Febbraio 15th, 2025 Riccardo Fucile
“LE ULTIME SETTIMANE HANNO FORNITO UN DURO PROMEMORIA SULLE VULNERABILITÀ DELL’EUROPA” (TRADOTTO: IL PROBLEMA NON È TRUMP, SIETE VOI) … L’EX NUMERO UNO DELLA BCE INDICA DUE PROBLEMI: “LA LUNGA INCAPACITÀ DELL’UE DI AFFRONTARE LE SUE ELEVATE BARRIERE INTERNE E GLI OSTACOLI NORMATIVI CHE BLOCCANO LA CRESCITA DELLE AZIENDE TECNOLOGICHE EUROPEE”
L’Unione europea deve concentrarsi sui problemi che si è creata da sola, operando
“una svolta radicale”, piuttosto che su quelli dovuti ai rapporti con l’amministrazione Usa a guida Trump. E’ la tesi di Mario Draghi, già presidente del Consiglio e della Bce in un articolo sul Financial Times, eloquentemente intitolato “Lasciamo stare gli Usa: l’Europa è riuscita a mettersi dazi da sola”.
Perché secondo Draghi ci sono due fattori, tutti europei, alla base di molti dei problemi dell’Unione. Il primo è “l’incapacità di lungo termine dell’Ue di intervenire sulle penurie di approvvigionamento, specialmente sulle barriere interne e i fardelli regolamentari. Questi – scrive – sono ampiamente più dannosi per la crescita di qualunque dazio possano imporre gli Stati Uniti. E i loro effetti dannosi stanno crescendo”.
Draghi cita stime del Fondo monetario internazionale secondo cui le barriere interne equivalgono a dazi del 45% sul manifatturiero del 110% sui servizi. Al tempo stesso Bruxelles ha consentito alla regolamentazione di ostacolare la crescita delle imprese tecnologiche, bloccando gli aumenti di produttività.
Il secondo fattore è la tolleranza dell’Europa “a una domanda interna persistentemente debole, quantomeno dalla crisi del 2008”. Secondo Draghi entrambi questi elementi, approvvigionamenti e domanda, sono ampiamente dovuti all’Europa stessa.
“Per questo ha il potere di cambiarli. Ma questo richiede un cambiamento fondamentale di mentalità. Finora l’Europa si è focalizzata su obiettivi specifici o nazionali, senza tenere conto del loro costo collettivo. Ora è chiaro che operando in questo modo non ha assicurato né welfare per gli europei, né finanze pubbliche sane, e nemmeno autonomia nazionale che olra è minacciata da pressioni esterne. Questo – conclude – è il motivo per cui servono cambiamenti radicali”.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2025 Riccardo Fucile
FINORA HA MESSO IN ATTO TENTATIVI DI OMICIDIO (COME QUELLO DEL DIRETTORE GENERALE DI UN PRODUTTORE DI ARMI TEDESCO), SABOTAGGI E UN COMPLOTTO PER METTERE DISPOSITIVI INCENDIARI SUGLI AEREI UTILIZZATI DAL GIGANTE DELLE SPEDIZIONI DH
I servizi segreti russi hanno una nuova unità oscura che prende di mira l’Occidente con attacchi segreti in tutta Europa e altrove. Lo rivela il Wall Street Journal, citando dirigenti dell’intelligence occidentale (ma anche russa). Conosciuto come Dipartimento delle missioni speciali, e noto ai funzionari dei servizi segreti occidentali con l’acronimo russo Ssd, ha sede nel quartier generale degli 007 di Mosca.
Le sue operazioni hanno incluso tentativi di omicidio (come quello del direttore generale di un produttore di armi tedesco), sabotaggi e un complotto per mettere dispositivi incendiari sugli aerei utilizzati dal gigante delle spedizioni Dhl.
La creazione del dipartimento, spiegano le fonti al Wsj, riflette l’atteggiamento di Mosca in tempo di guerra contro l’Occidente. È stato istituito nel 2023 in risposta al sostegno occidentale all’Ucraina e include veterani di alcune delle operazioni clandestine più audaci della Russia negli ultimi anni. L’Ssd ha riunito vari elementi dei servizi segreti russi.
Ha assunto alcuni poteri dall’Fsb, il più grande servizio di intelligence del Paese, e ha assorbito l’Unità 29155, che, secondo i funzionari dell’intelligence e delle forze dell’ordine occidentali, è dietro all’avvelenamento del 2018 di un doppio agente russo, Sergei Skripal, nel Regno Unito.
Il dipartimento gestisce anche un centro operativo speciale d’élite, noto come Senezh, dove la Russia addestra alcune delle sue forze speciali. A supervisionare le operazioni due uomini: il colonnello generale Andrey Vladimirovich Averyanov e il suo vice, il tenente generale Ivan Sergeevich Kasianenko.
Averyanov, veterano delle guerre cecene russe, è ricercato dalla polizia ceca per il suo presunto ruolo in un’operazione per far saltare in aria un deposito di munizioni nel 2014, un attacco in cui hanno perso la vita due persone. Kasianenko avrebbe invece coordinato l’operazione per avvelenare Skripal e sua figlia, Yulia, nel Regno Unito.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2025 Riccardo Fucile
SOLO TRE GIORNI FA IL MINISTRO CIRIANI AVEVA ASSICURATO IN PARLAMENTO CHE “NESSUNO HA RESCISSO IN QUESTI GIORNI ALCUN CONTRATTO NEI CONFRONTI DELL’INTELLIGENCE”
Nuovo colpo di scena nella vicenda del software-spia Graphite. A quanto apprende
l’ANSA da fonti dell’Intelligence, l’Intelligence italiana e Paragon Solutions – l’azienda produttrice – hanno concordato di sospendere l’operatività del sistema fino alla conclusione della procedura di due diligence condotta dal Copasir e dall’Agenzia nazionale per la cybersicurezza.
La novità arriva due giorni dopo che il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, aveva assicurato – rispondendo al question time della Camera – che “nessuno ha rescisso in questi giorni alcun contratto nei confronti dell’intelligence. Tutti i sistemi sono stati e sono pienamente operativi contro chi attenta agli interessi e alla sicurezza della Nazione”.
Era stato il Guardian, nei giorni scorsi, a scrivere che Paragon aveva rescisso il contratto con l’Italia dopo la notizia che lo spyware era stato utilizzato per sorvegliare il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato e l’attivista di Mediterranea saving humans. Ciriani aveva spiegato che le agenzie di intelligence utilizzano il sistema rispettando “nel modo più rigoroso la Costituzione e le leggi e, in particolare, la legge 3 agosto 2007, n. 124. Questo rigoroso rispetto vale anzitutto verso i soggetti specificamente tutelati da tale legge, in primis i giornalisti. Tutto ciò avviene sotto il controllo, ciascuno per la sua parte, dell’Autorità delegata, del Copasir e della magistratura”.
Proprio il Copasir ha avviato un approfondimento sul caso, sentendo il direttore dell’Aise, Giovanni Caravelli. Mercoledì toccherà al direttore dell’Aisi, Bruno Branciforte. Il governo ha poi attivato l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, affinché svolga le verifiche tecniche su quanto riscontrato da Whatsapp che ha trovato 7 utenze italiane (sulle 90 totali) infettate dal virus.
E si è mossa anche la procura di Palermo che ha ricevuto l’esposto di Casarini sul suo dispositivo hackerato, con l’ipotesi di reato di “accesso abusivo a sistema informatico”. Paragon, a quanto emerso, vende Graphite soltanto ad entità governative. C’è stata così – alla luce degli ultimi eventi- un’interlocuzione tra l’intelligence italiana e l’azienda – di proprietà di un fondo americano dopo essere stata fondata in Israele – che ha portato alla decisione di sospendere temporaneamente l’operatività del sistema
Intanto emerge che il nome di David Yambio, attivista sudanese accusatore di Almasri e vittima dello spyware di Paragon, sarebbe agli atti di un’inchiesta della procura di Palermo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E’ Il Giornale a pubblicare stralci di una comunicazione di polizia all’intelligence datata 6 maggio scorso in cui si informa che “la procura distrettuale di Palermo ha recentemente iscritto nel registro degli indagati” Yambio e due connazionali perchè “indiziati del reato di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
Dunque le utenze del sudanese e di Casarini, è l’ipotesi, sarebbero state controllate nell’ambito di un’indagine della procura siciliana. I due reagiscono. “Sostengono – afferma Yambio – che lo spyware rilevato sul mio telefono era una ‘penetrazione legale’ perché ero sotto inchiesta per aver collaborato con Mediterranea. Ma questa cosiddetta indagine non esiste
Nessuna forza dell’ordine, nessuna autorità giudiziaria mi ha mai notificato alcuna indagine. Questa non è altro che una campagna diffamatoria”. Gli fa eco Casarini: “mai ho ricevuto notizie di indagini per questo tipo di reato dalla procura e mai ne hanno ricevuto altri membri di Mediterranea. Ma sarà facile averne anche le prove: lo chiederò formalmente e per vie legali”.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2025 Riccardo Fucile
C’È L’IMBARAZZO PER I RAPPORTI PASSATI CON MOSCA E PER I CONTINUI AMMICCAMENTI A PUTIN… SE L’OBIETTIVO RUSSO CONSISTEVA NEL SEMINARE ZIZZANIA IN ITALIA, L’EFFETTO È STATO UN BUCO NELL’ACQUA
È un fronte repubblicano quello che si forma rapidamente nel pomeriggio romano non appena, alle 15,23 di ieri, si consuma lo sfregio della Russia al Quirinale. «Mattarella blasfemo», dirama l’agenzia Tass.
Maggioranza ed opposizione si uniscono nella difesa del presidente della Repubblica. L’uscita della portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova, è reputata alla stregua di «un’offesa alla nazione», per citare la premier Giorgia Meloni, che riassume il sentimento nazionale. «Esprimo la mia piena solidarietà, così come quella dell’intero governo, al presidente Mattarella, che da sempre sostiene con fermezza la condanna dell’aggressione perpetrata ai danni dell’Ucraina».
La destra, da Ignazio La Russa in giù, si unisce, nella condanna, al centrosinistra di Elly Schlein, che afferma: «Il Pd si riconosce nelle parole del Capo dello Stato». Si fa sentire anche il ministro degli esteri Antonio Tajani.
Se Putin pensava di dividere l’Italia il tentativo può dirsi fallito.
L’unica nota stonata è il silenzio dei vertici della Lega. Matteo Salvini tace. Fa eccezione il presidente della Camera Lorenzo Fontana, per fatto istituzionale. Soltanto in serata il partito fa intervenire il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio e il deputato Paolo Formentini.
Alle tre del pomeriggio Mattarella è al Quirinale, nel suo ufficio. È reduce dalla mattinata trascorsa alla Corte dei Conti. Gli riferiscono del dispaccio della Tass, l’agenzia di stampa ufficiale russa: a Marsiglia, paragonando l’invasione in Ucraina ai metodi del Terzo Reich, si sarebbe macchiato «di invenzioni blasfeme». Parole come pietre. È un’intemerata che colpisce per il delicato contesto nel quale cade: pochi giorni dopo la legittimazione trumpiana di Putin e l’annuncio dell’avvio delle trattative per la fine della guerra in Ucraina con l’Europa confinata nelle vesti di spettatrice.
Mattarella legge. Si consulta con i suoi collaboratori. Si fanno vivi da palazzo Chigi. Decide di non replicare. È assolutamente sereno e rimanda alla lettura del testo pronunciato a Marsiglia, viene fatto filtrare dal Quirinale.
Ma cos’è successo a Marsiglia? È il 5 febbraio. Un mercoledì di opulenza primaverile. Mattarella nel pomeriggio riceve la laurea honoris causa dall’università della seconda città francese. Tiene una lectio magistralis di 28 minuti, ricca di rimandi storici, in cui paragona l’attuale situazione mondiale a quella degli anni Trenta. Il succo è: il protezionismo e la fine del diritto internazionale hanno contribuito a spalancare le porte alla Seconda guerra mondiale.
Quindi ricordando la crisi del 1929 e il fatto che gli Stati allora scelsero di non affrontare la recessione in modo coeso, dice testualmente: «Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali. Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto – anziché di cooperazione – pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi a una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura ».
Perché Mosca reagisce con nove giorni di ritardo? «Mattarella ha fatto paralleli storici oltraggiosi e palesemente falsi con la Germania nazista», sostiene Zakharova. Non vi è stata alcuna equiparazione della Russia alla Germania nazista, ma semmai l’equiparazione del metodo di conquista militare, è il pensiero che emerge dal Colle. E c’è in quell’aggettivo, “sereno”, la convinzione di avere parlato con coscienza.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2025 Riccardo Fucile
NELL’AREA EURO “I PAESI A SUBIRE GLI EFFETTI MAGGIORI SAREBBERO GERMANIA E ITALIA” – E SPEDISCE UN MESSAGGIO AL GOVERNO SUL RISIKO BANCARIO IN CORSO NEL NOSTRO PAESE: “L’ESITO DELLE OPERAZIONI BANCARIE È AFFIDATO AL MERCATO E ALLE SCELTE DEGLI AZIONISTI”
«L’economia mondiale si muove fra incertezza e trasformazione». E proprio per
questo l’Europa dovrebbe fornire «una risposta comune» per fronteggiare le tensioni sul commercio internazionale. Il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, è a Torino per il 31esimo congresso Assiom Forex.
«Molti Paesi stanno concentrando le relazioni commerciali su partner considerati affidabili, con cui hanno relazioni consolidate o affinità politiche ed economiche», dice. Questa tendenza «sta ridisegnando la geografia del commercio, riducendo gli scambi tra Paesi appartenenti a blocchi geopolitici contrapposti e aumentando quelli tra economie politicamente allineate».
Nonostante ciò, «in molti casi la diversificazione geografica delle importazioni è solo apparente. Gli esportatori hanno riorganizzato le loro filiere produttive, creando triangolazioni attraverso paesi terzi per aggirare le barriere commerciali. Ad esempio, alcuni prodotti cinesi vengono esportati negli Stati Uniti passando per il Messico, il Vietnam o Taiwan», sottolinea.
Il problema principale, secondo Panetta, è la frammentazione. «La riconfigurazione del commercio, in cui hanno un peso considerevole le motivazioni geopolitiche, sta indebolendo il sistema multilaterale di governance economica globale fondato sull’integrazione produttiva e sul libero scambio», fa notare.
E arriva la prima novità, ovvero un possibile boomerang. «Secondo le nostre stime, se i dazi annunciati in fase pre-elettorale fossero attuati e accompagnati da misure di ritorsione, la crescita del Pil globale si ridurrebbe di 1,5 punti percentuali. Per l’economia statunitense l’impatto supererebbe i 2 punti». Ma per l’area dell’euro le conseguenze sarebbero «più contenute, intorno a mezzo punto percentuale, con effetti maggiori per Germania e Italia».
Preoccupante in modo significativo, secondo il governatore, è la sovracapacità cinese. Qualora ci fossero dazi estesi a tutte le merci di Pechino, potrebbe esserci una spinta a riversare la produzione in nuovi mercati. In tal quadro, con gli Stati Uniti tagliati fuori, sarebbe l’Europa a vedere i rischi maggiori. Anche a livello di competitività.
Sul fronte della politica monetaria della Banca centrale europea, Panetta sottolinea che «vi sono motivi per ritenere che la dinamica dei prezzi si stabilizzerà al 2 per cento nel medio termine, in linea con le più recenti previsioni degli esperti dell’Eurosistema».
Tuttavia, dice, «il percorso di normalizzazione non è ancora concluso», e rimarca che «da qui in avanti il concetto di tasso neutrale perderà progressivamente rilevanza». Si vedrà se Francoforte, dunque, lascerà l’attuale approccio di decisioni riunione per riunione. Specie perché, non mancano i rischi al rialzo. Le tensioni commerciali e geopolitiche sono numerose, e possono avere implicazioni anche sulla determinazione di prezzi più vischiosi di quanto previsto anche solo pochi mesi fa. Un quadro che potrebbe complicare il lavoro della Bce nella seconda parte dell’anno.
La congiuntura italiana
In questo contesto complicato, l’Italia sta vedendo rischi al ribasso. «Così come per il resto d’Europa, le prospettive dell’economia italiana sono messe a rischio da un contesto economico indebolito e incerto».
Ne deriva che «è quindi ancora più necessario affrontare con decisione i nodi che frenano la crescita italiana: la bassa produttività, l’elevato debito pubblico, le inefficienze dell’azione pubblica». In tal senso, «è essenziale moltiplicare gli sforzi per completare gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e le riforme ad esso collegate, intervenendo tempestivamente in caso di ritardi».
Questo perché nei prossimi mesi l’attuazione del Pnrr potrà innalzare la produttività e la crescita della domanda interna. Un modo per aumentare la fiducia. Allo stesso tempo, rimarca l’inquilino di Palazzo Koch, «è altrettanto essenziale attuare il Piano strutturale di bilancio a medio termine del governo». Un percorso virtuoso che potrebbe essere premiato anche dalle agenzie di rating.
Non è mancato un riferimento alle banche, coinvolte nel risiko più significativo degli ultimi decenni. Ma prima si è fornito il contesto, che è caratterizzato dal riassorbimento della liquidità in eccesso da parte della Bce. E in questo, sottolinea Panetta, «le banche devono bilanciare con lungimiranza il vantaggio del basso costo della raccolta a vista con il rischio di fuoriuscite improvvise di depositi».
Ma l’abbondanza di capitale degli istituti di credito sta anche spingendo le concentrazioni. E, sebbene Banca d’Italia non fornisca un giudizio definitivo, sottolinea alcuni punti di rilievo. «Le operazioni annunciate ridurrebbero il divario dimensionale tra i principali intermediari italiani e i concorrenti europei», dice. In Italia, spiega, «il valore medio dell’attivo delle prime cinque banche è quattro volte inferiore rispetto a quello delle banche francesi e una volta e mezza più basso di quello degli intermediari spagnoli e tedeschi».E rimarca che «sebbene in generale nel settore bancario le grandi dimensioni comportino sia vantaggi sia alcune criticità ben note, queste operazioni possono essere inquadrate in una prospettiva di integrazione e consolidamento del mercato europeo». Una posizione molto simile a quella della Bce. E proprio sul tema bancario arriva un inciso a braccio che raccoglie l’applauso della platea.
«Sono operazioni molto delicate, che coinvolgono milioni di clienti. È ingenuo e difficile ipotizzare che Banca d’Italia possa commentare queste operazioni con valutazioni estemporanee. Occorre una dettagliata analisi. La vigilanza della Banca d’Italia non funziona come un talk show. Ci sarà il tempo per analizzare queste operazioni insieme con le altre autorità europee», spiega Panetta
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2025 Riccardo Fucile
TRADIRE E CONSEGNARE IL POPOLO UCRAINO A CHI HA DEPORTATO I SUOI BAMBINI E DISTRUTTO LE SUE CASE, VUOL DIRE DISONORARE SE STESSI E IL MONDO
Con il piegamento dei ginocchi di Trump di fronte a Putin, con l’Ucraina trattata come un disturbo, “forse un giorno sarà russa”, la mente degli occidentali meno accoccolati nell’ebetudine è andata alla parola desueta “onore”. Che ormai ha cattiva fama: il delitto d’onore, L’onore dei Prizzi, la scipita onorabilità, arretratezza tradizionalismo e mafia, visto che l’aristocratico e il cavalleresco non si portano più. E sia. Ma il disonore lo si vede a occhio nudo. Pensando al presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, e ai suoi discorsi (in particolare ma non solo quello di Marsiglia contestato come “blasfemo” dalla portavoce di Putin), quando incastra la guerra d’invasione ucraina nella storia d’Europa come la riproduzione a parti invertite dei fasti osceni del Terzo Reich imperialista a caccia del suo spazio vitale, pensando a queste parole comparate con la pornografia realista della Casa Bianca di Donald Trump, ecco che il disonore dell’abbandono dell’alleato, del tradimento di un popolo intero, della commercializzazione cinica della pace, in cambio di un piatto di lenticchie terre rare, emerge nel suo significato più ultimativo e schietto.
Fuori di retorica un popolo è solo un insieme, vecchi e bambini, giovani donne e uomini, e i loro animali e i loro morti in guerra, è la loro fame, il loro freddo, il loro grano e il fango, la loro lingua e letteratura, i loro racconti e balli, campagne fiumi e città e riviere, da Mariupol a Odessa, un popolo invaso è la mestizia abbattuta sulla gioia come un allarme notturno, come una visione improvvisamente oscurata, come una chiamata alla morte, e un popolo è anche i suoi morti, i caduti, in nome dei quali i sopravvissuti parlano. Abbandonarlo, tradirlo, consegnarlo a chi ha distrutto le sue case e i suoi cortili, ha deportato i suoi bambini, ha cercato di sradicare la sua allegria, le sue sicurezze, il suo coraggio, il suo orgoglio vuol dire disonorare sé stessi e il mondo. Il profeta dell’America First! ci si sta mettendo d’impegno e non contrastarlo convertendosi, cambiando orizzonte politico, impedendo lo scempio a ogni costo, pagando un prezzo qualunque esso sia per la difesa dell’Europa libera, vuol dire complicità, omertà, debolezza etica, che è il problema degli europei, come ha capito Macron, il presidente francese, come ha capito e bene, in modo semplice e convincente, Mattarella, il presidente italiano, come hanno capito gli inglesi e i tedeschi migliori.
L’onore politico non è la battaglia contro i mulini a vento, è pagarsi la propria difesa, è mettersi di traverso quando i bulli globali pretendono di decidere in tre, anche senza una vera prospettiva di successo, che la sconfitta dell’Ucraina sarà la prova generale della fine della democrazia liberale e della sovranità delle nazioni così come fu ricostruita, imperfettamente, a Yalta e poi nella Guerra fredda, così come fu sacrificata, alla perfezione, nella Conferenza di Monaco, e allora l’oggetto dell’esperimento, prima dell’invasione della Polonia, fu la Cecoslovacchia. L’onore politico è una decisione, un appello al cielo in nome delle opinioni pubbliche disarmate dal benessere, una Zeitenwende, il cambiamento di registro che riscatta gli errori e le fragilità del passato, del quieto vivere, e sbarra la strada all’imperialismo tripolare, Mosca Washington Pechino, che minaccia di ricostruire su basi postdemocratiche e illiberali, a colpi di negoziati sulla testa dei popoli e di decreti esecutivi, prikaz e executive orders, un ordine mondiale fondato sulla sopraffazione.
(da il Foglio)
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Febbraio 15th, 2025 Riccardo Fucile
LEV GUDKOV, SOCIOLOGO E SONDAGGISTA: SCESA AL 31% LA PERCENTUALE DI QUANTI SOSTENGONO LA NECESSITA’ DI CONTINUARE L’AZIONE MILITARE
Lev Gudkov, sociologo e sondaggista, è il direttore del Centro Levada, istituto di
ricerca indipendente in Russia. Dalle autorità è stato bollato come agente straniero e nemico dello Stato. «Dovrò rinunciare all’insegnamento e sarò impelagato in ulteriori pastoie burocratiche», dice in un’intervista a Repubblica. Nel colloquio con Rosalba Castelletti Godkov dice che il popolo russo vuole la pace con l’Ucraina: «Quasi i due terzi, il 61 per cento, vorrebbero negoziati immediati, secondo il nostro sondaggio di fine gennaio. È la cifra più alta registrata in tre anni, mentre la percentuale di quanti sostengono la necessità di continuare l’azione militare è scesa al minimo, il 31%».
I russi e la guerra
Gudkov dice che anche il numero di quanti credono che le azioni militari in Ucraina termineranno entro il prossimo anno o prima «è aumentato, al 43%. A volere i negoziati sono per lo più le donne, gli under 40, chi non approva il presidente o le forze armate. Ma in generale il sostegno all’esercito resta elevato, al 78%». La gente «è stufa. Percepisce che il prezzo del conflitto è molto elevato. Per quattro fattori. Primo, la crisi economica. L’impennata dei redditi legata agli investimenti nella difesa si è arrestata, mentre l’inflazione galoppa e la gente la associa, seppure in modo vago, al conflitto. Secondo, le perdite umane. I russi non ne conoscono l’entità precisa perché queste informazioni vengono censurate, ma i numeri iniziano a trapelare da media indipendenti e occidentali. Infine, la paura di una grande guerra. La gente teme che l’offensiva in Ucraina possa portare a uno scontro con l’Occidente e con la Nato che potrebbe sfociare nella Terza Guerra Mondiale e dunque nell’uso delle armi nucleari. Infine, c’è il timore che mariti e figli siano costretti ad andare a combattere».
La cessazione delle ostilità
I russi però vogliono la cessazione delle ostilità alle condizioni di Putin: «In sostanza a condizione della completa capitolazione dell’Ucraina: riconoscimento dei territori annessi, disarmo, rinuncia alla Nato, cambio di governo e orientamento politico. Questa posizione giustifica l’uso della forza. Credono che la Russia sia superiore e in un modo o in nell’altro costringerà l’Ucraina alla resa». Perché lo spargimento di sangue «sarebbe percepito come senza senso se si dovessero fare concessioni e non si raggiungessero gli obiettivi prefissati. E in tal modo la stessa Operazione sarebbe percepita come senza senso. Il che provocherebbe grosse contestazioni contro la dirigenza del Paese. Perciò è un tabù. Non se ne discute neanche».
I negoziati
I negoziati con Trump potrebbero naufragare però, e a quel punto che i russi vogliano ancora sostenere il conflitto «dipende da tante variabili. Ma finché non verrà indetta una nuova mobilitazione e non ci saranno grandi scossoni economici, il sostegno continuerà. La maggior parte dei russi, in ogni caso, crede già che il conflitto durerà a lungo».
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2025 Riccardo Fucile
TUTTI E TRE ADESSO RISCHIANO IL RINVIO A GIUDIZIO: AL CENTRO DELLE INDAGINI LA MAXI SPECULAZIONE TENTATA SUI TERRENI “I PILI” DI PROPRIETÀ DI BRUGNARO
Per i magistrati di Venezia c’è stata una grande tangentopoli che va dritta al cuore
del Comune, coinvolgendo anche il sindaco Luigi Brugnaro e i suoi collaboratori più fidati. Dopo l’arresto la scorsa estate dell’assessore Renato Boraso, al centro di una serie di episodi con presunte tangenti in cambio di favori a privati che avevano a che fare con il Comune, adesso la procura ha chiuso le indagini e ha confermato le accuse di «concorso in corruzione» anche al primo cittadino e ai suoi più stretti collaboratori: il direttore generale Morris Ceron e il vicecapo di gabinetto del sindaco Derek Donadini. Che adesso insieme a Brugnaro rischiano il rinvio a giudizio.
La richiesta è praticamente scontata da parte dei pm, dopo che nelle cento pagine della chiusura indagini ricostruiscono punto per punto la vicenda che sullo sfondo ha la mega speculazione, poi saltata, sui terreni denominati I Pili di proprietà del sindaco.
Un affare che valeva oltre 1,5 miliardi: sulla carta, perché poi è sfumato. Ma secondo i pm qualcosa di molto più concreto c’è stato, l’acquisto sotto prezzo dello storico Palazzo Papadopoli da parte dell’imprenditore cinese, Ching Chiat Kwong.
Lo scorso anno una inchiesta di Report, curata da Andrea Tornago e Walter Molino, aveva ricostruito il rapporto tra Brugnaro e l’imprenditore Kwong e alzato il velo sul conflitto di interesse. I magistrati nella chiusura delle indagini accusano il sindaco di concorso in corruzione con Donadini, «suo vice capo di gabinetto e contestualmente per anni gestore della società Porta di Venezia proprietaria dei terreni I Pili».
Donadini avrebbe «offerto all’imprenditore Kwong la vendita di 41 ettari di terreno, di proprietà di Brugnaro, prima in cambio del versamento di 85 milioni di euro, poi lievitati a 150 milioni di euro». Dietro l’aumento del prezzo ci sarebbe stata «la promessa di un raddoppio dell’indice di edificabilità dell’area, consentendo a Ching di ricavare circa 1,5 miliardi dalla vendita di unità immobiliari in progettazione».
Peccato però che quegli stessi terreni erano stati acquistati da Brugnaro nel 2016 per 5 milioni di euro e «messi in bilancio dalla stessa società del sindaco a 15 milioni di euro, considerando la destinazione urbanistica a verde pubblico».
Ma qualcosa è andato storto: nel sottosuolo sarebbero state trovate sostanze inquinanti che avrebbero reso la bonifica troppo costosa. Nel frattempo «Brugnaro insieme a Morris e Donadini concordavano con Ching la cessione dell’immobile comunale Palazzo Poerio Papadopoli» di proprietà del Comune.
E cosa c’entra questo affare con la vendita dei terreni del sindaco? Secondo la procura Brugnaro «avrebbe detto a Ching che l’acquisizione del palazzo era necessaria per farlo conoscere alla popolazione veneziana attraverso investimenti immobiliari, anche su Palazzo Donà, prima di partire con l’acquisizione dei Pili».
Un suggerimento che si sarebbe concretizzato, con la conferma della corruzione in questo caso: Kwong acquista il Palazzo, ma a un prezzo sottostimato. Lo rileva alla cifra di 10,7 milioni di euro, «grandemente inferiore al valore di 14 milioni di euro stimato nel 2009 e confermato dal Comune nel 2016», scrivono i magistrati.
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2025 Riccardo Fucile
“DOBBIAMO ATTIVARE LA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA COME FATTO DURANTE LE PRECEDENTI CRISI STRAORDINARIE”
Non è tempo di cortesie per gli ospiti alla 61ª Conferenza per la sicurezza
diMonaco. La seconda amministrazione Trump imprime una decisa accelerazione e detta nuove regole alla vecchia Europa.
Mentre il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance striglia gli europei, colpevoli – a suo dire – di avere abbandonato i loro valori, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky cerca di stringersi agli alleati dell’Ue per evitare accordi a spese di Kiev e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen fa un annuncio che è musica per le orecchie dell’amministrazione Trump: la sospensione del Patto di Stabilità per consentire agli Stati di aumentare le spese militari.
«A Washington c’è un nuovo sceriffo in città», ha esordito Vance davanti a una platea che è rimasta glaciale. «Quello che temo di più per l’Europa non è la minaccia rappresentata dalla Russia o dalla Cina, ma la minaccia interna, l’allontanamento dai valori comuni» ha chiarito Vance al Bayerischer Hof.
Secondo il vicepresidente americano l’Unione europea soffre di un deficit di libertà di parola e inclina troppo verso la censura. La manipolazione dell’informazione non è un problema. È la censura della disinformazione, il fact checking ad essere pericoloso.
L’unica minaccia esterna per gli europei è costituita dalla «migrazione di massa», che molti governanti hanno finora permesso, ha ricordato Vance. La rampogna americana non è piaciuta agli ospiti tedeschi.
Sulla guerra alle porte d’Europa, Vance esprime ottimismo ma non si sbilancia: «Confidiamo in un accordo ragionevole tra l’Ucraina e la Russia». Dopo le parole di Trump dei giorni scorsi, l’attesa di progressi nelle trattative era grande. Il presidente Usa aveva annunciato incontri sull’Ucraina ai più alti livelli, con inviati di Washington, Mosca e Kiev a Monaco.
Ma il presidente della Conferenza, Christopher Heusgen, ha chiarito che nessun rappresentante del governo russo è stato accreditato all’evento. Di certo, in giornata ci sono stati due incontri importanti: quello tra JD Vance e Zelensky e il meeting tra l’inviato speciale di Trump per l’Ucraina Keith Kellog e il capo dello staff presidenziale di Zelensky, Andriy Yermak.
«Siamo pronti ad andare il più rapidamente possibile verso una pace reale e garantita», ha detto il presidente ucraino. Che però ha dettato le sue condizioni: «Incontrerò Putin solo dopo che si avrà un piano comune con Trump e con gli europei».
Dopo la telefonata di mercoledì tra Trump e Putin, Zelensky prova a stringere i legami con gli alleati europei alla luce della sua nuova “vacillante” posizione, come sostiene Ian Bremmer di Eurasia Group. Gli europei, viceversa, per sedersi al tavolo delle trattative dovranno «produrre fatti sul terreno», per dirla con le parole del Segretario generale della Nato, Mark Rutte.
E per assicurare agli Stati Uniti che l’Europa farà la sua parte, Ursula von der Leyen ha fatto una mossa che consentirà di liberare «centinaia di miliardi di investimenti ogni anno» nel campo della Difesa. Al termine del vertice dei leader della scorsa settimana, la presidente della Commissione aveva già ventilato l’ipotesi di introdurre maggiore “flessibilità” nell’applicazione del Patto di Stabilità per quanto riguarda le spese militari.
Ma ieri c’è stato un ulteriore passo in avanti, con l’annuncio che proporrà di attivare la clausola di salvaguardia che di fatto porterebbe a uno scorporo degli investimenti in Difesa attraverso una sospensione mirata dei vincoli di bilancio.
«Durante le precedenti crisi straordinarie – ha ricordato – abbiamo dato agli Stati dei margini di bilancio extra attivando la clausola di salvaguardia, consentendo loro di aumentare in modo significativo gli investimenti legati alla crisi. Credo che ora siamo in un altro periodo di crisi che richiede un simile approccio».
L’idea che si fa largo a Bruxelles non dovrebbe concretizzarsi con l’attivazione della clausola di salvaguardia generale utilizzata durante il Covid, che si può invocare soltanto in caso di “forte recessione”, ma con le clausole di salvaguardia su base nazionale che potranno essere invocate dai Paesi che sforano il tetto di spesa per via degli investimenti militari.
Seppur richiesta dai Paesi con minori margini di bilancio – come l’Italia, la Spagna o il Belgio -, la nuova flessibilità rischia però di rivelarsi un’arma a doppio taglio perché ora quei Paesi non avranno più “scuse” per giustificare il mancato raggiungimento dei target fissati dalla Nato.
Al di là della contabilizzazione nel Patto, quelle spese faranno comunque aumentare il livello del debito e dunque i ministeri delle Finanze dovranno trovare il modo di far quadrare i conti. Per questo resta la forte richiesta di introdurre strumenti di finanziamento comune, siano essi Eurobond o una sorta di Recovery per la Difesa, gli unici che consentirebbero di investire in progetti comunitari: «Se aumentassimo le spese militari soltanto attraverso maggiori spese nazionali – sbotta una fonte diplomatica – allora non risolveremmo il problema della frammentazione».
(da La Stampa)
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