Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA LOTTA INTERNA PER AVERE L’EGEMONIA IN LOMBARDIA
La bruciano con la fiamma amica, come a Salem, la città delle streghe, Santanchè, la scarlatta. Lo racconta lei, al suo gabinetto. Martedì sera ha ricevuto una telefonata da parte di Ignazio La Russa, dal tono drammatico. Il testo della conversazione riferito: “Vogliono il mio passo indietro, me lo ha detto Ignazio, altrimenti…”.
Il non detto, ma lasciato intendere da Santanchè, è che se non dovesse farlo, viene pubblicato altro contro. E’ partita una campagna stampa, contro la ministra, ed è durissima. Palazzo Chigi lascia fare. Significa: avanti, potete scrivere che si dimette, potete scrivere che si cerca il suo sostituto.
Al telefono di Santanchè risponde il segretario personale e dice: “La ministra lavora come sempre, è appena rientrata a Roma”. Galeazzo Bignami, capogruppo di FdI, alla Camera, smentisce il passo indietro. L’hanno scaricata e l’hanno scaricata perché l’obiettivo è più alto: liberarsi di lei, ridimensionare La Russa, il vecchio zio di Gaber, “cuore troppo tenero e testa troppo dura”.
Nel pomeriggio un vertice convocato da Meloni a Chigi, con gli alleati, si trasforma in dimissioni imminenti della ministra del Turismo. Gli incontri dei capigruppo di FdI, Malan e Bignami, sono titoli dei siti: “Malan al posto di Santanchè”. I pranzi La Russa-Santanchè sarebbero ormai due: una mensa.
Non la difende, con il cuore, più nessuno di FdI e di peggio c’è che la pugnala il partito, il partito che ora le rimprovera la gestione del ministero, le leggerezze, la disinvoltura. Le vengono contestate le promesse, eventi che si sono rivelati mezzi fiaschi. Si parla di un appuntamento, un evento a due, lei e La Russa, saltato proprio perché la Russa non può più fare nulla. E’ sotto fiamma amica anche lui.
Alla Camera, Gianluca Caramanna, di FdI, che sul serio, dice, non vuole prendere il suo posto, al nome di Malan quasi si rasserena, “basta che non sia io”.
Da quando un ministro di FdI viene difeso con tanta forza da un leghista? Sta accadendo anche questo così come accade di tutto per il voto della Consulta, voto sconvocato, Consulta usata come fosse Rai Parlamento, offerta da Forza Italia al M5s, accade pure che Forza Italia pensi di eleggere giudice costituzionale Augusta Iannini, la moglie di Bruno Vespa, l’influencer Rai, l’Andrea Stroppa di Viale Mazzini.
A difendere Santanchè, con forza, resta solo il leghista Claudio Durigon che pensa: “Non deve lasciare, si è innocenti fino al terzo grado di giudizio. Ricordate il caso Profumo, l’ex ad di Leonardo? Dirigeva la più importante partecipata sotto indagine, ed è stato confermato da Draghi. Venne poi assolto. Io resto garantista”.
Sarebbe stato il sottosegretario Alfredo Mantovano, altro grande co-protagonista di giornata per il caso Almasri, il capo della Polizia libico arrestato e portato in patria con un Falcon, a rassicurare personalmente Santanchè, a dirle che non era vero niente, ma poi, martedì, è arrivata la telefonata di La Russa perché, gli ripetono a Chigi “parlaci tu, con Daniela, le sei amico”.
Dicono che, ieri, la ministra fosse intrattabile e che confidandosi abbia detto: “Mi chiedono un passo indietro, me lo ha chiesto Ignazio altrimenti la campagna non si ferma”. Perché questa furia contro una ministra che, a dirla tutta, in Aula si è saputa difendere di gran lunga meglio dei suoi colleghi uomini? C’è di mezzo la Lombardia, il dominio, la vera regione che ha puntato FdI, ancora più del Veneto, e c’è l’insofferenza verso la corrente di La Russa-Fidanza-Mantovani, l’europarlamentare, ex Forza Italia, che insieme alla figlia sta scalando il partito a Milano, insieme all’altro assessore rampante, quel Marco Alparone, vicepresidente e assessore al Bilancio.
In questi due anni e mezzo di governo si è sempre parlato degli uomini di Fazzolari, distaccati nei ministeri, ma poco della corrente La Russa-Santanchè Solo per citare l’ultimo caso: il capo di gabinetto del ministero della Cultura, Valentina Gemignani, è stata suggerita da La Russa a Fazzolari e Fazzolari ha detto che andava bene. In ogni ministero c’è qualche vecchio amico di Ignazio, il presidente del Senato che parla di burraco.
Elly Schlein alla Camera, nota, e nota bene, che “FdI non ha avuto il coraggio di manifestare l’opportunità di fare dimettere Santanchè o di difenderla in caso contrario”. FdI sta facendo i conti con lei o con la Russa? Anziché fare i congressi interni, anziché gestire un partito del trenta per cento, si servono dei fascicoli giudiziari. Avevano come riferimento il Twiga, ora hanno Salem, la città dei roghi.
(da Il Foglio)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
L’INDAGINE A VERBANIA: TROVATI LASSATIVI IN CUCINA
Ci sono i carabinieri di Verbania a indagare sulla sospetta intossicazione durante un
pranzo con politici locali e vigili urbani. In 28 si sono sentiti male, cioè quasi tutti i 35 commensali seduti ai tavoli della mensa di Villa Olimpia, una realtà sociale in cui lavorano anche detenuti del carcere cittadino.
Il pranzo si era tenuto lunedì, in occasione dei festeggiamenti di San Sebastiano, patroni della Polizia locale. In tutto il locale a pranzo c’era un centinaio di persone. Ma solo quelli seduti ai tavoli con sindaci e vigili urbani si sono sentiti male. Come riporta La Stampa, sono stati graziati quattro commensali, gli unici ad aver evitato il secondo di spezzatino di carne con purè.
I casi di dissenteria
All’inizio i casi di dissenteria sembravano isolati. Ma quando nei giorni successivi al pranzo colleghi e amministratori si sarebbero confidati i sintomi accusati dopo aver mangiato, i sospetti sono cresciuti. E cresce il dubbio che qualcuno possa aver colpito di proposito quel tavolo particolare, magari usando un lassativo.
Una vendetta o uno scherzo scappato di mano?
I sospetti sono cresciuti dopo che sono state ritrovate due boccette di purgante mezze vuote all’esterno della cucina. Le fiale si trovavano sul davanzale della finestra di un locale di servizio, vicino alla cucina. Un luogo accessibile innanzitutto al personale impiegato dal locale. Qualcuno poteva farsi male, dice il comandante dei vigili di Verbania, Andrea Cabassa. Che sia stata una goliardiata o meno, a giorni c’è chi ha intenzione di sporgere querela.
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
AL PADRE CONTESTATO IL REATO DI SFRUTTAMENTO DEL LAVORO PLURIAGGRAVATO E INTERMEDIAZIONE ILLECITA
È stato arrestato Renzo Lovato, padre di Antonello, l’imprenditore arrestato per omicidio colposo per la morte di Satnam Singh, il bracciante abbandonato davanti casa in fin di vita senza un braccio a giugno 2024 e poi morto in ospedale. Renzo Lovato è finito in carcere assieme al legale rappresentante dell’azienda, arrestato oggi dai carabinieri su disposizione della procura di Latina. I due, così come Antonello Lovato, sono accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravato.
La «leggerezza» del bracciante
Nelle ore successive alla morte del 31enne indiano, Renzo Lovato aveva minimizzato la vicenda in diverse interviste. Ai giornalisti e al magistrato, l’imprenditore agricolo aveva parlato di una leggerezza del bracciante, nel tentativo di allentare ogni responsabilità del figlio. Renzo Lovato, titolare dell’azienda agricola in cui è morto Satnam Singh, era indagato dal 2019 per reati di caporalato, come aveva fatto emergere un’esclusiva del TgLa7. A lui erano anche contestate violazioni in materia di sicurezza e igiene. Nella sua azienda, per esempio, non c’era alcuna traccia dei bagni per i dipendenti.
Le accuse di sfruttamento e le condizioni di lavoro
Secondo gli inquirenti, i Lovato avrebbero sfruttato la manodopera di 7 braccianti agricoli privi di permesso di soggiorno, quindi irregolari sul territorio italiano. Questi, tra cui lo stesso Satnam Singh, erano sottoposti a condizioni di sfruttamento. Tramite un’accurata analisi dei cellulari e dei social dei lavoratori, e grazie alla testimonianza di quattro di loro, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire come Renzo e Antonello Lovato approfittavano dello stato di bisogno dei braccianti. Tra le numerose violazioni: retribuzioni, orari e giorni di riposo differenti da quelli stabiliti dai contratti collettivi nazionali, nonché mancato rispetto delle norme di sicurezza. Al reato di sfruttamento del lavoro sono state applicate anche numerose aggravanti: da agosto 2022 a giugno 2024 gli indagati avrebbero infatti dato lavoro a oltre 3 irregolari, esposti a situazione di grave pericolo tramite l’utilizzo di mezzi agricoli per mansioni giudicate «improprie».
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
L’ULTIMO AMBIZIOSO PROGETTO DA 300MILIONI DI DOLLARI VIENE PROPOSTO DA UN’AZIENDA DELLA VIRGINIA CHE HA IN CANNA LA REALIZZAZIONE UN MEGA BUNKER RISERVATO ALL’1% DELLA POPOLAZIONE CON STANZE MEDICHE ROBOTIZZATE, PISCINE E RISTORANTI E CAMERA IPERBARICA
La nuova fissazione dei ricconi? Farsi costruire bunker per salvarsi dall’apocalisse –
l’ultimo ambizioso progetto da 300milioni di dollari viene proposto da un’azienda della virginia specializzata in sicurezza delle abitazioni che ha in canna la realizzazione un mega bunker riservato all’1% della popolazione con stanze mediche robotizzate, piscinee ristoranti.
La fortezza sotterranea di lusso, la cui apertura è prevista per l’estate del 2026, offrirà un’esperienza di sopravvivenza a 5 stelle ai pochi fortunati disposti a sborsare 20 milioni di dollari per un singolo abbonamento dei 625 disponibili.
Il bunker, che è stato chiamato “Aerie”, farà parte di una rete di proprietà simili che si rivolgono all’1%, offrendo loro un’opportunità unica per salvaguardare il proprio futuro, indipendentemente dai disastri che potrebbero verificarsi.
Siamo ben lontani dalle fattorie isolate e dai rifugi antiatomici preferiti da chi si prepara al giorno del giudizio. Aerie offre assistenza medica “basata sull’intelligenza artificiale”, “programmi di benessere” e la promessa di “fondere protezione e lusso” in un modo mai visto prima.
Il bunker è opera di SAFE (Strategically Armored & Fortified Environments), un’azienda con sede in Virginia specializzata nella progettazione di proprietà sicure. L’azienda ha già ottenuto consensi per aver creato ogni genere di bunker unico, tra cui uno dotato di una pista di Formula 1.
Tuttavia, secondo il fondatore e presidente di SAFE, Al Corbi, Aerie trasformerà l’idea di bunker. Tra i vari spazi disponibili c’è una stanza per l’immersione nel ghiaccio, una che ospita una camera iperbarica, una sala per le terapie endovenose, stanze dedicate a trattamenti e operazioni mediche e una piscina con ai muri dei pannelli in grado di ricreare lo skyline di una città.
(da Realtor)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE HA CHIESTO INVANO SPIEGAZIONI SUL RIMPATRIO CON VOLO DI STATO … UN GOVERNO COLLUSO CON IL CAPO DEI TRAFFICANTI… IN UNO STATO NORMALE NORDIO DOVREBBE ESSERE INCRIMINATO, ALTRO CHE DIMISSIONI… COME CHI HA FORNITO UN AEREO DI STATO A UN TORTURATORE CRIMINALE RICERCATO
Non c’è stato un errore, né un vizio di forma. Il governo ha deciso di non consegnare alla Corte penale internazionale (Cpi) Najeem Osama Almasri Habish, 47enne capo della polizia giudiziaria del regime di Tripoli legato a doppio filo all’Italia, accusato di crimini di guerra, tortura e mille altre nefandezze commesse dal 2015 nel famigerato carcere di Mitiga. Lì le milizie libiche rinchiudono jihadisti, altri nemici, omosessuali e migranti in attesa di imbarcarsi per l’Italia.
Almasri era stato arrestato domenica a Torino, dove era arrivato dalla Germania per assistere a Juventus-Milan (tifa Juve), sulla base di un red notice Interpol sollecitato il giorno prima dalla Corte dell’Aja. Martedì però la Corte d’appello di Roma, competente per i mandati d’arresto della Cpi, l’ha scarcerato perché l’arresto era “irrituale”: mancava infatti l’intervento del ministro della Giustizia, l’unico che a norma della legge 237 del 2012 può avviare la procedura; a differenza dell’arresto a fini estradizionali, qui “non v’è una previsione attinente alla possibilità di intervento ‘di iniziativa’ della polizia giudiziaria”, scrive la Corte d’appello.
Un Falcon della Presidenza del Consiglio ha riportato comodamente a Tripoli il presunto torturatore, espulso “per motivi di ordine pubblico e sicurezza” dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e accolto con tutti gli onori nel suo Paese.
Un comunicato della Corte dell’Aja, durissimo per quanto scritto in “cortese”, ieri sera ha messo in fila le cose. Sabato 18, on the same day e cioè “lo stesso giorno” dell’emanazione del mandato d’arresto per l’ufficiale libico, “la Cancelleria della Cpi ha presentato una richiesta di arresto dell’indagato a sei Stati parte, tra cui la Repubblica italiana. La richiesta della Corte è stata trasmessa attraverso i canali designati da ciascuno Stato ed è stata preceduta da consultazioni e coordinamenti preventivi”.
Quindi Nordio – o almeno il ministero – ha ricevuto subito le carte. E non le ha trasmesse alla Procura generale di Roma come prevede la legge 237/2012, nemmeno quando la Procura generale l’ha sollecitato lunedì 20 gennaio, come si legge nell’ordinanza della Corte d’appello.
Non è vero, come invece è stato fatto intendere, che la Cpi ha scritto al ministero solo dopo l’arresto. E anche se fosse stato commesso questo errore, sarebbe stato possibile rimediare con un nuovo provvedimento.
Scrivono ancora i giudici dell’Aja che Almastri, il 21, è stato “rilasciato senza preavviso o consultazione con la Corte”. E aggiungono di aver chiesto spiegazioni all’Italia: “La Corte sta cercando, e non ha ancora ottenuto, una verifica da parte delle autorità”. Per poi ricordare “il dovere di tutti gli Stati di cooperare pienamente”.
Un altro dettaglio conferma che è stata una scelta politica del governo. La mattina di lunedì 21, quando la Corte d’appello doveva ancora decidere sulla scarcerazione di Almastri, alle 10:14 il Falcon è partito da Roma e alle 11:13 è atterrato a Torino per recuperare Almasri. Qualche ora dopo, alle 15:55, un comunicato della Giustizia riferiva che Nordio aveva “ricevuto” e stava “valutando” la richiesta della Corte dell’Aja. Probabilmente il ministro non era stato informato dell’invio dell’aereo di Stato per il presunto torturatore. Non è chiaro come siano rientrati in Libia i tre connazionali che erano con lui a Torino, denunciati per favoreggiamento dalla Digos e poi espulsi sempre per motivi di “ordine pubblico e sicurezza” dal prefetto del capoluogo piemontese. I tre non avrebbero altre pendenze in Italia.
Qui non siamo di fronte all’immunità per i capi di Stato e di governo che protegge Benjamin Netanyahu, o Vladimir Putin, entrambi destinatari di mandati d’arresto della Cpi. Qui si tratta di un ufficiale, ma l’Italia ha preferito non collaborare. Probabilmente perché la collaborazione del regime libico è più importante, specie sull’immigrazione. D’altra parte, da quando è in vigore la legge 237/2012, nessuno è stato consegnato alla Cpi dall’Italia.
Le opposizioni protestano a gran voce, oggi al Senato risponderà Piantedosi. Nordio, a quanto pare, no.
(da La Stampa)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
SONO NUMEROSE LE TESTIMONIANZE RACCOLTE CONTRO IL CAPO DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA LIBICA ACCUSATO DI CRIMINI CONTRO L’UMANITA’ E LIBERATO DAL GOVERNO MELONI
Non si placano le polemiche dopo la decisione del governo italiano di non procedere
all’arresto di Najeem Osema Almasri Habish, capo della polizia giudiziaria libica e considerato dalla corte penale internazionale autore di crimini contro l’umanità.
Almasri è stato rispedito in Libia su un volo di Stato italiano dopo la scarcerazione. Le prove a suo carico sono molte, si tratta delle testimonianze dei migranti che sono passati dalla Libia prima di arrivare in Europa e sono stati rinchiusi nel lager di Mitiga, dove Almasri operava.
Tra loro anche David Yambio, portavoce di Refugees in Lybia tra le principali organizzazioni che hanno raccolto le prove contro Almasri e che hanno denunciato il suo arresto e la clamorosa liberazione in Italia e in Europa.
A Fanpage.it David chi ha raccontato l’inferno del lager di Mitiga dove il poliziotto libico decideva della vita e della morte di tutti.
“Almasri era il capo dei torturatori”
Il campo di concentramento di Mitiga si trova alle porte di Tripoli, nella zona dell’aeroporto internazionale, è uno dei più affollati centri di detenzione completamente illegali usati dai signori della guerra libici. I migranti in marcia da Sud verso le coste della Libia vengono catturati spesso alla fine del deserto, oppure dopo, e condotti in questi centri che sono delle vere e proprie camere della tortura. Per poter uscire da lì i familiari dei migranti catturati devono pagare un riscatto. Solo dopo, le persone, torturate e segnate dalle violenze, sono libere di essere schiavizzate nei lavori più pesanti intorno alle città per raccogliere i soldi necessari per imbarcarsi. Najeem Almasri è esattamente l’identikit di quei trafficanti di esseri umani a cui la presidente Giorgia Meloni voleva dare la caccia in tutto il globo terracqueo.
È grazie a persone come David Yambio ed al network Refugees in Lybia che sono state raccolte le prove contro Almasri che hanno portato al mandato di arresto internazionale spiccato dalla corte de L’Aja.
“La situazione nel lager di Mitiga non riesco a spiegarla a parole – ci racconta David Yambio – è mortale, inumana, crudele. Per anni questo signore, Almasri, ha operato nella totale impunità sui cittadini libici, e poi ha iniziato con i migranti”. L’uomo liberato dal governo Meloni, come ha ricordato l’associazione Mediterranea Saving Humans, è uno dei più feroci trafficanti di esseri umani libici ed uno dei più crudeli torturatori.
“Dico sempre a me stesso di non ricordarmi cosa ho visto a Mitiga – prosegue Yambio – gli uomini venivano bruciati con la tortura, gli veniva fatto l’elettroschock, venivano picchiati con le armi. E poi molti erano costretti a combattere. Tra il 2019 e il 2020 ho visto anche bambini che erano lì di passaggio, essere costretti a combattere nella guerra civile libica. Almasri me lo ricordo bene, era il capo, lui stesso era un torturatore, era lui a dare gli ordini di uccidere, di sparare e di ridurre in schiavitù. Il suo ruolo evidente, era il capo a Mitiga, ma anche al lager di Jadeda e in altre strutture”.
“L’Italia? Stringe la mano a chi ha creato il traffico di esseri umani”
Negli ultimi anni Refugees in Lybia, oltre a quella di David, ha raccolto altre testimonianze sui crimini commessi da Almasri fornendo poi le prove alle istituzioni di diritto internazionale. “È stato nostro dovere raccogliere qui in Europa tutte le prove contro un trafficante di essere umani”, sottolinea Yambio. È evidente che alla base della liberazione di Almasri ci sono i rapporti strettissimi che il governo Meloni ha siglato con i signori della guerra di Tripoli. Difficile parlare un governo in Libia, dove a comandare sono i capi tribù armati fino ai denti ed in guerra tra loro, di certo tutte le evidenze ci dicono che proprio la Libia è il cuore del traffico internazionale di esseri umani. Un luogo dove queste figure come Almasri, a metà tra rappresentanti istituzionali e capi di bande criminali, sequestrano e torturano le persone.
Oltre al memorandum Italia – Libia, ideato dall’ex Ministro Marco Minniti, ora a capo della Fondazione Med’Or, ora c’è anche il cosiddetto “Piano Mattei”, ovvero un insieme di accordi economici, per la maggior parte oscuri o addirittura coperti da segreto, che il nostro paese sigla con diversi paesi africani, in molti casi delle dittature, nel caso della Libia direttamente con dei signori della guerra.
“Cosa devo pensare dell’Italia?” ci dice David Yambio quando gli chiediamo cosa pensa della scarcerazione di Almasri. “Cosa devo pensare di un governo che afferma di combattere i trafficanti di esseri umani e poi stringe la mano ha l’architetto del traffico di esseri umani? Come si conciliano le parole della Costituzione italiana con le azioni dei suoi leader? Può davvero il governo italiano affermare di difendere la legge e l’ordine quando difende così volentieri un criminale di guerra?”.
Intanto dopo le polemiche che stanno attraversando il paese per la decisione di liberare e riaccompagnare in Libia Almasri, Mediterranea Saving Humans e Refugees in Lybia hanno diffuso una nota dove si denuncia il pericolo di vita per quelli che sono i testimoni, come David, l’esponente della polizia libica. “Almasri, che si fa chiamare “generale”, è stato protetto dal governo italiano e addirittura lo hanno accompagnato a casa, proprio a Mitiga, dove sorge il lager di cui conosciamo l’orrore, e al suo arrivo, questo criminale ha addirittura festeggiato, accolto dai suoi complici, e sotto gli occhi dei funzionari dei servizi segreti italiani. Libero ed impunito” scrivono in una nota. “A questo punto, visto che alcuni di noi sono anche testimoni davanti alla Corte Penale Internazionale, e vista la totale impunità della quale godono i grandi trafficanti di esseri umani in Italia, noi temiamo per la nostra vita e per quella di chi ha avuto il coraggio di denunciare” concludono.
(Fanpage)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
IL DIRITTO ORMAI NON ESISTE PIU’, E’ DIVENTATO ENTITA’ ASTRATTA
Sciolti i sottintesi, il lessico ermetico dei vizi di procedura, le ragioni sinuose a taglio multiplo delle necessità geopolitiche, la realtà è questa: esiste un diritto che non esiste, teorico, astratto, verbale, applicabile e disapplicato nello stesso tempo, “à la carte’’ a seconda del presunto reo. Quindi in chiarissime cinque lettere: finto.
È la giustizia penale planetaria con il suo braccio esecutivo, si fa per dire, della corte dell’Aja. Lì si riuniscono i candidi ammantellati per celebrare la speranza. Danno la caccia, in astratto, a Putin e Netanyahu e, all’ingrosso, ai loro manutengoli ben sapendo che mai nessuno li arresterà: perché senza di loro che tregue, accordi, paci si potrebbero sottoscrivere?
Nel labirinto sacro delle pandette è un’eccezione dissonante? Niente affatto: è la certificazione ope legis di come noi guardiani del tempio occidentale adattiamo la giustizia ai nostri palpabili lucri politici ed economici. Intendiamoci. Esiste quel diritto eccome, ma in una rombante retorica, o come sinecura per beghini di Corti e cancellerie che si vogliono nientemeno universali, in una burocrazia borgesiana che alla fine produce cartafacci, ordini di cattura, imputazioni che nessuno può eseguire. Si affidano alla buona volontà e quindi i mandati sfociano nel misticismo. Come il mandato di cattura ioneschiano, quello al dittatore sudanese al Bashir, recapitato al medesimo perché volenterosamente si auto-arrestasse e si consegnasse alla remota corte olandese.
È tutto contenuto nella sintassi con cui la corte di appello di Roma ha rimesso in libertà un criminale libico, tal Habish: «arresto irrituale», «mancate interlocuzioni», «assenza di condizioni per la convalida». Verrebbe da dire: la banalità dell’ingiustizia.
Avrebbero dovuto scrivere invece: libero per dimostrata necessità di avere petrolio e avere un setaccio che fermi migranti. Perché di quello si occupa, accudirli a bastonate nelle sue galere per emigrazione clandestina, estorcere loro denaro, venderli ai suoi soci scafisti. Quando è il caso eliminarli. E così… suvvia… poche ore bastano per verificare le mancate interlocuzioni…
Vai a casa e di volata con ancora nelle palpebre i gol dei tuoi eroi in calcistiche mutande, caro Najeem Osema Almasri Habish. Dipaniamolo tutto il suo nome. Resterà nelle pandette non per una memorabile condanna ma come eroe eponimo di un diritto che non funziona “erga omnes”. Non più lo statuto di Roma ma lo statuto Habish. L’antica patria del diritto come si vede produce ancora giurisprudenza con i bollini in regola.
Non fatevi ingannare dalla paradossale carica di capo della polizia giudiziaria di cui si fregia questo ricercato dalla corte per innumerevoli delitti. Non è Putin o Netanyahu per cui potrebbe valere l’immunità. È solo un manovale del mondo feroce che è a due ore di aereo da noi. In Libia è in vigore dal 2011 il vecchio sistema borbonico che prevede: i criminali poiché non si ha la forza o la voglia di destinarli alla galera li si promuova gendarmi con gradi, mostrine e paccottiglia.
Questo losco Fra Diavolo tripolino è semplicemente un capo banda . Di “aguzzini di Mitiga” come lui ce ne sono a mazzi all’ombra dei palmizi di tripoli. Solo che non sono alla macchia, sono dietro alle monumentali scrivanie del potere. La Corte penale internazionale si illudeva di averlo acchiappato all’uscita dallo stadio di Torino. Niente affatto. Lo abbiamo liberato e per strafare, perché per carità! non conservi pericolosi rancori per i nostri affari sulla Quarta Sponda e con supplichevole devozione orizzontale lo abbiamo riaccompagnato in Libia da signore.
La festa con mortaretti e sparatorie con cui i suoi complici lo hanno accolto era ben meritata: è diventato invulnerabile, grazie a noi zelanti esecutori del diritto universale ipotetico.
(da La Stampa)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
DANIELA SANTANCHE’, DOPO IL RINVIO A GIUDIZIO, SI CONFRONTA CON IL SUO “PADRINO” IGNAZIO LA RUSSA E RESTA AL SUO POSTO – GIORGIA MELONI RIMANE IN SILENZIO – IN FRATELLI D’ITALIA, TRANNE CROSETTO, NESSUNO DIFENDE LA “PITONESSA”
«Se qualcuno pensa di farmi saltare i nervi, significa che mi conosce poco». Nel suo
ufficio in via di villa Ada, davanti al vecchio casino reale dei Savoia in cui fu deposto il duce, Daniela Santanchè scava la sua personale trincea politica-mediatica, convinta che anche stavolta rimarrà in sella. Cioè al governo, dove in due anni e mezzo di traversie giudiziarie e cannoneggiamenti dell’opposizione è riuscita a sopravvivere a modo suo, un rilancio dopo l’altro.
Il gelo del suo partito, FdI, che da una settimana, salvo rare eccezioni vedi Guido Crosetto, non pronuncia una sillaba in sua difesa dopo il rinvio a giudizio per false comunicazioni sociali, la turba ma fino a un certo punto. È convinta, la “Pitonessa” nata Garnero, sette vite in politica, da Fini a Berlusconi, da Storace a Meloni, che anche stavolta le acque avranno modo di chetarsi. Che persino questa tormenta potrà ritrovarsela alle spalle.
Giorgia Meloni però non parla. Non la protegge direttamente. Per spazzare via il fiume di veleni che scorre sottotraccia dalle truppe della fiamma, in cui molti non l’hanno in simpatia, eufemismo, basterebbe che la premier dicesse: «Santanchè ha la mia fiducia». Invece non lo dice. Dunque tanti colonnelli di via della Scrofa, anche nel giro stretto della premier, possono raccontare a taccuini chiusi, mai smentiti, di una Meloni furente, che vorrebbe “Dani” (la chiamava così) con tutte e due gli stivaletti fuori dall’esecutivo.
Meloni però, dicono nella cerchia della premier, non avrebbe voglia di intestarsi una mossa che la farebbe passare per giustizialista. Anche perché altri rinviati a giudizio di FdI, come il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, sono rimasti al loro posto senza che nessuno battesse ciglio, a destra. Santanchè lo sa, per questo si aspetta anche a questo tornante di restare in pista.
«La mia agenda non cambia di una virgola», ripete allora a chi la chiama o la visita nel suo studio al ministero tra i Parioli e il quartiere Trieste, dov’è tornata ieri dopo sei giorni lontano dall’Urbe, tra Milano e la sua casa a Cortina.
Come se i veleni scorressero lontanissimi. «Oggi sarò in Cdm, come al solito». Ci sarà un faccia a faccia con Meloni? «Non ne vedo il motivo», risponde così. «Poi andrò a Verona e domenica partirò per Gedda, per il Villaggio Italia sull’Amerigo Vespucci». Senza Meloni, che ha cambiato l’agenda e non la incrocerà sul Mar Rosso.
Da programma, Santanchè si ritroverebbe in Arabia anche il 29, quando la Cassazione deciderà sull’altro filone che la vede indagata, su un’accusa ben più seria, la truffa ai danni dell’Inps.
(da La Repubblica)
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Gennaio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA PREMIER NON RIESCE A FARLA DIMETTERE, CHISSA’ PERCHE’… PER FDI “DOVRA’ DECIDERE LEI”
Il caso Santanchè agita il centrodestra e il governo. La ministra rinviata a giudizio per falso in bilancio si confronta ancora con il presidente del Senato Ignazio La Russa e resta al suo posto: confermando di non avere alcuna intenzione di fare un passo indietro, come anche ieri le hanno chiesto le opposizioni a partire dalla segretaria dei dem Elly Schlein.
La premier Giorgia Meloni per adesso sembra intenzionata a non insistere sul tasto delle dimissioni. Non è il momento, non fosse altro perché l’amica di un tempo non sembra intenzionata a gettare la spugna. Molto dipenderà da un confronto diretto tra le due che al momento non c’è stato. Forse nelle prossime ore, forse più in là. Certo, il Consiglio dei ministri di oggi pomeriggio potrebbe essere un momento propizio per un primo faccia a faccia, magari a margine della riunione.
Tutto questo mentre per alcune ore si sono rincorse voci su chi potrebbe prendere il posto della ministra. Indiziato numero uno il capogruppo al Senato di Fdi, Lucio Malan, anche per via di un incontro con l’inquilina di Palazzo Chigi a ora di pranzo. Voce (quella dell’avvicendamento al ministero) seccamente smentite in serata da Palazzo Chigi: «Fantasie». Proprio mentre i big di FdI rimettevano la palla nel campo dell’imprenditrice prestata alla politica: «Dovrà decidere lei il da farsi».
Daniela Santanchè rientra da Milano in mattinata e subito si blinda nei suoi uffici al Turismo. Non perde tempo nell’ostentare impegni da ministro nel pieno delle proprie funzioni. Non a caso. Pubblica sul sito del dicastero la sua agenda e conferma la visita a Gedda, in occasione della fiera del turismo, il prossimo 27 gennaio (anche la premier andrà ma in un giorno diverso).
Quindi, fa sapere di aver ricevuto «il team di Oracle corporation» e di aver rilasciato un’intervista a Usa Today. A ora di pranzo raggiunge Palazzo Madama. Voci (smentite dagli interessati) parlano di un pranzo con il suo amico di lungo corso, il presidente del Senato La Russa. Per molti quell’incontro è la conferma di quanto trapela da 48 ore. Ovvero il pressing del duo Meloni-La Russa sulla ministra perché lasci il suo incarico. «Mai parlato con la premier di Santanchè», taglia corto La Russa.
Nelle stesse ore però a Palazzo Chigi si registra un gran viavai. Prima entrano i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini per un vertice di maggioranza. Un incontro durato meno di un’ora nel quale si parla del voto sui giudici della Corte costituzionale.
Il leghista chiede invano agli alleati di discutere dell’ipotesi terzo mandato per i governatori: Meloni e Tajani non ne vogliono sapere. Salvini chiede allora di inserire nel dl Sicurezza altre modifiche che la Lega vuole proporre, e riceve ancora un secco no da dalla premier che apre solo alle correzioni chieste dal Quirinale.
Sul finire, Meloni racconta che si sta occupando del caso Santanché, senza scendere nei dettagli. Lasciando la Presidenza del Consiglio, Tajani se la cava con un «noi siamo garantisti». Ma è l’arrivo subito dopo a Palazzo Chigi del capogruppo Malan che fa scattare, anche nelle chat dei meloniani, l’ipotesi del blitz per il cambio al vertice del Turismo. Il capogruppo al suo posto? Voci subito smentite dallo stesso Malan, quando lascia il Palazzo insieme con il collega della Camera Galeazzo Bignami.
Quel che raccontano fonti autorevoli al governo è che Meloni abbia deciso di prendere tempo e che oggi comunque vedrà Santanchè in Consiglio dei ministri. La data cerchiata in rosso è il 29 gennaio, quando è attesa la decisione della Cassazione sulla competenza nelle indagini tra Milano e Roma sull’altro fascicolo che vede indagata la ministra: quello per truffa all’Inps.
«Stiamo ancora aspettando che Meloni faccia dimettere Santanchè, la premier si nasconde», attacca intanto Elly Schlein. E Matteo Renzi: «Ricordate che avete al governo chi è già stato rinviato a giudizio, Andrea Delmastro: reato estinto per l’oblazione». Palazzo Chigi resta sulla linea della difesa della ministra. Per ora.
(da La repubblica)
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