Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
TREDICI MILIARDARI SIEDONO NEL GABINETTO DI TRUMP E MOLTI ALTRI RICOPRONO POSIZIONI STRATEGICHE… I RISTORANTI PIÙ ESCLUSIVI FANNO INCETTA DI VINI RARI E SI ADATTANO AI NUOVI “PADRONI”
Le strade di Washington sono insolitamente silenziose. È la calma che precede il grande passaggio di potere: Joseph R. Biden lascia il posto a Donald J. Trump. Ma dietro questa apparente tranquillità si nasconde un fermento inarrestabile. Molti residenti hanno già lasciato la città, diretti verso il sole di Palm Springs o Key West, mentre un vortice artico avvolge la capitale con un freddo pungente e una coltre di neve.
La città, nel frattempo, si trasforma in una fortezza: labirinti di recinzioni, camion della spazzatura posizionati come barricate, jeep militari e cordoni di agenti di polizia in bicicletta presidiano ogni angolo. Nel cuore pulsante della città, un’aria di cambiamento si fa sempre più palpabile. Cartelli di vendita immobiliare spuntano come funghi, furgoni per traslochi carichi di scatoloni riempiono le strade […] I ristoranti e i bar frequentati dal personale di Biden vengono rapidamente rimpiazzati dai locali preferiti della nuova amministrazione.
Mai nella storia americana tanti miliardari si sono ritrovati nello stesso luogo con così tanto potere. Mark Zuckerberg (Meta), Tim Cook (Apple), Elon Musk (Tesla) e altri magnati si stanno assicurando lussuosi indirizzi nella capitale. Tredici miliardari siedono nel gabinetto di Trump e molti altri ricoprono posizioni strategiche. I ristoranti più esclusivi fanno incetta di vini rari, ma il personale di servizio scarseggia. I francesi chiamano “interregno” il periodo di transizione tra due regimi. […] Oggi, Washington vive il suo momento sospeso, tra attesa e incertezza. Mentre gli amici liberali si dividono tra catastrofismo e rassegnazione, alcuni preferiscono aspettare e vedere.
Le redazioni hanno tratto vantaggio dal suo protagonismo, con ascolti e abbonamenti alle stelle. Ma questa volta la stanchezza potrebbe prendere il sopravvento: il circo mediatico riuscirà ancora a sfruttare il fenomeno Trump? Nel mondo di oggi, le sfide sono ancora più ardue rispetto al primo mandato di Trump. Le guerre in Medio Oriente e in Ucraina si intensificano, mentre l’ascesa della destra in Europa preoccupa gli analisti. Anche la politica interna si fa più incerta, minacciando la stabilità economica. Eppure, per ora, l’economia statunitense tiene sorprendentemente bene.
Gli azionisti sorridono: negli ultimi due anni il mercato ha registrato un +53,19%, la crescita più grande dal 1998. Un successo ribattezzato “il mercato di Trump”. Ma quanto durerà? Il ciclo economico potrebbe presto invertirsi. Le promesse elettorali vedranno compromessi, i vincitori non saranno sempre quelli dichiarati e gli interessi personali entreranno in gioco. L’economia potrebbe rallentare, i mercati potrebbero correggersi. Quando e come? Sono domande aperte. E se la disoccupazione schizzasse alle stelle? Se i conflitti in Medio Oriente travolgessero gli Stati Uniti?
Se nuove pandemie mettessero in ginocchio la fiducia nel governo? La democrazia resisterà all’erosione del potere presidenziale? E il narcisismo delle grandi potenze mondiali alimenterà tensioni fino al punto di rottura? C’è molto da sperare, ma altrettanto da temere.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
LO STAFF DI VON DER LEYEN PRECISA: “È UNA CERIMONIA PIÙ CHE UN INCONTRO E NON C’ERA ESIGENZA DI VEICOLARE NESSUN MESSAGGIO A TRUMP ATTRAVERSO MELONI”
“Penso che sia estremamente importante per una nazione come l’Italia, che ha rapporti estremamente solidi con gli Stati Uniti, dare una testimonianza della volontà di continuare e, semmai, rafforzare quella relazione in un tempo in cui le sfide sono globali e interconnesse”: così la premier Giorgia Meloni ha spiegato il senso della sua presenza al giuramento di Donald Trump prima di partecipare alla funzione religiosa nella chiesa di St John.
Vi sono stati “contatti” tra la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e la premier italiana Giorgia Meloni prima del suo viaggio negli Usa per la cerimonia d’insediamento di Donald Trump ma non in relazione alla missione in sé.
Questa l’indicazione raccolta dalla portavoce della Commissione europea la quale ha precisato che si tratta di “una cerimonia più che un incontro e non c’era esigenza di veicolare nessun messaggio a Trump attraverso Meloni”
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
IL MESSAGGIO DEL PROSSIMO CANCELLIERE TEDESCO, MERZ, A TAJANI: “NON CI ALLEREMO MAI CON AFD” (I NEONAZISTI CHE STASERA SIEDERANNO ACCANTO ALLA MELONI AD APPLAUDIRE IL TRUMP-BIS), NE’ SUI DAZI ACCETTEREMO CHE IL TRUMPONE TRATTI CON I SINGOLI STATI DELL’UNIONE EUROPEA
Il viaggio di Giorgia Meloni a Washington è irrituale. Lo è innanzitutto perché non è prassi che all’Inauguration day di un presidente americano vengano invitati i capi di Stato o di Governo. Difatti, da Macron a Ursula, da Sanchez a Tusk, nessun leader ha ricevuto un invito alla cerimonia di Capitol Hill.
Ma con l’umorale Trump, che del protocollo se ne strafotte, può succedere di tutto, anche che sia lui, insieme al suo “best buddy” Elon Musk, a fare gli inviti sulla base delle simpatie personali.
E così, ecco spuntare, in mezzo a neonazisti e un’infornata di neo-oligarchi tech (compreso il ceo di TikTok america, Chew Shou Zi), anche il capino biondo della Ducetta de’ noantri. La premier ha ricevuto un invito, appunto, informale, durante l’altrettanto irrituale viaggio a Mar-a-Lago, due settimane fa, per sbrogliare la questione della liberazione di Cecilia Sala, la giornalista italiana incarcerata in Iran.
La Meloni stars and stripes, ansiosa di far bella figura e mostrare al mondo, e al suo alleato Matteo Salvini, di essere la best friend numero uno in Europa di Donald, è quindi atterrata a Washington “informalmente”, ma il suo soggiorno negli States non sarà affatto da privata cittadina.
Da primo ministro ha viaggiato in aereo di Stato, sarà nelle prime file, e non può certo spogliarsi della veste istituzionale di Presidente del Consiglio.
Ecco perché la leader ha discusso della missione con Ursula von Der Leyen. Scrive Tommaso Ciriaco, su “Repubblica”: “Non per chiedere il “permesso”, visto che si tratta di una legittima visita istituzionale da presidente del Consiglio. Semmai per evitare frizioni o incomprensioni: è cosa nota che a Bruxelles la mossa ha spiazzato. Il confronto è servito anche a condividere una preoccupazione, forse la principale in queste ore: i dazi”.
A Bruxelles sono infastiditi con la Meloni: la visita della Ducetta, nei giornali americani, viene raccontata come se la sora Giorgia fosse una sorta di cane a due teste. Da un lato rappresentante dell’Ue in America, dall’altro cavallo di troia del tycoon in Europa.
Una cosa che i poteri forti europei non possono tollerare: Trump ha promesso di essere una sorta di cavaliere nero dell’Unione, chiedendo ai 27 paesi UE di aprire il malconcio portafogli e di portare dal 2% al 5 del Pil le spese per la Difesa e minacciando dazi a pioggia.
Secondo il principio romano del “divide et impera”, Il presidente eletto ha intenzione di colpire chirurgicamente i singoli paesi, imponendo dazi diversificati a seconda del prodotto e di chi lo produce.
L’Unione europea cadrà nel tritacarne trumpiano? Certo è che a Bruxelles non credono che sarà Giorgia Meloni a trattare per conto di tutti e 27 gli Stati membri, né per i dazi, né per altri dossier. Al mondo del deep state brussellese ancora risuona l’elogio pronunciato da Trump: “Meloni ha preso d’assalto l’Europa”.
Una benedizione che sembra voglia trasformare la “Regina della Garbatella” in un ariete in grado di sfondare il fragile muro eretto negli anni dalle istituzioni europee. Ursula von der Leyen, nella chiamata dei giorni scorsi, ha fatto presente a Giorgia che nel suo viaggio americano rappresenterà al massimo l’Italia, non certo l’Europa.
Poi, certo, bisogna vedere quanto e come gli Euro-poteri faranno pagare alla Meloni il suo rapporto privilegiato con Trump e la consacrazione come “assaltatrice” d’Europa. In tal senso, è utile osservare le mosse dei popolari tedeschi.
Tre giorni fa, il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, è volato a Berlino per incontrare i colleghi del partito popolare europeo, il bavarese Manfred Weber e Friedrich Merz, prossimo cancelliere tedesco in pectore.
Il duro Merz ha ribadito a Tajani la sua insofferenza per le ingerenze americane nella politica della Germania, e ha confermato che non accetterà mai di allearsi con i neonazisti di Afd, tanto cari a Elon Musk al punto da ricevere il suo endorsement (“Solo Afd puo’ salvare la Germania”).
Gli stessi neonazisti che, nella persona del leader Tino Chrupalla, saranno a Washington, questa sera, ad applaudire il giuramento di Trump. Vicino a Chrupalla, non ci saranno leader europei, solo Giorgia Meloni. Chissà che non sia necessario recuperare il detto “Dimmi con chi vai e ti diro’ chi sei”…
(da Dagoreport)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
IL PROFESSORE DI SOCIOLOGIA ALL’UNIVERSITA’ DI MONTPELLIER, VINCENZO SUSCA: “WASHINGTON OGGI SEMBRA GOTHAM CITY. È DISTOPICO IL MONDO DELLE ARMI, DEI MURI, DELLA XENOFOBIA, DEL RAZZISMO, DELL’OMOFOBIA DI ‘MAGA’, COME DISTOPICHE SONO LE RETI DIGITALI NEL SOLCO DI ‘X’ FITTE DI FAKE NEWS, TROLLS, INTOX, SHITSTORM, DEEP FAKE E HATER ORDITE DALLA TECNOMAGIA NERA DI TRUMP E MUSK
Un tempo cupo segnato da graffi metereologici estremi suggella l’investitura di Donald Trump al ruolo di quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Nel mentre le fiamme continuano a divampare indomite in California, un freddo polare avvolge Washington D.C., fornendo un alibi prezioso ai repubblicani per svolgere in un comitato ristretto, a porte chiuse, lontano dalla folla e dai suoi simulacri, il rito di passaggio più importante della democrazia americana.
Love is not in the air. Non c’è molta allegria, né tanta effervescenza, ma molte ombre e tanti disagi nella capitale degli USA oggi, ove le forze dell’ordine sorvegliano con zelo ogni dettaglio al fine di sventare altri possibili attentati contro il neo-eletto presidente. Mai come quest’anno, la cerimonia assume le sembianze di un funerale paradossale: il funerale della democrazia in America sancito da una scelta democratica!
La foto-ritratto ufficiale scelta qualche giorno fa da Donald Trump, d’altronde, ha funto da marchio dell’immaginario mobilitato per questa inaugurazione. Quasi identica allo scatto segnaletico che ha seguito il suo arresto nel 2023, essa mostra un volto torvo e le sopracciglia aggrottate di chi stia rivolgendo minacce all’interlocutore, ovvero al mondo intero dei suoi nemici, non-amici e potenziali avversari.
Sarebbe stato troppo bello – troppo bello per corrispondere alla verità degli USA, e con loro di tutto l’Occidente, nel 2025 – il bagno di folla di Kamala Harris tra madrine e padrini democratici in visibilio a luccicare accanto alle stelle del cinema, a Taylor Swift, Beyoncé e Lady Gaga. Troppo bello per essere vero.
Invece, i dintorni di Hollywood bruciano nel mentre un velo tetro offusca i residui progressisti dell’american dream. Dall’altra sponda, persino i sovranisti di Make America Great Again sanno bene che lo splendore e la grandezza in questione sono più un’evocazione nostalgica che un progetto politico.
Lungi dal sostenere un’utopia, il movimento MAGA e il trittico Trump-Vance-Musk è l’incarnazione del trionfo della distopia come unico scenario possibile della nostra realtà. Così, nel momento in cui il mondo piange David Lynch, uno dei più grandi visionari di angoscianti e poetiche distopie cinematografiche e non solo, una distopia altrettanto angosciante, scevra di ogni poesia, invade la vita quotidiana e ne assume il governo.
Batman cede lo scettro a Joker. Il male, da sempre in grado di inebriare le fantasie del pubblico e di nutrire i miti dell’industria culturale, ha vinto, al punto tale da oltrepassare i confini dell’immaginario e imporsi come realtà. È distopico il mondo delle armi, dei muri, della xenofobia, del razzismo, del sessismo e dell’omofobia di MAGA, così come distopiche sono le reti digitali nel solco di X fitte di fake news, trolls, intox, shitstorm, deep fake e hater ordite dalla tecnomagia nera di Trump e Musk a fronte di un pensiero democratico e umanista stanco e arrugginito.
Persino la Luna, Marte e l’intero spazio cosmico assumono tonalità tetre nella mente dei nuovi-vecchi padroni americani: non sono più nuove meravigliose frontiere, ma paesaggi da sfruttare nell’ambito della crisi e della sempre più palpabile catastrofe del pianeta Terra.
Il sogno americano è nudo. Spogliato delle sue utopie, rimane animato da appetiti voraci senza sovrastrutture particolarmente elaborate o altisonanti, vestito di armi arcaiche e futuristiche, interpretato da maschere sgraziate, se non esplicitamente grottesche.
“Brutti ceffi”, secondo il dizionario delle serie americane di qualche decennio fa, ovvero figure che attraggono l’emozione pubblica – e non l’opinione pubblica – nella loro potenzialità di sabotare il sistema democratico, che tante persone ha lasciato dietro di sé, e distruggerlo definitivamente. Forse è questa la non-ragione che anima la tecnomagia nera di Trump-Musk-Vance: riportare gli USA allo spirito armato del Far West rimpiazzandone ogni ornamento etico con le criptovalute, i dazi alle frontiere e i satelliti spaziali.
Sarebbe stato troppo bello – e troppo finto – per essere vero il successo di Kamala Harris nel suo auspicio, wishful thinking, di un’America in grado di ricucire gli strappi del colonialismo, del razzismo, del capitalismo e del maschilismo.
Una pia illusione, come tutto l’american dream dimentico della violenza efferata che l’ha informato sin dai suoi albori. Piacciano o meno, Trump-Vance-Musk sono il volto più sincero degli Stati Uniti d’America. Mai come oggi, la verità è oscena e l’osceno è il vero.
“It’s fun to stay at the Y.M.C.A. You can get yourself clean, you can have a good meal. You can do whatever you feel”, recitano i Village People, il gruppo preferito del quarantasettesimo presidente americano Donald Trump, citando la Young Men’s Christian Association (l’Unione Cristiana degli Uomini Giovani, un movimento religioso fino agli anni Settanta riservato ai maschi). Siamo giunti al passaggio definitivo dalla politica spettacolo alla politicizzazione dello spettacolo. Uno spettacolo in cui non c’è niente da ridere.
Vincenzo Susca per Dagospia
(professore ordinario di sociologia dell’immaginario all’Università di Montpellier Paul-Valéry. Il suo ultimo libro è Tecnomagia, Mimesis, 2022)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO OXFAM: IL 44% DELLA POPOLAZIONE MONDIALE VIVE CON MENO DI 6.85 DOLLARI AL GIORNO… L’1% PIU’ RICCO CONTROLLA IL 45% DELLA POPOLAZIONE (SONO GLI AMICI DEI SOVRANISTI)
La disuguaglianza economica globale è ancora una delle sfide più presenti del nostro tempo, caratterizzata ancora da profonde disparità nella distribuzione di risorse e opportunità. Nonostante alcuni progressi compiuti nella riduzione della povertà relativa negli ultimi decenni, miliardi di persone continuano a vivere in condizioni precarie, mentre una ristretta élite accumula ricchezze inimmaginabili: questa realtà non solo mette in evidenza le ingiustizie del sistema economico globale, ma solleva interrogativi cruciali su come strutturare un mondo più equo e inclusivo. Il recente rapporto pubblicato da Oxfam offre uno spaccato allarmante su queste dinamiche, evidenziando i legami tra povertà estrema, concentrazione della ricchezza e squilibri strutturali tra Nord e Sud del pianeta
Cosa dice il rapporto
Circa il 44% della popolazione mondiale vive con meno di 6,85 dollari al giorno. Nonostante negli ultimi 30 anni la percentuale di persone in povertà sia diminuita, il numero assoluto di individui che sopravvivono sotto questa soglia resta sostanzialmente invariato rispetto al 1990, raggiungendo ancora i 3,5 miliardi. A questo ritmo, secondo il rapporto, potrebbero essere necessari più di cento anni per eliminare la povertà a livello globale.
La riduzione della cosiddetta “povertà estrema”, che riguarda chi vive con meno di 2,15 dollari al giorno, sta rallentando, rendendo sempre meno realistico il raggiungimento dell’obiettivo di sradicarla entro il 2030, come previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite.
Il rapporto di Oxfam, intitolato “Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata”, pubblicato in occasione del World Economic Forum di Davos, traccia un quadro preoccupante: si evidenzia infatti che, nel 2024, la ricchezza dei dieci uomini più ricchi al mondo è cresciuta di quasi 100 milioni di dollari al giorno in media. Anche se il 99% delle loro fortune andasse perso, rimarrebbero comunque miliardari. Nel frattempo, l’1% più ricco della popolazione detiene quasi il 45% della ricchezza globale, grazie a un sistema economico che favorisce l’accumulo di capitali nei paesi sviluppati a scapito delle economie in via di sviluppo.
Le differenze tra nord e sud
Nel 2024, i Paesi industrializzati hanno registrato un afflusso netto di capitali dal Sud globale per circa 1000 miliardi di dollari: come evidenza il rapporto Oxfam, questo fenomeno è legato a un sistema economico iniquo, caratterizzato da forme di neocolonialismo. Le economie avanzano e continuano a dominare i flussi di ricchezza globale grazie al controllo delle valute principali nei sistemi di pagamento internazionali e a condizioni di finanziamento più favorevoli: il Nord del mondo, di conseguenza, pur rappresentando solo il 21% della popolazione globale, detiene il 69% della ricchezza complessiva. I Paesi del Sud del mondo, invece, contribuiscono al 90% della forza lavoro globale, ma ricevono soltanto il 21% del reddito aggregato da lavoro. I divari salariali sono, insomma, enormi: a parità di competenze, i salari nel Sud globale sono inferiori fino al 95% rispetto a quelli percepiti nei Paesi ricchi. Questo squilibrio così netto favorisce la disparità economica e limita anche le possibilità di sviluppo per miliardi di persone.
Oxfam: “Il debito estero crea precarietà e marginalizzazione culturale”
Un altro aspetto critico, sottolineato dal rapporto Oxfam, riguarda il debito estero, che sembra gravare in modo sproporzionato sui Paesi a basso e medio reddito: questi Paesi dedicano oggi quasi la metà delle loro risorse al rimborso del debito contratto con creditori internazionali, spesso situati a New York o Londra. Alla metà del 2023, il debito globale aveva raggiunto il record di 307mila miliardi di dollari, con 3,3 miliardi di persone che vivevano in nazioni dove si spendeva più per il debito che per servizi essenziali come sanità ed istruzione. Una situazione, come viene sottolineato nel documento, che ha alimentato un ciclo di precarietà economica e marginalizzazione culturale “assurda”, che favorisce politiche identitarie e divisive, creando privilegi solo per una ristretta élite.
Il ruolo delle multinazionali
Il rapporto Oxfam sottolinea anche il ruolo delle grandi multinazionali e dei sistemi clientelari nel favorire sempre di più le disuguaglianze: nel documento viene sottolineato infatti come i ricavi combinati delle cinque maggiori aziende al mondo superino il PIL di molte nazioni e il reddito complessivo di circa due miliardi di persone, dimostrando come il potere monopolistico consenta rendite sproporzionate e rafforzi un sistema economico squilibrato. Questi dati offrono insomma una chiara fotografia di un mondo dove le opportunità sembrano sempre più concentrate nelle mani di pochi, a discapito invece della maggioranza.
(da Fanpage)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
PER LA POLIZIA FERROVIARIA SI TRATTA DI UN FURTO MESSO A SEGNO DA UNA BANDA DI STRANIERI. MA IL “CAPITONE” EVOCA UN DISEGNO CRIMINALE PER SABOTARE IL MINISTERO DEI TRASPORTI
Ieri pomeriggio qualcuno ha forzato l’ingresso di una centralina elettrica dei treni alla stazione di Roma Aurelia e ha rubato un avvitatore all’interno di un furgoncino nell’area recintata.
Sono in corso indagini della Polfer che non esclude si tratti semplicemente di un furto messo a segno da una banda di stranieri.
Ma per Salvini invece si tratta di un preciso disegno criminale per sabotare il lavoro del ministro dei Trasporti.
“Alla luce delle notizie di particolare gravità emerse nelle ultime ore, con episodi sconcertanti, ritengo urgente informare il Parlamento. Confido di essere in Aula già questa settimana”, ha scritto in una nota del Mit in cui ringrazia i dipendenti Fs che, “dopo l’esposto per troppi incidenti anomali, sono mobilitati anche per presidiare i punti più delicati delle linee ferroviarie“.
Il precedente nel padovano: giovedì è stato trovato un catenaccio di bicicletta appeso alla linea elettrica, qualcuno non aveva trovato altro modo di disfarsene.
Salvini non ha esitato a rilanciare: “Se venisse confermato che la catena è stata messa lì per sabotare il transito dei treni sarebbe gravissimo. Chi c’è dietro questi atti?”.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
IL RACCONTO: “IO E I MIEI COMPAGNI ABBIAMO FATTO PRESENTE CHE MI STAVA OFFENDENDO SIA ALL’ARBITRO CHE ALL’ALLENATORE AVVERSARIO. MA NESSUNO HA FATTO NIENTE. NON MI SONO SENTITO TUTELATO. ALL’ENNESIMO INSULTO, SONO IMPAZZITO E L’HO COLPITO”
Ha sferrato un pugno ad un avversario, accusandolo di avergli rivolto insulti razzisti. L’episodio è accaduto ieri pomeriggio a Barco di Bibbiano, nel Reggiano, durante la partita di calcio dilettanti Boca Barco-Rubierese, valida per il campionato di Prima categoria (Girone C).
A riportare la notizia è il Resto del Carlino di Reggio Emilia. A metà del secondo tempo, il difensore della Rubierese, Afzaz Ilyas, 25 anni, è stato espulso dall’arbitro dopo aver sferrato un pugno al volto all’attaccante avversario Simone Costa, 24 anni.
Quest’ultimo è stato portato poi all’ospedale Maggiore di Parma, ricoverato nel reparto maxillo-facciale. Afzaz, italiano e nato da genitori marocchini a Pavullo nel Frignano (nel modenese), lo accusa: “Per tutta la partita mi ha chiamato ‘scimmia’ e negro di m… – ha raccontato – Io e i miei compagni lo abbiamo fatto presente all’arbitro e all’allenatore avversario. Ma nessuno ha fatto niente. Non mi sono sentito tutelato. All’ennesimo insulto, sono impazzito e l’ho colpito”.
“Ho reagito nella maniera più sbagliata possibile. Non sono un violento, non sono mai stato espulso in carriera. Ma la situazione era diventata pesante e ho perso la testa. Negli spogliatoi ho pianto, sono pronto a chiedergli scusa e lo chiamerò a telefono. Ma il razzismo nel calcio non deve esistere e vorrei si scusasse anche lui”.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
“I AM GIORGIA” SOGNA DI ESSERE IL “PONTE” TRA L’UE E GLI STATES MA IL RISCHIO È DI RITROVARSI CON IL TYCOON MENTRE FIRMA I DAZI CONTRO L’EUROPA
Tre finestre possibili. La più probabile è al termine della cerimonia di oggi al Campidoglio: dopo aver pronunciato la formula di rito che lo incoronerà presidente degli Stati Uniti, Donald Trump dovrebbe conversare per qualche minuto con Giorgia Meloni. Un colloquio rapido, ma necessario per trasformare il viaggio in qualcosa di più di un semplice omaggio, inusuale e al limite dell’azzardo.
Meglio ancora sarebbe ritrovarsi con il tycoon alla festa della Capitol Arena (ma sono attesi migliaia di ospiti, il caos non si sposa con l’obiettivo) o quando il leader firmerà i primi ordini esecutivi alla Casa Bianca. Fonti americane dicono che Elon Musk potrebbe fare il miracolo, ma i tempi sembrano strettissimi, i margini ridotti: l’opzione più quotata è dunque quella di un faccia a faccia a margine del giuramento.
È la vera incognita del viaggio. La distanza che separa un semplice atto di presenza da un presunto successo diplomatico. Quanto più durerà il contatto, il primo concesso a un big europeo, tanto più Meloni potrà vantare un risultato. Ufficialmente viene diffusa a piene mani sobrietà: il segnale è già condensato nella missione lampo. In più, fanno sapere dal suo staff, la premier dovrebbe sedere tra le prime file, ulteriore segnale di attenzione da parte del presidente.
Della missione la leader ha discusso con Ursula von der Leyen al telefono, nei giorni scorsi. Non per chiedere il “permesso” . Semmai per evitare frizioni o incomprensioni: è cosa nota che a Bruxelles la mossa ha spiazzato. Il confronto è servito a condividere una preoccupazione, forse la principale in queste ore: i dazi.
È lo spettro che tiene tutti con il fiato sospeso. È in allerta anche la premier. Il timore è che Trump firmi nelle ore o nei giorni immediatamente successivi un ordine esecutivo per imporre ai partner dell’Unione una pesante tassazione sulle esportazioni.
Sarebbe fastidioso, per Meloni. Seduta lì in platea, senza poter reagire a un colpo durissimo per le imprese italiane ed europee.
Ripartirà per l’Italia stasera. Convinta di aver portato a casa un risultato, lo stesso indicato in privato nei giorni scorsi: «Qualcuno deve parlarci, con Trump». C’è voglia di ammortizzare i rischi per l’Italia e speranza di lucrare anche nel consenso da questo posizionamento.
Con questo spirito ha sfidato il dettato diplomatico, che gli sconsigliava di venire. Ma se von der Leyen stenta a relazionarsi con il repubblicano, Macron è debole e in Germania c’è un vuoto di potere che durerà almeno fino a maggio — è stato il ragionamento — allora è giusto rischiare.
Anche per sbrogliare altri enormi nodi irrisolti: le spese militari al 5% del Pil, la guerra in Ucraina e Medio Oriente che potrebbero chiudersi danneggiando l’Europa
Certo, la presidente del Consiglio sa che arriverà il momento di dover scegliere: se Trump vuole davvero far saltare l’Unione, anche l’Italia sarà costretta a schierarsi.
(da La Repubblica)
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Gennaio 20th, 2025 Riccardo Fucile
DIPENDENTI IN FUGA DAL SOGNO DEL POSTO FISSO ANCHE PER MANCANZA DI SODDISFAZIONE
Colpa dello stress, ma non solo. Anche dei salari troppo bassi e del costo della vita che in tanti faticano a reggere. Sta di fatto che la grande fuga dal lavoro alla ricerca di un impiego migliore, la famigerata «great resignation» nata negli Usa e poi dilagata nel mondo, non si arresta: nei primi 9 mesi dell’anno passato, secondo gli ultimi dati disponibili nella banca dati dell’Inps, si sono infatti registrate ben 1 milione 566 mila dimissioni volontarie. A fine 2024 quindi si arriverà ben sopra quota 2 milioni di dimissioni, un dato in linea coi 2 milioni e 182 del 2022 e di 2 milioni e 152 mila del 2023.
Stress, eccessivi carichi di lavoro, salari troppo bassi, scarsa valorizzazione delle professionalità e la ricerca di una prospettiva migliore alla base di tante scelte. Lasciano il lavoro, insoddisfatti, provati (se non addirittura proprio esauriti), tanti dipendenti pubblici: medici e infermieri, innanzitutto, ma anche agenti della polizia locale, autisti di autobus, insegnanti e poliziotti.
A lasciare nei primi 9 mesi del 2024, in particolare, sono stati oltre 600 mila addetti del macrosettore che aggrega addetti del commercio, attività di trasporto e magazzinaggio, servizi di alloggio e ristorazione, tutti comparti dove spesso si incrociano turni massacranti e stipendi non certo eccezionali.
A seguire 281 mila addetti impegnati in attività manifatturiere, nei settori dell’energia e della gestione dei rifiuti e 278 mila persone che erano occupate nella attività professionali, scientifiche e tecniche, nei servizi amministrativi e di supporto. Anche il lavoro pubblico, in tutte le sue articolazioni, perde pezzi facendo registrare altre 102 mila dimissioni nelle amministrazioni pubbliche, a partire dai comuni (che già tra il 2016 ed il 2022 hanno subito un aumento dell’89% delle dimissioni volontarie) ed in settori come difesa, istruzione, sanità e assistenza sociale. «Un tempo il posto fisso era certezza e rifugio, oggi invece si sta spiegando un grande ripensamento sul posto pubblico» segnalano da tempo i sindacati.
Nel campo della sanità secondo Anaao-Assomed nel 2024 altri 7 mila medici hanno lasciato le corsie degli ospedali. «Ogni anno il Servizio sanitario perde pezzi importanti» commenta il sindacato, segnalando che già tra il 2022 al 2023 i medici che hanno lasciato il pubblico erano più che raddoppiati.
Anche in questo caso a pesare sono i carichi di lavoro, le responsabilità sempre crescenti e di contro le scarse soddisfazioni economiche. E lo stesso si può dire degli infermieri: in 23 mila si sono infatti dimessi negli ultimi 4 anni. «Gli infermieri sono oggi la categoria della sanità che in assoluto abbandona maggiormente, “di sua sponte”, la sanità pubblica – commenta Antonio De Palma, presidente nazionale del Nursing Up -. Le destinazioni sono i paesi stranieri, il privato, e poi c’è una percentuale di oltre il 20% che abbandona per sempre il settore cambiando del tutto vita».
Il disagio psicologico è alla base di molte di queste scelte. L’analisi dei dati raccolti dall’Inail nei primi 11 mesi del 2024 ha rivelato un aumento significativo delle denunce di malattie professionali legate a problemi del sistema nervoso e disturbi psichici e comportamentali, con quasi 9 mila denunce (+16,1% sul 2023).
L’esposizione prolungata a situazioni lavorative estenuanti, stressanti o emotivamente esaurienti sfocia poi nel burnout (termine che in italiano si traduce con «bruciato» o «scoppiato») una condizione può insorgere quando una persona si sente sopraffatta dalle richieste del lavoro, sia fisicamente che emotivamente e che nel nostro paese, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, arriva ad interessare il 16% degli occupati.
Al rovescio però ci sono tanti lavori «belli», che danno soddisfazione. E non sono poche le realtà grandi e piccole dove il lavoro non fa rima con stress e dove non ci si pensa proprio a dimettersi. Stando alla classifica dei 60 Best Workplaces 2024, stilata dalla società di ricerche e analisi Great Place to Work Italia ascoltando 219 mila collaboratori di 379 imprese, tra le grandi aziende il luogo di lavoro ideale è rappresentato dalla catena di alberghi Hilton, tra le aziende medie la prima risulta invece Cisco Systems (settore information technology e networking), tra le medio piccole al primo posto c’è Biogen Italia (settore biotecnologie) mentre Auditel (rilevazione degli ascolti tv) prevale tra le piccole.
Nel complesso una realtà su tre (30%) appartiene al settore dell’information technology, seguono attività più tradizionali come industria manifatturiera e i servizi professionali col 15%, quindi biotecnologie e farmaceutica, servizi finanziari e assicurazioni (8%), e ancora sanità (5%), media e retail (3%). Chiudono la lista edilizia, elettronica, ingegneria, alberghiero, telecomunicazioni, trasporti che si fermano al 2% e l’agricoltura all’1%.
(da La Stampa)
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