Marzo 14th, 2025 Riccardo Fucile
PUTIN ALZA LA POSTA PERCHÉ È CONVINTO DI AVERE “LE CARTE IN MANO”, GRAZIE ALL’ACCONDISCENDENZA DI TRUMP. QUANDO MOSCA PARLA DI “SRADICARE LE CAUSE DEL CONFLITTO”, INTENDE L’ESISTENZA STESSA DI UN UCRAINA INDIPENDENTE
“Putin, ovviamente, ha paura di dire direttamente al presidente Trump che vuole continuare
questa guerra, vuole uccidere ucraini”.
E’ quanto ha detto Volodymyr Zelensky, nel suo discorso serale, denunciando le dichiarazioni “molto prevedibili e manipolatorie” del presidente russo sulla proposta di cessate il fuoco.
La sua strategia è quella di fissare così tante pre-condizioni che “niente funzionerà o non funzionerà per il tempo più lungo possibile”.
Putin “in realtà sta preparando il rifiuto” della proposta di cessate il fuoco, ha detto ancora il presidente ucraino affermando che “noi non fissiamo condizioni che complicano, la Russia lo fa”. “Come abbiamo sempre detto, l’unica che trascina le cose, che ha un atteggiamento non costruttivo è la Russia”, continua Zelensky.
“Putin fa spesso così, non dice no direttamente ma lo fa in un modo in cui praticamente ritarda ogni cosa e rende impossibili normali soluzioni, noi pensiamo che questa sia solo un’altra manipolazione russa”, ha detto ancora il presidente ucraino ricordando che, a proposito delle preoccupazioni di Putin sul controllo del cessate il fuoco, gli americani si sono detti “pronti ad organizzare il controllo e la verifica”.
“E’ fattibile garantirlo con capacità americane ed europee – ha concluso – e preparare risposte a tutte le domande riguardo alla sicurezza a lungo termine ed una pace reale, affidabile durante il cessate il fuoco mettendo sul tavolo un piano per mettere fine alla guerra”. dove era arrivato ieri per colloqui con le autorità russe. Lo scrive la Tass. Il consigliere per la politica estera del Cremlino, Yuri Ushakov, aveva annunciato ieri un suo incontro riservato con il presidente Vladimir Putin che doveva avvenire in serata. Sul colloquio non è stata fornita alcuna notizia.
COSÌ PUTIN PREPARA IL NO AL CESSATE IL FUOCO
Se qualcuno a Washington aveva pensato che, dopo aver ottenuto con il ricatto l’assenso dell’Ucraina alla proposta di tregua, Putin sarebbe stato costretto a firmare, per non apparire come il responsabile della guerra, aveva sottovalutato l’esperienza del Cremlino nei giochi diplomatici.
Ovviamente Putin non dice un “niet” chiaro, dice “sì, però”, e invita gli americani e gli ucraini ad aprire delle danze interminabili su condizioni, protocolli, garanzie, clausole e cavilli.
Osservando in silenzio per due settimane Trump tormentare l’Ucraina, Putin ne ha tratto due lezioni importanti: la prima, che il presidente americano continua a confondere la tregua con la pace, e la seconda che contraddirlo apertamente potrebbe portare a risultati spiacevoli.
Quindi si solidarizza di nuovo paradossalmente con Zelensky nel dire che un cessate-il-fuoco è inutile e bisogna procedere invece verso una «risoluzione complessiva, che sradichi la causa del conflitto». Che, per Mosca, era l’esistenza stessa di un’Ucraina indipendente e orientata verso l’Occidente.
Putin alza la posta dunque, convinto di essere in questo momento nella posizione più forte, «con le carte in mano», per usare un linguaggio trumpiano. La controffensiva russa a Kursk minaccia di togliere a Zelensky una importante pedina di scambio territoriale, e sostenendo che l’esercito russo «avanza lungo tutto il fronte», il capo del Cremlino invita a far partire un eventuale accordo dalle “realtà sul terreno”. Che probabilmente spera di cambiare ulteriormente a suo favore, con o senza un accordo formale di tregua.
(da La Stampa)
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Marzo 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL DAY AFTER TRA I DEM… ERA CHIARO CHE ANDARE DIETRO ALLE UTOPIE PACIFISTE AVREBBE CREATO DISSENSI TRA CHI USA IL CERVELLO
C’è chi sbaglia a premere votando un «no» all’invio di armi all’Ucraina che sarebbe stato
clamoroso, come Nicola Zingaretti, poi costretto a correggere: pulsante errato. Ma c’è anche l’indice di Lucia Annunziata che sulla mozione della discordia vota «sì» (sarebbe stato altrettanto clamoroso), invece che astenersi come da ordine di scuderia della segretaria Elly Schlein. Il Pd, chiamato a votare su una questione identitaria, è finito ancora una volta gambe all’aria.
Guerra e pace, la mettono così, i più radicali.
Ventiquattr’ore dopo la votazione sulla svolta di Ursula von der Leyen, nel Partito democratico si svolge una seduta «psicopolitica» piuttosto complicata. Perché stavolta anche alcuni eurodeputati dell’ala riformista, promotrice dello strappo anti Schlein, a mente fredda sono costretti ad ammettere: «Qui a Bruxelles non c’è affatto un clima da “resa dei conti”, è più a Roma che volano colpi proibiti». Ma dietro a questa notazione c’è una buona dose di realpolitik : «Congresso? Macché, non abbiamo nessuno talmente forte da poter battere Elly». Più cauto usare un altro termine: «Si respira attendismo». Meglio quindi un volemose bene , almeno a Bruxelles, perché in fondo tra i 21 eurodeputati dem c’è un buon clima: si sono stretti rapporti umani e non mancano cene cordiali anche tra chi la pensa agli opposti.
Nota politica fondamentale: tra i 21 eletti al Parlamento Ue, solo 8 sono ascrivibili come fedelissimi della segretaria (e 3 di questi non hanno nemmeno la tessera del Pd: Annunziata, Strada e Tarquinio). Gli altri 13 sono quasi tutti riformisti di Energia popolare, che dopo un periodo di «tregua» si sono dati una bella scossa. La sera prima del voto sulle mozioni post ReArm Europe, tutti i membri della corrente anti Schlein sono stati protagonisti di
una riunione piuttosto accesa: «Dobbiamo dare un segnale forte a Elly», ha tuonato la maggioranza di loro.
E anche il loro capocorrente Stefano Bonaccini — grande sconfitto da Schlein alle primarie e poi diventato presidente (non belligerante) del Partito democratico — ha capito che doveva rimettersi in testa l’elmetto, perché stavolta i suoi gli avrebbero voltato davvero le spalle.
«Elly non ci ascolta», si sfoga più d’uno durante questo day after psicopolitico. Perché è questa la contestazione che in tanti, dall’opposizione interna, fanno alla segretaria: «Sul ReArm Europe non si è confrontata con il gruppo: è arrivata l’indicazione di voto da Roma». Prendere o lasciare. E così i ribelli hanno deciso l’affondo.
(da Il Corriere della Sera)
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Marzo 14th, 2025 Riccardo Fucile
LA MINORANZA RIFORMISTA FRENA: “NON CHIEDIAMO IL CONGRESSO”. L’OPPOSIZIONE INTERNA AFFILA I COLTELLI ANCHE A BRUXELLES, ACCUSANDO LA SEGRETARIA DI IGNORARE I SUOI ELETTI: “ELLY NON CI ASCOLTA, SUL REARM EUROPE NON SI È CONFRONTATA CON IL GRUPPO”
Arrabbiata si è arrabbiata. E non lo ha nascosto nelle telefonate che ha fatto, sia martedì che mercoledì, nel tentativo di far prevalere la sua linea. «Ci saranno conseguenze», ha fatto sapere in quei momenti concitati che hanno portato a un voto in cui il Pd si è diviso a metà.
Ma ieri Elly Schlein era più calma e ancora più determinata: «Io vado dritta per la strada che abbiamo individuato», ha detto ai suoi. Con buona pace di Prodi, Gentiloni e Veltroni: «Per carità, io ascolto i consigli di tutti, ma poi sta a me fare sintesi e decidere». E in pubblico la segretaria lancia questo messaggio: «Serve in un chiarimento politico, le forme e i modi li valuteremo».
Dunque, nessun ripensamento, nessun passo indietro. Anzi. Elly Schlein è tentata di farlo in avanti quel passo.
E cioè di convocare lei il congresso. Le assise, sia detto per inciso, nella minoranza non le vuole nessuno. Le chiede Luigi Zanda, che però ormai non sta più dentro i giochi (sempre assai complicati) del Pd. Ma i riformisti non puntano affatto a quell’obiettivo. Lo precisa molto chiaramente il loro coordinatore, Alessandro Alfieri: «Io non penso che serva un congresso. Serve, invece, registrare un metodo di confronto quando ci sono questioni più critiche in cui tutti possono portare il proprio punto di vista», spiega il senatore dem all’ Huffington Post.
Un congresso anticipato in tempi ravvicinati avrebbe un unico esito possibile: la vittoria di Schlein. E questo i riformisti lo sanno bene: «Noi non siamo pronti per un appuntamento del genere — confessa un autorevole esponente di quell’area — perché non c’è un’alternativa forte e chiara, né sul piano della leadership né su quello dell’elaborazione di una linea politica». Perciò molti nella cerchia ristretta della segretaria consigliano alla leader di giocarsi la carta del congresso.
Al momento Schlein non ha ancora deciso, ma non esclude affatto quell’opzione, perché di una cosa la segretaria del Pd è convinta: «Io non mi farò logorare come i miei predecessori, sono stata eletta per cambiare il Pd e dargli un’identità, e non ci sto a far prevalere logiche di apparati e di correnti», ripete ai suoi.
Perciò l’ipotesi di un congresso è tutt’altro che peregrina.
Non si tratta di buttare fuori i riformisti: «Io non criminalizzerai mai la minoranza, ne ho fatto parte quando la minoranza veniva emarginata e perciò non potrei mai fare una cosa del genere». Ma un «chiarimento» è necessario a questo punto. E non sarà certo rappresentato dall’appuntamento parlamentare previsto per metter giù la risoluzione del Pd in vista del dibattito sul prossimo Consiglio europeo con Giorgia Meloni. Su quello non ci sarà rottura all’interno dei gruppi di Camera e Senato del Pd. Lo dicono nella maggioranza dem ma lo sostengono anche i riformisti.
(da Corriere della Sera)
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Marzo 14th, 2025 Riccardo Fucile
DOMANI A ROMA LA MANIFESTAZIONE… IL M5S E IL CENTRODESTRA NON CI SARANNO (NON E’ UNA NOVITA’)
La manifestazione del 15 marzo 2025 sull’Europa è nata come iniziativa per promuovere una
posizione unitaria – senza simboli di partito, mentre ci saranno bandiere della pace, dell’Ucraina, dell’Ue – a sostegno dei valori europei, in un periodo in cui l’Ue è in crisi sul piano economico e politico. Ma, alla fine. sarà anche occasione di divisioni. Nelle ultime settimane, infatti, la manifestazione ha accolto molte adesioni – dal Pd e Avs a Azione e Italia viva, fino a sindacati e associazioni – ma anche qualche rifiuto di peso: su tutti, il M5s. Ecco chi ci sarà, e chi invece si è tirato indietro.
Chi scenderà in piazza per l’Europa: le divisioni sul riarmo Ue
Il Partito democratico di Elly Schlein è stato tra i primi soggetti politici ad aderire all’evento, lanciato da Michele Serra su Repubblica. Schelin aveva ribadito la necessità di arrivare a una “Europa federale” per “esercitare quel ruolo politico e diplomatico fin qui mancato nella promozione della pace e del multilateralismo”. Una posizione sostenuta anche dalla minoranza del suo partito, quella che è più favorevole alle politiche di riarmo.
La spaccatura del Pd nel voto del Parlamento europeo, su una risoluzione che sosteneva proprio il piano di ReArm Europe, ha però aumentato le tensioni interne. I riformisti dem hanno votato a favore, mentre appena la metà degli eurodeputati ha seguito le indicazioni della segreteria e si è astenuta. La linea del Pd è che l’Ue debba puntare alla difesa comune, ma non al riarmo dei singoli Stati. La piazza di domani, inevitabilmente, metterà insieme chi pensa che l’Europa debba armarsi e chi, invece, è contrario.
Non a caso ci sarà anche Alleanza Verdi-Sinistra, duramente critico di ReArm Eu. Qui la linea sul piano europeo non ha incertezze: nettamente contraria.
E in piazza gli esponenti di Avs avranno bandiere della pace. Ci saranno anche i partiti più moderati e liberali dell’opposizione, che sono ben più aperti per quanto riguarda l’aumento della spesa militare: +Europa (il cui segretario Magi ha rivendicato “l’orgoglio di essere europei”), Azione di Carlo Calenda e Italia viva di Matteo Renzi.
Come detto, poi, la partecipazione andrà al di là dei partiti politici. Ad esempio, ha aderito la Cgil di Maurizio Landini – sottolineando comunque che sarà presente per la pace, rifiutando “l’idea di Europa che agisce come se la guerra fosse uno strumento giusto di risoluzione dei conflitti”. Sarà presente anche la Cisl, da poche settimane guidata dalla nuova segretaria Daniela Fumarola, nonostante il sindacato confederale da tempo si sia allontanato dalla linea di Uil e Cgil su molti temi politici. Infine, parteciperanno numerose associazioni, dall’Anpi (che ha lasciato libera adesione ai comitati) a Libera.
Chi ha detto di no alla piazza sull’Europa: M5s e destra contrari
Più delle presenze, però, faranno probabilmente rumore le assenze. La più controversa è quella del Movimento 5 stelle. Giuseppe Conte, aveva detto pubblicamente di no, affermando di non voler sostenere una “Europa del riarmo”. Poi aveva riaperto la questione, chiedendo a Serra di “definire meglio la piattaforma”.
Alla fine, però, nonostante la risposta del giornalista, Conte ha chiuso la porta. Ha ribadito che i componenti del M5s sono “veri europeisti” e ha attaccato: “Non è possibile che si ritrovino coloro che sono favorevoli al riarmo e quelli che sono contrari, chi è per le armi e chi è contro le armi. Questo non è il momento dell’ambiguità e dell’incertezza: bisogna prendere posizioni chiare”, ha detto.
Più scontata, invece, l’assenza della maggioranza. Mai stata in dubbio quella di Fratelli d’Italia e soprattutto della Lega, fortemente anti-europeista. Matteo Salvini ha attaccato chi “fa le manifestazioni con le bandierine” invece di “lavorare per cambiare questa Europa”
Chi è stato in dubbio, secondo diversi retroscena, sono invece i componenti di Forza Italia. D’altra parte, proprio sull’europeismo i forzisti puntano come parte fondamentale dell’identità del partito. Alla fine, però, hanno prevalso le ragioni della maggioranza, che deve mostrarsi compatta. Il segretario Antonio Tajani ha detto che l’Europa “va sostenuta con riforme concrete, non con eventi simbolici”.
Assente anche una parte della sinistra, con Potere al popolo che ha deciso di organizzare una piazza parallela, una contro-manifestazione per condannare “l’Europa che si riarma”.
(da Fanpage)
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Marzo 14th, 2025 Riccardo Fucile
L’AMMINISTRAZIONE TRUMP HA AZZERATO IL BOARD DELL’ISTITUZIONE, NOMINANDO AMICI, ALLEATI E MOGLI (TRA CUI QUELLA DI VANCE)
Il vicepresidente Usa JD Vance e la moglie Usha sono stati accolti da fischi e buu durante la loro partecipazione ad un concerto al Kennedy Center a Washington, la prima dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
Lo ha constatato l’ANSA sul posto. Quando la coppia ha preso posto nella prima fila di palchi dietro la platea, il pubblico ha manifestato rumorosamente tutto il suo dissenso, frustrato anche dalle lunghe code e dal ritardo di mezzora causati dalle severe misure di sicurezza, con tanto di metal detector prima dell’ingresso in sala.
La contestazione riflette anche lo sdegno per il colpo di mano al Kennedy Center da parte di Trump, che ha azzerato il board, ne ha nominato uno con amici, alleati e loro mogli (tra cui quella di Vance) e si e’ fatto eleggere presidente promettendo di mettere fine ad una programmazione “woke”.
I Vance hanno assistito comunque a tutto il programma, interamente russo: il concerto per violino numero 2 di Shostakovich (solista il greco Leonidas Kavakos) e Petrushka di Stravinsky, eseguiti con successo dalla National Symphony Orchestra diretta da Gianandrea Noseda.
(da agenzie)
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Marzo 14th, 2025 Riccardo Fucile
SPETTERÀ AGLI STATI MEMBRI DECIDERE SE E QUALI PROGETTI AVVIARE E LA COMMISSIONE POTREBBE AGIRE COME ORGANISMO CENTRALE DI ACQUISTO, COME AVVENUTO PER I VACCINI
«L’Europa deve fare un salto di qualità nella difesa. Lo deve agli alleati della Nato,
all’Ucraina e soprattutto a sé stessa, ai cittadini europei e ai valori che rappresenta.
L’Ue e i suoi Stati membri devono raccogliere la sfida storica». Termina così la bozza del Libro bianco sul futuro della difesa europea, il documento atteso dagli Stati membri che sarà presentato dalla Commissione Ue il 19 marzo (dunque passibile di modifiche) e che contiene i punti salienti dell’attuazione del nuovo piano di riarmo europeo.
Nelle diciannove pagine vengono approfondite le opzioni presentate dalla presidente della Commissione europea von der Leyen per mobilitare fino a 800 miliardi di euro da investire in difesa. […] la Commissione […] propone «un’azione coordinata» ovvero «appalti in collaborazione», considerati «il mezzo più efficiente per l’approvvigionamento di grandi quantità di materiale bellico, come le munizioni» poiché «la domanda aggregata contiene i costi, accorcia i tempi di consegna e garantisce l’interoperabilità e l’intercambiabilità».
Spetterà agli Stati membri decidere se e quali progetti faro paneuropei in materia di difesa avviare. Inoltre, «su richiesta degli Stati membri, la Commissione potrebbe agire come organismo centrale di acquisto per loro conto». Il modello ricorda quello dei vaccini.
Quanto alla possibilità di aumentare la spesa in difesa fino all’1,5% del Pil, «gli Stati membri sono invitati a richiedere l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale (del Patto di stabilità, ndr) entro il prossimo aprile e ad approvare la proposta di regolamento sul rafforzamento degli armamenti e della produzione europea (ReArm) come una misura d’urgenza».
Viene anche fatto riferimento al «comprare europeo», puntando quando non possibile sugli Stati affini o «like-minded»: «L’Ue dovrebbe considerare l’introduzione della preferenza europea negli appalti pubblici per i settori e le tecnologie strategiche legate alla difesa»
(da agenzie)
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Marzo 14th, 2025 Riccardo Fucile
LA SCOSSA DI MAGNITUDO 4.4 DI IERI HA SCATENATO IL PANICO FINO A NAPOLI: I RESIDENTI DI BAGNOLI HANNO FATTO IRRUZIONE NELL’EX BASE NATO, PER CERCARE RIPARO… UN’ERUZIONE POTREBBE DISTRUGGERE TUTTO NEL RAGGIO DI CHILOMETRI: SAREBBE IL CAOS TOTALE, IN UNA ZONA DENSAMENTE POPOLATA (E CON UN’ALTA PROPENSIONE ALL’ABUSIVISMO) … I PIANI DI EVACUAZIONE PATACCA
Dal 1950 nell’area del tempio di Serapide a Pozzuoli il suolo si è sollevato di circa 4 metri: da 2,50 metri sotto il livello del mare agli attuali 1,50 sopra. La stazione di rilevamento dell’Osservatorio Vesuviano a Rione Terra dal 2005 ha certificato un innalzamento di 140 centimetri.
La zona del porto di Pozzuoli è quella sottoposta alle massime tensioni di sollevamento, ancora più evidenti se si pensa che tra il 1985 e il 2005 il suolo si era abbassato di 1 metro.
I geologi classificano quanto avviene nei Campi Flegrei con il termine bradisismo. Secondo i ricercatori, i terremoti che si verificano in quest’area non sono un fenomeno anomalo, ma connesso al processo di sollevamento che genera tensioni superficiali.
Il terremoto di ieri notte, il più forte degli ultimi 50 anni, ha generato in punti prossimi all’epicentro un’accelerazione al suolo — di 0.9-1 g — pari all’accelerazione di gravità. «Secondo alcuni studi la scossa più forte che potrebbe avvenire in questa zona è di magnitudo 5-5.1», aggiunge Francesca Bianco [direttrice del dipartimento vulcani dell’Ingv].
«Questo non significa che è quella che ci aspettiamo o che ci sarà, ma che potrebbe verificarsi in particolari condizioni, come per esempio l’attivazione congiunta di tutte le faglie della caldera. Un evento, è bene sottolineare,davvero poco probabile. Però, fino a che durerà il sollevamento del suolo, dobbiamo aspettarci scosse uguali o anche leggermente superiori a quella di ieri, che è stata seguita da una trentina di scosse molto deboli, solo dieci di magnitudo superiore a 1.0».
L’area dei Campi Flegrei è forse la più monitorata al mondo dal punto di vista sismico e vulcanologico. «Non lo diciamo noi dell’Ingv», chiarisce Bianco, «ma i colleghi stranieri». La zona è coperta da numerosi sensori, telecamere agli infrarossi e centraline, sia a terra che in mare, che rilevano in tempo reale una serie di parametri.
I sensori e le centraline, per esempio, sono stati in grado di rilevare il forte aumento dell’anidride carbonica — di origine profonda per il degassamento del magma — nelle fumarole della Solfatara che si è registrato a partire dal 2005, quando è iniziata l’attuale fase di sollevamento. A parte le scosse sismiche, il pericolo maggiore è costituito dalla minaccia di eruzione della caldera.
«L’ultima è avvenuta nel 1538, un’eruzione minore. Non siamo in grado di dire quanto durerà l’attuale fase di bradisismo, ma non siamo vicini a un’eruzione. Nessuno dei parametri monitorati indica l’avvicinarsi di un’eruzione a breve termine, non ci sono anomalie compatibili con questo scenario. Tenendo sempre presente che la caldera dei Campi Flegrei è un vulcano attivo e, in quanto tale, non si può escludere un’eruzione in un futuro lontano» .
(da agenzie)
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Marzo 14th, 2025 Riccardo Fucile
“C’E’ UN RISCHIO DI UN DOPPIO CSM: COSI’ I PM ANDRANNO A DIVORARE I GIUDICI”
Andrea Delmastro Delle Vedove boccia la riforma di Carlo Nordio. Secondo il sottosegretario
alla Giustizia «dare ai pubblici ministeri un proprio Csm è un errore strategico che, per eterogenesi dei fini, si rivolterà contro. I pm, prima di divorare i politici, andranno a divorare i giudici. L’unica cosa figa della riforma è il sorteggio dei togati al Csm, basta». Per Delmastro, che parla in un’intervista al Foglio, «c’è un rischio nel doppio Csm. O si va fino in fondo e si porta il pm sotto l’esecutivo, come avviene in tanti paesi, oppure gli si toglie il potere di impulso sulle indagini».
I due consigli non piacciono al sottosegretario: « Quando un pm non dovrà neanche più contrattare il suo potere con i giudici in un solo Csm e avrà un suo Csm che gli garantirà sostanzialmente tutti i privilegi, quel pm prima ancora di divorare i politici andrà a divorare i giudici, che hanno il terrore di questa roba», conclude Delmastro nel colloquio con Ermes Antonucci.
(da agenzie)
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Marzo 14th, 2025 Riccardo Fucile
PRESCRIZIONI VIA MAIL SENZA AVER MAI VISTO IN FACCIA IL MALATO, LUNGHE FILE ALLE ASL, LISTE DI ATTESA CHE FAI PRIMA A MORIRE, PRONTO SOCCORSO LONTANI E INTASATI
“C’era una volta il “medico di famiglia”. Quello che oggi si chiama medico di base. Ma fra i due c’è una differenza abissale. Il medico di famiglia conosceva non solo la storia del paziente, la sua anamnesi, i precedenti, ma anche quella dei suoi familiari, per questo appunto si chiamava medico di famiglia. Si poteva anche farlo venire a casa e il medico arrivava subito senza problemi.
Il corpo del malato era il solo strumento della sua conoscenza poiché la Tecnica non era ancora arrivata alla diagnosi a distanza. Respirava sul corpo del paziente. Quando ero ragazzino il mio medico era ovviamente un pediatra, il dottor Soletti. Era un uomo molto piccolo, non però con le fattezze del nano, e aveva pensato bene di occuparsi di bambini. Lo tenni anche quando diventai adulto, gli bastava un’occhiata per capire cosa avevo o più spesso cosa non avevo. Da giovane ero ipocondriaco (adesso lo sono molto meno, se non sarà questa volta sarà la prossima) e quindi lo chiamavo molto spesso. Un pomeriggio, da bambino, fui colto da dolori intestinali violentissimi. Mia madre si spaventò e chiamò Soletti. Arrivò e gli bastò chiedermi che cosa avevo mangiato. Avevo mangiato dodici albicocche che naturalmente nell’intestino sprigionavano gas. E il caso fu così risolto. È noto che la vicinanza, anche fisica, del medico e la fiducia in lui è già l’inizio di una cura. Oggi la vicinanza c’è quasi sempre, anche se non sempre, con gli strumenti tecnologici.
Soletti era anche un buon psicologo. Sul letto di morte mi confessò che le poche medicine che mi aveva dato, poche perché rifuggiva dalla medicina chimica (sosteneva che se tu introduci della chimica nel corpo il corpo prima o poi si ribella e il male salta fuori da qualche altra parte) erano in realtà dei placebo. Direi che aveva un concetto orientale della medicina. In Occidente si sa tutto, poniamo, della mano non tenendo però conto non solo del corpo ma anche della psiche del paziente.
La professione del medico, che non essendo un mestiere come un altro dovrebbe essere una vocazione, come del resto quella del magistrato, ha perso appeal sia in senso soggettivo che oggettivo. Non è esaltante ridursi a
un burocrate che compila prescrizioni, che invia poi via email, senza aver mai visto in faccia il malato. È la burocrazia che come sempre, o quasi sempre, complica le cose, da qui le interminabili liste di attesa. Una mattina facevo la fila in non so quale Asl, davanti a me c’era un uomo sulla cinquantina. Sentii che il medico, o forse era solo un impiegato, gli fissava un intervento a sei mesi di distanza. Ma in sei mesi quello faceva in tempo a morire.
Ho una domestica rumena e i suoi amici che possono permetterselo vanno a curarsi a Timisoara o a Bucarest non perché i medici rumeni siano migliori di quelli italiani, i medici italiani, soprattutto nelle specializzazioni, sono bravissimi (vedi Niguarda che è al 37esimo posto fra i migliori ospedali del mondo) ma perché evitano le lunghe code burocratiche magari sganciando qualche sacrosanto euro in più.
È anche vero che durante il Covid i medici hanno perso molto della loro credibilità, perché ogni specialista, divenuto una star televisiva, diceva l’esatto opposto di un altro specialista. E a tutt’oggi non è ancora certo se i vaccini abbiano risolto la questione, o attraverso ‘danni collaterali’ spesso pesantissimi, l’abbiano peggiorata. Del resto quei vaccini furono fatti in fretta e furia. Per avere un vaccino veramente efficace contro la poliomielite, terrore della mia infanzia, ci sono voluti più di dieci anni, prima il vaccino di Salk e poi qualche anno dopo quello, definitivo, di Sabin.
Si capisce che per il Covid-19 il governo italiano sia stato colto di sorpresa perché l’Italia fu la prima a dover fronteggiare il virus proveniente dalla Cina (secondo alcuni ‘complottisti’ fu elaborato in vitro dai cinesi). Però in Svezia hanno fatto i vaccini, ma non hanno imposto l’ancor più insidioso lockdown. La ministra della Sanità svedese, affermò a suo tempo, che i conti si sarebbero fatti alla fine e anche qualche anno dopo la fine. E infatti molti ragazzi italiani sono rimasti traumatizzati dal lockdown, non potendo sfogare in alcun modo la loro giovanile energia, e oggi se ne vedono le conseguenze. Si dirà che in un Paese come la Svezia di grandi dimensioni, con poche città con una densa popolazione, il lockdown era superfluo, comunque la Svezia, è un fatto, ha avuto proporzionalmente molti meno morti di noi. Ma anche la Svizzera, che ha un’alta densità di popolazione in un territorio circoscritto, e che non ha fatto lockdown, ha avuto, proporzionalmente, meno vittime dell’Italia. E lasciamo pur perdere, per pietas, le speculazioni che hanno fatto le case farmaceutiche, anglo-americane e olandesi.
Ma poi c’è anche una questione di cultura generale. Nevrotici e ipocondriaci quali siamo diventati al minimo malessere ricorriamo al medico, più spesso al
medico virtuale che a quello in carne e ossa. Questo smista la faccenda ai laboratori e quindi anche qui c’è l’intasamento e il responso per un semplice esame del sangue arriva dopo una settimana e più. Poi c’è quello, ancora più grave, del Pronto Soccorso dove dovrebbero arrivare solo soggetti in pericolo di vita e invece viene intasato dagli ipocondriaci. Attualmente solo il 44 per cento degli ospedali hanno il Pronto soccorso. E se un poveraccio abita lontano da uno di questi ospedali? E quali sono anche qui i tempi di attesa che, per ovvie ragioni, dovrebbero essere immediati? “Quanto tempo passa fra l’arrivo al Pronto soccorso e l’intervento del medico di guardia?” chiede la solerte cronista al primario. “Il tempo di morire”.
(da il Fatto Quotidiano)
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