Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
IL NUOVO CORSO DEI MEDICI DI FAMIGLIA
Ci siamo: Dataroom ha potuto leggere in anteprima la bozza di riforma che cambia il rapporto dei medici di famiglia con il Servizio sanitario nazionale. Oggi i medici di medicina generale sono lavoratori autonomi, pagati dal Servizio sanitario, e possono organizzare il loro tempo e le modalità di lavoro come meglio credono. Fuori dal perimetro degli accordi sindacali ogni richiesta dello Stato e delle Regioni è destinata a cadere nel vuoto, come per esempio l’esecuzione dei tamponi durante il Covid. Se la modifica dell’impianto legislativo vigente andrà in porto, i medici di base diventeranno invece dipendenti del Servizio sanitario nazionale come già adesso lo sono gli ospedalieri. È un passaggio epocale considerato indispensabile a far funzionare le 1.350 Case della Comunità messe in piedi con i 2 miliardi del Pnrr.
Il documento di riforma, talmente riservato al punto da negarne l’esistenza e in continuo aggiornamento, è di 22 pagine ed è appoggiato dal ministro della Salute Orazio Schillaci e dalle Regioni. Del resto, gli assessori regionali alla Sanità già il 22 settembre 2021 avevano firmato un documento: «La pandemia da Sars-Cov-2 ha evidenziato ulteriormente che il profilo giuridico del medico di medicina generale e i loro contratti collettivi nazionali non sono idonei ad affrontare la gestione delle multi-cronicità, l’aumento delle fragilità, la programmazione dell’assistenza domiciliare….».
Le novità
La legge 833 del 1978 stabilisce i principi fondamentali su cui si basa il Servizio sanitario nazionale (Ssn). L’articolo 25 dice che i medici di medicina generale possono lavorare come dipendenti o come liberi professionisti convenzionati. Nel 1992 tra le due possibilità, la scelta cade sulla libera professione. Lo prevede la legge 502 all’articolo 8, che è proprio quello su cui adesso vengono apportate le modifiche più significative. Al di là dei tecnicismi, le novità essenziali sono tre.
La prima: «L’attività di assistenza primaria di medicina e pediatria al fine del miglioramento dei servizi richiede l’instaurarsi di un rapporto d’impiego».
La seconda: «Il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta che non siano dipendenti del Ssn è a esaurimento». Vuol dire che i nuovi medici di famiglia saranno assunti, mentre quelli già in servizio potranno continuare a essere liberi professionisti, a meno che siano loro stessi a decidere di passare alle dipendenze del Servizio sanitario.
La terza: la loro attività è da «garantire sia presso gli studi sia presso le Case della Comunità» dove in quest’ultime i cittadini potranno trovare medici di famiglia e/o specialisti dalle 8 del mattino alle 8 di sera, in grado di fare anche elettrocardiogrammi, ecografie, spirometrie, ecc.
Il ricambio generazionale
Come ha ricordato a novembre 2024 il presidente Istat Francesco Maria Chelli, il 77% dei medici di famiglia ha più di 55 anni (qui). Tra il 2025 e il 2030, su circa 37 mila medici di base in servizio, si stima che ne vadano in pensione intorno ai 10 mila (fonte: 18° Rapporto Sanità Crea su dati Enpam tab 10b.4 pag. 414 qui). Il ricambio, quindi, è imminente e il rapporto di dipendenza trova apprezzamento tra i giovani. Alla domanda «Ritieni che il passaggio a un contratto di lavoro come dipendente del Ssn possa contribuire a migliorare le tue condizioni di lavoro?», il 49% degli intervistati risponde sì contro il 43% dei no (l’8% non ha risposto) (fonte: Aprire Network, dicembre 2019-febbraio 2020, campione di 566 neomedici, fig. 34 qui).
A favore di un rapporto di dipendenza anche il «Movimento MMG per la Dirigenza», nato nel 2020, indipendente dalle sigle sindacali e ormai diffuso su tutto il territorio nazionale che riconosce: «A quasi 50 anni dall’ultima grande riforma dell’assistenza territoriale del 1978 il nostro Servizio sanitario necessita di un nuovo modello di cure primarie, differente da quello che vede il medico di base lavorare da solo (…). Il modello più promettente è quello di mettere insieme diversi professionisti che lavorino in team multiprofessionali e che siano proattivamente impegnati nella medicina preventiva».
Il modello di assistenza
Concretamente come potrà funzionare il nuovo modello di assistenza? Innanzitutto le ore di lavoro settimanali saranno per legge 38, mentre oggi il minimo garantito oscilla fra le 5 e 15 ore, a seconda del numero di pazienti. Nella bozza di riforma leggiamo: «L’impegno di 38 ore dei medici di medicina generale è ripartito secondo il seguente schema:
1) fino a 400 assistiti: 38 ore da rendere nel distretto o sue articolazioni, delle quali 6 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale;
2) da 401 a 1.000 assistiti: 12 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale;
3) da 1001 a 1.200 assistiti: 18 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale;
4) da 1.201 a 1.500 assistiti: 21 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale;
5) oltre a 1.500 assistiti: 24 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale». In pratica il medico di famiglia dovrà seguire le indicazioni del distretto, alternando quindi l’attività rivolta ai propri assistiti con quella messa a disposizione di tutti, cioè anche per visitare, fare vaccinazioni e rispondere alle necessità dei pazienti degli altri medici di base della zona.In questo modo verrà garantita ai cittadini la presenza di un medico di famiglia durante l’intera giornata e tutta la settimana. Il luogo di lavoro privilegiato sarà nelle Case della Comunità, ma anche in altri ambulatori pubblici che le Regioni dovranno mettere a disposizione per assicurare la capillarità dell’assistenza: nessun Comune, neppure il più piccolo, dovrà rimanere sguarnito. Così, contrariamente a quanto sostengono i detrattori della riforma, i pazienti non dovranno rinunciare al proprio medico di fiducia, ma vedranno la sua attività affiancata a quella di altri colleghi.
La formazione
Sono previste anche novità per il sistema di formazione che vanno a modificare il decreto legislativo 368 del 1999 (qui). Oggi il medico neolaureato per diventare medico di medicina generale deve frequentare un corso di formazione triennale gestito dalle Regioni, e dove spesso i docenti sono dirigenti sindacali che ne approfittano per arruolare le nuove leve. La bozza di riforma riporta esplicitamente la volontà di trasformarlo in un corso di laurea specialistico di 4 anni con docenti qualificati, come avviene per i medici ospedalieri. Di conseguenza dovrà cambiare anche il peso della borsa di studio, che oggi è di appena 11.500 euro, contro i 26 mila euro l’anno delle specializzazioni universitarie.
I tentativi falliti
La riforma dell’assistenza territoriale è in ballo da anni. Il predecessore di Schillaci, l’allora ministro alla Salute Roberto Speranza, puntava a garantire, seppur con un rapporto di para-subordinazione, 38 ore di lavoro di cui 20 nei loro studi e 18 nelle Case della Comunità (gli accordi attuali ne garantiscono 6 qui). Ma le nuove «Disposizioni in materia di Medici di Medicina Generale» messe nero su bianco poco prima della crisi del governo Draghi (luglio 2022) resteranno chiuse in un cassetto e non diventeranno mai legge, forse per il timore di perdere il voto dei vertici della categoria (che tuttavia non sono bastati).
Gli ostacoli
Ora il ministro Schillaci si spinge ancora più in là. Non troverà pochi ostacoli. Da dipendenti del Sistema sanitario nazionale i nuovi medici di medicina generale verosimilmente dovranno versare i contributi all’Inps (come gli ospedalieri), mentre oggi li versano a un ente privato, l’Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri. L’Enpam prevede due tipi principali di contributi:
il primo è obbligatorio per tutti i medici iscritti all’Albo e va dai 145 euro all’anno per gli studenti, via via a salire fino ai 1.961 a partire dal compimento dei 40 anni (quota A qui);
il secondo riguarda solo chi esercita la libera professione ed è calcolato al 19,5% del reddito professionale netto (quota B qui). I medici di famiglia oggi sono dunque i principali contribuenti dell’Enpam che ha un patrimonio di oltre 25 miliardi di euro (qui).
Guarda caso il passaggio alla dipendenza per i nuovi medici di famiglia è contrastato su tutti dall’Enpam (qui), presidente Alberto Oliveti (qui) e vicepresidente Luigi Galvano (qui), entrambi medici di famiglia; tra compensi, indennità e rimborsi il consiglio di amministrazione vale oltre 3 milioni di euro l’anno (qui).
È contrastato dalla Fimmg che riunisce il 63% dei medici di base iscritti al sindacato, segretario generale Silvestro Scotti che siede nel cda dell’Enpam (qui). E’ contrastato dalla Fnomceo, Federazione nazionale degli Ordini dei medici, presidente Filippo Anelli, già vice Segretario della Fimmg . Ecco, la forza di un ministro e di un governo passerà da qui.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da corriere.it)
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Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
TENTAZIONE ELEZIONI ANTICIPATE, MA L’AMBIZIONE DI FINIRE LA LEGISLATURA E LA PAURA DI MATTARELLA RENDONO LA STRADA POCO PERCORRIBILE
Fanno finta di nulla ma ci pensano tutti, e qualcuno anche nella maggioranza a pensarci si incupisce un po’. Non i parlamentari di Fratelli d’Italia che dopo la direzione di partito, lasciando il centro congressi Roma Eventi, fanno spallucce: «Elezioni anticipate? Noi non abbiamo mai paura di misurarci con gli italiani». Il disegno è sul tavolo di Giorgia Meloni da diverso tempo «per rimotivare il paese». Tradotto: ottenere un sostegno ancora più robusto, portare avanti senza intralci le riforme di Fratelli d’Italia. Uno strategico reset per la prossima primavera. Una bella tabula rasa di ciò che s’è tessuto sin qui.
Un indizio lo lascia cadere la stessa premier sui suoi profili social postando una slide che evidenzia una cifra: 30,1 per cento, la percentuale attribuita a Fratelli d’Italia dalle rilevazioni fatte da Youtrend per Agi nell’ultima settimana. «Non guardo spesso i sondaggi», scrive, «tuttavia, è difficile non notare un dato: nonostante gli attacchi gratuiti quotidiani e i tentativi di destabilizzare il governo, il sostegno degli italiani rimane solido».
Del resto 2022 FdI ha ottenuto il 26 per cento, mentre alle Europee dell’anno scorso è stato l’unico partito in crescita rispetto al 2019. Secondo i dati Youtrend, la compagine guidata da Giorgia Meloni alle elezioni europee ha guadagnato cinque milioni di voti, raggiungendo un totale di 6,7 milioni di preferenze. Cinque anni fa, ne aveva ottenute solo 1,7 milioni. L’ipotesi delle urne è una “pistola” che lascia in bella vista per gli alleati e non solo, il problema è che è una trappola.
La strategia
Con un consenso stabile, è il ragionamento dentro via della Scrofa, nulla di più salutare che far crollare il governo. Altro che “complotto”: fare piazza pulita al momento più opportuno e non per dissidi interni della maggioranza ma tra i poteri. Più consenso elettorale vuol dire un peso maggiore sull’elezione del prossimo capo dello Stato (prevista nel 2029) e un incremento della propria pattuglia parlamentare.
Con i Cinque stelle ancora più deboli, il centrosinistra in fase di riorganizzazione (soprattutto attorcigliata dall’ultimo “lodo Franceschini” per un campo largo senza coalizioni) e una maggioranza di governo che non sembra destinata a fare chissà quale riforma rivoluzionaria, il richiamo delle urne, che Meloni ha sempre sentito piuttosto forte, aumenta.
Diventa l’unica vera arma che può mettere sul tavolo: per imporre la sua linea anche a costo di rimetterci la poltrona. Anzi mettendo all’incanto proprio la sua poltrona e alzando sistematicamente il prezzo in termini di decisioni, di riforme, di provvedimenti.
Un’arma scarica
Ma è un’arma scarica, per tre ragioni. L’ambizione suprema della leader di Fratelli d’Italia: governare per cinque anni, cioè tutta la legislatura. Obiettivo dichiarato più volte, come quando respinse l’idea di possibili dimissioni in caso di bocciatura della riforma costituzionale che introduce il premierato: «Non mi fa paura l’idea del referendum e non lo considero un referendum su di me. Lo considero un referendum sul futuro dell’Italia».
C’è poi la sfiducia e la paura. Mica delle toghe rosse, quella è propaganda. Paura degli alleati e ossessione di Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica è l’unico che può sciogliere le Camere e mandare il paese al voto, l’unico che può pensare al “dopo” e muoversi con felpata autonomia.
L’incubo di Meloni è proprio questo il rischio che possa sostituire «un governo democraticamente eletto che sta facendo il suo lavoro e una solida maggioranza» con un «governo tecnico non eletto da nessuno». Va da sé che il presidente della Repubblica ha sempre portato avanti scelte guidate dalla Costituzione vigente e non un calcolo numerico, optando per il partito con la maggioranza relativa.
Il fronte interno
La terza questione è interna porta nome e cognome: Matteo Salvini e Antonio Tajani. Meloni da tempo si porta dietro è il problema di vincere ma non stravincere, nella sua stessa metà campo: umiliare il compagno di gara esaspera di risentimento e lo porta poi a fare i dispetti in casa. La Lega ne ha già dato prova dopo i distinguo dei mesi scorsi sull’Ucraina, le tensioni sul candidato del centrodestra per le regionali in Veneto, l’uscita dall’Oms.
L’ultimo fronte nella maggioranza di governo è stato aperto sul ruolo delle Soprintendenze. Dove il Carroccio ha presentato e poi ritirato il suo emendamento al decreto Cultura che aveva come obiettivo quello di “limitare” il potere delle Soprintendenze rendendo non più vincolante il loro parere sulle opere in zone sottoposte alla tutela paesaggistica. Forza Italia invece spinge il partito a bocciare la riduzione del canone Rai, avanza proposte sullo ius scholae, polemizza sulla mancata riduzione dell’Irpef.
Agitare le elezioni anticipate porterebbe a una permanente resa dei conti con i senatori e i deputati della sua maggioranza che non aderiscono alla sua linea. Meloni ci pensa a ricaricare quell’arma.
E ci pensa anche chi le sta vicino. «La domanda che deve porsi Giorgia Meloni è quella del suo tempo e quello degli avversari, del carpe diem, del cogliere l’attimo. Oggi è forte, l’assalto delle toghe ha fatto balzare il consenso, la sinistra è a pezzi, la destra è unita. E gli italiani hanno capito. Non c’è una crisi di governo, ma c’è una crisi di sistema, l’hanno aperta i magistrati»: è la chiusa dell’editoriale di domenica di Mario Sechi, che prima di dirigere Libero curava la comunicazione di Palazzo Chigi. Un pensiero messo lì. Un avvertimento in pieno stile Prima Repubblica.
(da editorialedomani.it)
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Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
“È LO STRUMENTO CHE LO STATO HA PER ASSICURARE A TUTTI STESSA BASE DI PARTENZA, PER QUESTO DURANTE LA PANDEMIA IL NOSTRO GOVERNO HA DATO LA MASSIMA PRIORITÀ ALLA RIAPERTURA IN SICUREZZA DELLE SCUOLE. ED È PER QUESTO CHE IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA INVESTE NEGLI ASILI NIDO”
“E’ necessario tutelare la protezione dei bambini, da Ucraina a Gaza a tutti gli altri conflitti armati. Dobbiamo cercare una pace stabile” perché “non possiamo lasciare ai nostri figli un mondo meno libero e democratico di quello ricevuto dai nostri padri”.
Lo ha sottolineato l’ex premier Mario Draghi intervenendo in Vaticano al Summit internazionale dei diritti dei Bambini. Draghi ha evidenziato come “proteggere i bambini significa essere pronti a cambiare i nostri atteggiamenti e i criteri delle politiche pubbliche, chiedendoci che impatto avranno sui più piccoli: gli aiuti alle famiglie sono molto importanti perché aiutano a costruire quell’ambiente dove avvengono i primi passi verso la costruzione dell’essere adulto”.
“La scuola – ha ricordato – è lo strumento che lo Stato ha per assicurare a tutti stessa base di partenza” per questo, ha rivendicato, “il Pnrr investe in asili nido e tempo pieno”. Ma – ha aggiunto – “occorre continuare” a lavorare “per dare ai giovani competenze per affontare le emergenze”.
“Tutti vogliamo che i bambini esprimano appieno le loro potenzialità ma questo non succede da solo” ha ricordato invitando gli adulti “ad accompagnare i bambini verso una piena indipendenza senza paternalismo ma con consapevolezza”. “Amare e proteggere i bambini significa amare e proteggere il nostro futuro” ha concluso Draghi.
“Investire nella scuola, in modo intelligente e lungimirante, è il primo atto di responsabilità per una società che intenda davvero amare e proteggere i propri figli”. Lo ha sottolineato Mario Draghi, ex presidente del Consiglio e della Bce, intervenendo al summit in Vaticano dedicato ai diritti dei bambini.
La scuola – ha detto – è lo strumento che ha lo Stato per assicurare a tutti una stessa base di partenza, soprattutto in età in cui i bambini sono particolarmente ricettivi agli stimoli a cui sono esposti. E’ per questo che, durante la pandemia, il nostro Governo ha dato la massima priorità alla riapertura in sicurezza delle scuole. Ed è per questo che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza investe negli asili nido e nel tempo pieno”.
“Occorre continuare su questa strada, – ha indicato la strada – per dare ai giovani le competenze necessarie per affrontare le grandi transizioni che stiamo vivendo e che influiranno in modo decisivo sul loro futuro. Nello scenario internazionale di oggi è essenziale tutelare il diritto alla protezione dei bambini – le prime vittime delle guerre
“Proteggere i bambini – ha aggiunto – significa essere pronti a cambiare i nostri atteggiamenti, come genitori e come nonni. E vuol dire essere pronti a cambiare i criteri delle scelte collettive, delle politiche pubbliche. Dobbiamo chiederci che impatto queste scelte avranno sui più piccoli, e se hanno il loro bene come obiettivo. Perché amare e proteggere i bambini vuol dire amare e proteggere il nostro futuro
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO AL LARGO DI CROTONE: A BORDO 27 DONNE E 30 MINORI
La Guardia Costiera ha tratto in salvo 130 migranti che si trovavano a bordo di una piccola imbarcazione da pesca partita il 30 gennaio dalla Turchia e intercettata a circa 110 miglia a sud di Crotone.
L’operazione di salvataggio si è rivelata molto complessa poiché il mare era in tempesta. Sono intervenute due motovedette, la Cp 303 distaccata a Roccella Jonica e la Cp 321 della Guardia Costiera di Crotone. L’intervento è scattato dopo che dalla barca è stato lanciato un Sos con un telefono satellitare.
Al momento dell’intervento, il mare era forza 5 e le onde alte circa 6 metri. La Guardia Costiera ha trasbordato i migranti sull’imbarcazione fatiscente non senza difficoltà a bordo dei propri mezzi, trasportando poi le persone salvate al porto di Crotone dopo 7 ore di navigazione nel mare in tempesta.
Il gruppo di migranti includeva 27 donne e 30 minori, sei dei quali non accompagnati. Le operazioni di assistenza a terra sono coordinate dalla Prefettura di Crotone. Lo staff sanitario dell’Ufficio vulnerabilità dell’Azienda sanitaria provinciale ha disposto il ricovero di una donna incinta e di un uomo disabile. Le persone sbarcate erano in condizione di ipotermia.
Ad assisterle, dopo le attività di controllo svolte dall’Ufficio immigrazione della Questura di Crotone, il personale della Croce rossa italiana, della Misericordia e della Protezione civile regionale. I migranti sono stati poi condotti nel centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto.
(da Fanpage)
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Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
IL LEGALE: “IL GOVERNO CONSULTATO DALLA CORTE DELL’AJA HA SCELTO DI NON AGIRE”
Lam Magok Biel Ruei è una delle vittime oltre che testimone presso la Corte penale dell’Aja nel procedimento contro il generale libico Osama Almasri, il trafficante rimpatriato dall’Italia il 21 gennaio, con la conseguente iscrizione al registro degli indagati di Roma di Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano, accusati di favoreggiamento e peculato. Dopo aver parlato di quanto ha subito in Libia in una conferenza stampa alla Camera, oggi, assistito dall’avvocato Francesco Romeo, Biel Ruei ha presentato alla Procura di Roma una nuova denuncia per favoreggiamento per «le condotte di Nordio, Piantedosi e Meloni che – si legge – hanno sottratto il torturatore libico alla giustizia”.
Nella denuncia, che potrebbe portare ad una iscrizione e ad un nuovo invio al tribunale dei ministri, sostiene che «l’inerzia del ministro della Giustizia, il quale avrebbe potuto e dovuto chiedere la custodia cautelare del criminale ricercato dalla Corte penale internazionale, e il decreto di espulsione firmato dal ministro dell’Interno, con l’immediata predisposizione del volo di Stato per ricondurre il ricercato in Libia, hanno consentito ad Almasri di sottrarsi all’arresto e di ritornare impunemente nel suo Paese di origine, impedendo così la celebrazione del processo a suo carico».
Per l’avvocato dell’uomo, attualmente ospite di una struttura di Baobab Experience, «esiste un comunicato ufficiale della Corte penale internazionale del 22 gennaio 2025 che dimostra che le autorità italiane erano state non solo opportunamente informate dell’operatività del mandato di arresto, ma anche coinvolte in una precedente attività di consultazione preventiva e coordinamento volta proprio a garantire l’adeguata ricezione della richiesta della Corte e la sua attuazione. In quello stesso comunicato si riporta inoltre che le autorità italiane hanno chiesto espressamente alla Corte penale internazionale di non commentare pubblicamente l’arresto di Almasri, dimostrando, quindi, di esserne a conoscenza».
“Io sono stato vittima e testimone di queste atrocità, orrori che ho già raccontato alla Corte penale internazionale ma il Governo italiano mi ha reso vittima una seconda volta, vanificando la possibilità di ottenere giustizia sia per tutte le persone, come me, sopravvissute alle sue violenze, sia per coloro che ha ucciso sia per coloro che continueranno a subire torture e abusi per sua mano o sotto il suo comando”. E’ quanto afferma Lam Magok Biel Ruei, vittima del generale libico Osama Almasri che ha denunciato il Governo italiano per “favoreggiamento”.
“Una possibilità che era diventata concreta grazie al mandato d’arresto della Corte penale internazionale e che l’Italia mi ha sottratto. Il silenzio del ministro Nordio – aggiunge Lam Magok – è stato chiaramente funzionale alla liberazione di Almasri”.
L’uomo aggiunge di avere deciso di presentare la denuncia “nella convinzione che l’Italia si possa ancora definire uno Stato di diritto, dove la legge è uguale per tutti, senza subire sospensioni o eccezioni, e dove le persone definite pericolose a causa dei crimini commessi vengano consegnate alla giustizia e non ricondotte comodamente nel luogo dove hanno commesso e continueranno a commettere atrocità”.
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
CHI ERA IL CAPO DEL BATTAGLIONE ARBA, MANDANTE DI PLURIOMICIDI
Una bomba esplosa in un grattacielo a Mosca ha ucciso Armen Sarkisian, capo e fondatore del battaglione paramilitare Arbat, attivo nella guerra in Ucraina e schierato a fianco della Russia nel Kursk, nonostante Sarkisian sia cresciuto in Ucraina. La detonazione dell’ordigno ha avuto luogo in un lussuoso complesso di appartamenti della capitale russa intorno alle 9.45 di questa mattina. Secondo quanto riferiscono le autorità russe citate da Novaya Gazeta e Tass, la bomba sarebbe stata nascosta oggi all’interno di un divano.
L’esplosione si è verificata nel momento in cui l’uomo accompagnato dalle sue guardie del corpo è entrato nella hall del palazzo Alye Parusa, sulle sponde della Moscova, il fiume che attraversa Mosca, nella zona ovest della città. Sarkisian, inizialmente ferito gravemente, è stato trasportato in ospedale, dove è deceduto poche ore dopo.
Chi era Sarkisian
Di origne armena ma trasferitosi in Ucraina da bambino, Sarkisian aveva 46 anni. Era un noto separatista molto vicino all’ex presidente filorusso Viktor Yanukovych. Dal 2017 nella lista dei nemici dello Stato ucraino e dal 2014 destinatario di un mandato d’arresto con l’accusa di essere il mandante di omicidi compiuti contro i manifestanti pro Ue durante l’Euromaidan, scoppiate nel 2013 in seguito alla decisione del governo di interrompere le trattative per un accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione Europea.
Per sfuggirvi, Sarkisian si era rifugiato in Russia. Attualmente, non ci sono state rivendicazioni, ma cresce il sospetto che il leader paramilitare fosse l’obiettivo dell’attacco. Mosca ha dichiarato di aver avviato le indagini per individuare i responsabili di quello che viene definito «un assassinio mirato». Oltre che per aver fondato il battaglione Arbat, Sarkisian era noto per essere il presidente della federazione di boxe del Donetsk occupato.
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
“NON È LA SOLA AD AVER AVUTO QUESTA ILLUSIONE: MACRON HA PENSATO LA STESSA COSA DURANTE IL PRIMO MANDATO DI TRUMP. PENSAVA CHE CON UN ATTEGGIAMENTO AMICHEVOLE AVREBBE IMPEDITO A TRUMP DI USCIRE DALL’ACCORDO SUL CLIMA O DI DISTRUGGERE QUELLO CHE SI ERA COSTRUITO PER L’IRAN. QUESTO ATTEGGIAMENTO NON GLI HA IMPEDITO DI ANDARE AL FONDO DELLE SUE INTENZIONI”…“L’EUROPA SIA DECISA O SARÀ UNA VITTIMA”
«La seconda presidenza Trump non è la prosecuzione della prima», mette in guardia l’ex presidente francese socialista François Hollande, oggi deputato all’Assemblea nazionale. Per un breve periodo, nel 2017, ha lavorato con l’attuale presidente americano. E da quell’esperienza il leader francese ha imparato una cosa: «Quello che dice, lo fa».
Che ricordo ne ha?
«Nel 2017 Donald Trump arrivava alla Casa Bianca senza esperienza internazionale e aveva lo scrupolo, anche se forse era una finzione, di avere scambi con i partner europei per non preoccuparli. Tuttavia, nel breve periodo in cui abbiamo avuto relazioni, mi aveva detto di voler uscire dall’accordo di Parigi sul clima e da quello sul nucleare iraniano. Constato che poi lo ha fatto: e quindi, che quello che dice, lo fa».
Perché ora dice che la sua nuova presidenza non è la prosecuzione della prima?
«Perché c’è una rottura rispetto al passato sulle relazioni transatlantiche, nella condivisione di valori democratici Trump rivendica la Groenlandia e il canale di Panama. Penso anche che il mondo, sconvolto dalla sua nuova presidenza, reagirà diversamente: se anche l’Europa non si metterà in un rapporto di potenza, rischia di diventare la vittima di questo nuovo disordine internazionale».
Il presidente Trump è un pericolo per l’Europa?
«È sicuramente una minaccia dal punto di vista commerciale, visto che vuole introdurre i dazi. Con il suo alleato Elon Musk è un pericolo per la libertà d’espressione e di indipendenza dei media europei. E per quanto riguarda gli equilibri mondiali, afferma di voler terminare rapidamente i conflitti in corso ma sta pregiudicando le sue capacità di fare la pace: guardi il Medio Oriente, la tregua è finalmente arrivata, ma se Trump pensa di spostare tutta la popolazione di Gaza, si immagini quali conseguenze possono esserci per gli equilibri della regione».
Cosa può fare l’Europa per contrastare queste minacce?
«I responsabili dell’Unione europea devono dialogare con Trump. Ma devono farlo in una certa forma, non dico brutale, ma ferma: perché Trump fa parte di quei dirigenti politici che rispettano solo i rapporti di forza. Allora, se lui mette i dazi sui prodotti europei, la Commissione dovrà metterli sui prodotti americani. Se grandi operatori come X, Instagram e Facebook non fanno controlli sugli scambi che avvengono sulle loro reti, ci dovranno essere sanzioni e divieti. L’Unione europea deve mostrare di avere armi commerciali, regolamentari e diplomatiche.».
Ce la farà un’Europa indebolita a parlare con una voce sola
«L’Europa è debole e divisa. Debole perché i due grandi Paesi che a lungo sono stati il motore della costruzione europea, Francia e Germania, vivono situazioni interne di incertezza. E divisa: le posizioni di Giorgia Meloni non sono necessariamente le stesse di francesi e tedeschi, lei mostra una certa simpatia per Trump, vuole apparire come colei che ha i rapporti migliori, sottovalutando la minaccia che si addensa sull’economia europea. Abbiamo in realtà un’Europa che non sa bene che direzione prendere. pensavamo che gli americani fossero nostri alleati per natura e per sempre, ma è finita».
Sono comunque ancora nostri alleati…
«L’Alleanza Atlantica rimarrà all’interno delle regole che conosciamo da sempre? Sul piano democratico, abbiamo le stesse esigenze, quando il principale alleato di Trump (Musk, ndr.) sostiene un movimento di estrema destra in Germania? ».
Ha citato la premier italiana Meloni, l’unica leader europea presente all’insediamento di Trump. Pensa che potrebbe diventare, come lei sembra sperare, il tramite privilegiato tra Europa e Stati Uniti?
«Madame Meloni ha sicuramente dei legami ideologici con Trump. Pensa di poter provare a convincerlo a non colpire gli interessi europei. Non è la sola ad aver avuto questa illusione: Emmanuel Macron ha pensato la stessa cosa durante il primo mandato di Trump. Pensava che con un atteggiamento costruttivo, amichevole, anche fondato su una certa seduzione personale, sarebbe stato possibile impedire a Trump di uscire dall’accordo sul clima o di distruggere quello che si era costruito per l’Iran
Ecco, questo atteggiamento non gli ha impedito di andare al fondo delle sue intenzioni. Perché per lui la relazione personale non ha importanza: quello che conta ai suoi occhi sono i suoi interessi e la missione che si è dato per gli Stati Uniti, quando pensa che debbano restare la prima potenza mondiale».
Pensa che questa ondata di destra che arriva dall’America influenzerà anche la destra europea
«A breve termine questa tendenza populista che arriva dagli Usa può regalare un credito supplementare a movimenti come il Rassemblement national in Francia o Afd in Germania. Ma a medio termine credo che l’arrivo di Trump sarà un problema per l’estrema destra europea
Perché?
«Molte decisioni americane colpiranno l’Europa, provocheranno disoccupazione, inflazione e costi supplementari, per esempio un aumento del budget per la difesa, tenuto conto del disimpegno relativo degli Usa. Tutto questo metterà in imbarazzo l’estrema destra europea: se sostiene queste decisioni, rischia di perdere elettori»
(da La Stampa)
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Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
A ROMA POTREBBERO COSTARE DAI 4 AI 10 MILIARDI DI DOLLARI… 44.000 LE IMPRESE ITALIANE COLPITE
È arrivato il momento. Donald Trump annuncia dazi anche contro l’Unione Europea. E continua ad attaccare il Wall Street Journal e gli hedge fund che sono contrari. «Queste persone o entità sono controllate dalla Cina o da altre compagnie straniere e locali», ha scritto il presidente americano in un post su Truth. «Chiunque ami e abbia fiducia negli Stati Uniti è a favore delle tariffe», ha aggiunto. Il presidente ha anche annunciato che discuterà delle tasse sul commercio con Cina e Canada «nelle prossime ore». E ha pure fatto sapere che gli Usa presto riprenderanno il Canale di Panama, «altrimenti succederà qualcosa di molto grosso».
L’Europa e i dazi doganali americani
I prodotti europei saranno «molto presto» colpiti dai dazi doganali americani, dopo quelli imposti sui prodotti provenienti da Canada, Messico e Cina, ha detto Trump alla stampa. Spiegando che «si stanno davvero approfittando di noi, abbiamo un deficit di 300 miliardi di dollari. Non ci prendono le nostre auto o i nostri prodotti agricoli, quasi nulla e noi tutti prendiamo milioni di automobili, quantità enormi di prodotti agricoli». Sul timing Trump ha spiegato: «Non ho un calendario ma arriverà molto presto». Intanto l’Unione Europea prepara le contromosse. Il Corriere della Sera fa sapere che dagli uffici di Ursula von der Leyen in queste ore è stato aperto un canale negoziale con la Casa Bianca. Bruxelles sta cercando di offrire pacchetti di maggiori acquisti di gas liquido e aumenti della spesa militare per scampare ai dazi.
«L’Italia sarà colpita»
E c’è anche un retroscena che riguarda il governo. «L’Italia sarà colpita», è il ritornello di cui a Palazzo Chigi non fanno mistero. Nonostante le dichiarazioni di «simpatia» di Trump nei confronti di Giorgia Meloni. In questa fase la premier cerca di minimizzare i danni: gli americani per esempio potrebbero colpire lo champagne francese ma non il prosecco o il franciacorta. La fase di risposta della Ue non sarà bilaterale ma presa a maggioranza dal Consiglio Europeo. Tra le ipotesi di risposta c’è quella di colpire l’agroalimentare, le importazioni di whisky e bourbon, le Harley Davidson, i suv e i pick-up. E l’Europa potrebbe anche rendere più difficile ai big del tech come Microsoft e Tesla di accedere agli appalti pubblici.
La mediatrice
Meloni vorrebbe indossare i panni della mediatrice. A Palazzo Chigi, spiega oggi La Stampa, sono convinti di poter fare cambiare idea a Bruxelles. La premier può garantire una maggiore sintonia con il tycoon. Ma in cambio chiederà di venirle incontro sulle spese per la difesa. E sulla necessità di scorporare gli investimenti del settore dal calcolo del deficit secondo il nuovo Patto di Stabilità. . Mentre il ministro dell’Industria francese, Marc Ferraci, auspica una «reazione aggressiva», che deve «avere un impatto sull’economia americana per costituire una minaccia credibile. Dobbiamo smetterla di essere ingenui».
10 miliardi
Ma a quanto ammonterebbe il costo dei dazi per l’Italia? Potrebbero colpire fino a 44 mila imprese nei campi della meccanica, della moda, dell’agroalimentare e della farmaceutica. Uno studio di Prometeia citato dal ministero degli Esteri parla di un minimo di 4 e un massimo di 7 miliardi. Altre stime portano il valore dei dazi sulle merci italiane a 10-12 miliardi. Secondo un report di Banca dek Fucino però, analizzando le categorie di prodotti sulle quali è concentrato l’export italiano verso gli Usa (al 98% beni manifatturieri) «accanto a prodotti tipici del made in Italy come i prodotti alimentari e l’abbigliamento, si trovano categorie con un peso anche maggiore come macchinari, mezzi di trasporto e articoli farmaceutici che costituiscono le vere e proprie colonne portanti dell’industria e dell’export italiani».
Nicchie di mercato
Secondo gli analisti dell’istituto di credito si tratta «di nicchie di mercato difficilmente contendibili e produzioni in gran parte altamente sofisticate, e dunque con un alto grado di specializzazione. E quindi è presumibile che gli Usa nel breve medio termine non saranno in grado di rimpiazzare le forniture italiane su queste categorie di prodotti».
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile
TRA LEADER AMICI AL POTERE COME GIORGIA MELONI, ALTRI ASPIRANTI PREMIER RAZZISTI CHE LUI APPOGGIA, MISTER X STA ALLUNGANDO I SUOI TENTACOLI IN EUROPA
Nel 2021, Elon Musk twittava: «Preferisco stare fuori dalla politica». Ieri invece, dopo il sospetto saluto nazista, con il lancio di Mega (Make Europe Great Again) il padrone di Tesla ha ufficializzato quanto evidente da tempo: diventare il “Rasputin” di una internazionale nera e populista in Europa, mediante un patto faustiano con l’estrema destra, spesso filo-putiniana. Quello che non era riuscito a Steve Bannon, troppo periferico rispetto all’uomo più ricco del mondo.
Tra leader amici al potere come Giorgia Meloni, altri aspiranti premier, populisti anti-migranti, reazionari o razzisti che Musk ritwitta volentieri e politici vicini al presidente americano Donald Trump, la galassia “Mega” sta allungando i suoi tentacoli in Europa. L’Ue è oramai nel mirino dell’ondata di estrema destra fomentata dallo tsunami Musk. E l’8 febbraio si riuniranno a Madrid la francese Le Pen, Salvini per l’Italia, il premier ungherese Orbán, gli austriaci del Fpö, i padroni di casa di Vox e molti altri leader del culto ultra-populista. Tema del summit? “Mega”, guarda caso.
Gli alleati di Musk al potere
Il tycoon sudafricano rispetta molto l’amica Meloni, uno dei pochi leader presenti all’inaugurazione di Trump lo scorso 20 gennaio. Per Musk e “The Donald” la premier italiana rappresenta un asset straordinario: un pesante interlocutore oltreoceano, ma anche una potenziale leva per spezzare l’Unione europea. Un po’ come un altro amico di Trump, Viktor Orbán e il premier slovacco Robert Fico. Ma per il sacro Mega, Musk vanta un’altra pedina nelle stanze del potere: Geert Wilders, a capo del Partito della Libertà nel governo olandese con Schoof premier. Non a caso, qualche settimana fa ha ritwittato proprio il politico xenofobo e islamofobo, che criticava il calo delle nascite. Per Musk, «così l’Olanda morirà».
Il caso Germania e Austria
Musk da mesi sta facendo campagna per il partito di estrema destra Alternative Für Deutschland, da lui quotidianamente definito «l’unica speranza per la Germania». Si vota a fine mese, e il capo di SpaceX e Starlink fa l’impossibile per “normalizzare” un movimento accusato di neonazismo e al secondo posto nei sondaggi, con tanto di interviste e lodi pubbliche alla leader Alice Weidel. Conquistare la Germania sarebbe un risultato capitale nel risiko europeo di Musk. In Austria, invece, non ci sono stati endorsement ufficiali per gli estremisti xenofobi del partito Fpö. Ma Musk ha riabilitato e benedetto Martin Sellner, leader suprematista del Movimento Identitario.
Il brexiter Farage
Musk attacca da mesi il primo ministro britannico laburista Keir Starmer, dopo il pugno di ferro di quest’ultimo contro le rivolte razziste e la caccia allo straniero scatenate dalla strage di bambine di Southport la scorsa estate. L’imprenditore ha glorificato persino Tommy Robinson, criminale inglese di estrema destra, a scapito del brexiter Nigel Farage, che pure sta volando nei sondaggi del Regno. Di recente, Musk ha improvvisamente attaccato Farage, grande amico di Trump, proprio per la sua opposizione a Robinson, uno troppo estremista persino per il leader di Reform Uk. Ma potrebbe comunque donare decine di milioni di sterline a Farage per sconvolgere la politica britannica.
L’enigma Francia
Musk sinora non ha “endorsato” direttamente Marine Le Pen. Ma, come fatto con Starmer e il tedesco Scholz, ha attaccato e offeso il presidente Macron. Ma attenzione a Éric Zemmour, uno ancora più radicale della leader di Rassemblement national e che ha presenziato pure lui all’inaugurazione di Trump, così come Santiago Abascal di Vox in Spagna, André Ventura dei populisti portoghesi di Chega e Tom Van Grieken, leader dello xenofobo “Interesse Fiammingo” in Belgio.
La cortina nera dell’Est
Il governo polacco di Tusk ha imposto il boicottaggio di Tesla dopo lo “scurdammc o passat” dell’imprenditore sudafricano sul nazismo, durante il suo recente intervento da remoto a un comizio di Afd. Ma Musk ha vari compari tra i connazionali del premier, vedi il suo precedessore Mateusz Morawiecki, pure lui presente il 20 con Trump, e Dominik Tarczynski, parlamentare europeo del partito oscurantista di destra Diritto e Giustizia, che su X ha esaltato “Mega” insieme all’affine collega greco Fidias Panayiotou. Oltre al trumpismo di Fico e Orbán, nell’est Musk ha appoggiato anche il candidato presidenziale filo-putiniano Calin Georgescu dopo l’annullamento del primo turno delle elezioni in Romania a dicembre proprio per interferenze russe. «Giudici dittatori!», tuonò Elon.
(da La Repubblica)
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