Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile
LA DUCETTA NON HA ANCORA CAPITO CHE IL TYCOON PARLA SOLO IL LINGUAGGIO DELLA FORZA: SE HAI CARTE DA GIOCARE, TI ASCOLTA, ALTRIMENTI SUBISCI E OBBEDISCI
È ormai chiaro che Donald Trump non abbia nessuna voglia di impiegare il suo tempo
ad incontrare faccia a faccia Giorgia Meloni.
La premier volerebbe a Washington come Icaro verso il sole, ma il cowboy coatto che siede alla Casa bianca non vede il valore aggiunto di un vis-a-vis con la sua groupie number one. Insomma, per Trump, non conta un cazzo, a differenza di Francia e Gran Bretagna, i cui leader, Macron e Starmer, sono stati subito ricevuti alla Casa Bianca.
Senza più il vento a favore di Musk (che aspetta il contrattone italiano per la Starlink), la Statista della s-Garbatella è arrivata al punto di consegnare all’ambasciatore negli Stati Uniti, Mariangela Zappia, un messaggio da consegnare al presidente americano. La posizione italiana sull’ingresso dell’Ucraina nella Nato sarà “allineata” a quella degli Usa: un no secco
Peccato che con il consueto camaleontismo, necessario a non urtare Bruxelles,
Giorgia Meloni abbia provato un insostenivile sotterfugio: la proposta di allargare a Kiev la tutela dell’articolo 5 del Patto Atlantico, che prevede l’intervento di tutti i Paesi membri a difesa di uno Stato partner aggredito. Una supercazzola che non sta né in cielo né in terra, e già esclusa sia da Washington che da Mosca.
D’altronde, anche un eventuale incontro con Trump, a cosa porterebbe? L’Underdog del Colle Oppio è forse convinta di esercitare il suo ascendente sull’incontenibile e imprevedibile golfista-in-chief?
Si illude di scongiurare i dazi sulle merci italiane, mostrando i suoi occhioni da cerbiatta e il sorriso da “furbetta del quartierino”? Ormai dovrebbe aver capito che Trump parla solo il linguaggio della forza: se hai carte da giocare, ti ascolta, altrimenti subisci e obbedisci.
Rischierebbe, quindi, di tornare a Roma con le pive nel sacco, identica condizione a quella in cui si trova il tycoon con Putin: era convinto di indurre “Mad Vlad” a una tregua di 30 giorni in Ucraina, ma è stato intortato ben bene dal Cremlino. Un nulla di fatto che non ha fermato la guerra.
(da Dagoreport)
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Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile
GLI 007 DELLA CIA NON HANNO MAI DETTO UNA COSA DEL GENERE AL PRESIDENTE. MA LUI SE N’E’ FREGATO E HA MANIPOLATO L’INFORMAZIONE COME PIÙ GLI FACEVA COMODO … ALLA FINE IL DEEP STATE HA REAGITO: TRE FUNZIONARI HANNO SPIFFERATO LA VERITÀ ALLA “REUTERS”
I soldati ucraini a Kursk hanno perso terreno negli ultimi giorni ma non sono circondati dalle forze russe, contrariamente ai recenti commenti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e del presidente russo Vladimir Putin: lo scrive Reuters on line che cita tre funzionari statunitensi ed europei a conoscenza delle valutazioni di intelligence dei rispettivi governi.
Le agenzie di intelligence statunitensi, tra cui la Cia, hanno condiviso questa valutazione con la Casa Bianca la scorsa settimana, hanno affermato un funzionario statunitense e un’altra persona a conoscenza della questione. Tuttavia, Trump ha continuato a sostenere che le truppe ucraine sono circondate nella regione di Kursk nella Russia occidentale .
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Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile
LA TRASMISSIONE, IN PALINSESTO DA TEMPO, ERA IN DIRETTA E BENIGNI È STATO BEN ATTENTO A NON CITARE MAI LA PREMIER, PRENDENDO IL DISCORSO ALLA LARGA PER POI INFILZARLA … LO STAFF DELLA DUCETTA METTE NEL MIRINO L’AD DELLA RAI (“È LA SUA ENNESIMA CAROGNATA”), L’INTELLETTUALE DI COLLE OPPIO, GIAMPAOLO ROSSI, A CUI FAZZOLARI HA TOLTO IL SALUTO
Ci mancava Roberto Benigni che sulla Rai loda Ventotene, tra l’altro facendo il boom di
ascolti col 28,1 per cento di share.
«L’ennesima carognata di Rossi», si sente dire dalle parti di Giorgia Meloni, dove si parla di un cognome, quello del numero uno della Rai, Giampaolo, e non di “comunisti”.
Il gelo ormai domina i rapporti tra chi comanda in Fratelli d’Italia e l’amministratore delegato di Viale Mazzini (si fa per dire, dato che per colpa dell’amianto sono tutti emigrati dal palazzo, posizionati in uffici sparsi in tutta Roma) che è pure sfortunato,
della serie «ma proprio prima della trasmissione di Benigni la premier se ne doveva uscire fuori attaccando Ventotene e Altiero Spinelli?».
Succede quando si vogliono mandare in televisione i comici in diretta, invece di registrare con calma tutto quello che deve essere trasmesso. Ma si sa, come afferma un vecchio dirigente Rai, «l’intelligenza nel servizio pubblico radiotelevisivo è sparita con l’uscita di Ettore Bernabei».
Sta di fatto che a Palazzo Chigi sono talmente adirati che ormai il sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri Giovanbattista Fazzolari, braccio destro di Giorgia, ha tolto il saluto a Rossi e parla soltanto con il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci.
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile
COSA NE PENSA GIULIO TREMONTI, EX MINISTRO BERLUSCONIANO, RIPARATO IN FDI PER TORNARE IN PARLAMENTO, CHE PER DIFENDERE IL TESTO DI SPINELLI, UN MESE FA AL “FOGLIO” DISSE: “L’EUROPA RIPARTA DAL MANIFESTO DI VENTOTENE”
Se si fa una ricerca di archivio non si troverà una condanna del fascismo così dura e appassionata quanto è stata la sua critica al testo considerato la bibbia dell’antifascismo e dell’europeismo. Ma, in fondo, non è una scoperta se si conosce la storia di Giorgia Meloni.
A chi in questi anni le ha chiesto perché non si pronuncia mai a favore dell’antifascismo, che è l’ingrediente fondativo della Costituzione, ha quasi sempre risposto: «Io non sono fascista, come mi dipingono da sinistra, ma se in una qualche definizione mi devo riconoscere si può dire che sono anti-antifascista».
Lo ha detto e ridetto in privato, perché pubblicamente sono affermazioni che susciterebbero clamore e forse scandalo in un Paese che ha fatto rifiorire la democrazia sulle macerie fratricide del Ventennio, ma è un rivendicazione identitaria perfetta per ricercare un senso all’attacco a freddo contro il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
Sono le radici antifasciste anche dell’Europa, e non solo dell’Italia, che Meloni mette in discussione, in un momento preciso della storia, mentre le autocrazie guadagnano terreno e Donald Trump sembra farsi beffe del Vecchio Continente.
Ma prima bisogna fermarsi su una premessa, che spiega la sostanza tattica della mossa di Meloni. Se si cerca una ragione di questa scelta parlando con le fonti di Fratelli d’Italia e di Palazzo Chigi più vicine alla leader, e dunque in grado di darne l’interpretazione più autentica, si ricava una risposta e un mezzo sorriso compiaciuto: così Meloni- dicono – è riuscita a dirottare lontano dalle telecamere il dibattito sul riarmo europeo, che […] inevitabilmente l’avrebbe inchiodata alle sue ambiguità. L’opposizione l’ha seguita e l’opinione pubblica spaventata dal riarmo è stata distratta per un giorno.
C’è un mondo di parole e un mondo di fatti, nell’universo di Meloni. Un palcoscenico dove esalta la polemica politica e lo scontro ideologico, in Parlamento, e un altro dove la postura europea non può mancare, ai tavoli di Bruxelles. Ha spostato l’attenzione altrove rispetto a un dato, al momento, incontrovertibile e che Conte, Schlein e in misura diversa Matteo Salvini sono pronti a rinfacciarle: voterà il piano di Ursula von der Leyen. Non le piace il fatto che sia titolato ReArm Europe, ma lo voterà.
Spirito di improvvisazione, fiuto politico e tatticismo puro: sono le doti con le quali Meloni in 24 ore ha ritrovato e riadattato l’allergia sovranista delle origini a una certa idea di Europa, quella che si è affermata in questi anni e che quotidianamente viene messa a dura prova dagli istinti nazionalisti. Nei passi del Manifesto, Meloni ritrova l’idea dell’Europa che dice di rifiutare»: quella in cui «scompaiono le Nazioni», e degli Stati Uniti d’Europa «calati dall’alto».
Ancora una volta però i social e la memoria del web fanno emergere contraddizioni e giravolte della leader. In un tweet del 2016 contro gli allora leader di Italia, Francia e Germania, Matteo Renzi, Francois Hollande e Angela Merkel, Meloni esaltava «le idee più chiare che avevano i firmatari del manifesto di Ventotene, detenuti in un carcere» (dimenticandosi di ricordare che era in un confino fascista). Appena un mese fa, invece, è toccato a Giulio Tremonti – ex ministro berlusconiano, riparato in FdI per tornare in Parlamento – difendere il testo di Spinelli, con un’intervista al Foglio dal titolo: «L’Europa riparta dal Manifesto di Ventotene».
Voce piuttosto isolata, va detto, quella di Tremonti. Perché, al di là dei motivi che l’hanno spinta a farlo, le critiche mosse al Manifesto non nascono dal nulla. E trovano un sostenitore storico in Lucio Malan, capogruppo in Senato, sul cui sito personale si trovano considerazioni che sono la copia delle parole di Meloni.
Ma forse la voce più autorevole del partito che ha messo in discussione i principi di Ventotene è Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Lo ha fatto più volte in questi due anni, anche pochi giorni prima delle elezioni europee: «Ripensare l’Unione – ha detto – vuol dire mettere da parte l’ideologia da Manifesto di Ventotene, secondo cui tutto deve calare dall’alto, e tornare alle esigenze dei
popoli».
Nella sfida tra i padri fondatori, la premier e i suoi uomini oggi preferiscono dirsi ispirati a Charles De Gaulle: «Che è l’opposto dell’Europa di Ventotene – spiega Alberto Balboni, presidente della commissione Affari costituzionali – È l’Europa delle Nazioni, nella quale credono i patrioti italiani ed europei».
Anche così si spiegano le 24 ore di Meloni in Parlamento: il ritrovato riallineamento con Salvini, le concessioni – tante, quantomeno verbali – alla Lega, persino sui dazi imposti da Donald Trump, spiegano i problemi che sente la premier. I Patrioti in Europa sono il gruppo della francese Marine Le Pen, l’ungherese Viktor Orban, l’austriaco Herbert Kickl, le ultradestre che crescono e sono tutte alleate di Salvini, fattori di potenziale destabilizzazione degli equilibri europei a cui guardano favorevolmente Trump e il movimento Maga (Make America Great Again). È a loro che guarda Meloni, cercando di trovare una quadra nella faticosa gestione di alleanze che si rimescolano e sono diverse, a seconda se la giornata si trascorre a Roma, a Bruxelles o a Washington.
(da La Stampa)
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Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile
PER SEI EUROPEI SU DIECI, IL MONDO È MENO SICURO DOPO LA RIELEZIONE DEL TYCOON. LA MAGGIORANZA (55%) RITIENE CHE CI SIA UN ELEVATO RISCHIO DI GUERRA, E IL 70% E’ CONVINTO CHE L’UE DEBBA CONTARE SOLO SULLE PROPRIE FORZE (IL 58% IN ITALIA)
Nel nuovo sondaggio realizzato da Cluster17 per la rivista di geopolitica Grand
Continent si comincia a misurare la rivoluzione in corso nell’opinione pubblica dell’Ue.
«L’ipotesi che facciamo è che Donald Trump stia producendo un terremoto a Washington che sta avendo degli effetti tellurici su tutto il continente» osserva il direttore Gilles Gressani.
La prima sorpresa è la convergenza di paure e speranze. Il presidente Usa è considerato un «nemico dell’Europa» da metà degli intervistati e il 63% ritiene che la sua rielezione renda il mondo meno sicuro. Quasi metà degli europei (43%) lo percepisce come un leader con tendenze autoritarie o addirittura come un dittatore (39%). Al contrario il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è il capo di Stato che riscuote più fiducia nella lista dei politici europei.
La maggioranza degli europei (55%) ritiene che il rischio di un conflitto armato su territorio Ue nei prossimi anni sia elevato (49% in Italia). Di fronte a questa minaccia, il 70% degli intervistati (58% in Italia) sostiene che l’Ue debba contare solo sulle proprie forze per garantire la sicurezza del continente.
L’Italia ha tra le percentuali più basse sul grado di minaccia che comporta Trump, avvicinandosi a paesi come Romania e Polonia. Il 37% vede il presidente Usa come un nemico dell’Italia rispetto al 40% in Francia e al 46% in Germania.
Resta una tendenza ormai netta. «Persino gli atlantisti di ferro, come il prossimo cancelliere tedesco o il presidente della Repubblica italiana, hanno usato parole molto dure contro l’attuale amministrazione Usa» nota Gressani.
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Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile
VENGONO COLPITE INDAGINI SU STRAGI, OMICIDI, SEQUESTRI DI PERSONA, RAPINE AGGRAVATE, CORRUZIONE MA ANCHE FEMMINICIDI E REVENGE PORN … L’OBBLIGO DI COLLABORARE CON I SERVIZI SEGRETI PER L’INTERO UNIVERSO DI CHI HA RAPPORTI CON LO STATO, DUNQUE ANCHE PER LA RAI E MEDIASET (CON TANTI SALUTI ALLA LIBERTA’ DI INFORMAZIONE)
Un muro di gomma. Contro cui s’infrange definitivamente la speranza di salvare dalla stretta sulle intercettazioni almeno i reati più allarmanti. Cadono uno ad uno, dalle dieci di sera, alla Camera, gli ultimi emendamenti delle opposizioni. Ed è tra tensioni, urla e qualche insulto rivolto alla destra – “vergogna”, “inetti”, “sciacalli”, “giocate sulla pelle delle donne” – che è passata nella notte in via definitiva (147 sì, 67 no e un astenuto) un’altra norma anti-pm, la legge che fissa il limite dei 45 giorni per le captazioni. Colpendo anche indagini su condotte gravissime: non solo dal sequestro di persona alle rapine aggravate, alla corruzione. Ma perfino omicidi, femminicidi e stragi, passando per pedopornografia e revenge porn .
Nessuna eccezione, dunque: uniche deroghe previste per mafia e terrorismo.
Concretamente: la legge rischia di trasformarsi in uno tsunami per moltissime inchieste, come hanno provato ad argomentare, già in sede di audizione, i maggiori procuratori del Paese: da Francesco Lo Voi a Nicola Gratteri, da Alessandra Dolci a Raffaele Cantone. Né basta, come rassicurazione, l’ordine del giorno con cui il governo si impegna nella notte, con il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, «ad adottare», prossimamente, «le opportune iniziative normative» per applicare la deroga anche ai reati contro le donne. «Se questa volontà è autentica, perché non avete approvato gli emendamenti che vi consentono subito di correggere una legge criminogena?», è la replica di M5S, Pd, Avs. Partono i cori, «vergogna».
«Quello che si sta consumando in quest’aula è gravissimo. Troppi reati senza intercettazioni non possono essere puniti: 45 giorni sono un periodo del tutto irrilevante, chi propone questa norma lo sa», tuona Federico Cafiero de Raho, M5s, già procuratore nazionale antimafia, pm che ha stanato il gotha dei casalesi.
«Il governo Meloni offre l’immunità ai delinquenti», conclude. Nel mirino «la schizofrenia legislativa della destra», punta il dito l’altra pentastellata, Valentina D’Orso: «Da un lato, stanotte sancite la resa totale dello Stato davanti al grande spaccio; dall’altro lato, nel ddl Sicurezza, al Senato, bandite persino le infiorescenze della pianta di canapa». Denuncia Federico Gianassi, Pd: «Non siamo contro una vigilanza sulle intercettazioni. Siamo contro questo asssurdo provvedimento. Voi vi girate su Paragon, fischiettate su intercettazioni abusive. Ma quelle legittime, necessarie, non si possono fare.
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile
GLI ANZIANI DA MESI PROTESTANO CONTRO I TAGLI FATTI DAL PRESIDENTE MILEI… IL GOVERNO HA MESSO GLI AGENTI IN ASSETTO DI GUERRA E SOLO LO SCORSO MERCOLEDÌ CI SONO STATI OLTRE 100 ARRESTI E ALMENO 50 FERITI
Fernando ha 70 anni. Si trova di fronte al Congresso di Buenos Aires e stringe forte tra
le mani un cartello che recita: “Jubilados en lucha” (Pensionati in lotta). [
Migliaia e migliaia di agenti delle forze dell’ordine sono schierati a pochi metri da lui armati di manganelli, pistole e idranti. «Io sono qui perché con la mia pensione non riesco nemmeno a mangiare. Ho sempre lavorato onestamente e ora guardate come ci trattano: ci sparano come se fossimo pericolosi delinquenti», spiega Fernando.
Davanti a lui c’è Marcelo che ha 25 anni e indossa una maglia della nota squadra di calcio argentina “Boca”. Oggi Marcelo, ultras del Boca, si trova qui – insieme ad altri migliaia di tifosi – a proteggere Fernando e gli altri pensionati che sono scesi in piazza contro il governo di Javier Milei, che con i tagli feroci fatti nei mesi scorsi per risanare l’economica argentina, ha messo in ginocchio migliaia di anziani che oggi sono costretti a vivere con pensioni da circa 300 euro.
Le manifestazioni dei pensionati contro il governo Milei vanno avanti – ogni mercoledì – da mesi e, nonostante siano proteste pacifiche, la repressione delle forze dell’ordine è diventata sempre più brutale, con anziane manganellate o signori attempati arrestati con violenza. E così, da mercoledì scorso, i tifosi delle squadre di calcio più popolari del Paese hanno dichiarato che sarebbero scesi in piazza insieme ai pensionati per proteggerli dalla repressione.
«Questo governo se la prende con i più deboli – afferma Carlos, 27 anni, tifoso del “River” – Io non posso stare a casa, mentre sparano e prendono a manganellate persone che hanno lavorato per tutta la loro vita per questo Paese. Potrebbero essere i miei nonni».
Da quando i tifosi hanno annunciato che avrebbero fatto da “guardia del corpo” ai pensionati, il governo ha messo le forze dell’ordine in assetto da guerra. Migliaia di agenti sono stati schierati intorno al Congresso con camion e idranti:lo scorso mercoledì ci sono stati oltre 100 arresti e almeno 50 persone risultate ferite (fra cui un fotografo che ha perso un occhio e un altro ricoverato in condizioni gravi).
A scendere in piazza a proteggere i pensionati non sono gli ultras più radicali, conosciuti in Argentina con il nome di “Barras bravas” e che sono normalmente associati a crimini o eventi violenti, ma sono tifosi dei club più popolari che si sono auto-organizzati per partecipare alle manifestazioni.
(da La Repubblica)
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Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile
MERCATI NERVOSI, GIA’ PERSO IN BORSA IL 42%… UNO DEI PRINCIPALI INVESTITORI: “MUSK LA SMETTA DI FARE POLITICA, STA DANNEGGIANDO LA REPUTAZIONE DELL’AZIENDA”
Nuovi guai per Tesla. La casa automobilistica di Elon Musk ha richiamato oltre 46.000 Cybertruck, di fatto praticamente tutti quelli prodotti e venduti nei primi 15 mesi di commercializzazione negli Usa, a causa di un problema di sicurezza segnalato dalle autorità di sicurezza del traffico. Dovranno essere sostituiti tutti i
pannelli esterni che corrono il rischio di staccarsi durante la guida, con evidenti rischi di incidenti, come ha fatto notare all’azienda la National highway traffic safety administration (Nhtsa).
Tesla stima che solo l’1% delle 46.096 vetture coinvolte abbia effettivamente un difetto, ma non avendo trovato altre soluzioni dovrà sostituire (a sue spese) i pezzi in questione per sanare il problema. Un’altra brutta tegola per la società leader nella produzione di veicoli elettrici, che nei mesi scorsi aveva già dovuto richiamare altre auto dal mercato e che da inizio anno ha perso in Borsa quasi il 42%.
L’allarme sui mercati e le proteste in concessionaria
Inutile tentare di ridimensionare quel che sta accadendo, per Tesla è un momento di crisi reputazionale «da tornado», ha scritto in una nota agli investitori Dan Ives, direttore della società di investimenti Wedbush e sin qui tra i più tenaci sostenitori di Tesla.
Secondo Ives a trarne la lezione dev’essere lo stesso Elon Musk, prima che sia troppo tardi. Qual è il problema? Molto semplicemente, la deve smettere di mescolare ruoli pubblici e privati, sottraendo tempo alla guida delle sue aziende. L’incarico alla guida del Doge – l’ufficio messo in piedi per conto della Casa Bianca per tagliare con l’accetta le spese federali – «sta danneggiando la sua reputazione e le società che guida», affonda il colpo il consulente finanziario. «All’inizio il danno in termini di brand pareva limitato, ma nelle ultime settimane si è allargato a livello globale in quello che chiameremmo un momento di crisi da tornado per Musk e Tesla», scrive per esteso Ives, come riporta il Guardian.
A far sentire la loro voce il prossimo 29 marzo saranno anche i consumatori: per quel giorno infatti sono state indette manifestazioni di protesta davanti a 500 showroom dell’azienda in giro per il mondo. Elon Musk deve trovare il modo di rassicurarli, e in fretta.
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2025 Riccardo Fucile
PUR ESSENDO A LAVORO PER 8 ORE AL GIORNO VENIVANO PAGATI PER SOLE 4 ORE … DAVANTI ALLA LORO PROTESTA, IL DATORE DI LAVORO HA CHIUSO IL CANCELLO DI USCITA DALL’AZIENDA MINACCIANDO DI APRIRLO SOLO DOPO LA SOTTOSCRIZIONE DELLE DIMISSIONI VOLONTARIE E DI UN LICENZIAMENTO CON MOTIVAZIONI GENERICHE
Un gruppo di 6 lavoratori stranieri con regolare permesso di soggiorno, dipendenti di
un panificio industriale di Latina, occupati per 8 ore giornaliere per 6 giorni alla settimana, ma pagati per sole 4 ore giornaliere, chiedono di essere retribuiti correttamente per tutte le ore lavorate. Il datore di lavoro chiude il cancello di uscita dall’azienda minacciando di aprirlo solo dopo la sottoscrizione, prima delle dimissioni volontarie da parte di ognuno di loro, e poi li intima di firmare un licenziamento con motivazioni generiche.
A rendere nota la vicenda è la Uila Uil, che prosegue: “I lavoratori a questo punto chiamano i Carabinieri, all’arrivo dei quali viene aperto il cancello che gli consente di uscire e di presentare (su invito dei Carabinieri intervenuti) all’Ispettorato del lavoro formale denuncia per verificare il maltolto retributivo nel periodo di lavoro effettuato presso l’azienda”.
I lavoratori sono stati assistiti dalla Uila Uil di Latina per la presentazione della denuncia all’Ispettorato del Lavoro e per verificare, in attesa di una nuova collocazione e dell’esito delle iniziative dell’Ispettorato, la possibilità di usufruire dell’indennità di disoccupazione prevista per i lavoratori licenziati o che hanno
rassegnato le dimissioni per giusta causa.
“Auspichiamo che le verifiche ispettive conseguenti alla denuncia che è stata formalmente presentata dai lavoratori interessati, siano tempestive in modo tale da riuscire a contrastare efficacemente ogni forma di sfruttamento e di irregolarità che interessi i lavoratori sia di nazionalità italiana e/o straniera. Sia che lavorino in agricoltura o in qualsiasi altro settore produttivo” chiosa il sindacato.
(da agenzie)
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