Febbraio 11th, 2025 Riccardo Fucile
L’ISOLAMENTO NEL PARTITO E UN’ULTIMA PASSARELLA AL G7 DELL’AGRICOLTURA
Lollobrigida sparisce. Da ministro onnipotente a cerimoniere di sagre, da Beautiful a
fantasma. Non è solo il divorzio da Arianna Meloni: tra inchieste, dossier e imbarazzi vari, il declino era scritto. Da Fratelli d’Italia lo isolano, Giorgia lo scarica, e il G7 dell’Agricoltura diventa la sua ultima passerella. Fine di un’era o solo una pausa tattica?
È febbraio, siamo lontanissimi dai gossip estivi, e qualcuno, cioè Fabrizio Roncone sul Corriere, si pone una domanda inaspettata, quasi con affetto: dov’è finito Francesco Lollobrigida? Il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare sembra essersi eclissato. Niente più uscite roboanti, solo qualche dichiarazione sporadica, quasi prudente. Un silenzio strano per chi, fino a poco tempo fa, era il più potente ministro del governo Meloni. Uno con la fila di questuanti alla porta: “Chiedi a Lollo. Senti Lollo. Ci pensa Lollo”. Lollobrigida, spinge Roncone, a Montecitorio era un’istituzione vivente. Petto in fuori, muscoloso, piacionesco, belloccio, tra i camerati già ribattezzato “Beautiful”, soprattutto spavaldo. Forse troppo. Parlava a ruota libera, senza filtro. Diceva che bisognava fermare la sostituzione etnica. Dichiarava l’etnia italiana a rischio. Spiegava che i poveri mangiano meglio dei ricchi. Esultava perché la siccità colpiva la Sicilia. Si dispiaceva che la nostra Costituzione fosse nata dall’antifascismo. Un giorno, addirittura, faceva fermare un Frecciarossa in una stazione non prevista: doveva correre in tv, aveva fretta. Era sceso, proseguendo il viaggio con l’auto blu. Quando raccontano la scena a Giorgia Meloni, lei pensa a uno scherzo. Poi sbianca. E s’infuria. Dal giro di Lollo provano a minimizzare: “In realtà qualsiasi passeggero, volendo, può fermare un treno”.
Il ministro Lollobrigida in bermuda mimetiche
E poi c’è la storia del suo portavoce. Un certo Paolo Signorelli, che porta lo stesso nome del nonno, storico esponente dell’estrema destra, e con amicizie discutibili: tra queste, Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, capo ultrà della Lazio e boss criminale, finito giustiziato perché si stava allargando troppo. Polemiche a parte, torniamo al gossip. Agosto, Puglia. Scenografia: i trulli. Arianna Meloni, che nel frattempo ha preso le redini di Fratelli d’Italia, annuncia la fine dell’amore. Lei e Lollone si lasciano. Di colpo. E, guarda caso, Lolluccio evapora. Da allora, solo amministrazione ordinaria: difende il carciofo romanesco, inaugura la sagra del fungo porcino. Tutto molto sobrio. Solo che il vecchio Lollo manca. “Liberatelo, please”, conclude Roncone. Noi di MOW, e non solo noi, lo avevamo scritto tempo fa: Francesco Lollobrigida era sempre più isolato dentro Fratelli d’Italia, e persino Giorgia Meloni, sua ex cognata, aveva preso le distanze.
Già allora era chiaro che il problema non fosse solo il divorzio da Arianna Meloni, ma un intreccio di eventi e scandali che lo avevano trascinato in una spirale discendente. C’erano stati i dossier di cui parlava Alessandro Sallusti, le inchieste su Acca Larenzia, lo scandalo poi risultato assurdo che aveva travolto Nello Trocchia e Sara Giudice, fino alle accuse di Maria Rosaria Boccia sulle nomine pilotate, in cui spuntava anche Arianna Meloni, e le polemiche sui veri rapporti tra la Boccia, appunto, e lo stesso Lolly.
Intanto, a Lollobrigida sembrava essere rimasta solo la gestione del G7 dell’Agricoltura a Ortigia, in tenuta da spiaggia, segnale inequivocabile di un ridimensionamento. Lo avevamo detto anche quando, all’improvviso, Lollobello era sparito dai social e aveva smesso di rilasciare dichiarazioni pubbliche: sembrava chiaro che il suo destino politico fosse appeso a un filo. Il tempo sembra aver dato ragione a questa teoria, ma forse ha ragione Roncone: ridateci il Lollo dei bei tempi, e magari anche Sangiuliano.
(da mowmag.com)
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Febbraio 11th, 2025 Riccardo Fucile
UN ALTRO SONDAGGIO RIVELA CHE IN UK UN GIOVANE SU CINQUE NON CREDE PIÙ NELLA SOVRANITÀ POPOLARE
La maggioranza dei giovani cittadini britannici, di età compresa fra i 18 e i 27 anni, non è orgogliosa del proprio Paese e – potendolo evitare – non prenderebbe le armi per difenderlo o per combattere in suo nome. Lo testimonia una ricerca del Times, fondata sulle risposte a un sondaggio condotto dall’istituto YouGov fra la cosiddetta generazione Z.
Il giornale di Rupert Murdoch, storica testata di riferimento dei benpensanti d’oltre Manica, ne riferisce in prima pagina in toni allarmati. Ciò che sembra emergere da questo studio è una perdita di credibilità del modello di patria loro proposto: con appena il 41% degli intervistati che si dice fiero di appartenere al Paese, quasi metà che lo considera razzista, una maggioranza che lo ritiene fin troppo ancorato al passato. Mentre solo un 15% è convinto di far parte di un Regno davvero unito o capace di offrire pari opportunità; e addirittura non più del 10% si dichiara pronto a indossare la divisa e a rischiare la vita in una “guerra per la patria”.
“Se non siamo disposti a combattere per le nostre libertà e per il nostro stile di vita, come abbiamo sempre fatto nella storia, diventeremo prede in un mondo di predatori”, è insorto a nome dell’establishment militare il generale Patrick Sanders, capo di stato maggiore della difesa, subito interpellato dal Times per un commento. Mentre la leader dell’opposizione conservatrice, Kemi Badenoch, ha definito i risultati della ricerca alla stregua di “una sveglia” dando la colpa di questi sentimenti a coloro che promuovono “una narrazione divisiva” del Paese e della società
Più articolata appare invece l’interpretazione di Bobby Duffy, direttore del Policy Institute al King’s College di Londra, il quale attribuisce il malcontento dei giovani a un sistema che li espone a precarietà, disuguaglianza e “alla stagnazione” delle prospettive di retribuzione; oltre che all’inserimento di nuovi fattori “culturali” nella valutazione dei modelli politici.
(da agenzie)
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Febbraio 11th, 2025 Riccardo Fucile
LA “FONTE DI ESPOSIZIONE”? SPESSO I GENITORI. COME ACCADE PER IL FUMO PASSIVO, ANCHE LA COCA, VOLATILE E ADESIVA, SI DEPOSITA SU VESTITI, MANI E VOLTI, VENENDO TRASMESSA AI PIÙ PICCOLI ATTRAVERSO SEMPLICI GESTI QUOTIDIANI, COME PREPARARE LA PAPPA O DARE UN BACIO
Un dato allarmante emerge dall’azienda ospedaliera dell’Università di Padova: ogni
settimana almeno un bambino risulta positivo a sostanze stupefacenti. La fonte di esposizione? Spesso mamma e papà. Come accade per il fumo passivo, anche la cocaina, volatile e adesiva, si deposita su vestiti, mani e volti, venendo trasmessa ai più piccoli attraverso semplici gesti quotidiani come preparare la pappa o dare un bacio.
Secondo la dottoressa Melissa Rosa Rizzotto, responsabile del Centro per la diagnostica del Bambino maltrattato, l’aumento dell’uso di droghe dopo la pandemia di Covid-19 sta trasformando l’esposizione dei minori in un’emergenza sanitaria.
“Quando un bambino risulta positivo a una determinata sostanza, spesso i genitori lo sono per la stessa – spiega la dottoressa a Il Gazzettino – e non si tratta solo di episodi sporadici, ma talvolta di situazioni croniche”.
Dal 2007, anno della sua nascita, il Centro ha seguito oltre 1.600 famiglie per casi di maltrattamento, trascuratezza grave e abuso. Il 15% dei pazienti arriva per esposizione a sostanze stupefacenti.
La contaminazione passiva da cocaina può compromettere organi vitali come cuore, reni e cervello, con sintomi che vanno da tachicardia e crisi epilettiche a scosse degli arti superiori. Nel Padovano si registrano circa 50 nuovi casi positivi all’anno, la maggior parte sotto i 3 anni. L’80% dei bambini è positivo alla cocaina, talvolta associata a oppiacei, metadone, alcol o farmaci. Fortunatamente, i casi di somministrazione intenzionale da parte dei genitori sono rari. Più spesso si tratta di contaminazione domestica o ingestione accidentale.
“Basta una minima dose per causare effetti devastanti in corpi così piccoli – conclude Rizzotto – anche perché la cocaina rimane in circolo anche 15 giorni in un corpicino di pochi chili”.
(da agenzie)
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Febbraio 11th, 2025 Riccardo Fucile
LA FUGA DI MELONI DALL’IMBROGLIO DEL CASO ALMASRI NON HA GLORIFICATO, MA AZZOPPATO LA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE ALLA QUALE SI È SOTTRATTA. È STATA LA MISURA DI UN POTERE PERSONALE SFRONTATO, ESPEDIENTE PER RIBADIRE CHI COMANDA”
Era dai tempi di Berlusconi che una sedia abbandonata non riusciva a essere così sfrontatamente protagonista e persino evocatore di letteratura, cinema e teatro. E, visto che ci minaccia Sanremo, nella trovata di Giorgia Meloni, che si è negata al Parlamento lasciando Nordio e Piantedosi a estenuarsi al posto suo, mettiamoci pure la tristissima canzone di Piero Ciampi: L’assenza è un assedio.
La fuga di Meloni dall’imbroglio del caso Almasri non ha glorificato, ma azzoppato la democrazia parlamentare alla quale si è sottratta. È stata infatti la misura di un potere personale sfrontato, non viltà del non scegliere, e neppure paura dello scontro personale figuriamoci – ma espediente per ribadire chi comanda.
Il precedente, rimasto memorabile, è appunto il Berlusconi che, nel lontano 2013, non partecipò alla seduta del “suo” Consiglio dei ministri che salvava con un decreto ad hoc la “sua” Retequattro. Si ritirò nella stanza accanto lasciando sulla sedia vuota l’impronta delle chiappe.
Assente ma ingombrante, nel giorno del trionfo del conflitto di interessi, era incolpevolmente ignaro che anche Luciano Liggio preferiva ritirarsi in una camera vicina a comporre poesie bucoliche per dare ai suoi picciotti la libertà di emettere le sue sentenze di morte e, subito dopo, di eseguirle. Al suo posto lasciava una sedia vuota e sul tavolo una lupara.
È sempre la forza che rende l’assente più presente dei presenti, è il potere che trasforma il sottrarsi in un imporsi. E infatti, durante tutto il dibattito parlamentare, Meloni è stata “l’assente che non si può cacciare”, il “mi si nota di più”, ma anche il rovescio dei fratelli Coen, L’uomo che non c’era, che è la storia di un barbiere che “non c’era soprattutto quando c’era” mentre Meloni “c’era soprattutto il giorno che non c’era”, ovviamente con la gentilezza del genere appropriato: “la donna che non c’era”.
E l’umiliazione è diventata autoprofanazione quando Nordio […] è andato a Un giorno da pecora a spiegare come prepara lo spritz e quanto gli piace il Negroni, a interpretare cioè, come il Totò de La patente, la caricatura con la quale l’offendono. È il programma-radio che ha preso il posto del Bagaglino, che fu il tempio ridanciano dove farsi tirare le torte in faccia divenne l’aspirazione di tutti i semivip italiani a caccia di promozione.
(da La Repubblica)
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Febbraio 11th, 2025 Riccardo Fucile
“IL COPIONE È SCRITTO NEI DETTAGLI: LA PREMIER HA FATTO CALARE SU DANIELA UNA CAPPA DI SILENZIO, MA IL DIBATTITO SULLA SFIDUCIA PROPOSTA DA CONTE NON POTRÀ CHE APPRODARE A UNA FIDUCIA DELLA MAGGIORANZA NEI CONFRONTI DELLA MINISTRA…AD AIUTARE LA “SANTA” È LO SCONTRO TRA GOVERNO E TOGHE: “RENDE PIÙ PLAUSIBILE, SEBBENE IRREALE, L’IPOTESI DELLA PERSECUZIONE GIUDIZIARIA VERSO LA SANTANCHE’”
Come salvare un’amica – nel caso la Santanchè – facendo credere di non volerla più nel
governo, di averglielo detto e fatto capire in ogni modo, anche incaricando l’amico più amico che ha, il presidente del Senato La Russa, che le ha parlato tante volte dicendole chiaro che non ha scampo, e quando ha dichiarato «adesso lei farà le sue riflessioni», intendeva dire che stava per dimettersi, anche se poi non è accaduto.
Il piano di Meloni per tenere al suo posto la ministra del Turismo plurinquisita, e adesso rinviata a giudizio, e presto (si fa per dire conoscendo i tempi della giustizia) sotto processo, va avanti con successo.
Il copione è scritto fin nei dettagli: Meloni ha da tempo fatto calare su Daniela una cappa di silenzio, anche ieri alla Camera nessuno di Fratelli d’Italia s’è alzato per difenderla dalla mozione di sfiducia di Conte condivisa dalle altre opposizioni, oggi si voterà, forse sì, forse no perché potrebbe esserci un rinvio, e tutto scivolerà in avanti di una settimana o più.
Non ci vuole molto a capire che un piano così preciso, e così attentamente messo in opera, non avrebbe potuto avere il successo che ha avuto finora, senza due formidabili aiuti, forniti appunto dai giudici e dalla «sinistra» come Meloni definisce indistintamente l’arco politico che va da Renzi a Avs
In questo senso le comunicazioni giudiziarie inviate dal procuratore capo di Roma Lo Voi a Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano, con la reazione che ne è seguita, la denuncia da parte del Dis, l’organo dirigente dei servizi segreti, dello stesso Lo Voi, avranno l’oggettivo risultato di rendere più plausibile – sebbene irreale – l’ipotesi della persecuzione giudiziaria verso la Santanchè.
E il dibattito, svolto dalle sole opposizioni, sulla sfiducia proposta da Conte, non potrà che approdare ancora una volta, come tutte quelle precedenti, a una fiducia della maggioranza nei confronti della ministra. Dopodiché, potrà calare il sipario su questa commedia, e Meloni e Santanchè potranno tornare a parlarsi.
(da La Stampa)
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Febbraio 11th, 2025 Riccardo Fucile
A DICEMBRE, LA CORTE COSTITUZIONALE HA ANNULLATO LE PRESIDENZIALI POCHI GIORNI PRIMA DEL BALLOTTAGGIO, DOPO CHE AL PRIMO TURNO AVEVA VINTO A SORPRESA CON IL 23% IL CANDIDATO POPULISTA FILORUSSO, CALIN GEORGESCU, PER PRESUNTE INGERENZE STRANIERE – A MAGGIO CI SARANNO LE ELEZIONI E IN TESTA AI SONDAGGI C’È SEMPRE GEORGESCU
Tra le ombre russe e le avanzate delle forze di estrema destra, continua ad aggravarsi la crisi politica della Romania. Ieri il capo dello Stato Klaus Iohannis, un europeista al potere da dieci anni, ha rassegnato le dimissioni a meno di tre mesi dalle presidenziali del 4 maggio e alla vigilia di un voto parlamentare che rischiava di portare al suo impeachment.
La crisi ha avuto un’accelerazione il 6 dicembre, quando con una decisione controversa la Corte costituzionale ha annullato le presidenziali pochi giorni prima del ballottaggio, dopo che al primo turno aveva vinto a sorpresa con il 23% uno sconosciutissimo candidato populista filorusso, Calin Georgescu. La Corte ha giustificato la scelta — un unicum in Europa — con i sospetti di interferenza russa tramite canali come Tik-Tok, il rischio per la sicurezza nazionale e la violazione delle regole sul finanziamento. Da allora Iohannis era rimasto al potere.
Fino a ieri, quando ha annunciato le dimissioni «per risparmiare alla Romania» una crisi istituzionale: «Non ho mai violato la Costituzione. Nessuno dei nostri partner capirebbe perché la Romania sta licenziando il suo presidente quando il processo di elezione di un nuovo presidente è già iniziato», ha detto. Fosse stata approvata la mozione per la sua sospensione, si sarebbe andati a un referendum che, per Iohannis, avrebbe spaccato il Paese.
La mozione è stata presentata con le firme di partiti di estrema destra, ma anche di membri della formazione liberale europeista Usr, la cui leader Elena Lasconi era arrivata seconda al primo turno delle presidenziali e non ha affatto condiviso la decisione di annullare le elezioni
Iohannis temeva dunque che la sua sospensione sarebbe stata approvata dal Parlamento? «Sì, le pressioni politiche erano sempre più forti e aumentavano le voci di esponenti degli stessi partiti di governo che dicevano di capire le ragioni della mozione, dai socialdemocratici del premier Marcel Ciolacu ai popolari del Partito nazionale liberale (Pnl) cui appartiene Iohannis, fino alla formazione della minoranza ungherese», spiega l’ex europarlamentare del Ppe Cristian Preda, politologo all’Università di Bucarest: «La Corte, annullate le elezioni, ha stabilito che Iohannis sarebbe rimasto fino all’insediamento del successore. Decisione problematica, per molti eravamo di fronte a un terzo, illegale, mandato»
E ora? Rimosso l’ostacolo Iohannis, la campagna elettorale per le presidenziali del 4 maggio potrà concentrarsi, si spera, sui problemi concreti dei romeni e del loro Paese. In testa ai sondaggi c’è sempre Georgescu, che passerebbe addirittura al 37-38 per cento rispetto al 23% del famoso primo turno poi cancellato.
«Ma potrebbe essere eliminato dalla Corte costituzionale, che a novembre ha fatto fuori per le sue posizioni estremistiche e anticostituzionali una candidata altrettanto impresentabile — dice Preda — I suoi voti andrebbero o a George Simion di Aur, un filorusso alleato di Meloni, o all’ex premier Victor Ponta, un socialdemocratico che, come il leader slovacco Robert Fico, è diventato un sovranista filo-Putin e si vanta di essere andato a giocare a golf pochi mesi fa con Donald Trump a Mar-a-Lago».
(da Corriere della Sera)
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Febbraio 11th, 2025 Riccardo Fucile
A GENNAIO IL NOSTRO PAESE HA REGISTRATO VALORI SUPERIORI DEL 25% RISPETTO A QUELLI TEDESCHI, DEL 40% RISPETTO A QUELLI FRANCESI, DEL 48% RISPETTO A QUELLI SPAGNOLI…L’AUMENTO COSTERÀ IN MEDIA 201 EURO L’ANNO PER UNA FAMIGLIA E 65MILA EURO IN PIÙ PER UN’IMPRESA TIPO CHE CONSUMA 1.000.000 DI KWH ANNUI
Il mese di gennaio si è chiuso con un prezzo medio all’ingrosso dell’elettricità in Italia di
143 euro al MWh, in crescita rispetto alla media dei mesi precedenti. Un anno fa, a gennaio 2024, la med
ia mensile era di 99 euro al MWh: l’aumento rispetto ad allora è del 44%.
La curva si presenta in salita decisa da ottobre, quando – secondo i dati del Gme, il gestore dei mercati energetici – la media mensile si era attestata a 116 euro al MWh, diventati 130 a novembre e 135 a dicembre.
Ieri il prezzo medio, come esito del mercato del giorno prima (il metodo con cui si calcola il valore nella borsa elettrica incrociando domanda e offerta per unità di produzione e unità orarie) si è attestato a 163 euro, portando la media di febbraio finora a 154 euro al MWh, confermando quindi una tendenza che va verso l’alto. In Italia la media dell’intero 2024 ha toccato i 108 euro al MWh, contro i 127 del 2023, i 304 del 2022 e i 125 del 2021. Nel 2020 la media annuale, complice anche la pandemia, era scesa a 39 euro al MWh, mentre nei dieci anni precedenti si era tenuta su valori tra i 42 e i 75 euro
Le oscillazioni sono legate al prezzo del gas, che rimane il principale fattore nella formazione del prezzo dell’elettricità a causa del meccanismo del system marginal pricing. E il cui valore continua a crescere (si veda anche il pezzo nella pagina a fianco). In Italia il gas naturale, nonostante rappresenti circa il 40% del mix nella generazione energetica, stabilisce il prezzo dell’elettricità nel 90% delle ore (nell’Ue il gas copre il 20% della produzione e determina il 63% delle ore). Il nostro Paese è al primo posto della classifica europea per numero di ore in cui è il gas a fissare il prezzo.
Allo stesso tempo, confrontando i prezzi dell’elettricità nei principali mercati europei, l’Italia è stabilmente al primo posto anche nella classifica di chi spende di più. Comparando le medie di gennaio 2025, il nostro Paese registra valori all’ingrosso superiori del 25% rispetto a quelli tedeschi, del 40% rispetto a quelli francesi, del 48% rispetto a quelli spagnoli e addirittura del 226% rispetto a quelli della Scandinavia. Un differenziale che è stato una costante negli ultimi 20 anni.
Alla luce degli ultimi aumenti, Nomisma Energia calcola per le imprese una spesa in crescita del 28% nel 2025 per le bollette dell’elettricità. Nello specifico, per un’impresa tipo che consuma 1.000.000 di kWh annui la spesa per l’anno in corso è stimata sui 298.480 euro: 65.605 euro in più rispetto al 2024. Per le famiglie Nomisma valuta una spesa annua, per un nucleo tipo con un consumo di 2.700 kWh, di 852 euro: 201 in più rispetto al 2024, + 31%.
Tra le soluzioni messe in campo per arginare le conseguenze del caro elettricità, per le aziende c’è l’Energy release, con prezzi calmierati a 65 euro al MWh per 3 anni a fronte della restituzione in 20 anni dell’energia utilizzata in capacità rinnovabile installata
Per tutti, si parla da tempo del disaccoppiamento dei prezzi dell’elettricità da quelli del gas. Tutti gli esperimenti di autoconsumo, dalle comunità energetiche rinnovabili al pannello solare sul tetto fino ai già citati Power Purchase Agreement (Ppa) che contrattualizzano sul lungo periodo la fornitura di energia pulita a prezzo fisso, vanno in questa direzione.
E anche il futuro decreto Fer X, con l’introduzione del sistema dei contratti per differenza per sostenere lo sviluppo delle rinnovabili, si incanala sullo stesso filone.
(da il Sole24ore)
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Febbraio 11th, 2025 Riccardo Fucile
LE INTERCETTAZIONI DELL’INCHIESTA CHE HA PORTATO ALL’ARRESTO DI 181 PERSONE A PALERMO: “IL LIVELLO È BASSO OGGI ARRESTANO A UNO E SI FA PENTITO; ARRESTANO UN ALTRO…LIVELLO MISERO, BASSO, MA DI CHE COSA STIAMO PARLANDO?”… LA NOSTAGLIA PER LA COSA NOSTRA DI UNA VOLTA
Tra le fila mafiose c’è nostalgia della vecchia Cosa nostra e dei boss d’un tempo. Lo rivela la maxi-inchiesta della Dda di Palermo e dei carabinieri che ha portato in cella 181 persone. “Il livello è basso oggi arrestano a uno e si fa pentito; arrestano un altro…livello misero, basso, ma di che cosa stiamo parlando? – diceva il capomafia di Brancaccio Giancarlo Romano non sapendo di essere intercettato – Io spero sempre nel futuro, in tutta Palermo, da noi, spero nel futuro di chi sarà il più giovane”.
Dopo i falliti tentativi di ricostituire la commissione provinciale e di restituire a Cosa nostra un organismo centrale, ai mafiosi resta, dunque, il rimpianto degli storici capimafia dei quali ricordano “prestigio” e spessore criminale. “A scuola te ne devi andare.. – proseguiva il boss Romano- Conoscerai dottori, avvocati, quelli che hanno comandato l’Italia, l’Europa…Per dire quando si parla dei massoni, i massoni sono gente con certi ideali ma messi nei posti più importanti. Se tu guardi ‘Il Padrino’, il legame che aveva .. non era il capo assoluto.., lui è molto influente per il potere che si è costruito a livello politico nei grossi ambienti. Noi che cosa possiamo fare?”
Poi la critica alle nuove leve. “Ma tu devi campare con la panetta di fumo, cioè così siamo ridotti? – aggiungeva – Le persone di una volta, quelli che disgraziatamente sono andati a finire in carcere per tutta la vita, ma che parlavano della panetta di fumo? Cioè se ti dovevano fare un discorso di fumo, te lo facevano perché doveva arrivare una nave piena di fumo. Se tu parli con quelli che fanno business, ti ridono in faccia, Ma questo business è? Siamo troppo bassi, siamo a terra ragazzi. Noi pensiamo che facciamo il business, oggi sono altri. Dico, eravamo prima noi, oggi lo fanno altri, … noi siamo gli zingari”.
Cosa nostra non rinuncia alle vecchie regole come l’indissolubilità del vincolo associativo, che un boss paragona, non sapendo di essere intercettato, al sacramento del matrimonio. “Cosa nostra? ta maritasti sta mugghieri e ta puorti finu a vita”, diceva. Emerge dall’ultima inchiesta della Dda di Palermo. Alcuni poi esprimono orgoglio per l’appartenenza alle cosche propinata come scelta di natura ideologica e non utilitaristica.
“Non ho mai creduto io nella cosa nostra ai fini di scopo di lucro, – dice Gioacchino Badagliacca – io ho sempre pensato che a me … per nobili principi per me questo è quello che è cosa nostra … ci ho sempre creduto dal profondo del mio cuore, dico, e mi sono fatto dieci anni di carcere”.
“Abbiamo degli ideali nostri dentro che non li facciamo morire mai perché ci muremu, – spiega un altro – perché in futuro noialtri preghiamo il Signore che certe cose non finiranno mai perché sappiamo noialtri i nostri ideali, sappiamo perché siamo noi contro lo Stato, perché siamo contro la polizia”.
(da Ansa)
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Febbraio 11th, 2025 Riccardo Fucile
SECONDO ALCUNI ESPERTI, QUEI NOMI NON AVREBBERO DOVUTO ESSERE NEL DOCUMENTO PERCHÉ CLASSIFICATO COME “RISERVATO” E NON COME “SEGRETO” E “SEGRETISSIMO”. L’ERRORE POTREBBE ESSERE STATO COMPIUTO IN ORIGINE DALL’AISI
Nessun indagato, per il momento. Un’indagine per rivelazione di atti che, nell’interesse
della sicurezza dello Stato, sarebbero dovuti restare segreti. E la conferma di uno scontro tra pezzi dello Stato senza precedenti: Servizi contro magistratura, Palazzo Chigi contro il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi.
La procura di Perugia ha aperto ieri un fascicolo d’inchiesta dopo aver ricevuto un esposto del Dis, il Dipartimento dell’intelligence. La storia è quella ormai nota dell’indagine avviata dopo una denuncia del capo di gabinetto della premier Meloni, Gaetano Caputi: dopo alcuni articoli pubblicati sul quotidiano Domani , Caputi ha chiesto alla procura di Roma di individuare le fonti dei cronisti.
Nell’ambito degli accertamenti è stata depositata un’informativa dell’Aisi che ricostruiva alcuni accessi alle banche dati, legittimi, degli uomini dei Servizi su Caputi. Una volta letto il documento, i giornalisti-indagati chiaramente l’hanno pubblicato. Da qui, la furia di intelligence e Palazzo Chigi che ritengono che quell’atto avrebbe dovuto restare segreto.
Come ha spiegato nell’esposto il Dis, sarebbe stata violata la legge sui servizi segreti che impone di rendere consultabili e di non consegnare quel genere di atti. Una teoria che ora il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, dovrà studiare. Anche perché è dibattuta: la norma fa esplicito riferimento, dicono in procura a Roma, a un’autorità giudiziaria che «ordina» l’esibizione di documenti classificati. Mentre in questo caso non c’è stato alcun ordine. Ma soltanto una richiesta di acquisizione.
Di più: uno dei problemi è che nel documento siano restati i nomi degli agenti, che invece avrebbero dovuto restare anonimi. Ma, sostengono altri esperti, quei nomi non avrebbero dovuto proprio essere nel documento perché classificato come “riservato” e non come “segreto” e “segretissimo”.
L’errore potrebbe essere stato compiuto dall’Aisi, dunque. Insomma la questione è delicata. Certo è che si tratta di una vicenda senza precedenti. E che per il momento né Lo Voi né il pm titolare dell’indagine. Maurizio Arcuri, sono indagati.
(da La Repubblica)
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