Cerasa, “un Paese in cui l’informazione viene soffocata a colpi di repressione, di minacce, di intimidazioni, di violenza, di detenzioni, spesso ai danni degli stessi giornalisti”.”L’Iran è uno dei posti peggiori al mondo dove essere giornalisti” ricorda il giornale. “Da anni”, accusa Cerasa, “l’Iran fa pressione sui governi stranieri facendo quello che da anni fa anche il regime russo: arrestare illegalmente o ‘prendere in ostaggio’ cittadini stranieri”.
Bonelli: “Tutelare suoi diritti”
“Esprimo profonda preoccupazione per il fermo della giornalista italiana Cecilia Sala, avvenuto il 19 dicembre scorso a Teheran. Chiedo al Governo italiano, con il quale siamo già in contatto, di agire con urgenza per garantire la liberazione di Cecilia Sala e il suo ritorno in sicurezza in Italia. In questa fase, è cruciale che siano adottate tutte le misure diplomatiche necessarie per tutelare i suoi diritti”. Così in una nota Angelo Bonelli, deputato di AVS e co-portavoce di Europa Verde.
Crosetto: Italia segue ogni strada dal primo giorno
“Fin dal primo giorno, da quando è arrivata la notizia dell’inaccettabile arresto di Cecilia Sala da parte delle autorità Iraniane, tutto il governo, in primis il presidente Giorgia Meloni e il ministro Tajani, si è mosso per farla liberare”. A scriverlo su X è il ministro della Difesa Guido Crosetto. “Ogni persona che poteva e può essere utile per ottenere questo obiettivo si è messa al lavoro – continua Crosetto – le trattative con l’Iran non si risolvono, purtroppo, con il coinvolgimento dell’opinione pubblica occidentale e con la forza dello sdegno popolare ma solo con un’azione politica e diplomatica di alto livello. L’Italia lavora incessantemente per liberarla, seguendo ogni strada”.
Alessia Piperno: “Sono con te”
“Sono con te, seduta a terra in quella cella dalle pareti bianche”. Lo scrive su Instagram Alessia Piperno rivolgendosi a Cecilia Sala, detenuta in una cella di isolamento nel carcere di Evin. La stessa prigione dove Piperno è stata rinchiusa per diverse settimane dopo il suo arresto a Teheran avvenuto il 28 settembre del 2022. Piperno venne rilasciata il 10 novembre di quell’anno.
M5S a Teheran: “Libera subito”. Al governo: “Tajani riferisca”
“Esprimiamo preoccupazione e condanna per l’arresto in Iran della giornalista Cecilia Sala, detenuta da una settimana in regime di isolamento. Chiediamo spiegazioni immediate al governo di Teheran, che deve rispettare la libertà di stampa e rilasciare immediatamente la nostra connazionale. Chiediamo al ministro degli Esteri Tajani di riferire subito in Parlamento”. Lo dichiarano i parlamentari del Movimento 5 Stelle dei gruppi di Camera e Senato.
Anpi: “Governo si impegni per immediata liberazione”
“Leggo con allarme dell’arresto per ignote ragioni della giornalista Cecilia Sala in Iran. Invito il governo italiano al massimo impegno per la sua immediata liberazione e il suo rientro in Italia”. A dichiararlo à Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi.
L’ordine dei giornalisti del Lazio: “Ha raccontato con coraggio storie di popoli oppressi”
Anche il presidente dell’ordine dei giornalisti del Lazio, Guido D’Ubaldo e tutto il Consiglio chiedono la liberazione immediata della giovane giornalista italiana. D’Ubaldo ha dichiarato: «Ho avuto modo di conoscere Cecilia Sala, ne apprezzo la professionalità, ha partecipato ai nostri corsi di formazione, le ho consegnato recentemente il Premio Graldi. Ha raccontato con coraggio storie di popoli oppressi dove la libertà d’informazione è negata senza un motivo. Auspichiamo che la saggezza diplomatica della Farnesina riesca a riportare in Italia Cecilia, al fine di scongiurare conseguenze peggiori».
Zaki: “Solidarietà, giornalismo non è un crimine”
“Tutta la solidarietà alla giornalista italiana Cecilia Sala dopo il suo arresto da parte del regime iraniano. Il giornalismo non è un crimine”. Lo scrive sul social X l’attivista egiziano per i diritti umani Patrick Zaki, arrestato in Egitto nel 2020 e detenuto per 21 mesi prima della grazia e del ritorno in Italia.
(da agenzie)
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Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile
HA DETTO DI STARE BENE E DI NON ESSERE FERITA, MA È PROBABILE CHE ABBIA DOVUTO LEGGERE UN TESTO SCRITTO (HA USATO ESPRESSIONI INNATURALI)
Due telefonate: una alla madre, l’altra al suo compagno Daniele Raineri, giornalista del Post. Sono quelle che le autorità iraniane hanno concesso a Cecilia Sala, arrestata il 19 dicembre a Teheran, prima che la connazionale ricevesse oggi la visita dell’ambasciatrice italiana Paola Amadei per verificare le sue condizioni di salute e di detenzione nel carcere di Evin.
“Per le prime 24 ore – ricostruisce proprio Il Post sul suo sito – Sala è stata tenuta in custodia senza possibilità di comunicare con nessuno. Poi le hanno permesso di fare due telefonate, una alla famiglia e una al suo compagno, il giornalista del Post Daniele Raineri. Durante le telefonate, Sala ha detto di stare bene e di non essere ferita. È possibile che abbia dovuto leggere un testo scritto, perché ha usato alcune espressioni che non suonano naturali in italiano, ma sembrano più una traduzione dall’inglese. Non le è stato permesso di dare altre informazioni”.
“Prima dell’arresto, Sala si trovava in Iran da una settimana. Aveva raccontato nel suo podcast storie sul patriarcato nel Paese e sulla comica iraniana Zeinab Musavi, arrestata dal regime per gli sketch di uno dei suoi personaggi. Aveva parlato anche con Hossein Kanaani, uno dei fondatori delle Guardie rivoluzionarie che per quasi mezzo secolo aveva contribuito a creare l’estesa rete di milizie filo-iraniane operanti in mezzo Medio Oriente”, aggiunge Il Post.
(da agenzie)
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Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile
IL FERMO RISALE AL 19 DICEMBRE, IGNOTE LE ACCUSE… OGGI HA RICEVUTO IN CARCERE LA VISITA DELL’AMBASCIATRICE ITALIANA
La giornalista Cecila Sala è stata arrestata il 19 dicembre scorso a Teheran, in Iran, mentre si recava in aeroporto per rientrare in Italia.
Lo rende noto un comunicato della Farnesina. “Su disposizione del ministro degli Esteri, Antonio Tajani – si legge nella nota – l’ambasciata e il consolato a Teheran stanno seguendo il caso con la massima attenzione sin dal suo inizio. In coordinamento con la presidenza del Consiglio, la Farnesina ha lavorato con le autorità iraniane per chiarire la situazione legale di Cecilia Sala e per verificare le condizioni della sua detenzione”. In giornata, inoltre, l’ambasciatrice Paola Amadei ha effettuato “una visita consolare per verificare le condizioni e lo stato di detenzione” della giornalista, che in precdenza ha potuto telefonare due volte alla famiglia.
A quanto risulta, il regime di Teheran accusa Sala di aver infangato il nome di Ali Khamenei e di aver contribuito a diffondere notizie a favore dei suoi antagonisti. Falsità.
Sala – giornalista e scrittrice grande esperta di esteri, collaboratrice del Foglio, autrice di podcast per Choramedia, una delle croniste italiane con il più importante seguito sui social, con migliaia di follower – si trovava in Iran per fare semplicemente il suo lavoro.
Era a Teheran, con regolare visto giornalistico, da una decina di giorni durante i quali aveva pubblicato già alcuni reportage su come stessero cambiando le cose in Iran dopo la caduta, in Siria, di Assad.
Sala è grande esperta di cose iraniane e ci era tornata per l’ennesima volta per raccontare le trasformazioni del paese in un momento così delicato per il Medio Oriente, sempre con un occhio particolare alle condizioni delle donne.
Il 17 dicembre per esempio aveva, in un podcast, conversato sul “patriarcato a Teheran”. Mentre due giorni prima, il 15, era “tornata a casa di Kanaani, uno dei fondatori dei pasdaran, dopo un anno in cui è cambiato tutto”.
Sala aveva cioè intervistato uno degli uomini che per 45 anni ha contribuito alla creazione dell’“Asse della resistenza”, “la galassia di milizie alleate di Teheran sparse per il Medio Oriente: da Hezbollah in Libano a Hamas in Palestina agli houthi di Ansar Allah in Yemen passando per il regime di Assad in Siria”.
Sala è oggi rinchiusa nel carcere di Evin, nella capitale, dove dal 1972 vengono rinchiusi tutti gli oppositori del regime. E’ in buone condizioni come ha potuto raccontare telefonicamente ai suoi genitori che ha sentito nelle scorse ore. E come ha verificato l’ambasciatrice italiana in Iran, Paola Amadei, che l’ha incontrata stamane in cella.
Stamattina è in programma a Roma un vertice tra Tajani, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio e l’Autorità delegata, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano: obiettivo è trovare nell’immediato le strade tecniche e diplomatiche per far liberare Cecilia Sala e riportarla al più presto in Italia.
(da agenzie)
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Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO 10 ANNI DI CIALTRONATE, PEGGIORATE DAI SOVRANISTI LE CONDIZIONI DEI PENSIONATI
Va bene che la memoria è corta, ma sono passati meno di dieci anni da quando il Salvini, con un manipolo di ardimentosi, andò a fare caciara sotto la casa di Elsa Fornero.
Un domicilio privato eletto a bersaglio pubblico; un gesto che faceva parte, a pieno titolo, del pacchetto di intimidazioni individuali e aggressioni verbali, in stile curva da stadio, che il futuro ministro dell’Interno eresse a metodo politico, anche grazie all’indimenticabile attività social della sedicente Bestia, di nome e di fatto.
Il pretesto, lo ricordiamo bene, erano le drastiche misure di contenimento della spesa pubblica che Fornero, ministro del Lavoro del governo Monti, aveva adottato, anche a costo di procrastinare, per alcune categorie, l’età della pensione.
Ora che la destra, dopo anni di scomposta demagogia, ha imparato suo malgrado a far di conto, e di conseguenza ha confermato, protratto e se necessario aggravato le misure forneriane, ci si domanda sotto casa di chi il Salvini possa andare a manifestare tutta la sua iracondia.
Sotto casa Meloni? Sotto casa Giorgetti? Sotto casa sua, citofonandosi e dandosi del pirla, come affettuosamente usa fare, a Milano, anche tra amici?
Si sa che la correttezza è rara, in politica, quanto il ciclismo tra le vongole; ma forse un paio di frasi di scusa, anche se non sentite, anche se ipocrite, per pura buona educazione, il Salvini potrebbe spenderle. Sarebbe un breve interludio beneducato in un lungo percorso fatto di modi bruschi e di parole sgradevoli. Un’eccezione che non gli rovina la media.
(da repubblica.it)
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Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile
IL GRADIMENTO REGISTRA UN CALO DI 13 PUNTI RISPETTO AL MOMENTO DELL’INSEDIAMENTO… BENE PD E AVS
Si avvicina la fine dell’anno: è tempo di bilanci, anche politici. Il sondaggista Nando Pagnoncelli, per il Corriere, ha analizzato come si sono mossi i flussi di consensi rispetto al voto del 25 settembre 2022. Il primo elemento rilevato è una certa solidità del governo Meloni. Seppure il gradimento si è contratto, le crisi politiche in Francia e in Germania hanno fatto risaltare l’esecutivo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia sullo scenario internazionale. D’altro canto, però, la flessione della crescita economica, le criticità del potere d’acquisto delle famiglie e le difficoltà di alcuni settori, su tutti gli automotive, causerebbero un potenziale di arretramento di preferenze per le forze di maggioranza. L’esecutivo, dunque, ha toccato per Pagnoncellli un indice di apprezzamento pari a 41, con un calo di 3 punti rispetto al 2023 e di 13 punti rispetto all’insediamento. Una contrazione che, tuttavia, risulta lieve se confrontata con i precedenti governi che sono durati almeno due anni in carica (il Berlusconi IV aveva ridotto i consensi nei primi due anni di 16 punti, il governo Renzi di 23).
Dove perde consensi Meloni
La situazione dell’esecutivo riflette quella del suo capo. Giorgia Meloni ha oggi un gradimento stimato a 42, con una perdita di due punti nell’anno e di 16 punti rispetto al momento dell’insediamento. A pesare maggiormente sulla flessione è l’apprezzamento della presidente del Consiglio nelle classi popolari: i cittadini di un’età medio-alta, con bassi titoli di studio e una condizione economica non buona, quindi disoccupati, operai e chi fa una vita da casalingo, si sono dimostrati particolarmente delusi da Meloni. «È un dato piuttosto tradizionale – fa notare Pagnoncelli – sempre, nel momento in cui si passa al governo vero e proprio del Paese, la delusione risulta più elevata in questi ceti, più disposti a dare credito alle promesse elettorali».
L’andamento delle tre principali forze politiche
Guardando ai singoli partiti, Fratelli d’italia è salito al 27,6%, in crescita di 1,6 punti rispetto al 2022. Nel campo dell’opposizione – il sondaggista si è soffermato sulle prime tre forze elettorali -, il Partito democratico fa meglio, collocandosi al 22,5%, ovvero 3,4 punti sopra il risultato delle ultime elezioni politiche. Male il Movimento 5 stelle, dato al 13,3%, oltre due punti sotto il risultato del 25 settembre 2022. Alleanza Verdi-Sinistra si attesta invece al 6%, due punti sopra il proprio risultato alle politiche.
(da Open)
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Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile
I DEM HANNO PUBBLICATO SUI SOCIAL ALCUNE “CARDS” CON LE RISPOSTE PER I PARENTI DESTRORSI CHE SI LAMENTANO (“PARLIAMO DI TUTTE LE COSE CHE SI POTEVANO FARE CON GLI 800 MILIONI SPRECATI PER I LAGER IN ALBANIA”; “QUAL È STATO IL TUO CONDONO PREFERITO?”)… PANARARI: “IL PD È RIUSCITO A DETTARE L’AGENDA”
La campagna elettorale non si arresta nemmeno sotto le feste. Del resto, se lo facesse, che campagna permanente sarebbe? A dispetto dei vari video deepfake e dei filmatini realizzati con l’intelligenza artificiale – anch’essa, di questi tempi, “più buona” – che mettono in scena baci appassionati fra politici rivali, la polarizzazione fra sinistra e destra cresce senza sosta.
E quella in versione natalizia non poteva trovare bersaglio migliore di uno dei pilastri – a volte, va detto, un po’ subiti, al pari degli eccessi calorici… – di questa stagione di pranzi e cene luculliane: il ritrovo del parentado. La reunion di queste famiglie allargate ante litteram, che si celebra nei dintorni di alberi e presepi, è diventata l’ennesimo oggetto della disfida social-propagandistica fra il Partito democratico e Fratelli d’Italia, la quale segna un punto a favore della formazione capitanata da Elly Schlein – a conferma della regola sempiterna (e quasi scientifica) che chi spara il primo colpo si costruisce un vantaggio competitivo.
Ovvero, per dirla in «bersanese» (ci sia consentita la licenza lessical-letteraria): «chi prima arriva, meglio alloggia». L’antitesi di quella – deliberata o involontaria – “strategia dell’opossum” nei confronti dei nemici e del porgere l’altra guancia nei riguardi dei sedicenti amici che sta eccessivamente caratterizzando il Pd.
Stavolta, invece, a precedere i competitor sono stati proprio i dem con la campagna social Qualche spunto per sopravvivere al Natale con i tuoi parenti un po’ di destra, la quale – a dispetto del titolo (un po’) wertmülleriano – si è rivelata azzeccata. Una collezione di card per le piattaforme digitali di propaganda (anti)parentale che funziona perché, nel corso delle giornate correnti, la pressione a registrarsi e “targetizzarsi” sul modello della famiglia idilliaca risulta, va da sé, fortissima, generando qualche crisi ansiogena alle persone – per molteplici ragioni – “non conformi” in materia.
Insomma, contrariamente al software interiorizzato pure più del dovuto (e, per certi versi, addirittura “suo malgrado”, vien da dire), il Pd è riuscito a mettere in piedi una campagna comunicativa vagamente (e opportunamente) cattivista – anche se, da quelle parti, l’attributo rimane appannaggio esclusivo del dalemismo.
Questa spruzzata di “politicamente (un po’) scorretto” fa ricorso all’iconografia dei Dursley, gli – insopportabili e non precisamente di larghe vedute – zii babbani di Harry Potter, protagonista di quello che è un ciclo di pellicole giustappunto anche natalizie. Alla tavolata del cenone con Vernon e Petunia e il cugino bullo Dudley vengono abbinati gli “spunti di conversazione” sull’attualità per rintuzzare le linee politiche del governo Meloni e le polemiche del destracentro.
Dai tagli alla sanità pubblica alla riduzione del Fondo affitti, dal fallimento dei centri per migranti in Albania al salario minimo, dalla «teoria gender che esiste quanto Babbo Natale» al payoff – chiamiamolo così – «No, zia, non è solo un acquazzone. Si chiama crisi climatica ed è un’emergenza».
Puro politainment, che si avvale dei codici della cultura di massa (nella fattispecie dei personaggi tratti dalla saga del celeberrimo maghetto), secondo un registro assai consueto nella comunicazione politica anglosassone. A rivelarsi efficace è l’utilizzo dell’ironia (e di un certo sarcasmo), evitando così di innescare inappropriate – specie dato il periodo – “guerre di religione”, e salvaguardando l’idea che a Natale i parenti debbano assolutamente, e giustamente, ritrovarsi.
Niente avventata e fuori luogo cancel culture, in buona sostanza, e un brioso rispetto delle tradizioni nell’ambito di una campagna varata la mattina della vigilia quale risposta “non convenzionale” ai più classici auguri fatti dalla presidente del Consiglio. E un’ulteriore spia del fatto che l’iniziativa dem ha colto nel segno lo evidenzia il contro-lancio da parte di FdI del Manuale d’uso per una vigilia con parenti di sinistra.
E dire che una norma di base del marketing politico suggerisce, appunto, di non andare mai a rimorchio, né di procedere esclusivamente “per reazione” consegnando all’antagonista il primato dell’azione propagandistica. Questa volta, quindi, il Pd è riuscito a dettare l’agenda.
(da agenzie)
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Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile
FORSE NON SI SONO ACCORTI CHE IL CONTRIBUTO ITALIANO È GIÀ TRA I PIÙ BASSI IN EUROPA (AL 14ESIMO POSTO CON “SOLI” 2,5 MILIARDI, LA METÀ DELLA FRANCIA E QUASI 7 VOLTE MENO DELLA GERMANIA)
Quando i 27 ambasciatori Ue si sono riuniti per preparare il Consiglio europeo della scorsa settimana, i rappresentanti di Estonia e Lettonia avrebbero voluto scrivere nero su bianco che «l’Ucraina dovrà prevalere» ma gli altri governi hanno scelto di riposizionarsi su una formula diversa: «La Russia non dovrà prevalere».
A prima vista sembra una sfumatura lessicale ininfluente, anche perché il Consiglio europeo ha ribadito il sostegno a Kiev «fino a quando sarà necessario». Eppure, dietro questa nuova formulazione si nasconde un cambio di passo significativo: l’Ue sta ormai abbandonando l’idea che l’Ucraina possa vincere sul campo e dunque si concentra sulla necessità di una soluzione negoziata del conflitto.
Anche perché questo sembra essere ormai il sentimento prevalente nell’opinione pubblica dei principali Paesi europei: secondo un sondaggio di YouGov diffuso ieri dal quotidiano britannico The Guardian, è in netto calo il numero dei cittadini che vogliono che i loro governi continuino a sostenere l’Ucraina «fino alla vittoria», anche a costo di prolungare il conflitto, mentre è in netta crescita la quota di quelli che si dicono aperti a «soluzioni alternative»
Il sondaggio è stato effettuato in Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Danimarca e gli italiani risultano essere quelli più desiderosi di porre fine al conflitto, anche se questo comporterà la firma di un accordo che lasci alla Russia una parte delle zone occupate dopo l’invasione del febbraio 2022.
Soltanto il 15% degli italiani è convinto che sia necessario sostenere l’Ucraina fino a quando i russi non saranno stati spinti al di fuori del suo territorio. Una percentuale che sale al 23% in Francia, al 25% in Spagna, al 28% in Germania, al 36% nel Regno Unito, al 40% in Danimarca e al 50% in Svezia.
Ma il dato significativo è che in tutti i Paesi la percentuale è nettamente inferiore rispetto alla rilevazione effettuata nel febbraio del 2023 (una decina di punti in meno). Al contrario, cresce il numero dei cittadini che vorrebbero soluzioni alternative: anche in questo caso, gli italiani sono in testa (lo chiede il 55%), seguiti dagli spagnoli (46%), dai tedeschi (45%), dai francesi (43%), dai danesi (34%), dai britannici (32%) e dagli svedesi
In Italia, secondo YouGov il 39% degli intervistati vorrebbe ridurre il sostegno all’Ucraina (è il dato più alto) e soltanto l’11% vorrebbe aumentarlo (è il dato più basso). Meno di un italiano su tre (è il dato più basso, insieme con i tedeschi) giudica negativamente un eventuale accordo di pace che preveda una cessione dei territori ucraini alla Russia.
(da agenzie)
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Dicembre 27th, 2024 Riccardo Fucile
IL FONDATORE DEL CENSIS: “ABBIAMO UNA SOCIETA’ COSI’ FRAMMENTATA E DIVISA, CHE E’ MOLTO DIFFICILE RICONDURRE A UNITA'”
Ha attraversato sessant’anni di storia repubblicana. Le sue ricerche sono state studiate da decine di ministri e presidenti del Consiglio, e da una mezza dozzina di presidenti della Repubblica. Ha fondato, nel 1967, il Censis, il più importante istituto di ricerca economico e sociale d’Italia. E a 92 anni, Giuseppe De Rita, è ancora uno dei più lucidi osservatori della società italiana.
La politica nel nostro paese «oggi rischia di avere più gerarchi che oligarchi». È una frase che lei ha pronunciato qualche settimana fa durante il forum organizzato da Coldiretti. A cosa pensava?
Noi abbiamo oggi una società così frammentata, articolata e divisa, che è molto difficile ricondurre a unità. E chi ci sta provando a farlo, sogna la verticalizzazione del potere attraverso progetti come il premierato. Pensano che verticalizzandolo, la gente sta dentro quel potere e in questo modo non resta così confusa e disarticolata. Questa idea esiste oggi, ma ricorreva anche qualche tempo fa con Matteo Renzi e il suo progetto di riforma costituzionale. Invece la società moderna ha bisogno di essere governata a livello medio-alto, ma in termini non gerarchici, bensì di indirizzo, di sostegno, di interpretazione. Ogni gruppo sociale vanta persone che ragionano di sistema all’interno del loro stesso gruppo. E queste donne e questi uomini finiscono per essere degli oligarchi di quel settore, ma soltanto quando riescono a collegare le loro azioni a quelle di altri settori. In questo senso l’oligarca diventa tale non per meriti propri, ma per le sue capacità di interpretare il proprio ambito di riferimento e di collegarlo ad altri. Penso al mio ambito, che da sessant’anni è quello della ricerca.
Sta dicendo che si augura un ritorno del ruolo delle grandi organizzazioni, partiti di massa e corpi intermedi come li abbiamo conosciuti durante la Prima Repubblica?
Più che le grandi organizzazioni in sé, sono i loro leader che ne hanno costituito la loro forza, in passato. Sono questi che definisco gli oligarchi. Se penso all’immediato Dopoguerra, la Coldiretti non sarebbe diventata quella grande organizzazione senza una guida autorevole come Paolo Bonomi. E ancora: la Cisl non sarebbe neppure nata senza Giulio Pastore; oppure, la Cgil, cosa sarebbe stata senza Giuseppe Di Vittorio e Bruno Trentin? Nell’ambito dei corpi intermedi, degli organismi sociali, è sempre il leader che rende grandi le organizzazioni, forgiando le loro caratteristiche.
A proposito della Cgil, mi viene in mente che durante l’incontro al forum di Coldiretti, lei ha criticato la frase pronunciata da Maurizio Landini sulla necessità della rivolta sociale, sostenendo che non andava detta perché non bisogna istigare le emozioni.
Ma non è solo quello, l’istigare alle emozioni. Anche Giuseppe Di Vittorio, autorevole predecessore di Landini, suscitava le emozioni. Il problema è strategico: se hai di fronte una realtà faticosa e difficile da affrontare, devi saper andare oltre, altrimenti resti un minoritario. Landini ha una sua capacità di mobilitazione, però, a mio avviso, deve avere un’idea chiara di cosa significhi per il sindacato andare oltre, oltre la crisi della conservazione, della contrattazione. Se non va oltre, finisce in un’oltranza, cioè in un oltre generico ma non reale. Dire in questo senso che le persone devono fare la rivolta sociale, significa che non si ha una visione, un programma di lungo periodo per poter attraversare la crisi. Ma questo ultimo aspetto combacia con l’identità degli italiani che negli ultimi 50 anni si è forgiata nel superare le difficoltà quotidiane, mai con una visione di lungo periodo.
Eppure proprio il gruppo di studiosi in cui Lei è si è formato agli inizi della sua carriera, penso a Pasquale Saraceno e alla fucina dello Svimez che poi ha lasciato a metà degli anni ’60 per fondare il Censis, sono la testimonianza della pianificazione, di una visione delle cose. Mi riferisco alla politica industriale dei poli di sviluppo, pur con tutte le sue contraddizioni che poi il tempo ha fatto venir fuori.
La società italiana ha saputo uscire dalle sue fasi di crisi, procedendo per tentativi. Siamo usciti dalla guerra, dal terrorismo, dall’inflazione, dalla pandemia, ma senza mai avere la capacità della programmazione. È il carattere distintivo di un popolo che è stato costruito negli ultimi 70 anni. Che ha avuto la capacità di inventare sulla propria stessa storia, come diceva Benedetto Croce. Un popolo che ha saputo inventare, per superare le sue stesse crisi, prima il lavoro sommerso, poi i localismi e la piccola impresa, ben impiantandoli, però, nelle fondamenta della propria storia, di cui uno dei caratteri centrali è la pesantezza della propria pubblica amministrazione. Una visione riformista non c’è mai stata perché mai è esistita una pianificazione di lungo periodo della società italiana. Il gruppo di studiosi di cui ho fatto parte ci ha provato, ma è stato sconfitto proprio dal carattere distintivo della società italiana. Dall’eterno presentismo che ci caratterizza.
Alcuni pilastri di questa pianificazione di politica economica sono stati poi sconfitti dalla storia, nonostante l’importanza rivestita allora da questi progetti, la costruzione dell’impianto siderurgico più grande d’Europa nel Mezzogiorno d’Italia, a Taranto, per esempio. Cosa è possibile salvare quella idea di sud Italia?
Ciò che sarebbe possibile salvare, è tutto messo nero su bianco nei documenti preparatori alla legge sul Mezzogiorno dei primi anni ’60, non c’è nei documenti ufficiali. Lì, in quelle carte, si diceva proprio che non occorrevano soltanto i grandi investimenti, ma si sarebbe dovuto recuperare in primo luogo il rapporto con il popolo meridionale, si sarebbero dovuti costruire nuovi rapporti tra l’amministrazione centrale e il Sud, fondandoli sul potere dei sindaci e dei cittadini e sulla mobilitazione delle forze sindacali ed imprenditoriali. Sono sempre stato convinto che nel Mezzogiorno l’intervento pubblico abbia avuto l’effetto di addormentare la società.
E della società attuale, «questa fabbrica degli ignoranti» secondo la definizione del Censis, «una società che avanza alla cieca è terribile» per dirla con Walter Benjamin, cosa le fa paura?
Mi fa paura la mediocrità, soprattutto quella dei suoi governanti, che da camerieri si sono trasformati in dei semplici portapiatti. L’altra cosa che mi tormenta è la mancanza di cultura collettiva, la nostra è una una cultura di adattamento e non ha capacità di evoluzione e costruzione. Non è un caso che gli unici momenti di costruzione collettiva siano stati quelli immediatamente successivi al Dopoguerra, quando non c’era più nulla e bisognava ricostruire tutto daccapo, e sono stati redatti i piani per la casa, il sud, per il lavoro, per la scuola.
Lei ha attraversato tre repubbliche, analizzando i cambiamenti intervenuti nella società e segnalandoli con indipendenza e obiettività, tra gli altri, a decisori pubblici, ministri, segretari di partito, boiardi di stato. Le è stato mai proposto di assumere cariche politiche, per esempio durante i governi tecnici?
L’ho già raccontato in un mio libro di qualche anno fa, Oligarca per caso. La prima proposta mi arrivò con Giovanni Goria presidente del Consiglio alla fine degli anni ’80; mi fu proposto il Mezzogiorno perché su quello degli Affari sociali c’erano pressioni da parte del mondo del volontariato. E rifiutai. E poi l’altra proposta, quella più straordinaria, fu quella di Silvio Berlusconi che mi disse che avrei dovuto fare il capo dello schieramento avverso al suo, invece che Francesco Rutelli. Poi il Pds mi avvicinò per sondare la mia disponibilità a presiedere la Repubblica dopo il settennato di Carlo Azeglio Ciampi. Ma poi i dirigenti puntarono su Giorgio Napolitano, presi soltanto una trentina di voti, quelli del gruppo di Clemente Mastella, che li aveva usati per contarsi.
(da editorialedomani.it)
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