Marzo 19th, 2025 Riccardo Fucile
PER COPRIRE LE DIVISIONI DI FRATELLI D’ITALIA E LE BORDATE DI SALVINI, LA CERCHIOBOTTISTA MELONI HA OLTRAGGIATO IL MANIFESTO DI VENTOTENE, TESTO SACRO PER L’ITALIA REPUBBLICANA, RECUPERANDO NELL’ARMADIETTO DEI RICORDI IL MANGANELLO E L’OLIO DI RICINO … E’ CADUTA LA MASCHERA
Alla presenza dei cosiddetti leader dell’opposizione (Schlein, Conte, Fratoianni, etc.),
oggi alla Camera si è presentata una Giorgia Meloni in modalità “Fronte della Gioventù”, metaforicamente carica di olio di ricino e armata di manganello, molto diversa dalla premier cerchiobottista di ieri al Senato.
Leggendo alcuni passaggi del ‘’Manifesto di Ventotene’’ scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni nel 1941 sull’isola del Lazio dove il fascismo li aveva messi al confino, tenendo fede al nomignolo “Ducetta”, ha dichiarato: “Non so se questa è la vostra Europa ma certamente non è la mia”
Poi, tira fuori gli artigli per rivolgersi direttamente al Pd-Elly, di cui sottolinea le “contraddizioni” (“Non mi è chiarissima neanche la vostra idea di Europa”) spiegando di voler attendere il suo successivo intervento per capire qual è la linea dem. Una manganellata non poteva mancare per il travagliato Conte: ‘’Francamente non ho tempo per la vostra lotta nel fango”.
Fiato alle trombe e rullo di tamburi per il gran finale: “Nella manifestazione di sabato a piazza del Popolo e anche in quest’Aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene: spero non l’abbiano mai letto, perché l’alternativa sarebbe spaventosa”.
Un’uscita che ha fatto ovviamente scoppiare il caos alla Camera, manco avesse urlato “Viva il Duce!”. Seduta più volte sospesa con le opposizioni che insorgono, gridano “vergogna”, “Meloni chieda scusa”, “Non c’è spazio in quest’Aula per il fascismo”. Sull’altra sponda, il capogruppo di FdI, Galeazzo Bignami, quello che si divertiva a carnevale a camuffarsi da SS, che sbotta: “E basta con sto fascismo…”.
A quel punto gli occhi di Federico Fornaro del Pd si riempiono di lacrime e la voce si spezza quando afferma: “Non è accettabile fare la caricatura degli uomini protagonisti del Manifesto di Ventotene. Lei, presidente Meloni, siede in questo Parlamento anche grazie a loro. Noi siamo qui grazie a quei visionari di Ventotene che erano confinati politici. Si inginocchi di fronte a questi uomini e queste donne, non insulti la loro memoria”.
Intanto, scrive l’Ansa, ”la presidente del Consiglio, impegnata nella tradizionale colazione al Quirinale che anticipa i Consigli europei (in cui Mattarella ha evitato un incontro con la Meloni, ndr), posta sui suoi canali social il video in cui parla in Aula di Ventotene con la scritta “Giudicate voi””.
Spiazzata dalla piazzata meloniana anche la Lega di lotta e di governo (in aula erano presenti solo Giorgetti e Calderoli mentre il principale avversario della Meloni, Matteo Salvini, era assente, impegnato a Bruxelles). Così alcuni ingenui esponenti della Lega, a microfoni spenti, hanno commentato che “si poteva evitare di spostare la discussione dall’Europa ad una battaglia ideologica”.
Ci pensa il dem Peppe Provenzano a illuminare le meningi ritardate del Carroccio sulla bombastica mossa della Statista di Colle Oppio: “Pur di coprire le divisioni della destra, le bordate di Salvini, la patriota Meloni è disposta a irridere i padri della Patria e dell’Europa”.
Da parte nostra, siamo felicissimi che la premier, spostare l’attenzione mediatica via dalle difficoltà in FdI e dalla battaglia quotidiana con la Lega, abbia recuperato nell’armadietto dei ricordi il fez e vomitato tale oltraggio al testo sacro per l’Italia repubblicana e antifascista.
Così finalmente tutti coloro che alle elezioni del 2022 a suon di voti hanno portato a Palazzo Chigi Giorgia Meloni finalmente capiscono chi è, chi non è e chi si crede di essere il nostro presidente del Consiglio.
La signorina si è tolta la mascherina da ‘’conservatrice e democratica”: è uscita dalla zona grigia del camaleontismo ed ora costringerà alle prossime elezioni i cittadini a prendere una posizione: o di qua o di là.
Quel gioco truffaldino di avere quattro maschere ed usarle tutte e quattro, è finito oggi alla Camera. E’ scomparsa la leader di FdI, in modalità Zelig, che nel 2016 su Facebook si camuffava da “democratica” citando il Manifesto di Ventotene, come riporta il sito Lettera43:
“Allora non c’era una Piazza da combattere, ma “solo” l’Europa di Renzi, Hollande e Merkel. “Da Renzi, Hollande e Merkel solo parole e buoni propositi, non una sola azione concreta. Sull’Europa avevano le idee più chiare nel 1941 i firmatari del manifesto di Ventotene, detenuti in un carcere, che non questi tre premier europei nel 2016”.
Il discorso vergognoso alla Camera sia quindi accolto da una “standing ovation” perché ha finalmente smascherato chi c’è davvero dietro quei boccoli da messa in piega e quel sorriso da furbetta del quarti
(da Dagoreport)
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Marzo 19th, 2025 Riccardo Fucile
“ROSSI INSISTEVA SULLA LOTTA A OGNI FORMA DI CORPORATIVISMO, ANCHE A CARATTERE SINDACALE, CAPACE DI PERPETUARE I PRIVILEGI DELLE CATEGORIE PIÙ POTENTI A SCAPITO DEL RESTO DELLA SOCIETÀ. COSA C’È CHE NON VA?”
Forse la nostra premier ha letto solo qualche riga del Manifesto di Ventotene. E si è fermata all’inizio. Peccato!
Ernesto Rossi uno degli autori del Manifesto nella parte finale attacca il comunismo che crea danni “statizzando l’economia”, che dà vita a incredibili nuovi privilegi attraverso la concentrazione del potere nelle mani del partito unico.
Rossi sottolineava che il compito dello Stato era di potenziare le politiche sociali, correggere il mercato, mettere in atto strumenti di lotta contro i monopoli (non a caso Rossi scriverà contro l’avventura economica del fascismo “I padroni del vapore”) e intervenire contro la grande proprietà fondiaria.
Rossi insisteva sulla lotta a ogni forma di corporativismo, anche a carattere sindacale, capace di perpetuare i privilegi delle categorie più potenti a scapito del resto della società. Cosa c’è che non va?
Mirella Serri
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Marzo 19th, 2025 Riccardo Fucile
ALTRO CHE STATISTA, SEMBRA MOLLICONE: L’ULTIMA TROVATA E L’OLTRAGGIO ALLA MEMORIA
L’ultima trovata di Giorgia Meloni è l’oltraggio alla memoria. La mostrificazione del
Manifesto di Ventotene, magna charta del federalismo europeo, testo sacro per l’Italia repubblicana e antifascista, per scatenare l’inferno in Aula e spostare l’attenzione mediatica via dalle difficoltà proprie e dalle divisioni del governo.
Prima dichiara che lo fa «a beneficio di chi ci guarda da casa» e dopo averlo fatto lo rivendica, postando il suo intervento sui social: «Giudicate voi». Sono gli elettori i suoi interlocutori, il resto non conta.
La premier a Montecitorio inaugura così un nuovo orizzonte della destra al potere, finora certamente inesplorato persino nel trentennio berlusconiano. È il nazionalpopulismo. Il trumpismo versione italiana. Forse non il suo punto di inizio, ma di certo a un punto di svolta.
Alle 12 e 20, giunta ormai alla fine della seconda replica del dibattito alla vigilia del
Consiglio europeo in cui si discuterà del piano ReArm Eu, la premier estrae dei fogli e si mette a leggere alcune citazioni parziali estrapolate dal Manifesto di Ventotene. L’intento è denigratorio, la lettura è volutamente decontestualizzata, fuorviante, offensiva, un perverso abracadabra. È quello l’effetto che vuol sortire: «Non è la mia Europa», conclude soddisfatta. Il dibattito in Aula, che fino a quel punto con la replica della premier si trascinava all’insegna della mediocrità – i taccuini dei giornalisti rimasti bianchi per assenza di spunti – si anima improvvisamente.
Mezz’ora prima, a Radio24, il leghista Riccardo Molinari aveva anticipato le parole di Matteo Salvini: «L’Italia non approverà una risoluzione che dà a Meloni il mandato di approvare il ReArm eu». Dice cioè che la premier non ha il mandato per dire sì al piano di von der Leyen. Sono le parole che certificano la distanza interna alla maggioranza, con i Fratelli d’italia e Forza Italia favorevoli al piano, i leghisti contrari. Sarebbe la sostanza, il cuore del dibattito, si dovrebbe parlare di questo. Ma nessuno in quel momento ha tempo di farci caso.
Nell’Aula si scatena un inferno, mai visto almeno da anni. Le proteste delle opposizioni, per una volta tutte unite, invece di essere sedate da un sapiente intervento della presidenza (silente, interverrà solo dopo una riunione dei capigruppo per intimare rispetto per quella storia e quelle persone), vengono al contrario eccitate dal sottosegretario Gianmarco Mazzi, che applaude provocatorio dai banchi del governo, gesto vietato dai regolamenti parlamentari, incitando i suoi colleghi a fare altrettanto. Tutti si alzano: protestano non solo i soliti, ma anche i più silenziosi. I più moderati. Urla in piedi anche il capo dei moderati del Pd, Lorenzo Guerini, nessuno dei presenti gliel’ha mai visto fare: «Non urlavo dal 1971», cioè da quando aveva 5 anni, confesserà poi lui stesso. Il presidente Lorenzo Fontana prova a dare la parola al ministro Foti per i pareri del governo sulle mozioni da votare, ma il caos gli impedisce anche quel passaggio formale. L’opposizione rifiuta di accettare che si possa andare avanti nei lavori d’aula, la seduta viene interrotta, poi Fontana accorda un giro di interventi.
Il vero simbolo del giorno è Federico Fornaro. Storico, uomo di numeri, schivo, silenziosissimo, durante la bagarre e poi quando ottiene la parola esplode della rabbia dei miti, di quelli che sempre si danno come regola di non esagerare: «Usare in questo modo la memoria di Ventotene significa oltraggiare la memoria di Altiero Spinelli considerato in tutta Europa il padre dell’Europa. Si inginocchi la presidente del consiglio!». Dice alla fine di un intervento appassionato e commovente, prima di crollare sul banco e piangere, con le mani davanti alla faccia. I suoi gesti e le sue parole racchiudono quelle di un intero mondo, incredulo nel vedere stracciati così i fondamenti minimi della dialettica politica, ma anche della noncuranza con la quale la leader del partito , tante volte accusata di non aver fatto i conti con il fascismo, maneggia la storia e capovolge il senso di ciò che accadde proprio nel Ventenni
«Fascisti? Dopo ottant’anni? Ma basta!», grida infatti il suo capogruppo Galeazzo Bignami, dai banchi di Fratelli d’Italia. Perché ecco, il livello è questo.
Giorgia Meloni, mentre le agenzie battono il Salvini che dice non avrà il mandato al piano di riarmo, sorride dai banchi del governo. Eccitato il dibattito da un’altra parte, spostata l’attenzione, è il massimo che poteva ottenere in una giornata come questa. Certo, il prezzo in termini di credibilità personale è forse troppo alto. Ancora una volta la premier rinuncia a fare un salto verso lo standing di leader internazionale, riconosciuta e stimata. Più che verso Angela Merkel sembra avviata verso Federico Mollicone. Ma anche nell’ambizione ci sono delle priorità e certamente Meloni ha le proprie.
(da L’Espresso)
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Marzo 19th, 2025 Riccardo Fucile
PERCHE’ QUESTA NON E’ LA SUA EUROPA, PRESIDENTE?
Il “Manifesto di Ventotene”, che la presidente Meloni ha citato oggi alla Camera affermando che “non è quella la mia Europa”, è un documento per la promozione dell’unità politica europea, scritto nel 1941 da tre intellettuali antifascisti confinati a Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni.
Il documento non era elaborazione individuale, ma frutto delle discussioni tra i confinati nell’isola (circa 800 persone, di cui 500 schedate come comunisti, 200 come anarchici e i restanti come azionisti o socialisti). Originariamente diffuso
clandestinamente, il Manifesto venne organizzato nel 1944 in tre capitoli da Eugenio Colorni, filosofo socialista di religione ebraica, riuscito a fuggire dal confino, assassinato a Roma il 30 maggio 1944 dai militi fascisti della banda Koch: la prima parte riguardava la “crisi della società moderna”, la seconda i “compiti del dopoguerra e l’unità europea”, la terza “la forma della società”.
Non soffermiamoci sulle declinazioni pratiche (un documento elaborato oltre 80 anni fa, nell’infuriare della guerra, è evidentemente datato nelle proposte operative), ma limitiamoci ai principi ispiratori, che in quanto tali conservano carattere di universalità.
La tesi principale è quella secondo cui l’esistenza stessa dello stato nazionale costituisce una minaccia permanente per la pace internazionale, perché il fine dello stato è l’espansione e lo strumento più efficace per ottenerla è la guerra.
La fondazione del federalismo europeo diventava quindi l’obiettivo fondamentale del dopoguerra: trasferimento progressivo e graduale della sovranità ad un organismo federale sovranazionale, all’interno di una struttura di negoziato permanente.
E’ in questo, Presidente, che Lei non si riconosce? Nell’idea di una cessione di sovranità nazionale in vista di una realtà allargata di tipo federale? Lei pensa che in un mondo globalizzato l’Italia sia sufficientemente attrezzata per reggere da sola il confronto con gli Stati Uniti, o con la Cina, o con le tante altre economie più forti della nostra?
Nella prospettiva tracciata dal Manifesto c’è sicuramente un elemento che penalizza la sua politica: Lei è abituata a decidere liberamente grazie ad una coalizione acquiescente e ad un’opposizione frammentata e impalpabile; in un’Europa federale Lei dovrebbe misurarsi con altre posizioni e trovare un “compromesso” nel senso più nobile del termine (“promettere insieme”, cioè partire dalle rispettive posizioni non per ridimensionarne l’una o l’altra, ma per raggiungere una sintesi che le comprenda entrambe).
La dimensione federale è esercizio per eccellenza di democrazia partecipata: è forse questo il problema? Il limite intrinseco al decisionismo?
L’altro principio fondante del Manifesto di Ventotene è la rigenerazione della società garantita da una prospettiva europea: un’Europa che riscopra i valori che avevano ispirato la Società delle Nazioni, che guardi all’emancipazione dei popoli, all’affermazione della libertà, alla tutela dei diritti, alla ridistribuzione della ricchezza, alla difesa della pace.
Certamente, questi non sono principi compatibili con la politica della forza militare e diplomatica di Trump, o quelli della forza del denaro e della proprietà di Musk. Sono i principi che guardano ad una dimensione collettiva della società, che immaginano la compagine civile come una realtà dove ognuno corre con velocità diverse secondo le proprie attitudini, ma dove tra i “primi” e gli “ultimi” c’è una distanza compatibile di
cui la dimensione pubblica si fa garante.
E’ questo che non condivide del Manifesto di Ventotene, Presidente? Lei vuole invece l’affermazione dell’individuo singolo capace di emergere sulla massa (che sia per ricchezza, forza, spregiudicatezza, intuizioni, o quant’altro)? Come i Musk, i Besos, i magnati russi?
Infine, Ventotene guarda all’Europa della solidarietà e intende l’uguaglianza non come un’astrazione sterile, e neppure come un’utopia impraticabile, ma, in concreto, come lo sforzo per rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne e agli uomini di esprimere la propria personalità e di avere la propria dignità.
E’ forse questo che non le piace, Presidente? La parola “solidarietà” è troppo stridente con le espulsioni di Trump, con i centri d’accoglienza fantasma dell’Albania, con i rimpatrii facili?
Non ho capito la sua affermazione, Presidente. Da che cosa è nata? Da fede sovranista? Da tentazione trumpista? O da insofferenza per “questa” Europa? Perché, in sincerità, neanche a me piace questa Europa dei burocrati, delle prescrizioni e dei veti, ma per motivi opposti ai suoi. Non mi piace proprio perché è troppo diversa e lontana dall’Europa di Ventotene.
Gianni Oliva
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Marzo 19th, 2025 Riccardo Fucile
E’ STATO SCRITTO DA ALTIERO SPINELLI ED ERNESTO ROSSI MENTRE ERANO CONFINATI SULL’ISOLA DURANTE IL PERIODO FASCISTA… AUSPICANDO UNA EUROPA UNITA E SOLIDALE E’ NORMALE CHE NON PIACCIA ALLA FECCIA SOVRANISTA
Il Manifesto di Ventotene, scritto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi mentre
erano confinati sull’isola di Ventotene durante il regime fascista, è uno dei documenti fondamentali dell’idea di un’Europa unita.
Il Manifesto propone la creazione di una federazione europea per garantire la pace e prevenire il ritorno di totalitarismi e guerre.
Critica il nazionalismo e sostiene la necessità di un’Europa basata su principi democratici . Dopo la Seconda guerra mondiale, le idee del Manifesto hanno ispirato la nascita dell’Unione Europea. Spinelli stesso è stato un protagonista del processo di integrazione europea.
I temi chiave del Manifesto
Gli autori del Manifesto considerano il nazionalismo una delle principali cause di guerre e conflitti in Europa. La soluzione proposta è la creazione di una federazione europea, in cui gli Stati rinuncino a parte della loro sovranità in favore di un governo sovranazionale. Questo sistema dovrebbe garantire pace duratura, impedendo a un singolo Paese di imporre il proprio dominio sugli altri.
Gli autori del Manifesto vedono la democrazia come un valore fondamentale per il futuro dell’Europa. La dittatura fascista in Italia e il regime nazista in Germania hanno dimostrato i pericoli di uno Stato autoritario, dove i cittadini perdono i loro diritti e la politica diventa uno strumento di oppressione.
Tuttavia, criticano anche le vecchie democrazie liberali, colpevoli di non aver saputo contrastare efficacemente l’avanzata dei totalitarismi.
Il Manifesto non si limita a proporre un’unione politica, ma affronta anche il tema delle disuguaglianze economiche e sociali. Gli autori sostengono che il capitalismo senza regole abbia contribuito alla crescita di regimi autoritari, favorendo una società divisa tra ricchi e poveri. Dopo la guerra, è necessario ricostruire l’Europa su basi più eque e solidali.
(da La Stampa)
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Marzo 19th, 2025 Riccardo Fucile
LE SUPERCAZZOLE DEL TYCOON SU IRAN E ARABIA SAUDITA E LA PRETESA DELL’EX AGENTE DEL KGB: ACCETTO IL CESSATE IL FUOCO SOLO SE FERMATE GLI AIUTI ALL’UCRAINA. MA TRUMP NON POTEVA GARANTIRE A NOME DELL’EUROPA
Putin non perde mai. La telefonata con Trump ha avuto come unico risultato la completa riabilitazione del “macellaio di Mosca” (copyright Biden), che rientra di prepotenza nel club delle grandi potenze mondiali, alla faccia di Zelensky, dell’Europa e di tutti coloro che in questi anni avevano relegato la Russia nella serie B della diplomazia mondiale.
Il Caligola di Mar-a-Lago esce invece frastornato: doveva arrivare alla pace in 24 ore, e invece si conferma solo un cowboy coatto, capace di bullizzare i partner più deboli, come Zelensky.
Quando si trova di fronte un ex agente del Kgb, esperto e spietato, deve abbassare il capino arancione e fare pippa. Aveva già pronto il discorso, che sarebbe iniziato con la frase “I saved the world”, (“Ho salvato il mondo”), ed è stato costretto a buttarlo nel cesso della Casa bianca.
L’umiliazione è partita prima ancora che iniziasse la telefonata, con Putin che, sghignazzando a una conferenza con gli industriali russi, ha temporeggiato, facendo aspettare il tycoon.
Quando ha sentito prendere la linea, Trump l’ha presa alla larga con i soliti salamelecchi: tra una promessa di partita a hockey e l’altra, si è vantato della sua capacità di portare avanti un negoziato in maniera “equa” e di riconoscere il ruolo della Russia.
Poi si è inerpicato in un ragionamento sull’Iran, provando a convincere Putin (per conto di Netanyahu) a esercitare una moral suasion sui suoi amici ayatollah e farli desistere dalla proliferazione nucleare.
Sul tema, ha ottenuto un vago assenso dello “Zar”: s’è detto d’accordo sul fatto che “l’Iran non dovrà mai essere in grado di distruggere Israele”.
Il Caligola di Mar-a-Lago ha poi continuato il suo panegirico lodando l’Arabia Saudita e invocando gli ottimi rapporti di Mohammed Bin Salman, come un venditore di enciclopedie qualunque in cerca di referenze. Putin ha ascoltato in silenzio, finchè si è arrivati alla vera questione sul tavolo: l’Ucraina.
È lì che Putin ha assestato il gancio al viso truccato di Trump, pronunciando un sibillino: Niet.
“Mad Vlad” ha rifiutato la tregua di 30 giorni, proposta dagli Usa dopo il vertice di Gedda con Zelensky, ribadendo la sua convinzione che sarebbe servita soltanto ad avvantaggiare Kiev. E poi ha risposto a brutto muso di acconsentire a deporre le armi soltanto se il flusso di aiuti militari all’Ucraina si fosse interrotto completamente.
Una pretesa inaccettabile, non tanto perché gli Usa siano contrari, ma perché di mezzo ci sono l’Europa e il Regno Unito: “Posso parlare a nome mio, ma che ne so che faranno loro?”, è stato il balbettio di Trump.
E così si è arrivati allo stop agli attacchi alle infrastrutture energetiche: un risultato inutile che serve a Trump come bandierina da sventolare per non ammettere pubblicamente il fallimento.
In realtà, come si è visto nella notte, Putin continua a bombardare l’Ucraina (tornando a colpire la capitale, Kiev) per mantenere alta la pressione dimostrando di non voler negoziare un bel niente.
Che succederà adesso? Domenica si terrà un nuovo incontro a Gedda (chez Bin Salman), tra le delegazioni russe e statunitensi.
Gli ucraini, come hanno ammesso dal gabinetto di Zelensky, non sono stati invitati. Come ha fatto notare perfettamente l’analista Michael Clark su Sky, ripreso entusiasticamente dai propagandisti russi (compreso l’ex presidente Dmitri Medvedev): “Se non siete al tavolo del negoziato, vuol dire che siete nel menu” Zelensky, ieri in visita a Helsinki, ha risposto: “Non siamo un’insalata né un dessert, per essere nel menu di Putin, indipendentemente dai suoi appetiti”.
Dopo l’incontro di domenica, a cui saranno presenti i due ministri degli esteri di Usa e Russia, Marco Rubio e Sergei Lavrov, insieme ai due “inviati speciali”, Steve Witkoff e il suo “omologo” Yuri Ushakov (uomo d’affari, messo a fare da contraltare all’immobiliarista trumpiano da Putin).
Dopo il vertice, si terrà una seconda telefonata tra Putin e Trump, e solo allora sarà concordata la data dell’incontro faccia a faccia. Come andrà a finire? Di sicuro un vincitore c’è già: è Putin.
(da agenzie)
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Marzo 19th, 2025 Riccardo Fucile
IL NEO-CANCELLIERE, FRIEDRICH MERZ, APRE ALLA “COMUNITÀ DELLA DIFESA EUROPEA, A CUI POTRANNO ADERIRE ANCHE PAESI EXTRA-UE” … LE TRE NOVITÀ: IL FONDO SPECIALE PER LE INFRASTRUTTURE, L’ALLENTAMENTO DEI VINCOLI PER LE REGIONI E UN INDEBITAMENTO “ILLIMITATO” PER EQUIPAGGIARE L’ESERCITO E FORNIRE ARMI ALL’UCRAINA
Con un voto storico la Germania cambia il «freno del debito», abbandonando decenni
di austerità, e approva un piano di stimolo e rilancio dell’economia di oltre mille miliardi. Soprattutto, dice sì al finanziamento «illimitato» del riarmo, ossia privo di vincoli prestabiliti, se non quanto si vorrà e potrà raccogliere sul mercato.
La riforma voluta da Friedrich Merz, ancora prima di diventare cancelliere, è passata nella seduta straordinaria del 20° Parlamento tedesco, riconvocato a pochi giorni dallo scioglimento. Trattandosi di modifiche costituzionali, era necessaria la maggioranza dei due terzi.
E i deputati della Cdu/Csu, dei socialdemocratici e dei Verdi sono stati compatti: 513 i sì di fronte ai 489 necessari per il quorum, 207 i no. Rispetto alle preoccupazioni della vigilia, mancano all’appello appena 7 deputati.
Contraria l’estrema destra dell’AfD, la Linke e il partito di Sahra Wagenknecht (che sparirà dal prossimo Parlamento) e che in aula ha portato i cartelli: «2025 come il 1914: no ai crediti di guerra», evocando il riarmo tedesco all’inizio della Prima guerra mondiale. Accuse respinte dai partiti della maggioranza.
Anzi, Friedrich Merz ha motivato così la rottura del grande tabù fiscale: «Un tale debito può essere giustificato solo in circostanze molto specifiche. Queste circostanze sono determinate soprattutto dalla guerra di aggressione di Putin contro l’Europa».
Ma la frase più importante, probabilmente, è un’altra. «La nostra decisione a vantaggio della Bundeswehr — ha detto Merz — è anche il primo passo verso una comunità della difesa europea, alla quale anche Paesi non appartenenti all’Ue potranno aderire». Il riferimento è alla Gran Bretagna e alla Norvegia.
E preannuncia già l’impegno di Berlino per un’unione della difesa con chi vorrà farne parte . Ieri sera è arrivato a Berlino il presidente francese Emmanuel Macron per cenare con Merz e il cancelliere Olaf Scholz.
Inizia dunque così, abbandonando il feticcio della Schwarze Null (dello zero in bilancio predicato da Wolfgang Schäuble), l’era di Friedrich Merz. E inizia, da un lato, con una spettacolare dimostrazione di disciplina della democrazia tedesca, che in tre settimane è stata capace di stringere un impensabile patto tra i partiti, passato al vaglio — visti i tempi accelerati — della Corte costituzionale.
Dall’altro, però, parte in una situazione precaria, complici i dazi di Trump, perché la Merzonomics dovrà risollevare un Paese che anche per il 2025 crescerà pochissimo, solo dello 0,4% secondo l’Osce.
Le riforme, chiamate malevolmente «Schuldenpaket» (pacchetto del debito) dalla stampa popolare, introducono tre grandi novità: 1) un indebitamento illimitato per equipaggiare meglio l’esercito e fornire armi all’Ucraina; 2) un fondo speciale da 500 miliardi di euro, con una durata di 12 anni, per modernizzare le infrastrutture, dalle reti elettriche agli ospedali, dalle strade alle ferrovie; 3) un aiuto alle regioni che ora potranno creare un deficit dello 0,35%.
(da il Corriere della Sera)
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Marzo 19th, 2025 Riccardo Fucile
IL PROVVEDIMENTO INTRODUCE IL REATO DI ORGANIZZAZIONE E PARTECIPAZIONE A EVENTI CHE VIOLANO LA “LEGGE SULLA PROTEZIONE DEI MINORI” (CHE E’ GIA’ VALSA A BUDAPEST IL DEFERIMENTO DAVANTI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UE)
Il Parlamento ungherese ha approvato la legge che vieta il Budapest Pride e consente alle autorità di utilizzare un software di riconoscimento facciale per identificare i partecipanti. Lo riferiscono media locali. Sulla legge hanno votato a favore i due partiti che formano la coalizione di governo, Fidesz del premier Viktor Orban, e il Kdnp.
Il provvedimento introduce il reato di organizzazione e partecipazione a eventi che violano la “legge sulla protezione dei minori”, valsa a Budapest il deferimento davanti alla Corte di giustizia dell’Ue, che vieta di mostrare ai minori qualsiasi contenuto, nei media e nelle scuole, che ritragga o promuova l’omosessualità o il cambio di sesso. Il provvedimento approvato oggi prevede anche delle multe per organizzatori e partecipanti al Pride. Durante la sessione parlamentare odierna, sono stati lanciati dei fumogeni dai banchi di opposizione.
“La nostra è un’Unione di libertà e uguaglianza. Ognuno dovrebbe poter essere chi è, vivere e amare liberamente. Il diritto di riunirsi pacificamente è un diritto fondamentale da difendere in tutta l’Unione europea. Siamo al fianco della comunità Lgbtqi – in Ungheria e in tutti gli Stati membri”.
Lo scrivono in un tweet il Commissario Ue per Stato di diritto Michael McGrath e e la Commissaria per le Pari Opportunità Hadja Lahbib, commentando la legge approvata dall’Ungheria che vieta il Pride. I due tweet sono stati rilanciati dalla presidente Ursula von der Leyen.
(da agenzie)
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Marzo 19th, 2025 Riccardo Fucile
“IL MODO DI RIUSCIRCI NON È QUESTO. NON LO CAPISCE. PUTIN HA OTTENUTO QUELLO CHE VOLEVA: NON GLI INTERESSA METTERE FINE ALLA CARNEFICINA. E DIRE CHE L’ECONOMIA E LA SOCIETÀ RUSSA SONO SOTTO PRESSIONE, MA IL PRESIDENTE AMERICANO NON SEMBRA INTENZIONATO A SFRUTTARE QUESTE DIFFICOLTÀ A SUO VANTAGGIO”
Fiona Hill era dentro alla stanza, quando Trump e Putin si incontrarono ad Helsinki
nel 2018, e la chiamata di ieri la giudica così: «Il capo del Cremlino ha ottenuto quello che voleva». Il problema però è assai più grande dell’Ucraina, e l’ex direttrice per l’Europa nel Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca lo riassume in questo modo: «Il sistema di sicurezza nato dalla Prima e dalla Seconda Guerra Mondiale è finito. Gli europei sono minacciati insieme da Russia, Usa e Cina: se non capiscono che è arrivato il momento di costruire le loro difese, le conseguenze saranno molto tetre».
Com’è andata la chiamata?
«A giudicare dai due comunicati, non è stata molto soddisfacente per la Casa Bianca. Quello del Cremlino è parecchio più lungo, ma a parte il cessate il fuoco relativo alle infrastrutture energetiche, non c’è molto di significativo. Putin ripete le sue posizioni massimalistiche, come la fine degli aiuti militari e di intelligence a Zelensky.
Considerando che Trump aveva già in mano l’accordo sulla tregua con l’Ucraina, probabilmente si aspettava di convincerlo. Ma non si capisce usando quale leva, a parte cedere Kiev. Al capo del Cremlino non interessa poi così tanto mettere fine alla carneficina […] L’economia e la società russa sono sotto pressione, ma il presidente americano non sembra intenzionato a sfruttare queste difficoltà a suo vantaggio. Quello in corso sembra più che altro un negoziato personale».
Quindi Putin ha bocciato la proposta di tregua di Trump, ma senza dirgli no, guadagnando il tempo per continuare l’offensiva?
«Esatto».
Cosa significa il cessate il fuoco per l’energia?
«Buona domanda. Forse Putin vuole salvare le infrastrutture che ritiene saranno sue. Nessuna concessione invece sui massacri dei civili o le garanzie di sicurezza. Quanto al negoziato per la tregua nel Mar Nero, serve solo ai russi, perché in quel teatro gli ucraini li stanno battendo, demolendo la flotta di Mosca».
Cosa si aspetta ora, un nuovo incontro tipo Helsinki?
«È possibile, escludendo l’Europa. È una guerra europea e in gioco c’è la sicurezza del continente, ma gli europei sono esclusi. Stiamo tornando a scenari da Prima guerra mondiale […] per la volontà di rilanciare i rapporti di forza tra grandi potenze».
Se fosse ancora alla Casa Bianca, cosa suggerirebbe a Trump?
«Che questa strategia non è nell’interesse suo e degli Stati Uniti. Capisco e condivido la sua volontà di migliorare le relazioni con la Russia e prevenire i conflitti nucleari, Ma il modo di riuscirci non è questo. Però lui non lo capisce, e non ha nessuno vicino disposto a dirglielo». «Questa sarà l’ultima guerra in cui Washington farà da garante per l’Europa, il sistema di sicurezza basato sulla presenza americana è finito».
Come dovrebbero reagire gli europei?
«Sull’Ucraina, sono l’unica possibile resistenza alla svendita di Kiev e dell’intero continente. Devono rialzare la testa, come Unione ».
(da agenzie)
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