Marzo 8th, 2025 Riccardo Fucile
LA SENTENZA CREA UN PRECEDENTE E POTREBBE COSTARE MILIONI DI EURO… NON E’ UN PROBLEMA, BASTA FARLI PAGARE AL O AI RESPONSABILI AL GOVERNO E PIGNORARE LORO I BENI
La sentenza della Corte di Cassazione sul caso Diciotti ha stabilito le 41 persone migranti che
avevano fatto ricorso dovranno essere risarcite per i danni subiti. Dal 16 al 25 agosto del 2018, alla nave fu impedito di sbarcare dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. In questo modo però il governo privò le persone a bordo della loro libertà, e ora è tenuto a un risarcimento. Che potrebbe essere simbolico, nell’importo, ma anche arrivate a pesare milioni di euro.
Il caso, come detto, risale a quasi sette anni fa. A bordo della nave Diciotti della Marina militare c’erano 177 persone, tra cui parecchi minorenni, ma solamente 41 persone, tutte eritree, hanno portato avanti la causa che ieri ha avuto ragione dalla Cassazione.
La decisione è stata criticata dal governo Meloni con toni durissimi, a partire dalla stessa presidente del Consiglio, fino alla Lega. Tanto che la prima presidente della Corte, Margherita Cassano, ha risposto con una nota ufficiale: “Inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri”.
Quanto varrà il rimborso per le persone migranti a bordo della nave Diciotti
Adesso, nonostante le proteste del governo, il rimborso dovrà essere quantificato. E a farlo sarà un tribunale civile. La Cassazione, infatti, non si occupa della decisione specifica nel dettaglio: con la sua sentenza ha semplicemente stabilito il principio che impedire lo sbarco non fu un atto politico (su cui ci sarebbe stata ampia libertà di manovra), ma un atto amministrativo.
Questo significa che le persone migranti avevano tutto il diritto di chiedere i danni, come tutti i cittadini che subiscono un torto da parte della pubblica amministrazione. Anche perché l’obbligo di soccorso in mare è “il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano”, perciò tutelare i naufraghi avrebbe dovuto essere la priorità.
Ci sono 41 persone da rimborsare per i danni non patrimoniali, per quasi dieci giorni in cui sono state di fatto private della libertà, dato che gli è stato impedito di sbarcare. Tutto dipenderà dalle valutazioni del singolo tribunale civile. È possibile che venga assegnato un risarcimento simbolico. Oppure, secondo alcune stime, si potrebbe arrivare a una somma tra i 40mila e i 70mila euro a testa.
In quest’ultimo caso si andrebbe a sfiorare un pagamento complessivo da tre milioni di euro.
Perché la sentenza rischia di essere un precedente pericoloso per il governo
C’è poi una questione più ampia dell’importo del risarcimento, e che potrebbe preoccupare il governo: la possibilità che questo caso diventi un precedente. Non era mai arrivata una sentenza di questo tipo, e certamente non dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione.
Nel sistema italiano, a differenza di altri, le decisioni della corte suprema non diventano ‘legge’. Tuttavia, dato che tutte le cause possono arrivare al massimo fino alla Cassazione, la decisione ha un certo peso soprattutto quando la corte si esprime a sezioni unite significa che anche altri casi simili, se arrivassero fino al terzo grado, potrebbero ottenere lo stesso risultato.
Insomma, se altre persone migranti a cui è stato impedito lo sbarco chiedessero un risarcimento, oggi, anche se il tribunale e la corte d’appello gli dessero torto, la richiesta arriverebbe poi alla Corte di Cassazione. E qui, se si dovesse seguire lo stesso principio che bloccare gli sbarchi è un atto amministrativo e non politico, si aprirebbe la porta al rimborso. Insomma, non si tratta di una garanzia, ma non si può escludere che il risarcimento del caso Diciotti non sarà l’ultimo.
(da Fanpage)
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Marzo 8th, 2025 Riccardo Fucile
SECONDO “IL NEW YORK TIMES” IL SEGRETARIO DI STATO, INCAZZATISSIMO, HA ACCUSATO IL KETAMINICO DI AVER SMANTELLATO L’AGENZIA DEGLI STATI UNITI PER LO SVILUPPO INTERNAZIONALE, L’USAID, CHE RICADE SOTTO LA SUA GIURISDIZIONE: “MUSK NON DICE LA VERITÀ. LICENZIARE PERSONE E’ IL SUO SPETTACOLINO” – ELON: “SONO MILIARDARIO, I MIEI RISULTATI PARLANO, TU SEI BRAVO SOLO IN TV”
Marco Rubio era molto arrabbiato. Si trovava nella sala del Gabinetto della Casa Bianca, segretario di Stato, seduto accanto al Presidente e stava ascoltando una litania di attacchi da parte dell’uomo più ricco del mondo
Seduto di fronte, dall’altra parte del tavolo ellittico di mogano, Elon Musk stava dando addosso a Rubio, accusandolo di non aver tagliato il suo personale.
Lei non ha licenziato “nessuno”, ha detto Musk a Rubio, aggiungendo poi sprezzantemente che forse l’unica persona che aveva licenziato era un membro dello staff del Dipartimento per l’efficienza del governo di Musk.
Rubio è furioso con il Musk per settimane, da quando il suo team ha effettivamente chiuso un’intera agenzia che si supponeva fosse sotto il controllo di Rubio: l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale. Ma nella straordinaria riunione di gabinetto di giovedì, di fronte al Presidente Trump e ad altre 20 persone – i cui dettagli non sono stati resi noti in precedenza – Rubio ha sfogato le sue rimostranze.
Musk non è stato sincero, ha detto Rubio. E gli oltre 1.500 funzionari del Dipartimento di Stato che sono andati in pensione anticipata? Non contavano come licenziamenti? Ha chiesto, con sarcasmo, se Musk volesse che lui riassumesse tutte quelle persone solo per poter dare spettacolo licenziandole di nuovo. Poi ha esposto i suoi piani dettagliati per riorganizzare il Dipartimento di Stato.
Musk non è rimasto colpito. Ha detto a Rubio che era “bravo in TV”, con il chiaro sottinteso che non era bravo per molto altro. In tutto questo, il presidente è rimasto seduto sulla sedia, a braccia conserte, come se stesse guardando una partita di tennis.
Dopo che la discussione si è trascinata per un tempo scomodo, Trump è infine intervenuto per difendere Rubio che sta facendo un “ottimo lavoro”. Il Presidente ha detto che Rubio ha molto da fare. È molto impegnato, è sempre in viaggio e in TV, e ha un’agenzia da gestire. Quindi tutti devono lavorare insieme”
L’incontro ha rappresentato un potenziale punto di svolta dopo le frenetiche prime settimane del secondo mandato di Trump. Ha dato la prima indicazione significativa che Trump è disposto a porre dei limiti a Musk, i cui sforzi sono diventati oggetto di diverse azioni legali e hanno suscitato le preoccupazioni dei legislatori repubblicani, alcuni dei quali si sono lamentati direttamente con il presidente.
I funzionari di gabinetto apprezzano quasi uniformemente il concetto di ciò che Musk si è prefissato di fare – ridurre gli sprechi, le frodi e gli abusi nel governo – ma si sono sentiti frustrati dall’approccio da sega elettrica per stravolgere il governo e dalla mancanza di un coordinamento coerente.
L’incontro di giovedì, programmato improvvisamente mercoledì sera, è stato un segno che Trump era consapevole delle crescenti lamentele. Ha cercato di offrire qualcosa a entrambe le parti, elogiando sia Musk che i suoi segretari di gabinetto. (Almeno uno, il Segretario al Tesoro Scott Bessent, che ha avuto incontri tesi con il team di Musk, non era presente). Il Presidente ha chiarito di sostenere ancora la missione dell’iniziativa di Musk. Ma ora è il momento, ha detto, di essere un po’ più raffinato nel suo approccio.
D’ora in poi, ha detto, i segretari saranno al comando; il team di Musk si limiterà a dare consigli.
Non è chiaro quale sarà l’impatto a lungo termine dell’incontro. Musk rimane il più grande sostenitore politico di Trump – proprio questa settimana il suo super PAC ha mandato in onda annunci per un milione di dollari con la scritta “Grazie, Presidente Trump” – e il controllo di Musk sul sito web di social media X ha fatto sì che i membri dello staff dell’amministrazione e i segretari di gabinetto temessero di essere presi di mira in pubblico
Ma se non altro, la sessione ha messo a nudo le tensioni all’interno della squadra di Trump, e la notizia dei forti scontri si è diffusa rapidamente tra i ranghi delle agenzie di gabinetto dopo la sua conclusione. Questo resoconto si basa su interviste con cinque persone a conoscenza dei fatti.
In un post sui social media dopo l’incontro, Trump ha dichiarato che la prossima fase del suo piano di riduzione della forza lavoro federale sarà condotta con il “bisturi” piuttosto che con l’“ascia” – un chiaro riferimento all’approccio “terra bruciata” di Musk.
Musk, che alla riunione di giovedì ha indossato giacca e cravatta invece della solita maglietta dopo che Trump lo aveva pubblicamente criticato per il suo aspetto trasandato, si è difeso affermando di avere tre aziende con una capitalizzazione di mercato di decine di miliardi di dollari e che i suoi risultati parlavano da soli.
Ma ben presto si è scontrato con i membri del gabinetto.
Pochi istanti prima della lite con Rubio, Musk e il segretario ai trasporti, Sean Duffy, si sono confrontati sullo stato delle apparecchiature dell’Amministrazione federale dell’aviazione per la localizzazione degli aeroplani e su quale tipo di soluzione fosse necessaria. Howard Lutnick, segretario al Commercio, è intervenuto per sostenere Musk.
Duffy ha detto che il giovane staff del team di Musk sta cercando di licenziare i controllori del traffico aereo. Cosa dovrei fare? Ha detto Duffy. Ho diversi incidenti aerei da gestire e i suoi collaboratori vogliono che licenzi i controllori di volo?
Duffy ha detto che non c’erano nomi, perché aveva impedito che venissero licenziati. In un altro momento, Musk ha insistito sul fatto che nelle torri di controllo lavorano persone assunte nell’ambito di programmi di diversità, equità e inclusione. Duffy ha ribattuto e Musk non ha aggiunto dettagli, ma durante il lungo botta e risposta ha detto che Duffy aveva il suo numero di telefono e che avrebbe dovuto chiamarlo se avesse avuto problemi da sollevare.
Lo scambio si è concluso con Trump che ha detto a Duffy che doveva assumere persone del M.I.T. come controllori del traffico aereo. Questi controllori del traffico aereo devono essere “geni”, ha detto.
Il segretario agli Affari dei veterani, Doug Collins, ha affrontato una delle sfide politicamente più delicate di tutti i segretari di gabinetto. I tagli di Musk colpiranno migliaia di veterani – un potente gruppo di elettori e una parte fondamentale della base di Trump. Collins ha sottolineato che non si deve brandire uno strumento spuntato e tagliare fuori tutti i veterani dal V.A. È necessario essere strategici. Trump si è detto d’accordo con Collins, affermando che dovrebbero trattenere quelli intelligenti e sbarazzarsi di quelli cattivi.
In risposta a una richiesta di commento da parte del New York Times, Karoline Leavitt, addetta stampa della Casa Bianca, ha dichiarato: “Come ha detto il Presidente Trump, questo è stato un grande e produttivo incontro tra i membri della sua squadra per discutere le misure di riduzione dei costi e del personale in tutto il governo federale. Tutti stanno lavorando come una squadra per aiutare il Presidente Trump a mantenere la sua promessa di rendere il nostro governo più efficiente”.
Tammy Bruce, portavoce del Dipartimento di Stato, ha risposto: “Il Segretario Rubio ha considerato l’incontro una discussione aperta e produttiva con una squadra dinamica che è unita nel raggiungere lo stesso obiettivo: rendere l’America di nuovo grande”.
Un portavoce del Dipartimento degli Affari dei Veterani ha dichiarato: “Come ha detto il Presidente Trump, è importante aumentare l’efficienza e ridurre la burocrazia mantenendo i migliori e più produttivi dipendenti federali. Il V.A. sta lavorando con il DOGE e il resto dell’amministrazione per fare proprio questo”.
In un post su X di venerdì, Duffy ha elogiato Trump e il lavoro che il team di Musk sta svolgendo, affermando che si è trattato di una riunione di gabinetto efficace. Ha aggiunto che “il Dipartimento DEI della FAA è stato eliminato il secondo giorno” e che “l’approccio di Trump, che prevede l’uso del bisturi anziché dell’accetta e un migliore coordinamento tra i segretari e il Dipartimento, è l’approccio giusto per rivoluzionare il modo in cui viene gestito il nostro governo”
Musk, che in seguito ha dichiarato su X che la riunione di gabinetto è stata “molto produttiva”, è sembrato molto meno entusiasta all’interno della stanza. Si è difeso in modo aggressivo, ricordando ai segretari di gabinetto che ha costruito diverse aziende da miliardi di dollari e che sa come assumere persone valide.
La maggior parte dei membri del gabinetto non si è unita alla mischia. La rabbia di Musk nei confronti di Rubio, in particolare, è sembrata cogliere di sorpresa i presenti nella stanza, come ha dichiarato una persona a conoscenza dell’incontro. Un’altra persona ha detto che le risposte caustiche di Musk a Duffy e Rubio sembravano dissuadere altri membri del gabinetto, molti dei quali si sono lamentati privatamente del team di Musk, dal parlare. Ma resta da vedere quanto durerà questo nuovo accordo.
(da New York Times)
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Marzo 8th, 2025 Riccardo Fucile
LA PREMIER CHIEDE A “THE DONALD” L’OMBRELLO DELL’ARTICOLO 5 DELL’ALLEANZA ATLANTICA PER KIEV E GLI EUROPEI. MA IL TYCOON CONTINUA A NON RICONOSCERE BRUXELLES COME UN PARTNER CENTRALE. E TRATTA PUBBLICAMENTE SOLO CON MACRON E STARMER
Giorgia Meloni è convinta che i ripetuti attacchi di Donald Trump non abbiano ancora
mandato in frantumi il ponte tra Bruxelles e Washington. È per questo che negli ultimi giorni la premier prima ha riattivato il canale personale che la lega al tycoon, poi ha provato a propiziare l’invio di un messaggio da parte del Consiglio europeo.
Dopo la telefonata che ha preceduto il vertice di Londra di domenica scorsa, Meloni ha infatti avuto un ulteriore breve colloquio a inizio settimana, prima di volare a Bruxelles. Da lì, giovedì, ha provato ad inserire nelle conclusioni un riferimento agli sforzi compiuti dagli Stati Uniti per raggiungere la pace in Ucraina. Un tentativo condotto senza successo. Con grande delusione di Meloni che, piccata, secondo i resoconti dei presenti, avrebbe rimproverato i colleghi per un approccio troppo poco pragmatico in una fase così delicata. La premier si è ritrovata quasi da sola, con a darle man forte Viktor Orbán.
L’ungherese è peraltro l’unico leader, assieme alla svedese Ulf Kristersson, con cui Meloni ha avuto un colloquio informale a margine del summit. In ogni caso il blitz italiano è stato respinto e i Ventisette hanno invece sostenuto una versione più generica del testo, salutando «tutti gli sforzi per il raggiungimento della pace».
Meloni invocava un segnale che tenesse in vita quello che alla premier pare l’unico spiraglio in grado di garantire il futuro ucraino dopo un’eventuale cessate il fuoco: fare rientrare Kiev nell’articolo 5 della Nato anche senza un ingresso ufficiale nell’Alleanza, garantendo la risposta atlantica in caso di nuovi attacchi russi. Una proposta che il portavoce del ministero degli Esteri Heorhii Tykhyi ha definito «interessante», confermando «contatti con i colleghi italiani». Non è chiaro, invece, quanto la spinta di Meloni sia frutto di una sua mossa volta a ridimensionare lo slancio franco-britannico, o quanto sia frutto di una disponibilità americana.
Certo è che la premier continua a lavorare per un incontro faccia a faccia con il tycoon. Fonti Usa confermano che la missione dovrebbe tenersi tra la fine di marzo e l’inizio di aprile. Magari prima che si riunisca la ministeriale Esteri della Nato, dove Emmanuel Macron potrebbe tornare ad aumentare la pressione per un’azione europea.
Intanto la rivalità con il francese ieri è tornata oltre il livello di guardia. Stavolta, ad aumentare la tensione con l’Eliseo, ci ha pensato Matteo Salvini, sfiorando l’incidente diplomatico. Il vicepremier ha dato del «matto» a Macron, reo di parlare di «guerra nucleare»
Meloni vive una rivalità con Macron che si è intensificata in queste settimane di scontri tra l’Ue e Trump. Sebbene abbia aperto platealmente all’ipotesi di inviare truppe europee in Ucraina sotto mandato dell’Onu, e sebbene il Capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano, parteciperà al vertice della “coalizione dei volenterosi” martedì a Parigi, la premier continua a escludere «per il momento» di inviare soldati italiani. Punto, quest’ultimo, su cui ieri è arrivata dal Giappone la frenata del Capo dello Stato Sergio Mattarella: «Se non sono neppure cominciati i negoziati di pace, parlare di soluzioni per il dopo conflitto è totalmente fuori dal momento».
(da la Stampa)
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Marzo 8th, 2025 Riccardo Fucile
IL GIUDICE SARPIETRO CHE AVEVA ASSOLTO SALVINI: “I MIGRANTI DI OPEN ARMS POTREBBERO RIVOLGERSI AL GIUDICE CIVILE, UN BEL PROBLEMA PER IL GOVERNO”
La decisione della Corte di Cassazione sul caso Diciotti «apre un’autostrada ai risarcimenti di centinaia e centinaia di migranti». L’ordinanza del Palazzaccio ha ribaltato il giudizio della Corte d’Appello di Roma. E riconosce il diritto al risarcimento del danno a uno dei cittadini eritrei bloccati per dieci giorni sulla nave militare nell’estate del 2018. Prima in mezzo al mare e poi al molo di Catania. La cifra del risarcimento è di 160 euro al giorno, e quindi 1600 per dieci giorni più le spese legali. Ma secondo Nunzio Sarpietro, già presidente dei Gip di Catania, la sentenza permetterà di presentare ricorsi «a tutti quelli che, come nel caso della Diciotti, sono stati trattenuti per giorni e giorni a bordo delle navi militari o private che li hanno salvati».
I risarcimenti ai migranti
Sarpietro è il giudice che ha assolto Matteo Salvini nel caso Gregoretti, del tutto analogo a quello della Diciotti. E oggi a Repubblica spiega quali saranno le conseguenze della decisione: «Pensi solo cosa potrebbe avvenire se i migranti trattenuti a bordo della Open Arms, quelli sì per tanti e tanti giorni, si rivolgessero al giudice civile per il risarcimento dei danni, come appunto hanno fatto quelli della Diciotti. Per il governo è davvero un bel problema e le nuove norme che separano il giudicato penale da quello civile di certo non aiutano».
Anche se Salvini è stato finora sempre assolto, sia a Catania che a Palermo in primo grado: «Ma questo non incide. Sono tutti casi assimilabili anche se credo che nel caso della Diciotti così come in quello Open Arms, tenendo i migranti fermi a bordo più di 10 giorni, si esagerò. Ma il pronunciamento della Cassazione civile rischia di avere un impatto devastante».
La sicurezza nazionale
Il giudice spiega anche la sua decisione su Salvini: «C’erano tutta una serie di decreti interministeriali che regolavano prassi operative a cui partecipavano tutti, compresi i vertici delle forze dell’ordine e della Guardia costiera, che consentivano al Viminale di mantenere i migranti a bordo fino a quando l’Europa non avesse preso impegni concreti per il loro ricollocamento. Funzionava così quando al Viminale c’era Salvini ma anche dopo con la Lamorgese. E c’era la partecipazione politica alla decisione di tutte le altri componenti del governo».
(da agenzie)
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Marzo 8th, 2025 Riccardo Fucile
IL LEGALE: “IL MIO CLIENTE CHIEDE GIUSTIZIA, NON SOLDI, AVEVA DIRITTO AL DIRITTO DI ASILO CHE INFATTI GLI E’ STATO RICONOSCIUTO IN GRAN BRETAGNA, DOVE ORA VIVE E LAVORA”
È soddisfatto, certo, ma anche amareggiato, quasi incredulo: “In questo Paese regna
l’ignoranza, al momento non c’è alcun risarcimento: la Cassazione ha solo confermato che un atto che incide sui diritti fondamentali non può essere un atto politico sottratto al controllo giurisdizionale e che le persone private illegittimamente della libertà personale hanno diritto al risarcimento”, dice l’avvocato Alessandro Ferrara, che due giorni fa ha ottenuto dalle Sezioni Unite della Cassazione un’ordinanza che, ribaltando il giudizio della Corte d’appello di Roma, riconosce il diritto al risarcimento del danno a uno dei cittadini eritrei bloccati per dieci giorni sulla nave militare Diciotti nell’estate del 2018. Prima in mezzo al mare e poi sul molo di Catania, circondati da uomini armati.
Da due mesi al Viminale c’era Matteo Salvini che chiudeva i porti, non solo alle odiate Ong, ma pure alle navi della Marina Militare che avevano soccorso i migranti. Governo Conte-1, M5S-Lega. Gli altri 40 eritrei che a suo tempo chiesero i danni, due anche per i figli minori bloccati sulla Diciotti con loro, dopo le sberle prese in primo e secondo grado hanno rinunciato alla Cassazione. Il risarcimento non lo vedranno neanche col binocolo, come gli altri bloccati sulla nave, mentre maggioranza e opposizione ieri si accapigliavano a suon di “paghino i giudici” e “paghi Salvini”, con qualcuno che diceva “paghi anche Conte”. Se ci sarà da pagare saranno al massimo 1.600 euro, 160 per dieci giorni, più le spese legali.
Il giovane eritreo, che oggi ha passato i 40 anni e vive nel Regno Unito, ha poi ottenuto l’asilo come tanti altri connazionali. In Eritrea c’è una dittatura. “L’hanno riconosciuto come una persona estremamente vulnerabile, anche per quello che gli era successo in Italia. E ora chiede giustizia – spiega Ferrara –, non soldi. L’ho avvertito della decisione della Cassazione ma non sono ancora riuscito a parlarci, se vorrà torneremo davanti alla Corte d’appello di Roma che stabilirà il risarcimento: 160 euro per ogni giorno di detenzione, dunque dieci o in subordine sei”, a seconda che calcolino solo i giorni trascorsi in porto o anche quelli passati in mare prima che Salvini li facesse entrare in porto. A Catania ci fu anche una grande manifestazione per liberarli. “Quando finalmente li hanno fatti sbarcare li hanno mandati a Roma – racconta l’avvocato Ferrara, che fa parte del team di Legal Aid-Diritti in movimento –, noi li abbiamo incontrati nel centro Baobab sulla via Tiburtina. Erano terrorizzati, in Italia non hanno mai chiesto asilo dopo quello che avevano vissuto. Appena hanno potuto sono spariti e quasi tutti hanno ottenuto l’asilo: in Belgio, in Francia, in Germania, nel Regno Unito. Temevano che anche fare ricorso pregiudicasse il permesso di soggiorno ottenuto”. C’è un ricorso anche alla Corte europea dei diritti umani che si trascina da anni.
La storia conviene ricordarla. L’avvistamento a Ferragosto del barchino con 190 persone a bordo in acque sotto la responsabilità maltese, l’intervento delle motovedette e del pattugliatore Diciotti, lo scontro con Malta, lo sbarco di minori non accompagnati e malati a Lampedusa, il porto assegnato a Catania e poi lo stallo, gli sbarchi alla spicciolata, le trattative con i partner Ue per ricollocare qualcuno qua e là, fino alla soluzione il 26 agosto. Salvini fu indagato per sequestro di persona dopo che l’allora Garante dei detenuti Mauro Palma era andato a vedere la situazione, gli atti da Palermo passarono a Catania, il procuratore etneo Carmelo Zuccaro chiese l’archiviazione ma il Tribunale dei ministri la negò e chiese l’autorizzazione a procedere, ma la Giunta del Senato la negò perché era stato appunto un “atto politico”, non sindacabile.
Su questa stessa base il Tribunale di Roma nel 2019 ha respinto il ricorso, la Corte d’appello nel 2024 ha fatto lo stesso ma con altra motivazione: mancava la prova del danno e quella della colpa delle pubbliche amministrazioni. E mercoledì si è pronunciata la Cassazione: a Sezioni unite perché si discuteva anche della giurisdizione ordinaria o amministrativa, ma con ordinanza e cioè senza nemmeno tenere pubblica udienza.
La Suprema Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno causato dalla “illegittima restrizione” della libertà personale “in violazione dell’articolo 13 della Costituzione”. “L’azione del governo, ancorché motivata da ragioni politiche – scrive il relatore Emilio Iannello – non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Marzo 8th, 2025 Riccardo Fucile
UNA DECISIONE OBBLIGATA: L’ESERCITO RUSSO CONTA 1,3 MILIONI DI MILITARI, IN CASO DI GUERRA, SERVE PREPARARSI – VARSAVIA VUOLE AUMENTARE ANCORA LE SPESE MILITARI (SPENDE GIÀ IL 4,7% DEL PIL, LA PERCENTUALE PIÙ ALTA DELLA NATO)
Il premier polacco Donald TUSK ha annunciato l’intenzione di introdurre un addestramento militare obbligatorio per tutti gli uomini adulti del Paese, nell’ambito di un piano volto a rafforzare la difesa nazionale e ad aumentare il numero di riservisti.
“Cercheremo di avere un modello pronto entro la fine dell’anno, in modo che ogni uomo adulto in Polonia sia addestrato in caso di guerra, così da garantire che le nostre forze di riserva siano adeguate e proporzionate alle potenziali minacce”, ha dichiarato Tusk in un discorso alla Sejm, la camera bassa del parlamento polacco.
Tusk ha sottolineato la necessità di ampliare le dimensioni dell’esercito polacco. Attualmente le forze armate contano circa 200.000 effettivi, ma l’obiettivo del governo è di portarle a 500.000, compresi i riservisti.
A titolo di confronto, il premier ha ricordato che l’esercito ucraino conta 800.000 soldati, mentre quello russo arriva a circa 1,3 milioni. “Se organizziamo tutto in modo intelligente, e ne parlo costantemente con il ministro della Difesa, dovremo adottare diverse strategie.
Questo significa puntare sui riservisti, ma anche su un addestramento intensivo, in modo che chi non entra nell’esercito sia comunque un soldato competente e pronto in caso di conflitto”, ha spiegato, senza escludere che anche le donne possano essere sottoposte a un addestramento militare obbligatorio, ma ha aggiunto che “la guerra è ancora, in larga misura, un dominio maschile”
Il premier ha inoltre espresso il suo sostegno all’uscita della Polonia dalla Convenzione di Ottawa, che vieta l’uso delle mine antiuomo, e ha dichiarato di voler valutare anche un’eventuale uscita dalla Convenzione di Dublino, che proibisce l’uso delle munizioni a grappolo. Ha specificato che consulterà il ministro della Difesa prima di prendere una decisione definitiva.
TUSK ha ribadito la necessità di incrementare ulteriormente le spese militari, proponendo di destinare il 5% del Pil alla Difesa. Quest’anno, il governo ha già stanziato il 4,7% del Pil, la percentuale più alta tra i Paesi membri della Nato. In precedenza, il presidente polacco Andrzej Duda aveva proposto di modificare la Costituzione per rendere obbligatoria una spesa minima del 4% del Pil per la Difesa. La Polonia continua a rafforzare le proprie capacità militari in risposta alle crescenti preoccupazioni sulla sicurezza regionale, soprattutto in seguito all’invasione russa dell’Ucraina
(da agenzie)
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Marzo 8th, 2025 Riccardo Fucile
L’ALLARME DELLA AGENZIA ONU
I diritti delle donne sono arretrati in un Paese su quattro nell’ultimo anno: è l’inquietante
stima di UN Women, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa delle donne, che per il trentesimo anniversario della conferenza di Pechino, che nel 1995 produsse una strategia globale adottata da 189 governi per raggiungere la parità di genere, ha valutato l’impatto di queste politiche in un lungo e dettagliato report.
Negli ultimi trent’anni sono stati raggiunti parecchi obiettivi, ma la strada è ancora lunga, e per questo l’Onu rilancia una nuova strategia, Pechino +30, che individua sei aree di intervento: chiudere il digital gender gap, mettere le donne al centro di uno sviluppo economico sostenibile, porre fine alla violenza di genere, rafforzare la leadership femminile, aumentare la responsabilità nell’azione umanitaria e lottare per la giustizia climatica. Il tutto con un diretto coinvolgimento delle generazioni più giovani.
Per valutare l’implementazione della Dichiarazione di Pechino, l’Onu ha chiesto a tutti i Paesi firmatari di inviare prova dei risultati raggiunti: anche se dal 1995 a oggi sono state approvate a livello globale 1,531 riforme per raggiungere la parità di genere a livello giuridico, le donne possiedono soltanto il 64% dei diritti degli uomini. Sebbene la rappresentanza politica femminile sia raddoppiata nel corso degli ultimi trent’anni, tre quarti dei membri dei parlamenti di tutto il mondo sono maschi e solo il 63% delle donne tra i 25 e i 54 anni lavora, contro il 92% degli uomini. Ragazze e bambine continuano a soffrire le conseguenze peggiori delle situazioni di povertà e dei conflitti mondiali e si stima che ogni dieci minuti una donna o una bambina venga uccisa da un familiare.
Secondo il segretario delle Nazioni Unite António Guterres non ci sono dubbi: “I diritti umani delle donne sono sotto attacco e anziché assistere alla popolarizzazione dei diritti delle donne, assistiamo a quella della misoginia”. Guteres nelle sue dichiarazioni ha fatto riferimento al “gender mainstreaming”, una delle strategie chiave della conferenza di Pechino, che mirava a rendere l’attenzione per la parità di genere un fattore organico in tutte le decisioni politiche. Suo malgrado, il gender mainstreaming diede anche origine alla teoria del complotto sulla cosiddetta “ideologia gender” che è più in forma che mai: uno dei primi ordini esecutivi firmati da Trump parlava proprio di “difendere le donne dall’ideologia gender estremista”.
Anche secondo il report di UN Women “attori contrari ai diritti stanno attivamente indebolendo il consenso [dell’opinione pubblica] su questioni cruciali per i diritti delle donne. Dove non riescono a far indietreggiare del tutto le conquiste legali e politiche, cercano di impedirne o rallentarne l’implementazione”. Una delle aree più fragili riguarda i diritti sessuali e riproduttivi: non solo gli Stati Uniti sono tornati indietro sull’aborto ribaltando la sentenza Roe v. Wade del 1973, ma Trump ha interrotto tutti i finanziamenti dell’agenzia per lo sviluppo internazionale USAID, che tra le altre cose si occupava anche di contraccezione e pianificazione familiare nei Paesi in via di sviluppo. La Corte Suprema per il momento ha ordinato all’amministrazione di ripristinare i fondi destinati a contratti già appaltati, anche se il futuro dell’agenzia resta incerto. Già solo questo rischia di minare uno dei pochi successi riconosciuti da UN Women, ovvero il calo dei tassi di mortalità materna, connesso anche all’accesso all’interruzione di gravidanza. Soltanto negli Usa il tasso di mortalità durante la gravidanza è raddoppiato tra il 2018 e il 2022 e diversi scienziati hanno espresso preoccupazione sull’eventuale sospensione della raccolta di questi dati alla luce degli ultimi provvedimenti di Trump.
Per le Nazioni Unite, il backlash è alimentato anche dalla progressiva normalizzazione della misoginia, soprattutto online e nei confronti di donne esposte nella sfera pubblica, come politiche, giornaliste e attiviste. E se il contrasto alla violenza di genere rappresenta, almeno sulla carta, uno degli ambiti di maggiore impegno per i Paesi che hanno risposto all’indagine, mancano ancora strumenti efficaci sia per tutelare le vittime dell’odio sessista online, sia per prevenire la diffusione del fenomeno.
Se da un lato la nuova strategia Pechino +30 rappresenta una speranza nello scenario attuale, dall’altro il report ribadisce più volte come l’arretramento dei diritti delle donne sia una spia dell’indebolimento delle democrazie. Quando fu raggiunto l’accordo nel 1995, pochi anni dopo la fine della Guerra Fredda, si credeva di aver inaugurato una nuova stagione di pace e prosperità di cui le donne dovevano essere protagoniste. Trent’anni dopo non solo non si può che constatare che le cose non sono andate proprio così, ma che potrebbero andare anche peggio.
(da Fanpage)
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Marzo 8th, 2025 Riccardo Fucile
ALTRA GRANA: I PENSIONATI, COME IL PRESIDENTE DI “ITA AIRWAYS”, SANDRO PAPPALARDO, NON POSSONO RICOPRIRE INCARICHI RETRIBUITI. CASO SIMILE ALL’ENAC, CON L’AVVOCATO PIERLUIGI DI PALMA
La nomina di Gianpiero Strisciuglio entra in conflitto con una normativa europea. Come scriveva ieri sul “Foglio” Simone Canettieri: “Il decreto legislativo 112/2015, che recepisce una normativa europea, vieta il passaggio diretto tra un’azienda che gestisce l’infrastruttura (Rfi) e una che la utilizza (Trenitalia).
La regola esiste per un motivo banale: evitare conflitti di interesse. In un carteggio tra Mef e Mit, il dicastero di Via XX Settembre nelle scorse settimane ha messo in allerta Salvini sulla fattibilità dell’operazione. E si è arrivati così alla stretta finale dei pareri pro veritate richiesti dalle società interessate.
Quello commissionato dal collegio dei sindaci di Trenitalia allo studio Ubertazzi, e visionato dal Foglio, ritiene “incompatibile” la nomina di Strisciuglio per via delle normative italiane ed europee per via anche delle leggi sulla concorrenza. Tanto che la nomina tecnicamente “è impugnabile”.
Questo parere – 40 pagine – è arrivato ieri l’altro sulla scrivania di Salvini. Il quale attraverso Rfi ne ha voluto un altro, redatto da Deloitte, che al contrario darebbe l’ok all’operazione”.
Salvini se ne fotte e tira dritto. Ma è solo il primo dei tanti conflitti che il Governo si troverà ad affrontare con Bruxelles.
Un altro problema riguarda la remunerazione dei pensionati piazzati al vertice delle società partecipate. Tutta “colpa” della legge Madia del 2012, che impedisce a chi è in “quiescenza” di ricevere incarichi retribuiti dalla Pubblica amministrazione
Ad esempio, il Presidente di Ita, Sandro Pappalardo, è pensionato e non può ricoprire l’incarico se non a titolo gratuito. Come ha riportato Carlo di Foggia sul “Fatto quotidiano”, due giorni fa, l’ad “non ha ancora potuto percepire lo stipendio che – stando a quanto filtra – sarebbe da colosso quotato in Borsa: circa 500 mila euro, tra parte fissa e variabile”.
“Il pasticcio della pensione – scrive di Foggia – è scattato quasi subito, al punto che il Mef ha dovuto chiedere un parere all’Avvocatura dello Stato per sapere se Pappalardo possa ricevere il suo (sontuoso) stipendio, peraltro senza avere le deleghe di peso che aveva il predecessore. Il parere al momento non è ancora arrivato e quindi si resta nel limbo”.
Un caso simile riguarda l’Enac con l’avvocato Pierluigi Di Palma, nominato nel 2021 e ora pensionato. Del suo ricco emolumento da 135mila euro si sta occupando la Corte dei Conti.
(da agenzie)
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Marzo 8th, 2025 Riccardo Fucile
L’ATTACCO DI GRIMALDI: “DA REGOLAMENTO, L’ESECUTIVO AVREBBE DOVUTO ALMENO INDICARE IL MOTIVO DEL SILENZIO. INVECE DI MOTIVI NEANCHE L’OMBRA. DICONO NO E BASTA. È GRAVISSIMO”… SUL CASO SONO AL LAVORO TRE PROCURE
“Il governo non può rispondere”. Questa, riferiscono da Avs, la replica di Palazzo Chigi
all’interrogazione parlamentare presentata dal deputato Marco Grimaldi sul caso Paragon, quello dei giornalisti, dei preti e degli esponenti delle ong spiati. E il governo, nella nota in cui comunica la sua scelta di non rispondere all’ atto ispettivo di Grimaldi, fa appello all’articolo 131, primo comma del Regolamento
Ma in tale norma si prevede che, in caso di rifiuto, si debba sempre “indicare il motivo”. E invece, sottolineano in Avs, “di motivi neanche l’ombra. Dicono no e basta. Ed è gravissimo che il governo decida di non rispondere ad un’interrogazione parlamentare”
Nel testo, Grimaldi chiedeva di sapere “quale amministrazione” avesse “firmato l’atto di classificazione”; quale sia “il livello di segretezza” attribuito alla vicenda “considerato che per legge bisogna sempre specificarne la modulazione tra segretissimo, segreto, riservatissimo e riservato a seconda del grado di danno che la conoscenza di certe informazioni possono recare alla sicurezza nazionale” e infine “se non ritenga urgente fare chiarezza sull’intera vicenda”.
(da agenzie)
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