Marzo 13th, 2025 Riccardo Fucile
DAI PACIFINTI AL SOLDO DI PUTIN AGLI ETERNI ILLUSI CHE NON SANNO SPIEGARE PER QUALE RAGIONE UN POPOLO AGGREDITO NON DEBBA DIFENDERSI E ARMARSI MA DIRE “PREGO, ACCOMODATEVI”… UNA VOLTA SI CHIAMAVANO VILI
Avrei evitato volentieri di entrare in argomento “bellico” ma i tempi richiedono che ciascuno esprima la propria opinione su argomenti “scomodi”.
Partiamo da una domanda: “un popolo aggredito ha diritto a difendersi da una aggressione militare al proprio territorio?”
Non ne faccio una questione “ideologica”, non mi interessa la bandiera dell’aggressore o dell’aggredito, ne faccio una questione “morale e valoriale”.
Da uomo di “destra” mi sono raccolto a Praga sul luogo in cui si immolo’ Jan Palach di fronte all’invasore russo, cosi’ come ho ammirato in Vietnam i luoghi della eroica resistenza del popolo vietnamita all’invasore americano.
Così come ho difeso l’eroico popolo ucraino e quello palestinese, senza guardare le “appartenenze ideologiche”, cosa che a sinistra come a destra molti fanno ancora fatica a comprendere per limiti mentali.
Sono sempre stato un pacifista “normale”, di quelli che si basano sul principio “non rompere i coglioni agli altri se non vuoi che gli altri li rompano a te”, ma nella coniugazione “a uno schiaffo reagisco con due sberle”. E ovviamente. avendo fatto politica in tempi dove volavano sprangate, sono sempre stato per la legittima difesa.
Veniamo al tema divisivo oggi a destra come a sinistra: la pace in Ucraina.
Lasciamo perdere il pacifinto Salvini che ha sempre parteggiato per l’aggressore , senza peraltro guadagnare un voto, preferisco concentrarmi sulle posizioni surreali di Schlein e Conte.
La prima non vuole che si spendano soldi “per il riarmo” europeo attingendo a risorse nazionali e si arrampica sugli specchi sostenendo che occorre attingere a “fondi europei” senza toccare il welfare (ma esistomo anche gli evasori e i grandi patrimoni parassitari)
Peccato che i fondi europei provengano dai versamenti dei 27 Stati, quindi è il gatto che si morde la coda. Se Elly ha un’altra idea di dove cercarli ci faccia sapere.
Quanto al fatto che non devono riarmarsi i singoli Stati ma l’Europa in modo coordinato, posso anche essere d’accordo, ma con le premesse di cui sopra sembra solo una affermazione che non porta a nulla, un buttare la palla in tribuna.
Significativo, al di là della spaccatura interna al Pd, che i Dem siano l’unico partito europeo dell’area socialista a non aver votato a favore della proposta Ue (peraltro sicuramente migliorabile). Una posizione che mal si addice a un partito che vuol porsi con “cultura di governo”.
Veniamo a Conte che ha il problema di cercare consensi tra coloro che vanno a votare una volta si e due no.
Certamente non ha l’appeal del “pacifista” ma cerca di cavalcare l’idiosincrasia degli italiani verso ogni “pericolo” latente (una volta erano gli immigrati, vero Giuseppe?).
Il “tengo famiglia” coagula consensi, tutto il resto è noia.
La tesi pacifista è questa: basta alla guerre, alle armi, ai morti. Sottoscrivo, ma pongo una semplice domanda inevasa: se un Paese aggredisce un altro che deve fare, in nome del pacifismo? Cerchiamo di convincerli? Diciamo loro: “prego, accomodatevi, volete anche un aperitivo? Volete violentare le nostre donne o rapire i nostri bambini?”
Nessuno risponde mai a questa domanda.
Si parla di “pericoli di guerra nucleare”, quindi meglio cedere ai prepotenti? Che siano Putin, Trump o Musk, meglio far finta di nulla per il quieto vivere.
E pensare che una vasta letteratura in tempi non sospetti ha definito questa mentalità “da vigliacchi”, si sarà sbagliata… i tempi cambiano.
Poi se qualche pacifista vive ancora nel mondo dei sogni, libero di farlo. Noi siamo tra coloro che ritengono che un Paese e quindi l’Europa debba difendersi dai pazzi criminali e la migliore difesa è far sapere che a un pugno si è in grado di rispondere con una sprangata.
La pace si difende così, sia dalle invasioni che dai dazi. Per far vivere in serenità pure i pacifisti, anche se non lo sanno (ma non è il caso di avvisarli)
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Marzo 13th, 2025 Riccardo Fucile
ANCHE I RICCHI PIANGONO: LA SPESA DEI CONSUMATORI AMERICANI NEL MERCATO DEL LUSSO È SCESA DEL 9,3% A FEBBRAIO …CI SONO MENO SOLDI NEI CONTI CORRENTI, E LA CRESCITA DEI SALARI RALLENTA
I consumatori americani hanno avuto molto di cui preoccuparsi quest’anno, tra le infinite
notizie sulle tariffe, l’inflazione ostinata e, più recentemente, i nuovi timori di una recessione. Queste preoccupazioni sembrano colpire contemporaneamente la spesa di ricchi e poveri, tra beni di prima necessità e di lusso.
Prendiamo i consumatori a basso reddito: in un’intervista rilasciata all’Economic Club di Chicago alla fine di febbraio, l’amministratore delegato di Walmart Doug McMillon ha dichiarato che i clienti “stressati dal budget” mostrano comportamenti stressanti: acquistano confezioni più piccole […] perché “i soldi finiscono prima che il mese sia finito”
Nella sua ultima conferenza stampa sugli utili, McDonald’s ha dichiarato che l’industria del fast food ha avuto un “inizio d’anno fiacco”, in parte a causa della debolezza della domanda da parte dei consumatori a basso reddito. Secondo McDonald’s, nel quarto trimestre le vendite ai clienti a basso reddito sono diminuite di una percentuale a due cifre rispetto all’anno precedente.
Dollar General, nel corso della sua conferenza stampa di giovedì, ha dichiarato che i suoi clienti riferiscono di avere denaro sufficiente solo per i beni di prima necessità; alcuni sono costretti a sacrificare persino quelli.
L’azienda non si aspetta alcun miglioramento dell’ambiente economico quest’anno e sta osservando le potenziali modifiche ai programmi governativi. I Dollar Store dipendono in misura maggiore dai sussidi alimentari, che potrebbero essere oggetto di tagli di bilancio.
Le cose non sembrano andare molto meglio nella fascia più alta. La spesa dei consumatori americani nel mercato del lusso, che comprende i grandi magazzini di fascia alta e le piattaforme online, è scesa del 9,3% a febbraio rispetto a un anno prima, peggio del calo del 5,9% di gennaio, secondo l’analisi di Citi dei dati sulle transazioni con carta di credito.
Costco, la cui base di clienti che pagano la quota associativa è composta da persone con un reddito più elevato, ha dichiarato la scorsa settimana che la domanda si è spostata verso proteine a basso costo come la carne macinata e il pollame.
Il direttore finanziario Gary Millerchip ha dichiarato che i soci continuano a spendere, ma sono “molto selettivi” su dove spendere. Ha detto che i consumatori potrebbero diventare ancora più esigenti se vedessero un’inflazione maggiore dovuta alle tariffe.
Dollar General ha dichiarato giovedì che le vendite alle famiglie con un reddito più elevato, che cercano opzioni più economiche, hanno subito un’accelerazione nelle ultime settimane.
Diversi anni di inflazione, in particolare su beni di prima necessità come alimentari, affitti e bollette, hanno colpito duramente gli americani più poveri. Ma un mercato azionario forte, sostenuto dall’entusiasmo per l’intelligenza artificiale, ha fatto sì che le persone più ricche continuassero a spendere.
Ora tutti sembrano essere più cauti e questa limitazione della spesa si ripercuote su diverse categorie. Ci sono segnali che indicano che i consumatori stanno rinunciando ai viaggi aerei, ad esempio.
Delta Air Lines, American Airlines e JetBlue hanno tagliato le loro previsioni per il primo trimestre all’inizio della settimana. L’amministratore delegato di Delta, Ed Bastian, ha dichiarato martedì in occasione di una conferenza di settore che “c’è qualcosa che non va nel sentimento economico, qualcosa che non va nella fiducia dei consumatori”.
L’analisi di Citi dei dati relativi alle carte di credito statunitensi mostra che la spesa è diminuita nella maggior parte delle categorie di vendita al dettaglio. Nel trimestre in corso, la spesa per l’abbigliamento e le calzature sportive è scesa rispettivamente del 12% e del 22% rispetto all’anno precedente. Ma anche categorie meno discrezionali come la vendita al dettaglio di generi alimentari, ricambi auto e animali domestici stanno registrando cali moderati.
Rivenditori come Target, Foot Locker e Lowe’s hanno dichiarato di aver registrato una domanda debole a febbraio. L’amministratore delegato di Target, Brian Cornell, ha dichiarato la scorsa settimana che i consumatori stanno pensando al potenziale impatto delle tariffe doganali e a cosa significherà per loro.
Foot Locker, che la settimana scorsa ha dichiarato che i suoi consumatori sono stati “cauti e sensibili” a febbraio, ha detto che la sua base di clienti, in maggioranza giovani, sta “pensando al costo generale della vita, oltre a qualche incertezza sulle tariffe”.
Solo questa settimana, i consumatori hanno avuto molti nuovi sviluppi da digerire. Domenica il Presidente Trump ha rifiutato di escludere una recessione degli Stati Uniti come conseguenza delle sue politiche economiche, facendo crollare le azioni.
A ciò ha fatto seguito un’altra montagna russa di minacce di tariffe, contro-tariffe e retromarce. I dati sull’inflazione di mercoledì hanno mostrato un leggero rallentamento dell’aumento dei prezzi a febbraio, ma si tratta di una magra consolazione perché è troppo presto per riflettere gli effetti dei dazi di Trump.
Ma non si tratta solo di timori per i dazi o di un senso più ampio di incertezza. Molti hanno anche meno contanti a disposizione. I saldi dei depositi di conto e di risparmio di tutti i livelli di reddito sono diminuiti nel periodo di 12 mesi fino a febbraio e si stanno avvicinando ai livelli del 2019 corretti per l’inflazione, secondo i dati delle carte tracciati dal Bank of America Institute.
La crescita dei salari per tutti i gruppi di reddito è rallentata nell’ultimo anno, secondo i dati della Federal Reserve Bank di Atlanta. I saldi del debito degli americani, corretti per l’inflazione, stanno iniziando a superare i livelli pre-pandemici.
Ciò significa che i consumatori sono generalmente meno in grado di assorbire gli shock, proprio quando l’incertezza è alle stelle. È difficile biasimarli per la loro cautela, anche se questo significa che l’economia ne risente.
(da Wall Street Journal)
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Marzo 13th, 2025 Riccardo Fucile
A VINCERE LA TORNATA ELETTORALE È STATA LA FORMAZIONE DI CENTRODESTRA DEMOKRAATIT, PER LA QUALE L’INDIPENDENZA DALLA DANIMARCA NON È UN’URGENZA … TUTTI I PARTITI SI OPPONGONO ALL’ANNESSIONE AGLI USA: LA GROENLANDIA FA GOLA PER LE SUE RISORSE NATURALI DI MATERIE PRIME, TERRE RARE, GIACIMENTI DI GAS, PETROLIO E PER LA SUA POSIZIONE STRATEGICA
Mai delle elezioni nel Paese più esteso e meno densamente popolato del mondo hanno destato tanta attenzione. I risultati della Groenlandia consegnano la fotografia di una popolazione per il 70 per cento spaventata dalle mire trumpiane ma con una quota di un 24 per cento che si lascia sedurre dalla retorica populista, autonomista e vicina al mondo Maga.
Il partito di centro destra Demokraatit, finora all’opposizione, ha vinto inaspettatamente le elezioni nell’isola semi-autonoma della Danimarca. Per quanto dei risultati in assenza di sondaggi possano risultare inaspettati, il partito che si definisce “social-liberale” è passato dal 9,3% del 2021 al 29,9% di quest’anno (+20%). Il suo leader, il trentatreenne campione di badminton ed ex ministro del Lavoro e delle Materie prime Jens Frederik Nielsen, è stato il primo a mostrare stupore:
«Non ci aspettavamo questo risultato», ha dichiarato la notte dello spoglio elettorale. Con la vittoria di Demokraatit la questione dell’indipendenza -tornata alla ribalta con le dichiarazioni di Donald Trump – subisce una frenata importante. Il presidente degli Stati Uniti aveva detto, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, che era di interesse nazionale assicurarsi il controllo dell’isola «in un modo o nell’altro».
La Groenlandia fa gola per le sue risorse naturali di materie prime, terre rare, giacimenti di gas, petrolio e per la sua posizione strategica nel controllo delle vie di comunicazioni polari, in combinazione con il cambiamento climatico che apre nuove possibilità.
Ora, il partito vincitore, originariamente sostenuto dalla popolazione danese nell’isola, considera l’indipendenza un percorso di lunga durata, non un tema all’ordine del giorno. Nielsen è a favore di una «rotta tranquilla» nei confronti degli Stati Uniti e sostiene sia necessario «gettare le basi» prima di poter parlare di uno Stato della Groenlandia. Chi invece vuole raggiungere rapidamente l’indipendenza è Naleraq, il partito di orientamento populista, l’unico ad intrattenere rapporti diretti e ufficiali con il movimento Maga.
Gli elettori lo hanno premiato facendogli guadagnare il 12%, e portandolo al 24,5%. Un risultato di tutto rilievo, considerata la diffusa diffidenza suscitata nell’isola dalle sortite dell’inquilino della Casa Bianca. Nell’ultimo dibattito elettorale prima delle elezioni, tutti i rappresentanti di sei partiti hanno dichiarato all’unanimità di non fidarsi delle parole del presidente Trump.
A perdere nella tornata dell’11 marzo sono stati i due partiti della coalizione di governo uscente: Inuit Ataqatigiit, il partito verde di sinistra, che esprimeva il premier Múte Bourup Egede, e il partito socialista Siumut. Il primo ha raccolto il 21,4% dei consensi, classificandosi al terzo posto e registrando una perdita del 15,3%, il secondo, il partito Siumut, ha subito un crollo ancora più rovinoso, dimezzando i voti e scendendo al 14,7%.
Si tratta quindi di un’inversione di tendenza che riflette un cambio di rotta globale. A pesare sul voto è stata la rabbia per la recente riforma circa le quote della pesca in un Paese che vive al 95 per cento dei proventi dell’industria del pesce. Ora le domande sul tavolo sono due. Quale sarà la nuova coalizione?
(da La Stampa)
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Marzo 13th, 2025 Riccardo Fucile
PROPONE AD ALCUNI GOVERNI (COMPRESO QUELLO ITALIANO) NEGOZIATI SEPARATI SUI DAZI PER “TRATTAMENTI DI FAVORE” … LA STRATEGIA RISCHIA DI ESSERE UN FLOP: SE ALCUNI PAESI DOVESSERO SCENDERE A PATTI CON “THE DONALD”, I PARTNER EUROPEI REAGIREBBERO TAGLIANDOLI FUORI DAI LORO MERCATI NAZIONALI … LA CAMALEONTE MELONI PER ORA È CAUTA E LASCIA TRATTARE LA COMMISSIONE UE
Forse perché secondo Donald Trump ormai si è aperta una «battaglia finanziaria» con
l’Unione europea, gli Stati Uniti sono al lavoro per dividere il fronte avversario. Ad alcuni governi, Italia inclusa, la Casa Bianca ha lasciato intendere che sarebbero possibili negoziati separati e dunque – probabilmente – trattamenti individuali di favore.
Almeno per ora però il divide et impera della Casa Bianca non sta funzionando. Se alcuni Paesi dovessero scendere a patti separati con Trump, gli altri governi europei reagirebbero tagliandoli fuori dai loro mercati nazionali.
E a Roma comunque per ora si ritiene che a trattare con Washington per l’Unione europea debba essere il commissario (slovacco) al Commercio Maroš Šefcovic, peraltro ritenuto decisamente abile nel farlo.
Il confronto resta inquinato da troppe idee di Trump che non trovano riscontri. Né è facile richiamare ai fatti gli emissari della Casa Bianca: il presidente centralizza su di sé gran parte delle decisioni, ma non accetta di parlare con Ursula von der Leyen o altri rappresentanti della Commissione Ue.
Il rischio del cortocircuito è dunque sempre dietro l’angolo. Del tutto falsa è per esempio la premessa di Trump secondo cui l’Europa si approfitterebbe dell’apertura del mercato americano, restando chiusa all’import a stelle e strisce.
La bilancia delle partite correnti della Banca d’Italia e della Banca centrale europea — gli scambi di beni, servizi, transazioni finanziarie e redditi — dice il contrario. L’attivo dell’area euro con l’America inizia a precipitare prima della pandemia e dal 2022 emerge un surplus americano, che di certo nel 2023 e probabilmente nel 2024 continua a crescere.
Gli Stati Uniti fatturano nella zona euro più di quanto la zona euro fatturi negli Stati Uniti e la spiegazione è tutta nella rivoluzione digitale. Il pagamento da parte degli europei alle Big Tech californiane di «diritti per l’uso di proprietà intellettuale» esplode da 25 miliardi di euro nel 2018 a 155 miliardi nel 2023.
Quei flussi di denaro attraversano l’Atlantico verso ovest ogni volta che un residente di Milano, Roma, Parigi o Berlino registra un abbonamento a Netflix per vedere una serie, a Chat Gpt 4.0 per un processo di lavoro, a Microsoft per fare videoconferenze o a Meta per diffondere un post su Facebook. L’economia immateriale ha rovesciato i rapporti fra Europa e America.
Ora l’area euro registra un rosso nelle partite correnti con gli Stati Uniti di 7,5
miliardi di euro nel 2022 e di 22,1 miliardi nel 2023, malgrado il suo grande surplus negli scambi di beni materiali. Anche i pagamenti dell’Italia agli Stati Uniti per «diritti di proprietà intellettuale» esplodono da 605 milioni nel 2018 a 1,9 miliardi nel 2023.
La seconda questione che intossica i rapporti riguarda poi l’imposta sul valore aggiunto (Iva): la Casa Bianca ritiene che l’Iva europea, poiché colpisce prodotti importati, potrebbe giustificare dazi «reciproci». Il solo problema è che l’Iva non è un dazio.
Quest’ultimo colpisce solo i beni esteri quando arrivano alla frontiera, per rendere il loro prezzo meno attraente rispetto ai beni prodotti all’interno di un’economia. Ma l’Iva europea colpisce i prodotti americani o cinesi così come quelli italiani, francesi o tedeschi; dunque non distorce il mercato contro l’America o a favore dell’Europa e non giustificherebbe alcuna misura «reciproca».
Ma la logica politica per ora trascina via tutto il resto.
Trump ha fatto scattare dazi al 25% su acciaio ed alluminio (e molti beni che li contengono) per un export europeo che nel 2024 valeva 26 miliardi di euro. È un’escalation, perché il fatturato europeo colpito valeva circa otto miliardi l’anno quando Trump fece lo stesso nel 2018.
E se la risposta europea stavolta è immediata, lo si deve in parte a ragioni non ripetibili: le ritorsioni erano già state approvate nel 2018 e in seguito furono congelate dopo una tregua; Bruxelles per ora ha ritirato fuori quell’arsenale dagli armadi e lavorerà per rafforzarlo.
Rispetto agli ordini esecutivi di Trump, firmati sempre all’improvviso, le misure europee però manovrano con più lentezza: vanno proposte dalla Commissione e poi approvate dai governi a maggioranza qualificata, senza diritti di veto. E anche questa asimmetria è destinata a contare, nei mesi di burrasca che si annunciano.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2025 Riccardo Fucile
IL BERSAGLIO NUMERO UNO SONO LE DONNE, SEGUITE DAGLI EBREI, STANIERI, MUSULMANI, PERSONE AFFETTE DA DISABILITÀ E GLI OMOSESSUALI … LA “MAPPA DELL’INTOLLERANZA” CREATA DA “VOX” L’OSSERVATORIO ITALIANO SUI DIRITTI
Più di un milione di messaggi d’odio in meno di un anno. Un’onda nera che avvelena la rete. Sempre più alta, dirompente e spietata contro gli ebrei e gli stranieri. Ma soprattutto contro le donne. Bersaglio numero uno di chi insulta attraverso i social, con Roma al primo posto per discorsi omofobi e antisemiti, Milano capitale di quelli xenofobi e misogini, dove a firmarli sono per buona parte donne stesse. È la nuova mappa dell’intolleranza di Vox, l’Osservatorio italiano sui diritti — ideato nove anni fa dalla Statale di Milano, l’università di Bari e la Sapienza di Roma — che fotografa l’odio online, geolocalizzando i luoghi dove si concentra.
Una radiografia realizzata anche con l’IA basata su quasi 2 milioni di post pubblicati su X fra gennaio e novembre 2024: […] Il 57% della marea di tweet sotto esame ha nutrito e drogato i social di contenuti negativi.
Una delle tendenze più rilevanti era attesa: la crescita esponenziale di insulti contro gli ebrei, obiettivo del 27% dei messaggi d’odio. Sono quadruplicati rispetto al 2022, spingendoli al secondo posto fra le sei categorie maggiormente prese di mira, seguiti nell’ordine da stranieri, musulmani, disabili e omosessuali. Si legge nel dossier anticipato a Repubblica , che verrà presentato oggi con i ricercatori delle università di Milano e Bari, che hanno contribuito a questa edizione. Dalla guerra a Gaza in avanti, però, «c’è un cambiamento semantico nella costruzione dello stereotipo e non viene più odiato l’ebreo in quanto tale — viene sottolineato — ma il “sionista” percepito come aggressore, invasore e genocida».
Contro l’Islam il picco più alto in assoluto c’è stato a ridosso del 24 novembre con la morte di Ramy al Corvetto. I tweet contro i migranti sono 124 mila in undici mesi, […]. Ma le più detestate in assoluto restano le donne, che incassano la metà dei messaggi con insulti feroci. Una media di oltre 51 mila tweet misogini al mese, 1.700 al giorno. Non solo si intensificano, registrando livelli altissimi a ridosso dei femminicidi, veri detonatori.
L’odio per le donne sarebbe ormai così profondo da non avere più bisogno degli stereotipi femminili più classici che le vogliono inadatte per certi lavori o ruoli, oppure troppo emotive, insicure, isteriche.
«Si è trasformato in odio puro, specialmente nell’intersezione fra categorie: l’intolleranza verso la donna straniera o ebrea è ancora più violenta. E in generale l’odio misogino oggi ha a che fare con la marginalizzazione, la discriminazione, l’esercizio del potere». A parlare è Silvia Brena: insieme a Marilisa D’Amico, prorettrice della Statale, ha fondato Vox, che dopo le regole restrittive di Elon Musk sui dati di X si è appoggiata all’agenzia “The Fool”, che li ha estratti pro bono sbloccando uno stop alla ricerca forzato.
Altro aspetto interessante, gli autori: fra chi scrive messaggi misogini cattivissimi, fanno notare, spuntano parecchie donne. Per metà degli odiatori non si può risalire al genere. Quelli verificati sono per il 60 per cento uomini, la maggioranza. Ma nel 40% dei casi la firma è di sesso opposto. Se da un lato l’aggressività al femminile, anche fisica, sta aumentando, come ci dicono le baby gang, dall’altro «vediamo questo fenomeno anche nelle questioni politiche o all’interno delle organizzazioni lavorative, donne che non solidarizzano con le altre donne — dice D’Amico — . Un altro aspetto della cultura patriarcale perché la sorellanza spezza il monopolio maschile ».
(da La Repubblica)
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Marzo 13th, 2025 Riccardo Fucile
LE CARTE RISERVATE SVELANO I LEGAMI DEL CAPO DELLA POLIZIA DI TRIPOLI CON LE MILIZIE ARMATE CHE ORGANIZZAVANO AGGUATI ANCHE DURANTE LA VISITA DELLA MELONI IN LIBIA
Capo della polizia giudiziaria del legittimo governo libico: è la carica rivestita da Osama
Njeem detto Elmasri o Almasri, l’esponente libico colpito da un ordine d’arresto spiccato il 18 gennaio scorso dalla Corte penale internazionale, subito fermato dalla polizia in Italia, ma poi liberato e rimpatriato con un volo di Stato, quattro giorni dopo, per decisione del nostro governo, che ha scatenato proteste dell’opposizione e indagini giudiziarie.
Il ruolo a lui attribuito a Tripoli fa pensare a un rappresentante della legge, titolare di una posizione di vertice nell’apparato di sicurezza e di giustizia del Governo di unità nazionale (Gnu), l’unico riconosciuto dall’Onu, che controlla la Tripolitania, cioè mezza Libia.
Le carte riservate delle missioni militari europee disegnano però un identikit molto diverso: Osama Njeem viene descritto come il comandante di una milizia armata di matrice islamista, che dopo un decennio di guerra civile è stata assorbita nell’apparato statale, senza essere mai stata disarmata né smantellata.
Una milizia che sfidava il governo di Tripoli, alleato dell’Italia e della Ue,
con agguati e sparatorie organizzati anche nel 2024 nei giorni della visita della premier Giorgia Meloni.
A rivelare questi e altri segreti sulla LIbia è un’inchiesta giornalistica internazionale, a cui partecipa L’Espresso in esclusiva per l’Italia, che ha portato alla luce 48.100 documenti trasmessi negli ultimi anni, fino al 2024, al servizio affari esteri dell’Unione europea (Eeas). Tra le carte che il consorzio Icij ha condiviso con il nostro settimanale ci sono atti interni delle autorità militari, come le forze navali della Ue (Eunavfor), ma anche rapporti provenienti da agenzie doganali e di polizia come Frontex, Eubam, Europol e Interpol. Molti documenti riguardano traffici internazionali di armi, operazioni segrete che coinvolgono Russia e Turchia: come riassume il consorzio, sono carte che mostrano «l’impotenza e il sostanziale fallimento delle missioni europee».
La milizia islamista di cui Osama Njeem è uno dei capi militari si chiama Rada, è radicata nell’area di Tripoli e si è alleata con altre fazioni che hanno combattuto prima contro le forze di Gheddafi, poi contro i terroristi dell’Isis, quindi contro le truppe del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Le milizie vincenti sono state legittimate come parte delle strutture statali: nei documenti europei si legge che Rada, in particolare, ha costituito le «Forze speciali di deterrenza (Sdf) a cui è affiliata la Polizia giudiziaria». Le varie fazioni restano separate e i conflitti si risolvono spesso con le armi.
Decine di «rapporti di sicurezza» intestati all’Eubam (l’agenzia europea per il controllo delle frontiere) documentano giorno per giorno queste violente lotte tra milizie, che proseguono per mesi, anche nel 2024. Un esempio tra i tanti: la sera del 13 aprile scatta l’allarme su un’imminente rivolta delle fazioni islamiste. «Scontri armati nella città di Tripoli tra la Polizia giudiziaria guidata da Osama Njeem e le milizie fedeli al Governo di unità nazionale (Gnu). Ci sono sparatorie in corso nelle zone di Mitiga, Tajoura e in altre aree della capitale», si legge nel rapporto. «Ci si aspetta un aumento generalizzato degli scontri armati nelle linee di contatto tra le milizie di Rada-Sdf e le forze lealiste di Ssa-Gnu».
Le relazioni più dettagliate contengono anche le mappe della spartizione di Tripoli tra le milizie dominanti: l’area di Rada-Sdf confina con quelle delle Brigate 111, 444, Ssa e Tajoura. I militari italiani ed europei vengono preavvisati regolarmente dei rischi di scontri armati. E il 24 aprile «un vertice nel quartier generale di Sdf, nella base aerea di Mitiga», fa temere che una coalizione capeggiata dagli islamisti di Rada stia per dichiarare guerra agoverno di Tripoli. Tra i «comandanti militari anti-Gnu» che vi partecipano viene segnalato «Osama Njeem della Polizia giudiziaria». È in questo contesto di altissima tensione, non pubblicizzato, che Giorgia Meloni torna a visitare la Libia: il 7 maggio 2024 la premier italiana incontra a Tripoli il primo ministro Dbeibah e poi a Bengasi il generale Haftar. Lo stesso giorno, riesplodono gli scontri armati tra milizie. Tra l’estate e l’autunno del 2024 si riducono le segnalazioni di sparatorie e omicidi che però continuano a coinvolgere anche la polizia giudiziaria.
Nell’ordine d’arresto internazionale, Osama Njeem, nato a Tripoli il 16 luglio 1979, viene incriminato come direttore della prigione di Mitiga, la più grande della Tripolitania, con oltre 5 mila detenuti identificati. La Corte lo accusa di aver organizzato «torture sistematiche», pestaggi brutali, trattamenti disumani e almeno 30 violenze sessuali e 34 omicidi.
Dai rapporti delle agenzie europee di controllo delle frontiere ora emergono anche sospetti di complicità con gli scafisti, così riassunte in un documento dell’aprile 2024: «Nei loro interrogatori, i migranti imbarcati dalla Libia Occidentale hanno menzionato il coinvolgimento di entità ufficiali libiche, personale con le uniformi, nel traffico di esseri umani. Alcuni migranti sono stati trasferiti direttamente dalla prigione al rifugio-covo degli scafisti, dopo che le loro famiglie avevano pagato il riscatto chiesto dai trafficanti»
(da lespresso.it)
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Marzo 13th, 2025 Riccardo Fucile
“L’ESITO DEL PROSSIMO CONCLAVE POTREBBE ESSERE CONSIDERATO UN TEST POLITICO PER TRUMP E IL SUO MOVIMENTO, PROPRIO COME IL CONCLAVE DELL’OTTOBRE 1978 INVIÒ UN MESSAGGIO ALL’UNIONE SOVIETICA CON KAROL WOJTYLA”
Papa Francesco è ricoverato in un ospedale di Roma da un mese. Le sue condizioni sarebbero gravi per chiunque, ma sono ancora più minacciose per un uomo di 88 anni a cui è stato asportato parte di un polmone da giovane e che rifiuta ostinatamente di rallentare. Sebbene il Vaticano abbia riferito questa settimana che sta migliorando, potrebbe essere così indebolito che, secondo alcuni, potrebbe decidere di dimettersi.
In ogni caso, il destino di un papa rimane una grande preoccupazione per i circa 1,3 miliardi di cattolici del mondo e una fonte di maggiore curiosità per coloro che vedono Francesco come una voce morale sempre più solitaria sulla scena mondiale e si chiedono che tipo di papa gli succederà.
Il desiderio di un leader che anteponga i bisogni e gli interessi degli altri – compresi i meno potenti – ai propri è sentito soprattutto dai molti americani che oggi cercano disperatamente una luce nelle tenebre di Donald Trump.
Questo papa è emerso come una voce morale sempre più solitaria contro le pericolose tendenze globali che a volte hanno lasciato le forze della democrazia liberale in preda al panico: nazionalismo, populismo, disinformazione, xenofobia, disuguaglianza economica e autoritarismo.
Un mondo senza un papa come Francesco assomiglierà per certi versi a una distopia hobbesiana.
Francesco è diventato ancora più esplicito con l’accelerazione di queste preoccupanti tendenze politiche, soprattutto con la vittoria elettorale di Trump.
Poco prima del ricovero attuale, Francesco ha preso di mira direttamente la politica di deportazione di massa e la demonizzazione degli immigrati di Trump.
“Ciò che è costruito sulla base della forza”, ha avvertito Francesco in una straordinaria lettera ai vescovi americani, ‘e non sulla verità della pari dignità di ogni essere umano, inizia male e finirà male’”
Il Papa ha proclamato la sua visione quasi subito dopo essere stato eletto 12 anni fa, questo mese, come il primo Papa dell’emisfero meridionale, il primo Papa gesuita, il primo a prendere il nome del santo di Assisi.
Ha viaggiato nel caldo soffocante fino all’isola mediterranea di Lampedusa, dove sono sbarcati tanti migranti o dove le loro barche e i loro corpi sono andati perduti, e ha celebrato la Messa su un altare fatto con il legno delle barche dei rifugiati.
Francesco ha anche costantemente denunciato la tentazione distruttiva del populismo e l’ascesa di “un nazionalismo miope, estremista, rancoroso e aggressivo”.
In una visita ad Atene del 2021 ha messo in guardia dal “ritiro dalla democrazia” a livello globale, un sistema politico che ha definito “la risposta al canto delle sirene dell’autoritarismo”. Unificare le potenze mondiali in una battaglia comune contro il riscaldamento globale è stato un tema centrale del suo papato.
Il Papa non è un moralista dagli occhi di ghiaccio. “La realtà è superiore alle idee”, come ama dire, ed è realista su come funziona il mondo. Odia le ideologie che dirottano le menti e acclama la politica vecchio stile che porta a termine le cose. La politica “è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarsi corrompere”, ha detto agli aspiranti politici.
Mettendo in guardia dalla “propaganda che instilla l’odio, che divide il mondo in amici da difendere e nemici da combattere”, il Papa ha spinto con forza sia per una Chiesa inclusiva che per un mondo inclusivo.
Avere un pontefice romano come baluardo dei valori liberali potrebbe ovviamente essere considerato ironico.
La Chiesa cattolica fino alla metà del secolo scorso non era, almeno
ufficialmente, un campione della democrazia o della libertà religiosa o di altri principi che gli americani, in particolare, considerano fondamentali.
O almeno lo era. Ora abbiamo il Papa che promuove molti dei diritti e dei principi che gran parte dell’America sembra contrastare.
Ma questo è il punto in cui ci troviamo. “In quest’epoca di poteri neo-imperiali, sospetto che la Chiesa cattolica sia il miglior anti-impero – con tutti i suoi difetti – che abbiamo”, ha detto di recente il teologo di Villanova Massimo Faggioli.
Questa sottile speranza dipende da chi succederà a Francesco. Alcuni cattolici (compresi i principali esponenti dell’amministrazione statunitense) sognano un “Papa trumpiano” che epuri la Chiesa dai liberali, dai gay e da chiunque sia considerato “eterodosso”.
Ma non ci sono “papabili” validi che abbiano lo stampo di Trump e ci sono meno conservatori politici nel Collegio Cardinalizio – i cui membri eleggono il Papa e sono stati in gran parte nominati da Francesco – rispetto a qualche anno fa. Il modo prepotente di operare di Trump potrebbe persino portare a un contraccolpo tra i cardinali e a un successore papale meno amichevole nei confronti del populismo trumpiano di quanto non potesse essere un anno fa.
L’esito del prossimo conclave potrebbe essere considerato un test politico per Trump e il suo movimento, proprio come il conclave dell’ottobre 1978 inviò un messaggio all’Unione Sovietica.
In quell’elezione, i cardinali scelsero il polacco Karol Wojtyla, un 58enne cardinale […] che veniva dal mondo al di là della cortina di ferro, che divenne Giovanni Paolo II. “Quante divisioni ha il Papa?”, chiese una volta Stalin quando fu messo in guardia dall’offendere il Vaticano. I successori di Stalin impararono la risposta nel modo più duro: Giovanni Paolo II ha contribuito a far cadere il comunismo.
Naturalmente, oggi la delimitazione tra bene e male è meno chiara. Il successore sovietico è il putinismo autoritario, che non si adatta perfettamente al paradigma Est-Ovest, e Francesco, in un recente messaggio dall’ospedale, ha lamentato quella che ha definito la “policrisi” del mondo. La soluzione richiederà quello che una volta ha definito un “percors
artigianale” verso una pace fatta a mano, creata dalle azioni e dalle decisioni quotidiane dei singoli.
Si tratta di un percorso più difficile in un mondo apparentemente più complicato dopo la Guerra Fredda. Ma mentre i Democratici si affannano a cercare un messaggio da opporre a Trump, potrebbero fare di peggio che ascoltare un Papa che ne ha predicato uno per più di un decennio.
David Gibson
per il “New York Times”
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Marzo 13th, 2025 Riccardo Fucile
“LA SCORSA SETTIMANA MUSK HA CERCATO DI VERSARE ALTRI MILIONI AL TYCOON, MA È STATO RESPINTO. E TRUMP NON È NOTO PER RIFIUTARE DENARO”… MA SAREBBE INGENUO DARE PER MORTO MUSK: “L’ACCESSO AI CONTI DEI CONTRIBUENTI È UNA MINIERA D’ORO PER QUALSIASI TITANO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GRANDE SARÀ LA TENTAZIONE DI ACCAPARRARSELI PER I PROPRI SCOPI”
Quando Elon Musk ha detto di amare Donald Trump “tanto quanto un uomo etero può
amarne un altro”, la nausea è stata diffusa. Trump è una delle poche persone rimaste a Washington DC a cui piace avere Musk intorno. Tuttavia, dopo aver dato a Musk più potere di qualsiasi altra figura privata nella storia degli Stati Uniti, il presidente sta vedendo il suo benefattore trasformarsi in un albatros. La domanda è come Trump si libererà di Musk, non se.
Il prezzo da pagare è già alto. Il New York Times ha raccontato come Trump abbia tarpato le ali a Musk durante un’accesa riunione di gabinetto la scorsa settimana. I capi di gabinetto, e non il cosiddetto Dipartimento per l’efficienza del governo di Musk, si sarebbero occupati delle proprie assunzioni e licenziamenti, ha detto Trump.
La resa dei conti è stata organizzata con l’obiettivo di accelerare quel giorno.
Una misura della preoccupazione di Musk per il declino della sua stella è data dal fatto che la sua visita a Mar-a-Lago lo scorso fine settimana non era originariamente prevista, dicono gli addetti ai lavori. Inoltre, Musk ha cercato di versare altri milioni ai comitati di azione politica di Trump, ma è stato respinto. Trump non è noto per rifiutare denaro.
Ma sembrerebbe che Musk stia comprando la sua permanenza prolungata. La sua posizione sta scendendo con la stessa velocità del prezzo delle azioni di Tesla. L’indice di gradimento di Trump è rimasto stabile. Con i segnali di una prossima “recessione di Trump”, Musk potrebbe essere ancora un utile parafulmine.
Ma qui finiscono i lati positivi. La sua influenza è per lo più negativa. Non c’è legislatore repubblicano o mandante di Trump che non sia terrorizzato dal potere di Musk.
Ma il costo di avere a fianco Musk sta crescendo. Ignorando il funzionamento del governo federale, Musk sta causando solo danni. Ciò mette in crisi anche Russell Vought, capo dell’Ufficio di gestione e bilancio della Casa Bianca, che ha trascorso anni a elaborare piani per decostruire la burocrazia statale.
È stato coautore del Progetto 2025, il progetto radicale della Heritage Foundation per un secondo mandato di Trump. Vought Non condivide nemmeno l’apparente riluttanza di Musk ad andare contro il Pentagono, una delle principali fonti dei contratti federali di Musk.
Si è tentati di pensare che Musk abbia un desiderio di morte politica. Il recente calo del patrimonio netto […] ha quasi azzerato i suoi guadagni post-elettorali. Ma sarebbe ingenuo. L’accesso di Doge ai conti dei contribuenti,
registri della previdenza sociale e ai dati dei dipendenti federali sarebbe una miniera d’oro per qualsiasi titano dell’intelligenza artificiale. La tentazione di Musk di accaparrarseli per i propri scopi sarà grande. Ma questo significa conservare la fiducia di Trump.
Se Musk ha un minimo di consapevolezza di sé, d’ora in poi indosserà abiti eleganti e terrà la sua prole fuori dallo Studio Ovale. Dopo aver portato il figlio di quattro anni, X, alla Casa Bianca il mese scorso, secondo alcuni addetti ai lavori Trump ha chiesto di disinfettare la scrivania della HMS Resolute.
C’è anche l’impatto di Musk sulla politica di Trump verso la Cina. Mentre i clienti negli Stati Uniti, in Europa e altrove rifiutano Tesla e cercano alternative a SpaceX, la dipendenza commerciale di Musk da Pechino sta crescendo. L’influenza della “colomba” Musk sulla politica cinese è evidente. Trump sembra ormai disinteressato al destino di Taiwan quasi quanto a quello dell’Ucraina. La maggior parte del suo team è composta da falchi cinesi. Se e quando Trump si rivolterà contro la Cina, sarà un altro segno della discesa di Musk.
Edward Luce
per il “Financial Times”
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Marzo 13th, 2025 Riccardo Fucile
BENE + EUROPA… LA FLESSIONE DEL PARTITO DI MELONI NON VA A VANTAGGIO DEGLI ALLEATI
Nella Supermedia di oggi, come in quella della settimana scorsa, Fratelli d’Italia resta sotto il 30% dopo i picchi toccati a febbraio. La principale forza di opposizione, il Pd, scende di poco sotto il 30% e si attesta precisamente al 22,8%. In calo tutti gli altri partiti, dal M5S ora all’11,8 (-0,1) a Italia Viva al 2,4% (-0,3), come mostra l’ultima Supermedia Youtrend/Agi rispetto a quello di due settimane fa (27 febbraio 2025).
La flessione del partito di Giorgia Meloni non va però a beneficio degli altri alleati di maggioranza che restano praticamente stabili e registrano oscillazioni minime: Forza Italia ora tocca il 9,3% (-0,1) e la Lega l’8,4% (+0,1) con i due leader Matteo Salvini e Antonio Tajani continuano a mantenere posizioni diverse su varie questioni, da Starlink al voto sul riarmo del piano di Ursula von der Leyen.
Scende di quasi un punto anche l’intera coalizione del centrodestra, adesso al 48,4% (-0,7) mente il centrosinistra recupera qualcosa (+0,2%) e si attesta al 30,9 (Iil Pd nell’ultimo mese e mezzo hanno perso circa un punto).
Il Movimento 5 Stelle è sempre al terzo posto all’11,8% (-0,1), stabile Avs al 6%. Registrano un minimo scatto in avanti invece Azione 3,0 (+0,1) e +Europa al 2,1 (+0,3), in prima linea nella campagna per i referendum su cittadinanza e Jobs act
FdI 29,6 (-0,6)
Pd 22,8 (-0,1)
M5S 11,8 (-0,1)
Forza Italia 9,3 (-0,1)
Lega 8,4 (+0,1)
Verdi/Sinistra 6,0(=)
Azione 3,0 (+0,1)
Italia Viva 2,4 (-0,3)
+Europa 2,1 (+0,3)
Noi Moderati 1,1 (-0,1)
(da agenzie)
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