Marzo 12th, 2025 Riccardo Fucile
419 SI’, 204 NO E 46 ASTENUTI… NEL PD 11 ASTENUTI E 10 FAVOREVOLI… NO DI M5S, LAVS E LEGA… RESPINTA LA PROPOSTA DI FDI DI CAMBIARE NOME DA REARM A DEFEND EUROPE
Sì al piano Ursula di riarmo europeo e sì al sostegno all’Ucraina, anche dopo “l’apparente
cambio di posizione degli Stati Uniti”. Il Parlamento europeo ha approvato a maggioranza i due testi che hanno animato in questi giorni il dibattito sulla guerra all’Ucraina e il futuro dell’Unione. Gli occhi erano puntati soprattutto sul Libro bianco Ue sulla difesa, un testo molto ampio che contiene alcuni passaggi di approvazione del piano ReArmEu presentato da Ursula von der Leyen. Il testo è passato con 419 voti favorevoli, 204 contrari e 46 astenuti, su 669 votanti.
Le famiglie politiche che sostengono la Commissione Ursula hanno confermato le rispettive posizioni favorevoli al piano ReArm, ma le delegazioni italiane – composte da 76 deputati – sono quelle che hanno fatto registrare i più vistosi smarcamenti interni.
Spaccata la maggioranza di governo, con Forza Italia e Fratelli d’Italia a favore del progetto presentato da von der Leyen, mentre la Lega si schierata per il no. “La risoluzione – ha spiegato Nicola Procaccini, vicepresidente dei Conservatori di Meloni – è comunque un messaggio politico, che condividiamo nella misura in cui investire sulla difesa e la sicurezza dei popoli europei è un investimento necessario. Perché purtroppo la pace che noi diamo per scontata è preziosa e va difesa”. Diviso anche il campo delle opposizioni, con M5S e Avs contro il piano ReArm (nonostante la maggioranza dei Verdi europei sia a favore) e il Pd che si è spaccato a metà – undici contro dieci – tra astenuti (Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessadro Zan, Lucia Annunziata e il capodelegazione Nicola Zingaretti) e favorevoli (Stefano Bonaccini, Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli e Raffaele Topo).
Questa mattina, prima dell’inizio delle votazioni, il gruppo dem ha avuto una lunga e travagliata riunione a porte chiuse, dove alla fine l’indicazione della segretaria Schlein, molto critica nei giorni scorsi sul progetto Ursula, è stata quella di astenersi.
Un compromesso che ha tenuto insieme anche l’ala più pacifista di Marco Tarquinio e Cecilia Strada, inizialmente pronti a votare per il no. “La nostra astensione – spiega a caldo il capodelegazione Pd Nicola Zingaretti – è motivata dal fatto che in quel documento c’è troppo poco federalismo. Non è l’Europa di Spinelli, la parola difesa comune non compare mai. Ed è un po’ ingenua l’idea di chi pensa che questo sia il primo passo e poi vedrete”.
Dunque astensione. “Tutti siamo d’accordo nel sostenere il bisogno di un sistema di difesa comune che non vuol dire però consentire ai singoli Stati di riempire i loro arsenali”, aggiunge Sandro Ruotolo, della segreteria dem.
Pina Picierno, diventata in questi giorni la portabandiera della linea più filo-ucraina, non si stupisce del no che accomuna sovranisti di destra come Vannacci e il Movimento Cinque Stelle: “I populisti si ritrovano sulle stesse posizioni, sempre. Qui accade regolarmente che The Left voti come i Patriots di Le Pen e Salvini. Quello che spesso si fatica a capire in Italia è che ormai la linea di demarcazione della politica europea è definita dalla difesa delle democrazie liberali e dall’europeismo. O di qua o di là”.
Molto critici i cinque stelle, che ieri hanno inscenato una protesta fuori e dentro l’aula di Strasburgo con Giuseppe Conte. “Riarmo, debiti di guerra, taglio dei fondi di coesione, scorporo delle spese della difesa, trasformazione della Bei in banca che finanzia la guerra: a questa agenda bellicista – promettono i 5S in una nota – faremo una durissima opposizione nelle Istituzioni, ma anche nelle piazze a partire dalla grande manifestazione che si terrà il 5 aprile”.
Prima del voto sul Libro Bianco della difesa, il Parlamento ha approvato una risoluzione (non vincolante) di sostegno a Kiev. Un testo significativo perché, oltre ad accogliere con favore la dichiarazione di Gedda sul cessate il fuoco, afferma come l’Ue e i suoi Stati membri siano diventati “i principali alleati strategici di Kiev” e devono restare il suo maggiore donatore, “in seguito all’apparente cambio di posizione degli Stati Uniti”, incluso il fatto “di aver apertamente incolpato l’Ucraina della guerra in corso”. Toni contestati da Fdi in quanto “anti-trumpiani”. Ma il tentativo di rinviare il testo è fallito, portando così i meloniani ad astenersi.
“È la prima volta che ci asteniamo sull’Ucraina”, ha detto il capodelegazione di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza: “È diventata una risoluzione non a favore dell’Ucraina ma contro gli Stati Uniti: se i nemici dell’Europa e della pace volessero allontanare il dialogo troverebbero nella risoluzione molte ragioni”.
(da agenzie)
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Marzo 12th, 2025 Riccardo Fucile
IL 73% DA’ UN GIUDIZIO NEGATIVO SU TRUMP, IL 78% VUOLE ENTRARE NELLA UE
Cosa pensano davvero gli ucraini di Zelensky.
Noto Sondaggi ha calcolato anche la percentuale di consenso del presidente Zelensky tra gli ucraini.
Il 59% giudica positivo l’operato del presidente Volodymyr Zelensky per quanto riguarda la guerra con la Russia, mentre il 73% giudica negativo quello di Donald Trump.
Il sondaggio è stato effettuato sul territorio Ucraino tra l’8 e l’11 marzo. Inoltre il 66% degli intervistati e favorevole a un eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato e il 78% a quello nell’Ue.
(da agenzie)
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Marzo 12th, 2025 Riccardo Fucile
E’ COSTRETTA A LASCIARE A STARMER E MACRON IL RUOLO DI PUNTO DI RIFERIMENTO DELL’EUROPA MENTRE SALVINI VESTE I PANNI DEL PRIMO TRUMPIANO D’ITALIA.. IL PROSSIMO CANCELLIERE TEDESCO MERZ FA SCOPA COL POLACCO TUSK, E LEI RISCHIA DI RITROVARSI INTRUPPATA CON IL FILO-PUTINIANO ORBAN
Il famoso camaleontismo di Giorgia Meloni, funzionale in Italia, dove il consenso per il suo
partito resta stabile intorno al 30%, non paga quando si mette il nasino fuori dai confini nazionali.
La Ducetta, che si vantava dell’amicizia personale con Elon Musk, ora che il survoltato ketaminico mostra la sua vera natura (tra licenziamenti di massa, sgradite ingerenze in Europa e tweet vari), tace e si nasconde.
Se prima si faceva fotografare con l’hackerino di Tor Pignattara Andrea Stroppa, referente italiano di Musk, ora non proferisce parola di fronte alle sue spacconate, tra intimidazioni ai giornalisti e sondaggi su ministri sgraditi.
Idem con patate, per la sua “special relationship” con Trump: un tempo ostentata come manifestazione di forza e di spericolata ambizione d’essere il “ponte” tra Washington e Bruxelles, ora la passioncella per il Caligola di Mar-a-Lago viene tenuta sott’acqua.
Visti le conseguenze disastrose per l’Europa delle decisioni della Casa bianca, la premier fa pippa e si allinea all’Ue, costretta, suo malgrado, a lasciare a Macron e Starmer il ruolo di punto di riferimento del Vecchio Continente. con il prossimo cancelliere tedesco Merz decisissimo a opporsi al trumputinismo senza limitismo. Ormai il blocco Gran Bretagna-Europa non ha alcun bisogno delle capriole meloniane.
Nel tentativo disperato di non prendere posizione e non inimicarsi né Musk né l’Europa, da un lato ha sponsorizzato il ddl spazio (approvato alla Camera), che sembra scritto su misura per Starlink.
Dall’altro, tramite il ministro per le imprese Adolfo Urso, subito messo nel mirino da Stroppa, il governo ha avviato i contatti con il consorzio Eutelsat, che al momento può contare solo su 650 satelliti a bassa orbita e prevede di lanciarne altri (Musk ne ha più di 7mila).
(da agenzie)
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Marzo 12th, 2025 Riccardo Fucile
MODOU GUEYE ATTACCA: “QUESTO GOVERNO È RAZZISTA, PEGGIO DEL KU KLUX KLAN. DOVREBBERO BANDIRE LA LEGA DALLA POLITICA”… SARDONE RIBATTE: “TORNA DA DOVE SEI VENUTO SE NON TI TROVI BENE IN ITALIA”
“Stronza, razzista”. “Comunista di merda, torna nel tuo paese”. A La Zanzara su Radio 24 va in scena una battaglia senza esclusione di colpi tra il mediatore culturale senegalese Modou Gueye e la pasionaria leghista Silvia Sardone.
Il senegalese: “Silvia Sardone è una stronza che inneggia al razzismo”. “Questo governo è razzista, peggio del Ku Klux Klan”. Poi: “Dovrebbero bandire la Lega dalla politica”. “Mi sento minacciato perché straniero”. Interviene l’eurodeputata salviniana che risponde: “Campi con i soldi dei progetti per l’immigrazione”.
A La Zanzara su Radio24 interviene in diretta l’eurodeputata Silvia Sardone (Lega) – che si trovava a Strasburgo – per rispondere alle parole del mediatore culturale di origini senegalesi Modou Gueye, il quale ha detto: “Silvia Sardone è una stronza che inneggia al razzismo! Continua a parlare di extracomunitari che litigano ma quanti italiani ci sono che lo fanno? Ci sono 4 milioni di stranieri che lavorano! Basta continuare a buttare merda sugli stranieri”.
E ancora: “Governo razzista! Peggio del Ku Klux Klan, incapace di accogliere e che non sta facendo niente se non buttare merda sugli stranieri! parlando di stranieri!”
“Ma è una cosa gravissima quella che stai dicendo, non si può paragonare il Governo al KKK che bruciava i neri sulle croci!”, replica duramente Cruciani. E Modou: “Anche la Lega è peggio del Ku Klux Klan! Mai visto un governo così in 35 anni che sono in Italia. Mi sento minacciato da questo Governo perché sono straniero”.
La durissima replica della Sardone in diretta: “Modo, Modou o come cavolo ti chiami, sei un comunista di merda e non sei né il primo né l’ultimo a darmi della stronza! Torna da dove sei venuto se non ti trovi bene in Italia e hai paura! Sei tu un razzista! Vuoi i soldi per l’accoglienza perchè fai il moderatore culturale e ci campi con sti progetti” – Modou: “Stai dicendo un’altra stronzata! Il tuo Governo non mi ha dato un euro sul tema immigrazione! –
Sardone: “Tu fai propaganda! Noi vogliamo sicurezza! Basta buttare soldi per pagare gente come te! Tu non sai cosa sia la democrazia!” – Modou: “Io sto con le persone per bene! Il vostro partito è da bandire! – Sardone: “Torna nel tuo paese ignorante!” – Modou:“Siete solo dei razzisti!”.
(da agenzie)
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Marzo 12th, 2025 Riccardo Fucile
UNA TESLA E SI METTE IN POSA DAVANTI ALLA CASA BIANCA
LA FOTO INSIEME A MUSK MENTRE IL TITOLO CROLLA IN BORSA
Il presidente americano si inventa una (controversa) trovata pubblicitaria per aiutare gli
affari del fedelissimo alleato: «La pagherò con un assegno, non voglio sconti»
«Acquisterò una nuova Tesla», aveva promesso Donald Trump all’indomani del crollo in Borsa della casa automobilistica del fedelissimo Elon Musk. Detto, fatto. A poche ore dall’annuncio pubblicato sui social, il presidente americano ha chiamato a sé tutta la stampa per farsi fotografare con una Tesla Model S color rosso fuoco parcheggiata proprio all’ingresso della Casa Bianca. «È un grande prodotto», ha detto Trump ai giornalisti presenti, descrivendo poi Elon Musk come «un grande americano», che «sta mettendo in gioco tutto» per aiutare il Paese anche se «viene trattato ingiustamente».
Tutti i guai di Tesla
Le parole al miele di Trump per il miliardario americano, diventato il suo più stretto alleato politico, arrivano all’indomani del «lunedì nero» di Wall Street. Il titolo di Tesla ha visto il proprio valore crollare del 15%, il calo più significativo dai tempi del Covid, principalmente per tre motivi. Il primo ha a che fare con i dati delle vendite in Cina, dove la casa automobilistica di Musk sta perdendo sempre più quote di mercato per via dell’agguerrita concorrenza dei competitor locali. Il secondo motivo riguarda le previsioni delle consegne di Tesla per il 2025, che secondo l’analista Joseph Spak dovrebbero calare di circa il 5% rispetto allo scorso anno. Infine, il terzo motivo: la crescente disaffezione dei consumatori per Tesla a causa del protagonismo politico di Musk. Sia in Europa che negli Stati Uniti sono nate vere e proprie campagne di boicottaggio contro i marchi del miliardario americano, che viene visto ormai non più come un semplice imprenditore, ma come un vero e proprio megafono dell’ultradestra.
La difesa a spada tratta di Trump
Tra i più strenui difensori di Elon Musk c’è proprio Trump, che si sta spendendo in lungo e in largo per proteggere gli affari del suo fedelissimo consigliere, cercando di spingere la sua popolarità soprattutto tra gli elettori conservatori. «Ai repubblicani, ai conservatori e a tutti i grandi americani, Elon Musk sta mettendo tutto in gioco per aiutare la nostra nazione e sta facendo un lavoro fantastico!», ha scritto Trump sul suo social Truth. «Ma i lunatici della sinistra radicale – continua il post del presidente americano – stanno cercando di boicottare illegalmente Tesla, una delle più grandi case automobilistiche del mondo, per attaccare e danneggiare Elon e tutto ciò che rappresenta».
La trovata pubblicitaria alla Casa Bianca
In caso le dichiarazioni di stima fatte sui social non fossero abbastanza, Trump ha pensato bene di dimostrare tutto il proprio affetto con una bizzarra trovata pubblicitaria. Radunati tutti i giornalisti che seguono la Casa Bianca, il presidente americano ha sfilato davanti a una fila di auto Tesla. Una di queste, una Model S color rosso fuoco, è stata acquistata direttamente dallo stesso Trump. «Come la pagherà?», gli ha chiesto uno dei cronisti presenti. «Con un assegno. Non voglio alcuno sconto», ha ribattuto prontamente Trump. Tempo pochi minuti e Elon Musk si è dimostrato pronto a ricambiare il favore: «Tesla raddoppierà la produzione di veicoli negli Stati Uniti entro due anni», ha detto ai giornalisti radunati fuori dalla Casa Bianca. Basterà per risollevare le sorti della casa automobilistica e placare i dubbi dei suoi azionisti?
(da agenzie)
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Marzo 12th, 2025 Riccardo Fucile
IL NOTO DIFFUSORE DI BALLE PUTINIANE SI PERMETTE DI MINACCIARE DUE ARTISTI ITALIANI: IN RUSSIA LI AVREBBERO FORSE “SUICIDATI” BUTTANDOLI DA UNA FINESTRA?
Il duo comico Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, nel corso della puntata del 25 febbraio di Di Martedì (La7), ha dedicato uno sketch satirico sulla petizione lanciata dal filorusso Vincenzo Lorusso contro Sergio Mattarella, soffermandosi in particolare sui ripetuti “inchini” dell’italiano nei confronti della portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova durante la consegna delle firme e sulla successiva esibizione in cui i due intonano insieme “Bella ciao”.
Uno sketch che non è stato accolto con piacere dal propagandista filorusso e diffusore di notizie false Nicolai Lilin, collegato dall’Arabia Saudita durante un evento a Genova trasmesso in diretta streaming dal canale Youtube “Contronarrazione”.
Lilin ha attaccato il duo comico, ricevendo gli applausi del pubblico presente con queste parole: «Gli sfonderei il cranio e gli farei ingoiare i denti». Lo stesso Lilin si era reso protagonista la scorsa estate per il duro avvertimento ai giornalisti Rai Battistini e Traini: «Vi siete scavati la fossa da soli».
La trascrizione dell’intervento di Nicolai Lilin:
Io non guardo la tv italiana. Io ho lavorato nella tv italiana, per questo non la guardo. Io questo porcile schifoso veramente lo brucerei col lanciafiamme. [Vincenzo mi ha mandato uno spezzone di questi due, non so come chiamarli, che non fanno né ridere né piangere. Sono dei personaggi patetici. Luca e Paolo si chiamano questi due ignoranti. Hanno preso in giro quello che ha fatto Vincenzo, la raccolta firme, tra l’altro in maniera molto limitante e stupida. Ripeto, io comprendo tutto, scherzi, satira, è bellissimo, io spesso prendo in giro anche sui miei social, soprattutto i potenti di questo mondo, ma quando io vedo due annoiati, inutili, dal punto di vista intellettuale limitanti personaggi, strapagati, estremamente pagati rispetto all’impegno che loro realmente fanno, questi personaggi deridono una persona che riporta le informazioni reali della guerra. Io quando vedo queste cose non so, mi è venuta la voglia di sfondare il cranio a uno e all’altro [applausi in sala]. Io lo dico onestamente, sono una persona che è nata per strada, ho vissuto per strada, ho fatto le visse, quindi ancora oggi, anche se ho promesso a mia mamma di non ammazzare più nessuno [risate in sala], comunque ancora oggi ho del sangue che mi va in testa quando vedo certe cose, dico “Cristo Santo lo troverei davanti, gli sfonderei il cranio e gli farei ingoiare i denti a questo qua”. Proprio perché è proprio la mancanza di dignità, sapete cosa vuol dire? Persone indegne, persone che affrontano delle questioni in maniera qualunquista. Questo è il male della nostra Italia. Il male dell’Italia è che abbiamo poche persone come Vincenzo e Andrea e abbiamo troppi nulla facenti, profumatamente pagati come quei due idioti nei quali avevo appena parlato.
(da agenzie)
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Marzo 12th, 2025 Riccardo Fucile
PERCHE’ IN ITALIA LE BOLLETTE PIU’ CARE D’EUROPA
Ritorna sempre la stessa domanda: ma perché in Italia abbiamo le bollette più care
d’Europa? Negli ultimi 6 mesi il prezzo della materia prima nella bolletta elettrica in Italia è stato in media di 132 euro/MWh, rispetto a 104 in Germania (27% in meno), 94 in Spagna (40% in meno) e 90 in Francia (47% in meno) (fonte: Ember qui dal 1/9/2024 al 28/2/2025). Questo accade perché il costo finale dell’elettricità dipende dal «prezzo marginale», ossia il «prezzo dell’ultima unità di energia necessaria per soddisfare la domanda in un dato momento» (vedi Regolamento Ue qui art. 6 e Testo integrato dispacciamento elettrico, Tide, Arera qui articolo 3-13.3.8 pag. 64). In altre parole, il prezzo è determinato dall’ultima goccia di energia che entra nel sistema. In Italia, questa goccia è principalmente il gas, il cui costo, al contrario delle fonti rinnovabili, è legato all’andamento della quotazione di borsa di Amsterdam, e alle speculazioni di mercato innescate dalle questioni geopolitiche. Vediamo con un esempio come funziona il meccanismo.
L’ultima goccia
Per il 2024, il gas rappresenta l’ultima goccia di energia che entra nel sistema per il 63% del tempo, con un prezzo medio di 110 euro/MWh in tutta Italia. Le fonti rinnovabili eolico e fotovoltaico contribuiscono invece solo per il 2%, con un prezzo medio che varia tra 25 e 85 euro/MWh a seconda delle zone (80 euro al Nord, 85 al Centronord, 82 al Centrosud, 71 Euro al Sud, 73 in Sicilia, 72 in Calabria e 25 euro in Sardegna. Fonte:elaborazione di Italia Solare su dati GME, Gestore dei Mercati Energetici).
Il ruolo delle rinnovabili
Insomma sviluppare sempre più energia rinnovabile non solo è cruciale contro il cambiamento climatico, ma anche utile per ridurre il costo delle bollette delle famiglie, poiché contribuisce a rendere l’energia più economica. Attualmente, in Italia, il 44% dell’energia prodotta proviene da fonti rinnovabili, mentre in Germania è al 48%, in Francia al 24% (dove però la produzione di energia nucleare arriva al 68%) e in Spagna al 55% (anche qui c’è una quota di nucleare, pari al 20%). Va detto che queste percentuali provengono da un confronto fra fonti diverse tenendo conto dei numeri più coerenti. Il nostro Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec qui pag. 103) si è dato l’obiettivo di arrivare al 63,4% di produzione green entro il 2030.
Eppure eravamo partiti bene, ma poi abbiamo rallentato. Cosa è successo? Quello che puntualmente viene tenuto nascosto da tutti i governi è la lentezza burocratica e l’incertezza delle politiche messe in campo fin qui. Prendiamo il fotovoltaico. Negli anni 2000, la produzione di energia fotovoltaica in Italia era inferiore a 1 Terawattora (TWh), oggi è arrivata a 36,1 TWh e il proposito è di raggiungere 98 TWh nel 2030, facendo proprio del fotovoltaico la principale fonte di energia rinnovabile del Paese (qui pag. 104). Vediamo con un esempio come sono andate le cose in questi decenni, proprio per capire se sarà possibile produrre in 5 anni una quantità 3 volte superiore a quello che siamo riusciti a fare in 25 anni.
La storia di Louvard
Tra il 2005 e il 2012, il governo italiano approva un programma di incentivi alla produzione di fotovoltaico che garantisce agli operatori pagamenti fissi per l’energia prodotta dalle rinnovabili (qui e qui DM 28 luglio 2005, art. 6). Sulla base di queste regole tra il 2009 al 2012 l’uomo d’affari franco-svizzero Francis Louvard decide di investire in Italia con due società tedesche e una austriaca 399 milioni di euro in 356 impianti fotovoltaici (qui da pag. 55 e qui la vicenda raccontata da Tvsvizzera). Tuttavia il decreto-legge n. 91 del 24 giugno 2014 (qui art. 26 e qui allegato 2) taglia in modo retroattivo le risorse destinate agli incentivi degli impianti già funzionanti. Louvard lamenta una perdita importante di valore degli investimenti (quida pagina 344), e nel 2016 avvia un arbitrato al Centro internazionale per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti (ICSID) di Washington D.C. contro lo Stato italiano. La sentenza arriva il 14 settembre 2020 con la condanna a risarcire l’uomo d’affari con 16 milioni di euro, più gli interessi, per un totale di 28 milioni. La motivazione è la seguente: «L’Italia ha modificato unilateralmente gli impegni specifici (le tariffe fisse per un periodo di 20 anni) che avevano spinto le società ricorrenti a effettuare i loro investimenti nel Paese» (quia pagina 354). Per ottenere il risarcimento da parte del governo italiano Louvard di recente ottiene dal Tribunale civile di Ginevra anche l’emissione di un decreto di sequestro conservativo sulla Casa d’Italia a Zurigo, storico edificio di 5.000 mq. risalente al 1919 di proprietà dello Stato italiano e ora in ristrutturazione per ospitare gli Uffici del Consolato Generale, l’Istituto di Cultura, le Scuole statali italiane e il Comites, l’organo di rappresentanza degli italiani all’estero (qui e qui).
In pratica, invece di attrarre investitori per potenziare il fotovoltaico, abbiamo contribuito a creare l’immagine di un’Italia incerta dal punto di vista delle leggi e delle normative. Questo ha fatto sì che di fatto gli investimenti restassero fermi fino al 2020 come mostra il grafico di Italia Solare.
Il tempo perso
Negli anni successivi è andata meglio? Dal 2021 gli investitori chiedono di conoscere tutte le informazioni utili alla programmazione degli investimenti (qui pag. 6), in particolare come il governo intende supportare l’energia da fonti rinnovabili in linea con la direttiva Ue 2018/ 2001 (c.d. RED II). In sostanza, gli operatori del settore, che hanno già ottenuto le autorizzazioni per costruire impianti dopo un lungo processo burocratico (qui Dataroom del novembre 2021), vogliono sapere in anticipo quali incentivi riceveranno dal governo, prima di iniziare i lavori di costruzione, sperando poi di non trovarsi nella stessa situazione di Louvard. Già nel 2021, il settore delle rinnovabili aspetta il cosiddetto decreto FER X, che avrebbe dovuto consentire l’avvio di nuovi progetti per grandi impianti fotovoltaici. Tuttavia, nel 2022, 2023 e 2024 si susseguono solo consultazioni, annunci, promesse, bozze, ripensamenti e aggiustamenti, passaggi alla Commissione europea e alla Corte dei Conti. Ma niente di fatto. Siccome il decreto deve prevedere di stabilizzare i ricavi per 10.000 MW dalle installazioni di impianti con potenza superiore a 1 megawatt, e stima il costo di tali impianti in 900 mila euro a megawatt (qui pag. 24), ne consegue che di fatto si sono bloccati investimenti per 9 miliardi.
Le incognite del futuro
Il decreto entra finalmente in vigore il 28 febbraio 2025 (qui) e stabilisce come saranno incentivati gli impianti di energia rinnovabile. Il meccanismo prevede che il prezzo di aggiudicazione delle aste al ribasso sia la tariffa di riferimento per i successivi 20 anni pagata agli operatori, e che sarà al massimo di 95 euro per megawattora (le previsioni in realtà sono per tariffe ancora più basse, sotto gli 80 euro, decisamente inferiori al prezzo medio dell’energia dopo l’invasione russa dell’Ucraina). Se poi l’operatore venderà l’energia a un prezzo inferiore a quello fissato dall’asta, il Gestore dei Mercati Energetici compenserà la differenza, mentre se venderà a un prezzo maggiore, restituirà la differenza. In questo modo, l’Italia si garantirà energia pulita a un costo fisso, evitando le fluttuazioni del mercato. Tuttavia, il ritardo nell’attuazione del decreto ha rallentato l’introduzione di un sistema che avrebbe permesso già oggi di destinare risorse economiche importanti per ridurre il costo delle bollette. Invece per vederne gli effetti dovremo attendere almeno il 2027, quando i nuovi impianti saranno operativi.
Tutto questo grazie all’incertezza e ai ritardi nomativi che hanno fatto perdere anni preziosi. Inoltre, il decreto FER X appena entrato in vigore, scadrà il 31 dicembre 2025. È in sostanza un decreto transitorio in attesa di promulgarne un altro di lungo periodo. Allora la domanda è: vogliamo davvero continuare a ripetere gli stessi errori, con danni agli investitori e, conseguentemente, ai cittadini che pagano le bollette?
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da corriere.it)
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Marzo 12th, 2025 Riccardo Fucile
VON DER LEYEN: “RISPOSTA FORTE”… PRIMA COLPIRA’ BARCHE, BOURBON E MOTO, POI TESSILI E PRODOTTI AGRICOLI
Arriva la risposta della Commissione europea ai dazi Usa al 25% sulle importazioni di alluminio e acciaio, scattati nella giornata di oggi mercoledì 12 marzo.
Bruxelles ha annunciato che applicherà dazi doganali “forti ma proporzionati” su una serie di prodotti americani, a partire dal primo aprile. Nel mirino finiscono flussi commerciali per un valore di 26 miliardi di dollari, per bilanciare la portata delle tariffe Usa: l’Unione europea “si rammarica profondamente” delle misure decise dal presidente Donald Trump, afferma in una nota la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
Si tratta di contromisure decise per “proteggere” le aziende, i lavoratori e i consumatori europei dall’impatto delle “ingiustificate restrizioni commerciali” decise dagli Stati Uniti d’America, che appunto sono andati a colpire – dopo il balletto di ieri con il Canada – le importazioni di acciaio, alluminio e di alcuni prodotti contenenti queste materie prime dall’Unione Europea oltre che da altri partner commerciali.
Come nota la Bloomberg, il valore nel mirino è quasi quattro volte più grande di quello interessato durante il primo mandato di Trump, quando gli Stati Uniti hanno preso di mira quasi 7 miliardi di dollari di esportazioni di metalli del blocco, citando problemi di sicurezza nazionale
La delusione di Cina e Giappone
La presidente Bce, Christine Lagarde, ammonisce sul fatto che “l’incertezza della politica commerciale è sei volte più alta rispetto al 2021”. E ricorda che gli effetti dei dazi hanno due facce in quanto “potrebbero spingere l’inflazione verso l’alto, ma i dazi statunitensi potrebbero anche ridurre la domanda di esportazioni dell’Ue e reindirizzare l’eccesso di capacità produttiva dalla Cina verso l’Europa, facendo diminuire l’inflazione”.
Ma le reazioni non si limitano all’Eruopa ovviamente. La Cina assicura che “prenderà tutte le misure necessarie a tutela dei suoi interessi e diritti legttimi”. La portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, ammonisce: “Se gli Usa insistono nel voler sopprimere la Cina, allora dovremo rispondere in modo risoluto”. Il Giappone ritiene “deplorevole” non essere stato esentato dai nuovi dazi, dichiara invece il portavoce del governo nipponico, Yoshimasa Hayashi, avvertendo che queste barriere commerciali “rischiano di avere un impatto considerevole sulle relazioni economiche tra il Giappone e gli Stati Uniti”.
Il Regno Unito fa invece sapere che non intende mettere in atto contromisure immediate: “Ci stiamo concentrando su un approccio pragmatico e stiamo rapidamente negoziando”, ha dichiarato in un comunicato il segretario di Stato britannico per il Commercio, Jonathan Reynolds, definendo “deludente” l’applicazione di queste nuove tasse.
Sei miliardi di tariffe extra
Tornando all’Europa, nella comunicazione di Bruxelles odierna si legge che “le tariffe statunitensi incideranno su un totale di 26 miliardi di euro di esportazioni dell’Ue, pari a circa il 5% del totale delle esportazioni” e che “sulla base degli attuali flussi di importazione, gli importatori statunitensi dovranno pagare fino a 6 miliardi di euro di tariffe aggiuntive”. Il vicepresidente della Commissione europea, responsabile della strategia industriale, Stephane Sejournè ha spiegato: “Si terranno discussioni con gli Stati membri per determinare i parametri di tutti i settori che saranno colpiti, ma saranno colpiti più o meno allo stesso livello delle tariffe imposte dagli americani. Riteniamo di avere la capacità e la legittimità di reagire a queste tariffe, che sono ingiustificabili”. In risposta, dunque, l’Ue colpirà i prodotti statunitensi in acciaio e alluminio, nonché i prodotti tessili, i prodotti agricoli e gli elettrodomestici.
La risposa Ue in due fasi
In primo luogo, la Commissione lascerà scadere dal primo aprile la sospensione delle contromisure che erano state lanciate nel 2018 e nel 2020, in occasione della prima guerra commerciale con Trump. Per questa fase, le tariffe “saranno applicate a prodotti che vanno dalle barche al bourbon alle moto”, spiega Bruxelles. Così si prende di mira una gamma di prodotti statunitensi che rispondono alle tariffe su acciaio e alluminio Ue che impattano su 8 miliardi di euro di export.
In una seconda fase, in risposta ai nuovi dazi statunitensi che interessano oltre 18 miliardi di euro di esportazioni Ue, la Commissione sta proponendo un pacchetto di nuove contromisure sulle esportazioni statunitensi. Entreranno in vigore entro metà aprile, dopo la consultazione degli Stati membri e delle parti interessate.
La proposta della Commissione è di mirare a prodotti industriali che comprendono, tra l’altro, prodotti in acciaio e alluminio, prodotti tessili, articoli in pelle, elettrodomestici, utensili per la casa, plastica, prodotti in legno. E poi prodotti agricoli come pollame, carne bovina, alcuni frutti di mare, frutta a guscio, uova, latticini, zucchero e ortaggi. E così raggiungere la somma di 26 miliardi. Per il ministro dell’Industria francese Marc Ferracci “Dobbiamo prima di tutto reagire e stabilire una posizione di forza e poi, ovviamente, avviare una trattativa per cercare di trovare vie d’uscita”
Il Regno Unito guadagna tempo. La Cina risponde
Ma i dazi sull’acciaio degli Usa hanno generato risposte da tutti i principali partner commerciali La Cina “prenderà tutte le misure necessarie a tutela dei suoi interessi e diritti legttimi” in risposta all’entrata in vigore deidazi su acciaio e alluminio al 25% voluti da Donald Trump. “Se gli Usa insistono nel voler sopprimere la Cina, allora dovremo rispondere in modo risoluto”, ha ammonito la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning, nel corso del briefing quotidiano. Il Giappone giudica «deplorevole» non essere stato esentato dai nuovi dazi del 25% sull’acciaio e la ritiene una scelta che “avrà impatto sulle future relazioni” . Fa per ora eccezione il Londra. Il Regno Unito non lancerà contromisure immediate cercando un accordo commerciale più ampio con gli Stati Uniti. Lo ha annunciato il segretario britannico per il Commercio, Jonathan Reynolds, spiegando che continuerà “a impegnarsi strettamente e produttivamente con gli Stati Uniti per far valere gli interessi commerciali del Regno Unito”.
(da agenzie)
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Marzo 12th, 2025 Riccardo Fucile
VALE 1,5 MILIARDI, BRUSCOLINI CONSIDERATO CHE IL SUO PATRIMONIO SUPERA I 300 MILIARDI DI DOLLARI. EPPURE, L’ITALIA RESTA CENTRALE (È IL VENTRE MOLLE D’EUROPA)… IL RAPPORTO ORMAI DETERIORATO CON FRATELLI D’ITALIA E GLI SCAMBI AFFETTUOSI CON SALVINI
Non sarà certo l’affare dei satelliti Starlink da 1,5 miliardi, che Elon Musk vorrebbe fare in
Italia, a compensare il crollo delle vendite delle sue Tesla in Cina (-49% in un anno) che ieri ha fatto precipitare il titolo del 15,43%.
Tuttavia il grande attivismo del tycoon nel nostro Paese ultimamente fa comprendere a che punto sia il suo business in Italia. Ma quali affari sono ancora in ballo per Elon Musk in Italia? Il più grosso è il contratto quinquennale da 1,5 miliardi con Starlink per servizi di telecomunicazioni «sicure», con la fornitura all’Italia di una gamma di sistemi di crittografia per i servizi telefonici e Internet utilizzati dal governo.
Ma anche servizi di comunicazione per le forze armate nell’area del Mediterraneo e l’implementazione di servizi satellitari in Italia per l’uso in emergenze.
Per capire quanto si fosse avanti nelle trattative alla fine dell’anno scorso, basti pensare che, a ottobre 2024, un documento della Farnesina, contenente l’elenco di ambasciate e consolati da collegare al sistema, era stato rinvenuto dalla Guardia di Finanza nelle mani del plenipotenziario italiano di Musk, Andrea Stroppa (che per questo è stato indagato).
Va precisato che Starlink offre già in Italia altri servizi, che però riguardano la connettività telefonica domestica nelle zone non raggiunte dalla fibra, e questo fa di Musk un avversario temibile per la concorrenza in quell’ambito. Quanto a Tesla, l’Italia detiene il primato degli acquisti (15.378) tra le auto elettriche vendute nel Paese nel 2024, peccato che però equivalgano solo al 4,2% del totale
Musk non poteva non posizionarsi anche nel mercato della transizione energetica. In Italia si sta attrezzando per portare sul mercato due accumulatori di energia: Powerwall per il domestico e Megapack per le aziende.
E infine c’è il social X, che in Italia vanta ancora molti utilizzatori. Tornando al business principale in Italia, Starlink, fino all’elezione in Usa di Donald Trump, a novembre, è sembrato subire soltanto la forte contrarietà delle opposizioni.
Poi però le intemerate di Trump contro l’Europa e le sue minacce di abbandonare l’alleanza atlantica hanno cambiato il contesto. Così, l’ultimo Musk avvistato a Palazzo Chigi è stato il fratello minore Kimbal, ricevuto a fine gennaio dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli.
Qualche giorno prima la premier aveva bollato come «false notizie» quelle circolate sulla firma di un accordo con Starlink. «Valuto gli investimenti stranieri solo con la lente dell’interesse nazionale, non delle amicizie». Non proprio un viatico
Fallito il tentativo di Musk di contattare addirittura il Quirinale per ottenerne l’appoggio, oggi a sostenere Starlink c’è solo il vicepremier leghista Matteo Salvini. Lo stesso che Stroppa ha rilanciato, con un sondaggio su X, come il «migliore ministro degli Interni» dal 2016. E che i rapporti con il partito della premier si siano invece deteriorati, lo prova il tono che Stroppa ha usato con i suoi deputati, rei di aver fatto passare due emendamenti del Pd nella legge sullo Spazio.
«Evitate di chiamarci per conferenze o altro» è stata la minaccia su X. Eppure proprio quella legge […] è una porta aperta per Starlink. Il governo ha cassato gli emendamenti dell’opposizione per limitare l’operatività di satelliti stranieri a quelli di soggetti istituzionali europei. Per ora, a offrire tale servizio possono essere i satelliti europei o appartenenti all’alleanza atlantica. Dunque, anche quelli di Musk.
(da agenzie)
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