Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
“CHI NON DIFENDE LA CORTE RENDE IL MONDO PIU’ PERICOLOSO”
Il conflitto tra l’Italia e la Corte penale dell’Aja (Cpi) va molto al di là del caso Almasri: il governo Meloni si è di fatto schierato contro il diritto internazionale e contro un principio della nostra Costituzione, allineandosi alla politica degli Usa di Donald Trump e dei Paesi che non accettano limiti alla loro sovranità per cercar di assicurare pace e giustizia sul pianeta. Si tratta quasi sempre di Paesi autoritari.
“Si sta riproducendo una situazione simile a quella del periodo tra le due guerre mondiali: siamo in un frangente pericoloso”, afferma Micaela Frulli, docente di Diritto internazionale all’Università di Firenze.
“La differenza fondamentale è che, rispetto ad allora, oggi il sistema giuridico internazionale ha istituzioni in grado di intervenire per evitare il peggio. Purtroppo, si sta facendo di tutto per provocare la loro implosione”. Le conseguenze, secondo la giurista, potrebbero essere disastrose. La Cpi procede contro gli individui macchiatisi di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e di aggressione. Delitti così gravi da meritare una giurisdizione universale, superando lo scudo della sovranità dello Stato inadempiente.
Micaela Frulli ha avuto come maestro Antonio Cassese, uno dei padri, insieme a Giuliano Vassalli, del Diritto penale internazionale.
Professoressa, in questi giorni si parla soprattutto di cavilli. Ma in sostanza, l’Italia ha violato o no il diritto internazionale rimpatriando Osama Almasri?
“Lo ha violato. I cavilli del diritto interno non possono mai essere la scusa per non applicare un trattato. La Convenzione di Vienna sul diritto pattizio è molto chiara, all’articolo 27 (secondo cui “una parte non può invocare le disposizioni della propria legislazione interna per giustificare la mancata esecuzione di un trattato”, ndr). L’Italia ha promosso lo Statuto di Roma che istituisce la Corte penale internazionale. Ne è parte contraente, ha ratificato il trattato. E ha infranto una norma in esso inclusa. La Corte, dal canto suo, non è tenuta ad avere contezza delle procedure interne degli Stati che riconoscono la sua giurisdizione. Emette un mandato e chiede cooperazione. Sta agli Stati adottare una procedura interna adeguata e a rispettarla”.
Quali norme dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale, potrebbe aver violato l’Italia?
“Lo Statuto prevede, all’articolo 86 e seguenti, l’obbligo di cooperazione. Il ministro avrebbe dovuto interloquire con la Cpi, se avesse avuto dubbi. Non lo ha fatto, a quanto pare. E l’atto della Corte è rimasto lettera morta. Una violazione eclatante”.
Nordio dice che l’ordine di cattura era “nullo” perché conteneva dettagli sbagliati…
“Il ministro ha tenuto a dire di non essere “un passacarte”. Ma in questo caso “passare le carte” era proprio quel che doveva fare. Eventuali vizi del mandato avrebbero potuto essere contestati alla Cpi in un secondo tempo”.
La Cpi chiederà conto all’Italia di quanto avvenuto?
“Penso proprio di sì. Potrebbe esserci una condanna per mancata cooperazione. È successo in passato per la Mongolia e altri Stati. Il danno sarebbe soprattutto reputazionale. L’Italia è sempre stata fautrice della giustizia penale internazionale. Ora si schiera tra chi osteggia e delegittima la Cpi. Indebolendola in un momento storico in cui il suo ruolo potrebbe essere cruciale”.
L’articolo 11 della Costituzione prevede che l’Italia consenta “alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, e che promuova e favorisca “le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Ci stiamo sottraendo a questo principio?
“Di sicuro ci siamo messi dalla parte di chi queste limitazioni di sovranità non le accetta. Dove è finita la sovranità responsabile?”.
Il nostro ministro degli Esteri aveva già snobbato la Corte affermando che l’Italia avrebbe ignorato il mandato di arresto per il premier Israeliano Netanyahu…
“Ma nel caso di Almasri non è certo ipotizzabile alcun conflitto normativo tra l’ordine di cattura della Cpi e l’immunità personale di un capo di governo in carica, conflitto che si verificherebbe nel caso di Netanyahu, o di Putin”.
Per crimini dell’enormità di quelli previsti dalla Cpi non valgono anche altre norme in contrasto con quelle sull’immunità di diplomatici e statisti?
“Certo che sì: c’è l’obbligo di processare o estradare il soggetto incriminato per crimini di guerra affinché sia processato. E ciò vale anche al di là dello stesso Statuto di Roma. Vale per il diritto internazionale generale e certamente questo obbligo avrebbe dovuto essere rispettato per la consegna di Almasri”.
Perché Donald Trump ha imposto sanzioni alle Corte penale internazionale?
“Lo aveva già fatto durante il suo precedente mandato. Anche in quel caso si era trattato di divieto d’ingresso negli Stati Uniti e di congelamento di beni e proprietà. I motivi erano in linea con quelli che avevano portato Washington a non aderire allo Statuto di Roma e riguardavano essenzialmente la tutela del personale militare americano all’estero, con l’esclusività delle azioni penali che potessero riguardarlo. La cosa assurda è che adesso Trump sostiene che la Corte abbia violato il diritto internazionale, non si capisce bene a che titolo”.
La mossa di Trump contro la Cpi è stata preceduta dall’uscita sulla “ripulitura” di Gaza e il trasferimento dei suoi abitanti. Pulizia etnica?
“Tecnicamente sarebbe deportazione. Ma sì, può configurare anche una pulizia etnica”.
Diritto internazionale e multilateralismo sono sotto attacco?
“Stiamo assistendo a un’accelerazione ma l’attacco è in atto da tempo. Il punto di rottura è identificabile negli attacchi agli USA dell’11 settembre 2001. La reazione, seppure comprensibile, avvenne tuttavia in violazione plateale del diritto internazionale esistente, si arrivò anche a legittimare la tortura nell’ambito della “guerra al terrore”. Intraprendere la strada della lotta senza regole, arrivando alla guerra contro l’Iraq nel 2003, e continuando su questo terreno negli anni successivi ha purtroppo innescato una spirale molto pericolosa. Si è progressivamente delegittimato il ruolo delle organizzazioni internazionali, l’ONU è stata marginalizzata per quanto riguarda il mantenimento della pace. Dovremmo invertire la rotta: se non difendiamo istituzioni internazionali come la Corte penale internazionale l’ordine mondiale diventerà sempre più instabile”.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
“IL CASO ALMASRI E IL PASTICCIO DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE NON SONO LE UNICHE VICENDE CHE IMBARAZZANO MELONI. IL TERREMOTO DENTRO I NOSTRI SERVIZI SEGRETI, CHE DIPENDONO DAGLI UFFICI DELLA PREMIER E DA QUELLI DEL SOTTOSEGRETARIO MANTOVANO, È UN EVENTO TELLURICO”
Quando Giorgia Meloni è volata in fretta e furia a Mar-a Lago per chiedere a Donald
Trump appoggio politico e riportare a casa la giornalista Cecilia Sala, in molti si sono chiesti – a fronte della restituzione dell’imprenditore Abedini, ricercato dagli Usa per terrorismo, all’Iran – che cosa avesse chiesto in cambio il presidente Maga per i suoi buoni uffici.
Ieri abbiamo avuto una prima, plastica risposta. L’Italia è stato l’unico paese europeo a non aver firmato una dichiarazione contro le vergognose sanzioni imposte da Trump contro la Corte penale internazionale. Insieme a noi, solo la Repubblica Ceca e l’Ungheria di Viktor Orbán.
Un auto-isolamento che mette il nostro paese fuori dal consesso delle democrazie liberali che si battono per la difesa del diritto internazionale. Sulla mancata firma alla dichiarazione congiunta pesano anche le tensioni tra Roma e l’Aia sullo scandalo Almasri, con i ministri Nordio e Tajani che – invece di spiegare i motivi per cui il governo ha liberato e restituito un criminale di guerra ai libici – hanno violentemente attaccato la Corte. Ma in realtà la scelta appare come la prima delle cambiali che Meloni pagherà a Trump, il quale spera che la premier italiana («lei mi piace molto») possa essere il suo cavallo di Troia per spaccare e indebolire l’Unione europea.
Il piano di Meloni e dell’estrema destra italiana è quello di provare a creare una special relationship con il magnate, strappando qualche vantaggio politico per l’Italia e per loro stessi. Ovviamente si sbagliano: Trump non vuole compagni di viaggio, ma solo ossequiosi vassalli che eseguono i suoi ordini quando più gli serve. L’interesse nazionale degli altri Stati è solo un impiccio.
Il caso Almasri e il pasticcio della Cpi in cui si è infilato il governo non è l’unica vicenda che imbarazza Meloni in questi giorni. Il terremoto dentro i nostri servizi segreti, che dipendono direttamente dagli uffici della premier e da quelli del sottosegretario Alfredo Mantovano, è evento tellurico che rischia – nelle prossime settimane – di esplodere, con conseguenze gravi e pesanti ricadute politiche.
Due casi su tutti: il primo è quello del probabile spionaggio di Stato avvenuto contro giornalisti e ong “ostili” al governo. Lo spyware – come segnala l’inchiesta di Stefano Vergine – è stato con ogni probabilità venduto dalla società israeliana Paragon al nostro Dis (il dipartimento di Palazzo Chigi che coordina le due agenzie di intelligence) e poi messo a disposizione di Aise e Aisi. Il governo ha negato che il trojan sia mai stato utilizzato dai servizi contro cronisti e volontari: se venisse dimostrato il contrario per l’esecutivo si aprirebbe una partita complicatissima da gestire.
Al netto della vicenda la nostra intelligence – Aisi in primis – è squarciata da tempo da guerre intestine e da modus operandi che ricordano da vicino i tempi bui del Sifar e dei dossier di Pio Pompa. Le cronache del nostro giornale stanno lì a dimostrarlo.
Il secondo caso è il rapporto segreto dell’Aisi pubblicato giorni fa da Domani: ha dimostrato come il capo di gabinetto di Meloni venisse regolarmente spiato dai servizi interni guidati da Mario Parente e dall’attuale vicedirettore del Dis Giuseppe Del Deo, operazione a cui ha partecipato anche un agente un tempo candidato per FdI.
Se Mantovano non ha finora spiegato i motivi dello spionaggio, il governo ha sfruttato la pubblicazione delle carte per denunciare Francesco Lo Voi, reo di aver depositato le carte riservate e averne di fatto consentito la discovery.
Ieri, con una mossa che non ha precedenti, il Dis – cioè Palazzo Chigi, che da pochi giorni ha nominato come nuovo direttore Vittorio Rizzi – ha denunciato con un esposto il magistrato alla procura di Perugia. Al netto delle scelte di Lo Voi, mai si era visto un governo che utilizza i suoi servizi segreti per denunciare un procuratore che ha iscritto per reati gravi gli stessi membri apicali di quel governo.
Un conflitto istituzionale inaudito, una mossa degna del Venezuela, certamente non di una democrazia in salute. Mala tempora currunt, e il futuro prossimo venturo rischia di essere anche peggiore.
Emiliano Fittipaldi
per editorialedomani.it
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
MENTRE I LEGHISTI LEGGONO LE CHAT SEGRETE DI FDI E LO SFOTTONO: “BIMBOMINCHIA? BEH, MICA HANNO TORTO”
«Matteo Salvini mangiava la Nutella al mattino, la postava sui social, e saliva nei sondaggi. Ma quando uno scende e scende, poi non risale». La sentenza arriva dalla ministra per le riforme Elisabetta Casellati e oggi la riporta Il Foglio. Che punta il dito contro la frase del leader della Lega di ieri, che ha rivendicato di essere stato «vittima di un complotto dei vecchi servizi segreti che mi hanno rovinato la carriera, ben prima di Meloni». Mentre i leghisti leggono le chat segrete di Fratelli d’Italia e lo sfottono: «Bimbominchia, beh mica hanno torto”
Il ministro delle Infrastrutture ha scoperto dal libro dell’omonimo ma non parente Giacomo Salvini che lo chiamavano pagliaccio. Ma lo staff della premier ricorda che erano altri tempi. E intanto a ora di cena ieri Giorgia Meloni ha postato una foto con lui e la frase: «La stima nei suoi confronti è nei fatti». Lui fa orecchie da mercante: «Non sono un guardone e non sbircio le chat». Anche se si concede una variante: «Mi infastidisce che si dica che la Lega è un partito senza onore». Intanto, secondo il quotidiano, i leghisti non lo hanno difeso. Perché hanno paura di Meloni: «Guai a toccarla. Metà Lega ormai è di FdI, di fatto».
Il Metropol
Ma cosa voleva dire Salvini con la frase sulla carriera rovinata? Secondo una fonte leghista del quotidiano il Capitano si riferiva all’inchiesta sull’hotel Metropol e sulla polpetta avvelenata passata ai giornali. Dai servizi, secondo lui. Al prossimo federale Salvini annuncerà il congresso, che si farà a fine marzo, inizio aprile. Intanto grida al complotto. E se avesse ragione Casellati?
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
ORA SI SCOPRE CHE NON E VERO CHE LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE AVEVA MANDATO LA RICHIESTA DI ARRESTO SOLO IN LINGUA INGLESE, C’ERA ANCHE LA COPIA IN ITALIANO, RIBADI TA ANCHE IL GIORNO SUCCESSIVO
È l’uomo più esposto. Perché è stato lui a decidere di non rispondere alle sollecitazioni
della Corte d’appello di Roma, di fatto costringendo i giudici alla scarcerazione del torturatore libico Almasri.
Lui, dopo una prima linea di difesa che scaricava la responsabilità del rimpatrio del ricercato sui magistrati, italiani e della Corte penale, a rivendicare in seguito pubblicamente quella scelta. Lui ad occupare la posizione più delicata nell’indagine, essendo sotto inchiesta anche per omissione di atti di ufficio, l’unico reato «voluto» e non «dovuto» che la procura di Roma ha contestato.
Ciononostante, il ministro della Giustizia Carlo Nordio va dritto sulla sua strada.
In realtà, la sicurezza del Guardasigilli sul punto non arriva dal diritto. Ma dalla politica. Il ministro, anche nelle interlocuzioni con il suo avvocato, Giulia Buongiorno, ha ricevuto rassicurazioni di massima copertura da parte dell’esecutivo. Anche perché ogni decisione è stata concordata con Palazzo Chigi.
È stato poi Nordio ad assumersi la responsabilità del cambio di strategia, necessario per non essere accusati delle menzogne.
Nordio ha sostenuto in Parlamento che la Cpi aveva mandato l’atto di arresto solo in inglese, attirando le ironie di molti. In realtà, non è andata così: il documento è stato trasmesso anche in italiano, il 19 gennaio, con una traduzione non giurata. E poi, il giorno successivo, con quella ufficiale.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
SECONDO IL “THE GUARDIAN” L’AZIENDA VENDE I SUOI SERVIZI DI HACKERAGGIO SOLO A “CLIENTI GOVERNATIVI”- “PARAGON SOLUTIONS” HA STRACCIATO IL CONTRATTO CON L’ITALIA DOPO UN “ABUSO”: QUALE?… RENZI CHIAMA IN CAUSA IL SOTTOSEGRETARIO MANTOVANO: “DEVE FARE CHIAREZZA E DIRCI CHI E’ STATO, LO SCANDALO PARAGON NON PUÒ FINIRE ANCHE STAVOLTA A TARALLUCCI E VINO”
Le vicende degli ultimi giorni, dal caso Almasri alla vicenda di spionaggio elettronico attraverso il software israeliano Paragon, lasciano una scia di dubbi e di interrogativi ancora senza risposta. Quando si tratta di servizi segreti, è noto a tutti, non è logico pretendere trasparenza e assoluta chiarezza. Né è possibile trattare il rimpatrio del libico come un qualsiasi episodio di cronaca nera in cui qualcuno è mancato ai suoi doveri.
Eppure, al di là della seduta parlamentare in cui i partiti hanno proposto le loro tesi, ci sono zone d’ombra un po’ inquietanti. Anche perché altri episodi sono avvenuti subito prima e subito dopo, così da accrescere il sospetto che non tutto si svolga in armonia all’interno degli apparati di sicurezza.
Nel merito, è plausibile che si tratti di un mero assestamento dei poteri che sono stati, diciamo così, stressati negli ultimi tempi. Non va dimenticato, peraltro, che alcuni episodi non sono di oggi: ad esempio non lo è lo spionaggio elettronico Paragon, a danno del direttore di Fanpage e di un personaggio noto alle cronache come Luca Casarini, impegnato nelle opere di soccorso nel Mediterraneo.
Idem per l’indagine che ha toccato il capo di gabinetto della presidente del Consiglio. Ognuna di queste operazioni avrà senz’altro una spiegazione e sarebbe indizio di un pregiudizio ostile alla pubblica amministrazione escluderne in partenza la verosimiglianza. Eppure è proprio la zona d’ombra a lasciare perplessi. Né una parola chiara né, al contrario, l’affermazione che è stato fatto quello che è stato fatto nel solo rispetto dell’interesse nazionale.
A maggior ragione questo vale per il caso Almasri, in cui la ragion di Stato andava forse affermata con più forte determinazione: al limite invocando il “segreto di Stato”, se le circostanze lo avessero reso plausibile senza motivi contrari. Sappiamo che l’autorità delegata ai servizi è una figura di riconosciuto equilibrio e spessore istituzionale, il sottosegretario Alfredo Mantovano, uno dei principali collaboratori della premier. E può darsi che le zone d’ombra dipendano solo dalla riorganizzazione in corso ai vertici dei servizi, tra cui c’è il nuovo direttore del Dis, il prefetto Rizzi, noto investigatore succeduto all’ambasciatrice Belloni.
Se così non fosse, se lo scenario fosse peggiore — e la faccenda Paragon lo fa pensare — , allora si dovrebbe parlare di un conflitto all’interno dei servizi. Di queste guerre intestine l’Italia ha già fatto esperienza in passato e si è trattato sempre di passaggi dolorosi che hanno fatto male alle istituzioni e ancor più all’immagine internazionale del Paese.
Come sempre, quando si affollano le domande che riguardano l’efficienza dei servizi, ci si pone anche il problema di fondo. In altri termini, di solito quando la politica è forte e consapevole del proprio vigore, gli apparati — comprese le forze dell’ordine — svolgono in modo razionale ed efficace il loro dovere istituzionale.
Quando invece la politica è debole, ovvero si avvia a perdere una porzione della sua autorità, emergono le lotte intestine e talvolta le varie correnti di potere si armano una contro l’altra. Difficile dire se siamo vicini a questa situazione. Si coglie un certo grado d’incertezza e nervosismo, questo è innegabile, ma è pur vero che il centrodestra al governo ha dato negli ultimi mesi un’immagine di solidità e di stabilità.
Questa almeno è l’impressione trasmessa agli elettori. Se così non fosse, si dovrebbe parlare di un gigante dai piedi d’argilla. Un gigante che non riesce a tenere in ordine la rete degli apparati. Finora gli avvenimenti che abbiamo ricordato meritano attenzione, ma non autorizzano a saltare alle conclusioni. Tuttavia gli indizi sono preziosi per capire in tempo quello che potrebbe accadere. E porvi rimedio.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
IL PARTITO SOCIALISTA SPAGNOLO È STATO CHIARO: “NON SIETE I BENVENUTI”
I fan europei di Donald Trump si sono dati appuntamento nella capitale spagnola per
celebrare il vento della vittoria che soffia, secondo loro, anche nel Vecchio Continente. Marine Le Pen, leader del Rassemblement national, lo ha scritto su X: «Ogni elezione in Europa vede le nostre idee progredire».
Ci sono il padrone di casa Santiago Abascal, leader di Vox, il premier ungherese Viktor Orbán, il capo della Lega Matteo Salvini, l’estremista olandese Geert Wilders. Insomma, tutti i leader dei partiti che fanno parte dei Patrioti, richiamati dallo slogan coniato da Orbán per la propria presidenza di turno dell’Ue sei mesi fa, parafrasando il «Maga» di Trump: «Mega», ovvero Make Europe great again, rilanciato da Elon Musx su X. È l’internazionale dei sovranisti.
Ieri si è tenuta a porte chiuse la riunione del bureau cui è seguita una cena a cui ha partecipato come ospite speciale Kevin Roberts, presidente dell’Heritage foundation, il think tank Usa conservatore vicino a Trump.
Il Psoe è stato chiaro: «Non siete i benvenuti» è il messaggio, «al di là delle frontiere e dei muri, ci sono i nostri valori: libertà, uguaglianza, solidarietà». E il Partito popular accusa Vox di voler destabilizzare i popolari per erodere consenso.
I Patrioti, la formazione voluta da Orbán per dare un gruppo al suo partito Fidesz, dopo il divorzio dal Ppe nel 2021, è ora la terza forza al Parlamento europeo con 84 deputati, dietro ai popolari e ai socialisti e davanti ai conservatori.
Nei loro confronti socialisti, popolari e liberali applicano il cosiddetto «cordone sanitario», vuole dire che non collaborano con loro anche se poi è capitato che Ppe e Patrioti abbiano votato insieme. Il gruppo è nato dalle ceneri di Identità e democrazia ma senza l’impresentabile AfD, l’Allenza per la Germania, da cui prese le distanze a suo tempo Le Pen (ma Orbán ha invitato la leader Weidel a Budapest) che ha trovato casa nell’Europa delle nazioni sovrane.
Un rimescolamento a destra, che ha visto anche Vox passare dall’Ecr di Meloni ai Patrioti. Abascal ha annunciato su X che sarà un evento «storico».
(da Il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
LO SPIONAGGIO CONTRO GIORNALISTI E OPERATORI UMANITARI INVISI AL GOVERNO E’ UN CLASSICO METODO DELLE DITTATURE
Graphite, il sistema di spionaggio digitale venduto da un’azienda israeliana solo ad alcuni governi “amici”, e solo per uso militare e di sicurezza nazionale, è poi stato ficcato da qualcuno nei cellulari di giornalisti e operatori umanitari. Un uso tanto anomalo, tanto scorretto, da avere portato l’azienda-madre a rescindere unilateralmente il contratto con le autorità italiane.
Considerato che un’azienda di tecnologia bellica israeliana non è un covo di mammolette, questo significa che il cliente ripudiato deve averla combinata grossa.
Ovviamente nessuno, in Italia, si azzarda a uscire allo scoperto, rivendicando l’estensione di una misura di guerra a privati cittadini, per giunta cittadini di pace. Ma se la succinta ricostruzione dei fatti è corretta, la sola spiegazione possibile è che soggetti legalmente in possesso di Graphite hanno voluto usarlo per scopi illegali.
E i bersagli fin qui noti (un giornalista odiato dalla destra al governo, due volontari pro-migranti, un oppositore libico) lasciano pensare a un uso politico mirato, e molto preciso, dell’operazione. Mettere sotto controllo le “zecche” più fastidiose.
Non sono un dietrologo, me ne manca lo spirito, ma non riesco a leggere in altra maniera questa vicenda, che mi sembra perfino più inquietante del caso Almasri.
Speriamo di scoprire, nei prossimi giorni, che ci eravamo clamorosamente sbagliati, e Graphite era solo una bonaria intrusione in qualche smartphone a caso, come le telefonate dei call center.
(da Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
POSSIBILE INCONTRO CON IL PROPRIETARIO DI TESLA A PARIGI
Nel conflitto, la neutralità è debolezza. Ecco perché tra Washington e Bruxelles, Giorgia
Meloni non cerca mediazioni e dà ordine di schierarsi con Donald Trump. E contro l’Europa.
«È il nostro campo di gioco», è il senso del messaggio che la premier recapita alla diplomazia prima della “conta” alle Nazioni Unite. La presidente del Consiglio sente Antonio Tajani per pianificare la strategia, quindi dà forma alle tesi antifrancesi e antitedesche di Giovanbattista Fazzolari, consegnando alla nuova amministrazione americana uno scalpo significativo: Roma, la capitale che ha ospitato il battesimo della Corte penale internazionale, “tradisce” le principali cancellerie europee. E apre una breccia pesante nel cuore del continente.
Sia chiaro: la campagna contro la Cpi non ha nulla di programmato. Senza il caso Almasri, l’Italia non avrebbe mai potuto sfilarsi dal documento proposto dagli europei all’Onu. Il pesantissimo scontro attorno all’arresto del torturatore libico, però, consente a Palazzo Chigi di accodarsi a Trump e sfruttare l’occasione per differenziarsi da Parigi e Berlino
E quindi, ancora: «Noi giochiamo questa partita al fianco della Casa Bianca — è l’indicazione di Meloni, riferita dal cerchio magico — anche perché la nuova amministrazione vuole andare fino in fondo contro l’Aia». E non basta: la premier è tentata dall’opportunità di rivendicare di persona questa scelta di campo all’amico Elon Musk. Il fondatore di Tesla (assieme al vicepresidente Usa J.D. Vance) è infatti tra i possibili ospiti del vertice sull’intelligenza artificiale che si terrà a Parigi l’11 febbraio. La leader non ha dato conferma della sua presenza e deciderà soltanto all’ultimo minuto, ma potrebbe volare oltralpe proprio per incrociare il multimiliardario garante del suo patto con il presidente degli Stati Uniti.
È uno scontro destinato a lasciare scorie, quello appena consumato all’Onu. A generare tensioni attorno alla Commissione europea. Secondo alcune fonti, Meloni avrebbe anticipato a Ursula von der Leyen dello strappo imminente. Certo è che la leader abbandona almeno per un giorno la “terra di mezzo” tra Usa ed Ue — è la teoria di Roma come ponte tra le due sponde dell’Atlantico — per conquistare la benevolenza di Trump. E d’altra parte, è cosa nota che l’altro nemico dell’Aia è il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il principale alleato del tycoon, oggetto di un mandato di cattura della Corte penale internazionale. Un mandato che l’Italia, tra i pochi in Europa, ha assicurato di non voler in ogni caso eseguire.
Sono giorni di battaglie pubbliche, ma soprattutto di duelli sotterranei. Di tensioni e dossier. Meloni si mostra poco o nulla, anche per evitare di sbilanciarsi. Meglio non trovarsi a dover rispondere a domande sul caso Almasri, o su altri dossier sensibili: il caso Paragon, la battaglia tra la Procura di Roma e l’intelligence, le dichiarazioni di Carlo Nordio. La premier partecipa solo ad un rapidissimo consiglio dei ministri. Dura venti minuti, viene disertato da mezzo governo: non ci sono Tajani e Salvini, impegnati all’estero. Il leghista però parla, altroché se parla, indicando lo scandalo Paragon come il sintomo di una guerra nei servizi. Poco dopo, rettifica. In mezzo, accade di tutto.
È Alfredo Mantovano a gestire il caso. Il sottosegretario con delega ai servizi ha spiegato solo martedì scorso al Copasir che è ormai intollerabile ritrovarsi l’intelligence ogni giorno sui giornali. Ha chiesto di abbassare i toni, denunciando un clima avvelenato: solo dopo, proverà a rimettere mano e ordine, una volta per tutte. Ha anche protetto l’operato degli apparati con un comunicato sulla vicenda Paragon, mentre Palazzo Chigi ha lasciato trapelare che forse è alle procure che bisognerebbe guardare, per capire cosa è successo con quello spyware. Il leghista spezza questa narrazione, pubblicamente. Consapevolmente. Viene richiamato all’ordine. Si adegua. Ma solo dopo aver mandato un segnale chiaro.
È nervoso, perché si ritrova bersaglio dei giudizi sprezzanti nelle chat dei meloniani. Il suo malumore preoccupa Meloni. Ma a disturbare di più la presidente del Consiglio è il fatto che un “traditore” abbia bucato il suo partito su WhatsApp. Ecco perché ieri ha convocato nella sede dell’esecutivo alcuni avvocati, per capire i margini legali.
Ed ecco perché lo stato maggiore del melonismo ha provato a incrociare i presenti nelle varie chat per individuare il minimo comun denominatore: sono pochissimi dirigenti, meno delle dita di una mano. Tra loro, la stessa premier e il cognato Francesco Lollobrigida. Bisogna cercare altrove. Il mistero continua.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 8th, 2025 Riccardo Fucile
SEGRETATI I VOLI, L’AIRBUS NON E’ PIU’ TRACCIABILE SULL’APP FLIGHRADAR… SI CREDERA’ DI ESSERE L’AGENTE 007 IN MISSIONE
Giorgia Meloni sparisce dai radar. O meglio da Flightradar. La popolare app – aperta e gratuita nel suo profilo base – traccia tutti i voli a livello mondiale e inserendo l’apposito codice del volo era possibile seguire anche l’Airbus della premier nei suoi spostamenti.
Una “trasparenza” evidentemente non gradita, in particolare in caso di viaggi “segreti”. Come quello del 6 gennaio scorso da Donald Trump a Mar-a-Lago. Una missione non prevista e non annunciata, che era stata rivelata grazie a buone fonti giornalistiche e a un semplice controllo proprio su Flightradar.
Da quel momento, come verificato anche in occasione del ritiro informale di lunedì scorso a Bruxelles, l’aereo di Meloni non è più tracciato. Sono invece ancora regolarmente monitorati gli altri aerei governativi, anche militari.
“E’ stato chiesto di oscurarlo”, conferma una fonte a conoscenza della vicenda. E’ del resto nota l’attenzione alla “privacy” della premier, a partire dalla decisione di spegnere la campanella che per prassi ultradecennale segnalava l’uscita da Palazzo Chigi dei premier. O il “fastidio” – riferito dagli spifferi della Presidenza del Consiglio – per il passaggio nel suo studio dei commessi incaricati di esporre sulla “prua d’Italia” le bandiere in occasione dei Consigli dei ministri.
Ma tornando agli aerei, è curioso notare che un fatto simile accadde, nel 2022, anche all’amico della premier Elon Musk. In quel caso era stato un ventenne, Jack Sweeney, a far indispettire il miliardario. Il ragazzo, studente della University of Central Florida, tramite un bot di sua creazione tracciava le rotte del jet privato di Musk, pubblicandole sul suo account dell’allora Twitter (oggi X). Musk gli aveva offerto 5 mila dollari per smettere, lamentando “un rischio per la sicurezza”.
Lo studente aveva rilanciato chiedendo una “internship” nella sua azienda o una Tesla Model 3. Musk a quel punto aveva fatto causa a Sweeney, il cui account era stato sospeso per aver violato le regole del social network in tema di manipolazione della piattaforma e condivisione di spam.
(da askanews.it)
argomento: Politica | Commenta »