Marzo 10th, 2025 Riccardo Fucile
LA VICENDA RIGUARDEREBBE UN CONTRATTO DI LAVORO A DAVIDE MARSELLI, GESTORE DELLO STABILIMENTO BALNEARE DI AMEGLIA ‘SAN MARCO’, CHE SECONDO GLI INQUIRENTI TOTI E GIAMPEDRONE FREQUENTEREBBERO GRATUITAMENTE
Nuova indagine sull’ex presidente di Regione Liguria Giovanni Toti che risulta indagato, insieme all’assessore alla protezione civile Giacomo Giampedrone, per truffa ai danni dello Stato.
La notizia è riportata dal quotidiano Il Secolo XIX e riguarderebbe un contratto di lavoro, prima da co.co.co. e in un secondo momento da dipendente, il cui beneficiario sarebbe Davide Marselli, gestore dello stabilimento balneare di Ameglia ‘San Marco’. Secondo gli inquirenti Toti e Giampedrone frequenterebbero lo stabilimento gratuitamente.
L’indagine è stata aperta dalla procura di La Spezia e trasmessa ai colleghi di Genova. Toti, ricordiamo, ha da poco patteggiato una pena di due anni e tre mesi per corruzione impropria commutati in 1.620 di lavori socialmente utili che Toti sta scontando alla Lilt, la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori.
(da agenzie)
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Marzo 10th, 2025 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTO BLOCCA I FONDI PER IL GOVERNO E LE MILIZIE NON RICEVONO I LORO “FINANZIAMENTI”… IL GENERALE HAFTAR, DALLA CIRENAICA, HA DIMOSTRATO DI AVERE ANCORA IL POTERE DI DESTABILIZZARE IL PAESE
In Libia continua la fase di crescente instabilità politica, con dinamiche che ricordano lo
scenario del 2014, quando il paese si divise tra due poli di potere contrapposti. Oggi la situazione appare altrettanto frammentata, con un governo a Tripoli, guidato da Abdelhamid Dabaiba, e un Parlamento basato attualmente a Bengasi, che non riconosce più l’autorità dell’esecutivo tripolino
Il governo di Dabaiba è di fatto sostenuto da un mosaico di milizie, il cui unico legame con il potere centrale è di natura finanziaria (e simile al ricatto). Il sistema su cui si regge l’ordine a Tripoli non è basato su una struttura statale efficace, bensì su un delicato equilibrio tra gruppi armati, che ricevono pagamenti per garantire la sicurezza e mantenere il controllo del territorio. Tuttavia, la crisi finanziaria che colpisce il paese sta erodendo questa stabilità precaria.
Il nodo centrale è il controllo delle risorse finanziarie. Dabaiba ha macchinato per rimuovere il governatore della Banca Centrale Libica (CBL), Sadiq El Kabir, una figura che nel tempo era diventata essenziale, per mantenere una sorta di equilibrio tra le diverse fazioni. L’obiettivo del premier era sbloccare le pratiche per ottenere maggiori finanziamenti.
Tuttavia, nonostante il tentativo di sostituirlo sia andato a buon fine, la CBL continua a limitare il flusso di fondi destinati al governo. Questo blocco non è solo economico, ma sfocia nel campo politico, giuridico, istituzionale: il Parlamento deve approvare le spese governative, e non riconoscendo Dabaiba, impedisce di fatto lo stanziamento di nuovi finanziamenti per il budget del governo di Tripoli.
L’assenza di fondi colpisce direttamente le milizie, che non ricevendo i pagamenti a cui erano abituate, iniziano a manifestare segnali di insofferenza. La tensione si è già tradotta in episodi di violenza, come l’attentato del 12 febbraio contro Adel Jouma, ministro per i Cabinet Affairs e figura chiave nell’amministrazione Dabaiba. Questo episodio dimostra che lo scontento tra le milizie non è solo latente, ma può trasformarsi rapidamente in azioni armate contro lo stesso governo che dovrebbero proteggere.
In questo contesto, cresce il rischio che gruppi esterni – sia estremisti sia attori stranieri – approfittino della situazione per inserirsi nelle dinamiche libiche. Il rischio di infiltrazioni da parte di gruppi jihadisti non è trascurabile, soprattutto ai livelli più bassi delle milizie, dove la lealtà può facilmente essere comprata. Allo stesso tempo, potenze straniere potrebbero sostenere economicamente gruppi armati per orientare gli equilibri di potere nel paese a proprio vantaggio.
Oltre alla frammentazione militare, la Libia è anche bloccata da una paralisi istituzionale. L’Alto Consiglio di Stato, che dovrebbe rappresentare un’istituzione di raccordo nel processo politico, è diviso tra due fazioni: una guidata da Khaled Mishri, vicino alla Fratellanza musulmana, e l’altra da Mohammed Takala, uomo di Dabaiba.
La competizione tra i due si è trasformata in un braccio di ferro che impedisce qualsiasi progresso nel processo decisionale, con ricorsi e contro-ricorsi che bloccano l’attività del Consiglio.
Questa impasse ha conseguenze dirette sugli equilibri interni al paese, poiché le diverse fazioni politiche si appoggiano a gruppi armati per rafforzare la propria posizione. Il risultato è un ciclo di instabilità che alimenta ulteriormente il caos e rende impossibile ogni tentativo di normalizzazione politica.
Questo indebolimento potrebbe aprire la strada a nuove iniziative da parte delle forze rivali, come quelle guidate da Khalifa Haftar. Il generale Haftar, leader militare della Cirenaica, continua a esercitare una forte influenza sulla scena libica. La sua principale richiesta è quella di ottenere un posto in un nuovo governo nazionale, ma la sua figura resta altamente divisiva.
Da un lato, è sostenuto da attori internazionali come Mosca, che mantiene una presenza militare in Cirenaica attraverso l’ex Wagner Group e altri assetti russi – apparentemente in espansione, a detrimento del ruolo e dell’interesse italiano ed europeo. Dall’altro, è visto con ostilità dalle milizie tripoline, che non hanno dimenticato il suo tentativo di conquistare la capitale con la forza nel 2019-2020.
Recentemente, Haftar ha dimostrato di avere ancora la capacità di destabilizzare il paese, bloccando temporaneamente la produzione petrolifera per aumentare la pressione su Tripoli. Questa mossa ha un impatto non solo sulla Libia, ma anche sulle economie europee che dipendono dalle forniture energetiche libiche.
Nel frattempo, l’ONU sta cercando di mediare attraverso la missione guidata da Stephanie Koury, che ha l’obiettivo di elaborare una nuova legge elettorale. Tuttavia, il vero scopo dell’iniziativa sembra essere la creazione di un governo più rappresentativo dell’intero paese: un’impresa complessa, che dovrà fare i conti con la riluttanza degli attori locali a cedere potere.
Sulla costa occidentale, il governo di Dabaiba ha avviato operazioni per contrastare i traffici di migranti e carburante, ma si è scontrato con milizie ben organizzate che controllano queste attività. Le tensioni tra gruppi criminali e forze governative sono sfociate in scontri armati, seppur mitigati dall’intervento dei capi tribali locali. Tuttavia, la situazione rimane volatile e potrebbe deteriorarsi rapidamente.
Il traffico di migranti rimane una fonte di pressione per l’Italia, che si trova ad affrontare ondate migratorie incontrollate provenienti dalle coste libiche, anche se negli ultimi periodi le azioni messe in campo dal Governo italiano insieme al Governo di Tripoli sembrano aver limitato molto il flusso di migranti verso le coste italiane.
La Libia si conferma un dossier cruciale per la sicurezza dell’Italia e del Mediterraneo. La frammentazione politica, la dipendenza delle istituzioni dalle milizie, il ruolo ambiguo di attori internazionali e la pressione migratoria rendono il paese un campo di battaglia geopolitico con implicazioni dirette per Roma. La situazione richiede una strategia attenta e dinamica, per evitare che diventi nuovamente un epicentro di instabilità incontrollata.
(da agenzie)
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Marzo 10th, 2025 Riccardo Fucile
UN “EURO EYES” PER RENDERSI AUTONOMI DAGLI USA – IL CONCETTO DEGLI “OCCHI EUROPEI” RIMANDA AL NOME DELLA RETE DI SPIONAGGIO CONDIVISA TRA STATI UNITI, REGNO UNITO, CANADA, AUSTRALIA E NUOVA ZELANDA, IL COSIDDETTO “FIVE EYES”
Niente è escluso quando si tratta di riarmo europeo. Anche rompere il tabù dell’indebitamento e archiviare l’austerity che hanno segnato la stagione delle crisi dei debiti sovrani, purché si faccia presto. Ursula von der Leyen mantiene l’approccio volitivo sul piano battezzato ReArmEu. […] L’urgenza è motivata dai rischi: “I nostri valori europei, la democrazia, la libertà, lo Stato di diritto sono minacciati”.
Oggi si apre una settimana cruciale per l’Ue, con le riunioni della “coalizione dei volenterosi” per Kiev a Parigi: domani i capi di Stato maggiore e mercoledì i ministri della Difesa di Germania, Italia, Regno Unito e Polonia. Ma intanto nelle capitali europee l’idea dell’autonomia dagli Usa produce idee sempre più radicali. Ieri, nella Germania di Friedrich Merz, i vertici dei Servizi chiedono di costruire una rete di intelligence europea autonoma rispetto agli Usa, perché non si fidano della Casa Bianca di Donald Trump. Un “Euro eyes”, l’ha battezzata il presidente della commissione dei servizi del parlamento tedesco Konstantin von Notz ieri, parlando di “obbligo” di rendersi autonomi dagli Usa.
La Germania reagisce ai timori circolati in questi giorni di un possibile disimpegno militare dell’amminstrazione Trump nei confronti dell’Europa. Ma già a ottobre dell’anno scorso l’ex presidente finlandese Sauli Niinistö aveva proposto in un report, commissionato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, di creare un servizio di cooperazione di intelligence tutto europeo per contrastare le interferenze straniere. Si parlava già di ridurre la dipendenza dagli Usa, e Trump non era ancora stato eletto.
Il concetto degli “occhi europei” rimanda al nome della rete di spionaggio condivisa tra Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda, il cosiddetto “Five Eyes”. Anche qui, la Gran Bretagna sta ragionando di “accecare” un occhio e creare un sottogruppo a quattro escludendo gli Stati Uniti. L’idea non è solo tagliare fuori Washington da alcune informazioni, ma soprattutto evitare che possa mettere il veto su future operazioni decise a Londra.
(da agenzie)
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Marzo 10th, 2025 Riccardo Fucile
IL PARA-GURU E IL “DOGE” ELON SONO AGLI ANTIPODI: BANNON, PORTAVOCE DELL’AMERICA FIRST PER LA RISCOSSA ECONOMICA DEI COLLETTI BLU; MUSK, ALFIERE DEGLI INTERESSI DEI MILIARDARI A COLPI DI BITCOIN, FILOCINESE E “MANI DI FORBICE” DELLA CASA BIANCA
Dopo le indiscrezioni trapelate su uno scontro alla Casa Bianca tra Musk e il segretario di
Stato Usa Marco Rubio ma anche con altri membri del gabinetto – che sono state smentite dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump – sono arrivati duri attacchi di Steve Bannon al fondatore di ‘Space X’ e proprietario di ‘Tesla’ e ‘X’. Bannon, riferisce il ‘New York Times’, ha definito Musk “un intruso”, “un immigrato illegale parassita” e “una persona veramente malvagia”.
L’ex consigliere di Trump ha sostenuto inoltre che Musk “sta appesantendo” il presidente degli Stati Uniti. L’astio di lunga data tra Bannon e Musk, rileva il quotidiano Usa, “racchiude una tensione chiave al centro del movimento Make America Great Again di Trump. Mette in contrapposizione coloro che, come Bannon, vogliono che Trump porti avanti un’agenda più populista contro gli interessi degli ultra ricchi, rappresentati da Musk, che attualmente occupano posizioni chiave nell’orbita del presidente”
Trump, comunque, rileva il ‘Nyt’, “ha chiarito di voler mantenere entrambi gli uomini e i loro alleati all’interno del suo movimento, ma il disprezzo di Bannon per Musk è stato notato dal presidente. A metà febbraio, Trump ha chiesto a Bannon di smettere di attaccare Musk e ha chiesto, secondo quanto riferito da fonti, che i due uomini si incontrassero in privato”.
L’incontro, scrive il quotidiano, “non è ancora avvenuto e non è chiaro se e quando avverrà. Ma lo sforzo di Trump di mediare tra i due uomini riflette la consapevolezza del presidente che Bannon rappresenta un potente megafono con parti chiave della base Maga”. Musk, ricorda il ‘Nyt’, “ha avuto a che fare solo raramente con Bannon” ed è successo che a volte si sia irritato per gli attacchi dell’ex consigliere di Trump. “Bannon è un grande chiacchierone, ma non è un persona che agisce”, ha postato Musk su X il mese scorso. “Cosa ha fatto questa settimana? Niente”.
(da agenzi
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Marzo 10th, 2025 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DEL RASSEMBLEMENT NATIONAL, JORDAN BARDELLA: “LA RUSSIA È UNA MINACCIA MULTIDIMENSIONALE PER LA FRANCIA E PER GLI INTERESSI EUROPEI” E CITA LE INGERENZE RUSSE “DURANTE LA CAMPAGNA ELETTORALE”… CURIOSO, PER IL LEADER DI UN PARTITO CHE HA INCASSATO 9 MILIONI DI EURO DALLE BANCHE DI MOSCA
Il presidente del Rassemblement National (RN), Jordan Bardella, sottolinea che la Russia rappresenta ”una minaccia multidimensionale per la Francia” e per ”gli interessi europei”, ma si oppone ad una ”guerra latente” con una ”potenza nucleare’.
”La Russia è ovviamente una minaccia multidimensionale per la Francia e per gli interessi europei”, dichiara il segretario del Rassemblement National intervistato stamattina da radio France Inter, citando, in particolare, le ingerenze russe ”durante tutta la campagna elettorale” nonché la situazione ”nel Mar Nero dove le navi dell’esercito francese sono regolarmente nel mirino”.
”La questione fondamentale, è chiedersi se la Russia minaccia gli interessi francesi al punto da ritrovarsi in una situazione di faccia a faccia e di guerra con una potenza nucleare?”, prosegue Bardella, aggiungendo: “Difendo la sovranità territoriale dell’Ucraina ma credo che l’avvenire della Francia e dell’Europa non possa passare da una guerra latente con un potenza che è una potenza nucleare”.
Bardella avverte che la Russia è ”il più grande Paese al mondo che si ritrova da tre anni in un’alleanza rafforzata con il Paese più popoloso del mondo, la Cina”. Le parole del segretario RN si differenziano da quelle della compagna di partito ed ex candidata alle presidenziali, Marine Le Pen, che nel fine settimana ha invece minimizzato la minaccia russa in una lunga intervista al giornale Le Figaro.
”Se dopo tre anni, la Russia stenta a progredire in Ucraina, ci sono poche chance che ambisca a venire fino a Parigi”, ha ironizzato Le Pen, secondo cui ”il fondamentalismo islamico resta la prima delle minacce”.
Il fedelissimo di Marine Le Pen si dice anche “fortemente contrario all’invio di truppe francesi ed europee, sotto bandiera nazionale, in Ucraina”.
In un tweet pubblicato a corredo dell’intervista, Bardella scrive che il “2025 deve essere l’anno della pace perché questa guerra ha già causato troppi morti: penso che ci debba essere, in particolare, una zona tampone sotto l’egida delle Nazioni
(da agenzie)
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Marzo 10th, 2025 Riccardo Fucile
LE POLITICHE ANTI-IMMIGRATI E I DAZI CONTRIBUISCONO A CREARE UN CLIMA DI INCERTEZZA E INSTABILITÀ CHE DISINCENTIVA INVESTIMENTI E ASSUNZIONI
Il boom economico americano, durato quasi cinque anni, comincia a incrinarsi. Si stanno
formando delle crepe […]: I licenziamenti aumentano, le assunzioni rallentano, la fiducia dei consumatori si sta erodendo e l’inflazione sta accelerando. Anche se tutte queste cose sarebbero quasi certamente accadute se l’ex vicepresidente Kamala Harris avesse vinto le elezioni, l’incertezza che la politica economica del presidente Donald Trump ha scatenato sta esacerbando questi problemi.
I dazi – in particolare la natura “tira e molla” dei dettami di Trump – stanno seminando confusione per le imprese, i consumatori e gli investitori e alimentano le preoccupazioni sull’inflazione in un momento in cui i prezzi al consumo sono tornati a crescere in modo ostinato.
Il giro di vite sull’immigrazione di Trump minaccia i settori chiave, tra cui l’agricoltura, l’edilizia e la sanità, che hanno avuto difficoltà ad assumere. Inoltre, i forti tagli ai lavoratori federali e agli aiuti pubblici potrebbero danneggiare gli americani più vulnerabili, che sono meno isolati dagli aumenti dei prezzi.
“Le perdite di posti di lavoro del governo federale potrebbero essere più consistenti del previsto e i lavoratori licenziati potrebbero ridurre le loro spese, determinando un rallentamento della crescita dei posti di lavoro in altri settori”, ha dichiarato Gus Faucher, capo economista della PNC, in una nota agli investitori di venerdì.
“L’incertezza sulle prospettive dei dazi potrebbe indurre le imprese a rallentare le assunzioni. E le restrizioni all’immigrazione potrebbero limitare l’offerta di manodopera disponibile, pesando sull’aumento dell’occupazione nei prossimi anni”.
Trump ha rinviato la maggior parte delle sue minacce tariffarie più severe dopo aver discusso con i leader delle imprese che hanno denunciato le tariffe come ingiustamente distruttive per i loro profitti e per l’economia in generale. Ma la loro entrata in vigore è prevista per il 2 aprile.
Lo stesso Trump ha riconosciuto nel suo discorso congiunto al Congresso la scorsa settimana e nello Studio Ovale venerdì che le tariffe causeranno “un po’ di disturbo”. In un’intervista rilasciata a Fox News Sunday, Trump ha rifiutato di escludere una recessione, affermando che il suo piano economico potrebbe essere inizialmente doloroso per alcuni.
“Odio prevedere cose del genere”, ha detto Trump. “C’è un periodo di transizione perché quello che stiamo facendo è molto grande”.
I titoli azionari non sono la stessa cosa dell’economia, ma Trump e molti consumatori spesso parlano del mercato come se fosse un indicatore di forza. Sebbene ultimamente sia stato notevolmente silenzioso riguardo alle azioni, durante il suo primo mandato Trump twittava abitualmente i record dei mercati come segno della prodezza economica dell’America.
Ma ultimamente i dati economici hanno mostrato più di un piccolo turbamento.
Secondo il Dipartimento del Commercio, la spesa dei consumatori è calata inaspettatamente a gennaio. Gli acquirenti si sono ritirati molto più di quanto gli economisti si aspettassero: la spesa è scesa dello 0,2% nel mese. Depurata dall’inflazione, è scesa dello 0,5%. Si tratta dei maggiori cali mensili dal febbraio 2021.
I prezzi sono in ripresa, con un aumento dello 0,5% rispetto a dicembre – il ritmo più veloce dall’agosto 2023 – che ha portato a un tasso di inflazione annuale del 3% per i 12 mesi che si sono conclusi a gennaio, secondo gli ultimi dati sull’indice dei prezzi al consumo pubblicati dal Bureau of Labor Statistics. Il prossimo rapporto è previsto per mercoledì.
Secondo l’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board, la fiducia dei consumatori a febbraio ha registrato il maggior calo mensile dall’agosto del 2021 e il maggior calo per l’inizio di un anno dal 2009. Un’indagine separata sul sentimento dei consumatori dell’Università del Michigan ha registrato a febbraio il calo maggiore dall’inizio delle registrazioni nel 1978.
Nel frattempo i datori di lavoro hanno annunciato un numero di licenziamenti superiore a qualsiasi altro febbraio dalla Grande Recessione e il più alto in qualsiasi mese dalla pandemia, secondo la società di outplacement Challenger, Gray and Christmas. I lavoratori federali vengono licenziati, con potenziali ripercussioni sulle economie locali: il mese scorso c’erano 10.000 lavoratori federali in meno rispetto a gennaio, secondo l’ultimo rapporto sui posti di lavoro pubblicato dal BLS.
Una previsione della Federal Reserve sul prodotto interno lordo prevede che l’economia statunitense potrebbe subire una contrazione nel trimestre in corso, e non di poco. Il modello, che basa le sue previsioni sui dati economici, indica che il PIL statunitense potrebbe diminuire ad un tasso annualizzato corretto di poco meno del 3% in questo trimestre. L’economia statunitense non ha avuto un solo trimestre di contrazione economica dal 2022.
I consumatori non spendono più come prima, poiché le preoccupazioni per l’economia pesano sulle loro decisioni di acquisto. Sia Target che Walmart hanno dichiarato nelle loro ultime relazioni sugli utili che le tariffe e l’inflazione stanno portando i consumatori a spendere meno.
Certo, l’economia americana rimane forte e resistente. È diversificata e rimane l’invidia del mondo, soprattutto in un momento in cui potenze industriali come la Germania sono in seria difficoltà e altre economie stanno affrontando un’inflazione significativamente più alta e molto più appiccicosa di quella americana. I timori di una recessione sono esagerati.
Molte delle politiche di Trump potrebbero giovare all’economia. Le imprese hanno chiesto a gran voce la deregolamentazione e i tagli alle tasse, e le promesse di Trump in campagna elettorale di non tassare le mance e gli straordinari si sono rivelate molto popolari tra gli elettori. Anche la riduzione degli sprechi ha ottenuto il favore di un’ampia fetta di americani, anche se i metodi utilizzati dal DOGE di Elon Musk sono controversi, nella migliore delle ipotesi.
Ma alle aziende americane non piace nulla di più della certezza, che di questi tempi è difficile da trovare. Ai consumatori piace sentirsi sicuri che, se spendono i loro dollari, ne arriveranno altri nelle buste paga successive per sostituirli, e che i loro futuri soldi si estenderanno tanto quanto quelli che hanno attualmente nel portafoglio.
Questo è difficile quando si parla di dazi, immigrazione e tagli massicci di posti di lavoro. La scorsa settimana, la Federal Reserve ha pubblicato il cosiddetto Beige Book, un sondaggio tra i dirigenti d’azienda, che ha menzionato 49 volte i dazi, mentre l’America delle imprese ha iniziato a temere seriamente l’aumento delle tasse sulle importazioni. Secondo FactSet, il numero di società dell’indice S&P 500 che hanno menzionato i dazi nelle telefonate di presentazione degli utili è superiore a quello degli ultimi dieci anni (259)
La buona notizia è che il massimo economista americano, il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, non è ancora preoccupato. Ha osservato che l’incertezza è in aumento, certo, ma questo non significa necessariamente che la spesa dei consumatori, che guida due terzi dell’economia americana, si esaurirà. Nonostante il sentimento dei consumatori sia storicamente basso nel 2022, quando l’inflazione ha toccato i massimi da 40 anni, i consumatori hanno continuato a spendere – una stranezza economica che è diventata nota come “vibecessione”.
“Nonostante gli elevati livelli di incertezza, l’economia statunitense continua a essere in una buona posizione”, ha dichiarato Powell venerdì in occasione di un evento organizzato dall’Università di Chicago. “Negli ultimi anni le letture del sentiment non sono state un buon predittore della crescita dei consumi”.
David Goldman CBS
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Marzo 10th, 2025 Riccardo Fucile
ECCO I PAESI DOVE ESPORTIAMO DI PIU’
L’Italia scala la classifica mondiale dei Paesi esportatori di armi pesanti. Nel quinquennio 2020-2024 ha registrato un aumento del 138% rispetto ai 5 anni precedenti. Che l’ha fatta salire dal decimo al sesto posto con una quota del 4,8% sul totale. Nessun Paese al mondo ha riportato un incremento così significativo, in percentuale, nelle vendite di armamenti pesanti. È ciò che emerge dal report diffuso oggi – lunedì 10 marzo – dall’Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca della Pace (Sipri). Il rapporto identifica i principali esportatori e importatori, analizzando le dinamiche regionali e le influenze politiche sui trasferimenti di materiale bellico. Un dato che mette in evidenza l’analisi riguarda la destinazione delle esportazioni italiane: la maggior parte delle armi (71%) è stata diretta verso i Paesi del Medio Oriente. L’Italia è stato il secondo Paese, dopo gli Stati Uniti, ad aver venduto armi ai Paesi della regione. In particolare, al Qatar abbiamo esportato il 28% delle armi pesanti, al Kuwait e all’Egitto il 18%.
La Francia è il secondo maggiore esportatore di armi dopo gli Usa
Più in generale, i primi dieci esportatori di armi sono, nell’ordine, Stati Uniti, Francia, Russia, Cina, Germania, Italia, Regno Unito, Israele, Spagna e Corea del Sud. Con la Russia che è scesa dal secondo al terzo posto nel periodo dal 2019 al 2023. Parigi è diventato il secondo maggiore esportatore di armi con un incremento del 47 per cento. «La quota maggiore delle esportazioni di armi francesi (42 per cento) è stata inviata agli Stati dell’Asia e dell’Oceania, e un altro 34 per cento ai Paesi del Medio Oriente. Il principale destinatario delle esportazioni di armi francesi è stata l’India, che ha rappresentato quasi il 30 per cento delle forniture. L’aumento delle esportazioni francesi di armi è dovuto in gran parte alle consegne di aerei da combattimento Rafale a India, Qatar, ed Egitto» si legge nel rapporto. Mentre per la prima volta in due decenni, l’Europa è diventata il mercato più grande per le aziende americane di armamenti: il 35% delle esportazioni è andato in Europa, il 33% in Medio Oriente.
Il ruolo dell’Ucraina
L’Ucraina è, invece, emersa come il più grande importatore europeo di armi e il quarto al mondo. Il paese attaccato dalla Russia ha aumentato le sue importazioni di quasi cento volte rispetto al periodo 2015-2019. I numeri dicono che nell’ultimo quinquennio a Kiev è andata una quota dell’8,8% di tutte le importazioni mondiali di armi. Circa il 55% delle importazioni di armi da parte degli Stati europei nel 2019-2023 è stato fornito dagli Stati Uniti, rispetto al 35% nel 2014-2018.
(da agenzie)
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Marzo 10th, 2025 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DEL “CORRIERE DELLA SERA”
«Ho lavorato su un sistema di pagamento elettronico totalmente privo di intermediari, che
elimina la necessità di garanti». Con questa breve dichiarazione, il 31 ottobre 2008, Satoshi Nakamoto teneva a battesimo il Bitcoin, una moneta virtuale senza Paesi emittenti né banche centrali. Al loro posto una blockchain, un registro digitale pubblico delle transazioni, immodificabile e aggiornato dalla comunità degli utenti, che richiede molta potenza computazionale e altrettanta energia.
Milioni di imitazioni
Sono passati oltre 16 anni dalla nascita del Bitcoin e l’identità del suo creatore è ancora un mistero. Di lui, di lei o di loro si sa solo che possiedono da sempre un milione di Bitcoin che, ai corsi attuali, corrisponde a 84 miliardi di euro. Nel frattempo, l’invenzione di Satoshi si è allontanata dall’utopia originaria di una moneta anarchica ed è diventato una sorta di «oro digitale»: raro perché la quantità massima coniabile è fissata dall’algoritmo a 21 milioni; desiderato proprio perché scarso e nella convinzione che la sua corsa al rialzo sia destinata a proseguire. Per questo ha attratto alla sua corte grandi investitori come Blackrock e Intesa Sanpaolo; sappiamo però anche che ha un diffuso utilizzo nel mondo del riciclaggio di denaro sporco. Nel tempo hanno proliferato infinite imitazioni, perlopiù prive di alcun valore se non quello che viene riconosciuto dagli acquirenti per ragioni arbitrarie e volubili. Parliamo di un mercato da oltre 3300 miliardi di dollari, quattro volte la capitalizzazione totale di Borsa Italiana. Alcuni di questi beni digitali si basano su una propria blockchain originale, altri si appoggiano a quelle altrui per ridurre tempi e costi di sviluppo. Siti come coinfactory, per esempio, consentono di coniare un «gettone digitale» in pochi minuti e al costo di circa 80 euro. L’anno scorso sono così spuntati oltre due milioni di nuovi «token», con finalità non sempre chiare: il 40,7% di queste valute risulta quotato su cripto-borse ma è nei fatti dormiente, con zero scambi negli ultimi 30 giorni. Perché?
Pompa e scarica
Talvolta, si tratta di progetti nati per puro divertimento o per esigenze di ricerca: non bisogna dimenticare che le criptovalute e la tecnologia sottostante della blockchain stanno producendo anche innovazione. In altri casi le valute dormienti sono servite o serviranno a scopi fraudolenti, noti come wash trading e pump and dump. Con la prima un gruppo di persone o un esercito di bot si scambia più volte un bene digitale per aumentarne artificialmente il valore e poi venderlo a un ignaro acquirente. Con la seconda, «gonfia e scarica», i detentori di una criptovaluta o, più di frequente, i suoi creatori ne magnificano sui social le prospettive di crescita, ne fanno così salire le quotazioni e, infine, liquidano sul mercato i propri portafogli, realizzando enormi profitti a spese degli ultimi investitori che ci hanno creduto.
La manipolazione non è reato
La società di ricerca Chainalysis stima che schemi di pump and dump abbiano coinvolto circa il 3,6% delle monete digitali create nell’ultimo anno, quota che equivale a oltre 74 mila potenziali cripto-truffe. Un caso noto è quello del Dogecoin, una criptovaluta nata per scherzo nel 2013, ossia una memecoin e sostenuta da Elon Musk. Fra 2019 e 2021 il patron di Tesla ha pubblicato una sfilza di tweet per esaltare il Dogecoin: «Sarà la futura moneta del pianeta Terra», «L’ho comprata per mio figlio», «SpaceX porterà letteralmente il Dogecoin sulla Luna». Il prezzo è schizzato in un due anni del 36 mila per cento. Poi l’8 maggio del 2021 Musk, ospite del programma comico Saturday Night Live, ha detto che il Dogecoin è «una bufala». Tanto è bastato a scatenare un’ondata di vendite che in pochi mesi ha causato un crollo del 90% del valore della criptovaluta. Un gruppo di investitori gli ha scatenato contro una class action per manipolazione del mercato e richiesta di risarcimento per 258 miliardi di dollari. La causa è stata respinta dal tribunale civile di New York. Le dichiarazioni di Musk sulla criptovaluta erano «aspirazionali e roboanti», ha sottolineato il giudice; quindi, «nessun investitore ragionevole avrebbe potuto dar loro credito». D’altra parte, negli Stati Uniti non esiste alcuna regolamentazione specifica per Bitcoin & co; l’eventuale iniziativa repressiva è affidata a singole autorità come la Security Exchange Commission e il Dipartimento di Giustizia che negli ultimi anni hanno sanzionato influencer e società. Difficilmente si attiveranno con la nuova amministrazione, visto che l’industria cripto ha sostenuto con donazioni milionarie la campagna elettorale di Trump. Il neopresidente, che nel 2021 aveva bollato il Bitcoin come una truffa, ora ha cambiato idea.
Il banco vince sempre
Nel settembre 2024 Trump e i suoi famigliari hanno fondato World Liberty Financial, una piattaforma che mira a «democratizzare l’accesso alle opportunità finanziarie e a rafforzare lo status globale del dollaro». Come non è chiaro, ma intanto la società ha coniato il suo token Wlfi: in pochi mesi ne sono stati venduti 24 miliardi a un prezzo crescente fino a 5 centesimi l’uno, per un incasso di oltre mezzo miliardo. Poi, due giorni prima dell’ingresso alla Casa Bianca, il presidente ha lanciato la sua criptomoneta: $Trump. Partita da 18 centesimi, la memecoin è arrivata a valere 75 dollari, salvo poi precipitare a 15, causando 2,2 miliardi di perdite a 885 mila investitori. Non tutti, però, ci hanno rimesso. Un anonimo trader, per esempio, ha piazzato una scommessa da un milione di dollari su $Trump a distanza di soli due minuti dal suo annuncio. Due giorni dopo ha ceduto quasi sei milioni di token con un profitto di 109 milioni. Un tempismo quantomeno sospetto. A vincere, però, è sempre il banco. La Trump Organization detiene 800 milioni di $Trump e li rilascerà sul mercato nei prossimi tre anni, passando gradualmente all’incasso. Alla società spetta poi una commissione su ogni scambio di $Trump. Secondo i calcoli di Chainalysis, nei portafogli della Trump Organization sono già arrivati 349,6 milioni di dollari in poco più di un mese.
Le stablecoin
Il piano della nuova amministrazione Usa punta a rendere l’America il centro della finanza digitale globale, costituendo fra l’altro una riserva nazionale di Bitcoin. L’ordine esecutivo del 23 gennaio della Casa Bianca richiede «di proteggere e promuovere la sovranità del dollaro statunitense, anche attraverso azioni per favorire lo sviluppo e la crescita globale di stablecoin lecite e ancorate al dollaro». Le stablecoin sono valute digitali che promettono di mantenere un valore stabile perché ancorate ad una moneta sovrana. Le due principali stablecoin si chiamano Circle e Tether, hanno caratteristiche simili e si appoggiano entrambe al dollaro. Tether, creata nel 2013 dal torinese Giancarlo Devasini e guidata dal ligure Paolo Ardoino, è diventata presto la fiche preferita dai giocatori al «casinò» delle cripto per comprare e vendere Bitcoin & co senza passare dai canali bancari tradizionali. La ragione del suo successo sta nel fatto che la società assicura che per ogni Tether coniato esiste un equivalente deposito in dollari, sempre convertibile. Nel tempo, questa peculiarità ha trasformato Tether anche in una sorta di dollaro digitale per i mercati emergenti, dove i risparmiatori sono in cerca di monete stabili per proteggersi dall’iperinflazione. Oggi Tether sostiene di avere più di 400 milioni di utenti e di aver coniato oltre 140 miliardi di UsdT. Le riserve dovrebbero quindi ammontare a oltre 140 miliardi di dollari, anche se la società non ne ha mai sottoposto la consistenza a un esame completo e indipendente. È qui che i progetti delle stablecoin in dollari si saldano con i piani di Trump. Gran parte delle riserve di Tether e Circle è infatti investita in titoli di Stato americani, ufficialmente perché sono più facili da liquidare in caso di «corsa agli sportelli» da parte degli utenti. L’effetto indiretto è però che le stablecoin in dollari drenano soldi da altri Paesi e li riversano sul debito pubblico statunitense, di cui oggi Tether e Circle detengono quasi 150 miliardi. Quando un argentino, un libanese o un nigeriano compra un UsdT di Tether o un UsdC di Circle sta di fatto finanziando il bilancio americano e, in prospettiva, i tagli alle tasse promessi da Trump. Ecco perché la Casa Bianca ha tanto interesse a che si diffondano il più possibile.
Euro digitale: il no di Trump
Tether non è più acquistabile sulle cripto-borse Ue perché la normativa MiCAR impone alle stablecoin di mantenere almeno il 60% delle loro riserve presso banche europee. Ma, ha avvertito il governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta, non è da escludere che altre piattaforme tecnologiche con miliardi di utenti possano lanciare una propria criptovaluta, con conseguenze dirompenti per la stabilità finanziaria e per la sovranità monetaria. Facebook ci ha già provato nel 2019 con la moneta Libra, ma il progetto è stato bloccato dall’opposizione delle banche centrali. Cosa accadrebbe oggi se Meta, Amazon o X decidessero di lanciare una stablecoin? Motivo per cui la Bce sta accelerando sul completamento del progetto di un euro digitale. La banca centrale di Pechino invece ha coniato lo Yuan digitale già nel 2019, anche se fatica a decollare: il valore cumulato delle transazioni è ancora sotto ai mille miliardi. La Fed invece ha abbandonato l’idea del dollaro digitale. L’ordine esecutivo di Trump impone infatti l’adozione di misure «per proteggere gli americani dai rischi delle monete digitali delle banche centrali, che minacciano la stabilità del sistema finanziario, la privacy e la sovranità degli Stati Uniti». Se del caso, anche «vietando la loro emissione, circolazione e utilizzo» nel Paese. Un monito a tutte le banche centrali: se volete emettere monete digitali sappiate che negli Stati Uniti non avranno corso. Benvenute invece a cripto come Theter, società privata con sede nel paradiso fiscale di El Salvador.
Francesco Bertolino e Milena Gabanelli –
(da corriere.it)
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Marzo 10th, 2025 Riccardo Fucile
E ORA PUBBLICA UN LIBRO CON LA CASA EDITRICE FAYARD… CHE INTERESSE HA IL FINANZIERE BRETONE A TRASFORMARSI IN PROPAGANDISTA DEL CREMLINO?
I media francesi di Vincent Bolloré stanno creando in questi giorni una nuova star: Xenia Fedorova, 44enne russa già direttrice della rete Russia Today France.
Russia Today poi è stata messa al bando dall’Unione europea perché strumento della propaganda del Cremlino e Fedorova è scomparsa dagli schermi, ma dopo una pausa di tre anni ora il gruppo mediatico Bolloré le sta offrendo tutta l’attenzione possibile. Il violento discorso di JD Vance a Monaco di Baviera dello scorso 14 febbraio è stato uno spartiacque.
Da allora le tesi di Vladimir Putin trovano un megafono sicuro nella galassia Bolloré: la tv all news CNews, i giornali JDNews e il Journal du dimanche, la radio Europe 1 e anche la gloriosa casa editrice Fayard sono ormai chiamati a dare il loro contributo per spiegare ai francesi che la Russia vuole la pace (il dettaglio dei missili sulle città ucraine non viene elucidato).
E Xenia Fedorova ritorna protagonista: con il dolente libro-denuncia «Bannie» (Messa al bando) edito da Fayard e pubblicizzato su tutti gli organi del gruppo. In un agiografico ritratto sul settimanale JDNews, l’avvenente e pur modesta Xenia dice «Non mi trovo abbastanza bella per essere una Bond girl, né abbastanza pericolosa», camminando sul ponte Alexandre III di Parigi, simbolo dell’eterna amicizia tra Francia e Russia.
I media di Bolloré parlano poi del «gusto per la verità» di Fedorova, e accusano Emmanuel Macron di istinti guerrafondai contro il pacato e ragionevole presidente Putin. Anche per la presenza di un gruppo mediatico così potente, e così schierato con l’estrema destra e il nuovo asse Trump-Putin, la Francia sarà nei prossimi mesi il terreno di una lotta cruciale per il destino dell’Europa.
(da agenzie)
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