Marzo 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA DUCETTA SOGNA UN INCONTRO ALLA CASA BIANCA, MA AL MOMENTO DEVE ACCONTENTARSI DI VOLARE A PARIGI AL VERTICE DEI “VOLENTEROSI” CONVOCATO DALL’ODIATO MACRON
Sono giorni evidentemente complessi per la premier, alla ricerca di una coerenza nella
sua strategia a metà tra Europa e Stati Uniti, e in attesa di vedere confermata la possibilità di una visita alla Casa Bianca. Le stanno consigliando di non andare prima del 2 aprile, quando Trump farà scattare la tagliola commerciale sull’Ue, perché rischierebbe di diventarne l’involontaria sponsor nello Studio Ovale.
E perché poi, soprattutto, è preferibile avere tempo di costruire un bilaterale strutturato, con delegazioni di ministri e un ampio ventaglio di argomenti su cui confrontarsi, non un blitz in stile Mar-a-Lago. Nel frattempo volerà a Parigi giovedì, al vertice convocato da Macron sulla coalizione dei volenterosi. La missione sotto mandato Onu è diventata un’ipotesi concreta, come nel governo già sapevano da settimane.
Tanto che persino Salvini, dopo essersi scagliato con forza contro l’ipotesi, da qualche tempo si dice favorevole a una missione che coinvolga i caschi blu. E questo, tutto sommato, conforta Meloni: segno che la voce di Salvini è pronta ad affievolirsi un attimo prima di rischiare lo scontro.
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2025 Riccardo Fucile
GIAMPIERO MASSOLO: “PER GLI USA, TATTICAMENTE, OCCORRE TENERE FEDE ALL’IMPEGNO ELETTORALE A FAR CESSARE LE ARMI. PIÙ STRATEGICAMENTE, CON BUONA PACE DELL’UE, NE VA DEL RECUPERO DI MOSCA A UN RAPPORTO TRA POTENZE CHE RIGUARDI UN AMPIO QUADRO DI DOSSIER ANCHE IN FUNZIONE CONTENITIVA DI PECHINO. PER WASHINGTON, COSTI E RISCHI MINIMI E SEMPRE COMPENSABILI CON IL SUO PESO SOVERCHIANTE. DI CUI L’EUROPA NON DISPONE. MA IL RISULTATO NETTO DI UNA ‘PACE FACILE’ SAREBBE L’INSICUREZZA EUROPEA”
Tempi di illusioni ottiche i nostri se davvero, nella guerra d’Ucraina, gli americani ci appaiono all’improvviso come pacifisti e gli europei come guerrafondai: le rispettive circostanze sono diverse e gli interessi non sempre coincidono.
Per la nuova amministrazione Usa, la partita ucraina ha un risvolto tattico a fini interni e uno più strategico. Tatticamente, occorre tenere fede all’impegno elettorale a far cessare le armi e dimostrare con l’accordo sulle terre rare che i denari dei contribuenti americani tornano indietro.
Più strategicamente, con buona pace dell’Ue, ne va del recupero di Mosca a un rapporto tra potenze che riguardi un ampio quadro di dossier anche in funzione contenitiva di Pechino. Per Washington, costi e rischi minimi e sempre compensabili con il suo peso soverchiante. Di cui l’Europa non dispone.
Per gli europei, il conflitto russo-ucraino comporta difatti l’emergere di tre gravi criticità: un problema di sicurezza legato all’inaffidabilità di Putin che richiede un’adeguata deterrenza; un ritmo troppo lento di sviluppo della difesa europea; l’impossibilità nel breve-medio termine di affrancarsi dall’eccesso di dipendenza dagli Stati Uniti.
Circostanze non facilmente rimediabili: con la potenza americana in ripiegamento, il risultato netto di una «pace facile» in Ucraina sarebbe l’insicurezza dell’Europa.
L’attivismo della Commissione Ue e le intense interazioni tra i maggiori Stati europei puntano a mitigare questo stato di cose. In assenza di una competenza comunitaria in materia di difesa e sicurezza, questo sta avvenendo in due modi urgenti e complementari: a livello europeo, ricercando finanziamenti fuori dei parametri (se possibile anche privati) e a tassi vantaggiosi per consentire agli Stati di finanziare il rafforzamento delle loro difese nazionali; a livello intergovernativo – anche con il Regno Unito – cercando di costruire coalizioni di Paesi «capaci e disponibili» ad assicurare almeno un livello minimo di deterrenza autonoma.
Nell’auspicio poi che ciò serva per trattenere gli americani in Europa. Sviluppi tecnicamente privi di alternative. E ineludibili per i Paesi europei, al netto delle rispettive narrative politiche. A indebolirci contribuisce la nostra percezione della minaccia russa: non andrebbe strumentalizzata ulteriormente.
(da Il Corriere della Sera)
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Marzo 23rd, 2025 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, CARLO NORDIO, BALENA L’IPOTESI DI INTRODURRE SANZIONI DISCIPLINARI PER I MAGISTRATI CHE ESPRIMONO LE LORO OPINIONI, IN PARTICOLARE SULLE RIFORME DELL’ESECUTIVO
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, vuole introdurre sanzioni disciplinari per i
magistrati e i giudici che esprimono le proprie opinioni, a partire da coloro che criticano le riforme della Giustizia del governo di Giorgia Meloni
.Non si tratta di un’ipotesi o di una semplice idea, ma ad annunciare il progetto dell’esecutivo è lo stesso Guardasigilli rispondendo in forma scritta a un’interrogazione del capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri.
L’interrogazione risale all’11 novembre scorso e la risposta – che non è ancora stata resa pubblica e che Il Fatto ha letto in anteprima – è un nuovo attacco diretto del governo alla magistratura.
Nordio, infatti, spiega che l’esecutivo vuole reintrodurre una norma che risale al governo Berlusconi IV (ministro della Giustizia Roberto Castelli) che prevede sanzioni disciplinari per quei giudici che tengono “comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria”. Una definizione talmente generica che rischia di essere intimidatoria
In primo luogo, Nordio censura quei giudici o magistrati che “ritengono di dover assumere pubblicamente posizioni politiche o di partecipare a iniziative su temi politicamente sensibili con un atteggiamento di forte contrapposizione all’azione di governo”.
Poi critica duramente quei giudici che lo scorso 27 febbraio hanno scioperato contro la riforma della separazione delle carriere, ma anche la partecipazione di magistrati a convegni in sedi di partito: questi due comportamenti, per Nordio, “appaiono assai inopportuni”.
A quel punto il Guardasigilli richiama le toghe: l’imparzialità dei magistrati prevede che le esternazioni pubbliche siano caratterizzate da “sobrietà, irreprensibilità e riservatezza dei comportamenti individuali, così da evitare il rischio di apparire condizionabili o di parte”.
Segue altra bordata: “Le legittime opinioni del magistrato, anche su temi politicamente sensibili, non devono essere espresse in modo tale da fare dubitare della sua indipendenza e imparzialità nell’adempimento dei compiti a lui assegnati”.
Quindi a quale conclusione arriva Nordio? La soluzione contro i magistrati che esprimono le proprie posizioni viene indicata nell’ultima pagina della risposta: il ministro della Giustizia spiega che il governo sta valutando di reintrodurre il divieto per le toghe di “tenere comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria”. Pena la sanzione disciplinare.
Nordio, insomma, vorrebbe reintrodurre una norma che risale al febbraio 2006: un decreto legislativo approvato dal governo Berlusconi (ministro Castelli) che dava attuazione alla riforma della giustizia.
Una norma che era stata abrogata solo pochi mesi dopo dal governo Prodi proprio perché comprimeva troppo la libertà di espressione […] Nordio vuole tornare al passato. Proprio lui che, negli anni in cui faceva il magistrato, aveva ampiamente espresso le proprie opinioni con articoli e libri. A dicembre Nordio aveva già provato a inserire una “astensione” per ragioni di “convenienza” contro i pm, ma era stato stoppato dal sottosegretario Alfredo Mantovano e dal Quirinale.
(da l Fatto quotidiano)
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Marzo 23rd, 2025 Riccardo Fucile
E PERCHÉ, SE DICHIARA UNA CASSA DA BEN 37 MILIARDI DI DOLLARI, NEL 2024 HA PRESO IN PRESTITO 6 MILIARDI? “È IL SEGNALE D’ALLARME DI DICHIARAZIONI CONTABILI SCORRETTE”
Cosa sta accadendo a Tesla e cosa rivela quest’ultima degli equilibri della Casa Bianca? Pochi giorni fa il Financial Times ha dedicato un approfondimento al gruppo auto. Firmato da Dan McCrum, che svelò i bilanci falsi del gruppo tedesco Wirecard, l’articolo del quotidiano di Londra si pone alcune domande.
Perché negli ultimi sei mesi Tesla dichiara investimenti netti da 1,4 miliardi di euro che non si riflettono in alcun pari aumento di beni fisici o immateriali riscontrabili in bilancio? Anche la seconda domanda è insidiosa: perché un’azienda che dichiara una
cassa propria da ben 37 miliardi di dollari nel 2024 ha preso in prestito sei miliardi?
«Queste anomalie possono essere segnali d’allarme, potenzialmente indicativi di controlli interni deboli – si legge –. Una classificazione aggressiva delle spese operative (quelle ordinarie per la vita dell’azienda, come i salari, ndr) quali investimento può essere usata per gonfiare artificialmente gli utili dichiarati».
E ancora: «Una combinazione di flussi di cassa in eccesso e di continua raccolta di capitali (per esempio con un bond, ndr) può rappresentare il segnale d’allarme di dichiarazioni contabili scorrette».
Tesla è l’11esima più grande azienda al mondo, con una capitalizzazione di 800 miliardi di dollari. Essa è crollata di 900 miliardi di dollari da dicembre, falcidiando 114 miliardi dal patrimonio personale di Musk (che ha il 12,8%). Anche così, la sua valutazione resta elevata rispetto ai dati reali del gruppo: a lungo andare, si giustificherebbe solo con un aumento di sette o otto volte degli utili.
Di certo proprio nel giorno in cui è uscito l’articolo del Financial Times il segretario al Commercio Howard Lutnick ha preso un’iniziativa inusuale per un esponente di così alto livello di una democrazia liberale: in un’intervista, ha invitato gli ascoltatori a comprare azioni di Tesla.
Una settimana prima, era stato Donald Trump a pubblicizzare una serie di modelli di Tesla nel giardino della Casa Bianca (dove lo stesso Musk lavora con lui al taglio delle spese federali). Ma non si tratta dell’unico caso di conflitti d’interesse in America oggi. Trump ha guadagnato centinaia di milioni di dollari da commissioni grazie alla sua criptovaluta lanciata due mesi fa (questa però è crollata di oltre il 90%).
E il presidente non ha smentito il Wall Street Journal , quando quest’ultimo ha scritto giorni fa che la maxi piattaforma delle crypto Binance sta negoziando la cessione di una quota del gruppo alla famiglia di Trump: il presidente che ha messo le monete digitali nella riserva strategica degli Stati Uniti. Persino gli oligarchi russi hanno qualcosa da imparare a Washington, di questi tempi.
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“IO SONO GARANTISTA A DIFFERENZA DI ALTRI. HO VOTATO E CREDO FORTEMENTE NELLA RIFORMA DELLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE…”
Per un vercellese doc, Palermo non è proprio dietro l’angolo. Così la presenza di
Emanuele Pozzolo all’evento di ieri di Forza Italia sulla riforma della Giustizia nel capoluogo siciliano non è passata inosservata. E fa pensare a un imminente approdo nel partito di Antonio Tajani.
Pozzolo è diventato celebre per il caso dello sparo alla festa di Capodanno 2024 a Rosazza (Biella), veglione a cui partecipò anche il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro: Pozzolo è imputato a Biella per porto illegale di arma da sparo e, dopo l’apertura dell’inchiesta dei probiviri di Fratelli d’Italia, sarebbe stato espulso dal partito (dopo la sospensione).
I vertici di FdI invece hanno fatto sapere che non sarebbe mai stato iscritto quest’anno. Poco cambia. Perché Pozzolo ieri era seduto in terza fila al teatro Politeama di Palermo all’evento “La riforma della Giustizia di Forza Italia”. Una convention di partito. Presenza che fa pensare a molti a un ingresso imminente di Pozzolo tra gli azzurri, che seguirebbe quello del deputato leghista Davide Bellomo annunciato venerdì.
Pozzolo non esclude il suo approdo tra gli azzurri: “Attualmente sono nel gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia, ma l’unica cosa che spero di escludere è che domani non sorga il sole…”. E quindi, entra o no in Forza Italia? “Sono stato invitato a partecipare da Forza Italia e ho partecipato: tutto qui. Il mio percorso è e rimane nel centrodestra”, risponde il deputato piemontese facendo capire che la decisione ormai sembra presa
“Ma il punto è un altro”, continua Pozzolo. Ovvero? “Io ho partecipato perché da parlamentare del centrodestra ho votato e credo fortemente nella riforma della separazione delle carriere, perché io sono un garantista a differenza di altri…”.
Il riferimento del deputato piemontese è, neppure troppo velatamente, ai suoi (ex?) compagni di partito che lo hanno emarginato e poi allontanato dopo il processo per lo sparo di Capodanno. Si riferisce ai colleghi di FdI? “Dico solo che io sono garantista…”, aggiunge Pozzolo che poi, per messaggio, aggiunge un’altra bordata ai meloniani: “O si è giustizialisti o si è garantisti, non ci sono vie di mezzo” quindi “non è nemmeno solo qualcosa di Forza Italia o del centrodestra: è stare dalla parte della Costituzione”.
Caso vuole che proprio il suo grande nemico, il sottosegretario Delmastro, una settimana fa sia incappato in uno scivolone sulla separazione delle carriere dicendo al Foglio che della riforma Nordio sulla separazione delle carriere condivida solo “il sorteggio dei togati al Csm, basta”. […] Pozzolo, la sua mossa è contro Delmastro? “Ma no, lui dice che la riforma la appoggia”, continua al Fatto. Insomma, mica tanto.
Quindi va in Forza Italia? “Attualmente sono un parlamentare iscritto al gruppo di FdI – ripete Pozzolo – controlli sul sito della Camera…”. Adesso sì, ma un domani? “Io sono un garantista vero, a differenza di altri…”.
(da il Fatto quotidiano)
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Marzo 23rd, 2025 Riccardo Fucile
C’È CHI MINACCIA FUORIUSCITE O MINI-SCISSIONI… MA IN VISTA DELLE REGIONALI, SENZA I VOTI GARANTITI DA ZAIA, LA LEGA RISCHIA DI VEDERE DIMEZZATI I PROPRI CONSIGLIERI. E COSI’ AVANZANO LE CANDIDATURE VICINE A VANNACCI
Il «verde Lega» che per 15 anni ha ammantato il Veneto ormai scolora. E la «Liga» in fibrillazione, impegnata in un corpo a corpo con FdI per strappare un leghista come candidato alle Regionali d’autunno combatte una battaglia per la sopravvivenza, le ultime elezioni l’hanno vista ridotta al 14,5% contro il 34% di FdI.
L’alleato-avversario comune sta indubbiamente ricompattando il partito grazie alla regia del segretario regionale Alberto Stefani, autore, peraltro, della mozione «Identità è futuro» che, in vista del congresso federale del 5 e 6 aprile a Firenze ha avuto la benedizione di Matteo Salvini e dovrebbe garantire ai veneti mano libera alle prossime Regionali sulle liste.
I malumori legati all’ala capeggiata dall’assessore regionale Roberto Marcato, la meno salviniana, non sono sopiti del tutto. E a ridar fuoco alle polveri, ora, ci si potrebbe mettere anche il «fattore Vannacci». Il generale schierato alle Europee da Salvini è in predicato per diventare vice aggiunto del segretario federale proprio al congresso federale.
Vannacci in Veneto ci è venuto da poco organizzando una visita a Venezia con tanto di toccata e fuga a Torcello con sostenitori al seguito. E qualche movimento di riallineamento in Veneto già c’è. Cartina di tornasole di una «Liga» alla ricerca di un nuovo baricentro è il consiglio regionale.
Oggi i leghisti sono 30 su 51, ma c’è la consapevolezza che salvare una quindicina di scranni sarebbe già un buon risultato alle Regionali se Luca Zaia, come pare, non potrà ricandidarsi una quarta volta. E senza le percentuali bulgare garantite dal governatore uscente non ci sarà posto per tutti nel parlamentino veneto: uno su due tornerà a casa.
E allora spuntano i primi nomi in avvicinamento al campo oltranzista del generale: Fabiano Barbisan (vicino al Vannacci-pensiero) e Stefano Valdegamberi, noto come filorusso e allergico alla cultura woke. Entrambi potrebbero essere candidati in «quota Vannacci», si dice in Laguna. Casi isolati?
Forse.
La storia dice che alla Lega veneta l’ultradestra non piace e allora su Vannacci vice federale c’è chi paventa fuoriuscite, mini scissioni: finora non è accaduto. È pur vero che in Veneto si sta imponendo una linea pragmatista incarnata da Stefani, giovane vice di Salvini in grado di risvegliare la base disillusa in «patria» e di mantenersi in equilibrio sull’ortodossia salviniana a Roma.
(da agenzie)
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Marzo 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA REPLICA DEL “FATTO” AL MINISTRO DOPO L’INCHIESTA SULLA LAUREA DUBBIA CONSEGUITA
“Orgogliosamente posso affermare che lavoro (e studio) da più di 30 anni”. Lo scrive sui
social il ministro del Lavoro Marina Calderone rispondendo all’articolo-inchiesta di ieri del nostro giornale sugli esami e i titoli di studio che ha conseguito alla Link Campus, università privata oggetto di inchiesta per le “lauree facili” da parte della Procura di Firenze a partire dal 2016, l’anno in cui Calderone ha terminato gli studi.
“Oggi – si legge – un quotidiano ha trovato la prova della mia laurea, ossia il libretto universitario. Nel quale ci sono esami sostenuti lo stesso giorno e più esami superati a distanza ravvicinata. Come credo sia accaduto a molti universitari”.
In realtà libretti universitari e relativi diplomi noi li avevamo già chiesti due anni fa. Sia lei che la Link però si rifiutarono di mandarli, anche a fronte di una richiesta ufficiale di accesso agli atti. Dopo due anni, Il Fatto ha potuto visionarli scoprendo alcuni elementi a dir poco singolari.
Su tutti, il fatto che per l’Anagrafe Nazionale degli Studenti del ministero (ANS), [non risultasse nulla relativamente a tutto il corso di studi triennale. Non si capisce ancora come abbia potuto immatricolarsi al successivo corso di studi biennale.
In merito a questo, ieri la ministra ha dichiarato di aver conseguito la triennale il 12.11.2012. Forse però ricorda male. Perché nel documento interno della Link Campus pubblicato ieri dal Fatto, con gli esami da lei sostenuti nella biennale, si
legge “in corso al primo anno”.
L’anno accademico era il 2012/2013: come poteva essere iscritta a due corsi di laurea contemporaneamente? Gli unici esami che risultano all’ANS sono quelli del biennio. Per il triennio non risulta niente.
Il punto è che tutto il suo intero ciclo triennale, compresa la laurea, per il ministero dell’Istruzione italiano non poteva esistere, perché all’epoca i titoli rilasciati dalla “Libera Università di Malta” non avevano alcun valore legale in Italia.
Solamente con il decreto della ministra Mariastella Gelmini firmato il 21 settembre 2011 la Link “è riconosciuta quale Università non Statale dell’Ordinamento Universitario Italiano”.
La ministra rivendica però di averli potuti sostenere la domenica, in quanto “studente-lavoratore”. Ma la Link non è un’università telematica, pertanto sia la presenza alle lezioni sia i relativi esami dovevano svolgersi per forza in presenza ed esclusivamente nella sede di Roma, e proprio su questo verte l’indagine di Firenze.
Ma all’epoca, Calderone era una “studentessa lavoratrice”?
Stando a quanto riporta nei suoi cv in quegli anni svolgeva la libera professione come consulente del lavoro. Era titolare di uno studio a Cagliari, non aveva un lavoro dipendente con vincoli di orario che le avrebbero impedito frequenza ed esami in sessioni settimanali.
Dal 2005 era presidente del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro, incarico onorifico retribuito con gettoni di presenza in base agli impegni connessi al ruolo. Era poi membro di altri Cda come Leonardo/Finmeccanica, anche questi senza vincoli.
Non solo. Nel documento in nostro possesso era indicata pure l’opzione per i lavoratori “part-time”, ma la spunta dice “no”.
Nel suo post precisa poi “sono iscritta all’ordine dei consulenti del lavoro dal 22.11.1994, mentre l’obbligo di laurea è stato introdotto solo a partire dal 2010”. E infatti lei si iscrive alla Link Campus nel 2011. Perché?
Perché essendo dal 2005 presidente dei Consulenti del Lavoro che per esercitare avevano l’obbligo della laurea – giustamente – avrà deciso di non essere da meno, anche a costo di dare due esami di Economia al giorno e anche di domenica.
Molte altre cose però non tornano.
Perché non mostra direttamente tutti gli esami e la laurea triennale? Perché di rette e tasse della biennale risulta pagato solo 1 euro di bollo?
(da il Fatto quotidiano)
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Marzo 23rd, 2025 Riccardo Fucile
L’AUTORE DE “L’AVVOCATO DEL DIAVOLO” E’ ODIATO DA PUTIN CHE L’HA INSERITO NELLA LISTA DEI “TERRORISTI”
Boris Akunin – pseudonimo di Grigorij Šalvovič Čhartišvili – è uno degli scrittori più letti in Russia, Paese in cui non può più mettere piede.
A causa delle sue esternazioni sul regime di Putin, infatti, è stato dichiarato “agente straniero” e inserito in una lista di persone indesiderate, e nel frattempo è stato accusato di altri crimini, considerato terrorista ed estremista.
Pochi giorni fa Mondadori ha pubblicato un libro intitolato L’avvocato del diavolo (traduzione di Erin Beretta, Francesco De Nigris e Mariangela Ferosi, illustrazioni di Sergej Ëlkin, pp. 120 euro 17.50), un’allegoria della Russia contemporanea in cui a uno scrittore dissidente – qual è Akunin – viene chiesto di difendere in un’aula di Tribunale il braccio destro del dittatore appena caduto. Una richiesta che inizialmente viene rifiutata, ma di cui si farà carico per il principio che chiunque abbia diritto a un giusto processo. Così di sviluppa un lungo dialogo tra lo scrittore e questo personaggio soprannominato Diavolo.
Akunin è anche uno dei protagonisti di Libri come che si terrà oggi, domenica 23 marzo alle 15 nello Spazio risonanze all’Auditorium parco della Musica Ennio Morricone di Roma dove parlerà assieme a Paolo Nori, che ha scritto anche un’introduzione al libro, dando un contesto di quello che leggeremo e della Russia contemporanea che ha più volte visitato negli ultimi anni e di cui è tra gli studiosi più apprezzati d’Italia. Abbiamo chiesto allo scrittore russo di parlarci del libro, ma soprattutto di cosa voglia dire essere uno scrittore nella Russia contemporanea, cosa ne pensa della guerra in Ucraina e se è vero che tutto cambierà affinché nulla cambi, come presagiva Tomasi di Lampedusa nel suo Gattopardo.
Cosa significa essere un intellettuale russo, oggi?
Io non sono sicuro di essere un intellettuale, non tutti gli scrittori sono degli intellettuali e non tutti gli intellettuali sono degli scrittori, però sicuramente oggi essere uno scrittore russo è qualcosa di molto difficile, essere russo oggi è qualcosa di molto difficile e di molto pesante, si ha la sensazione di appartenere a una nazione
tossica e questa sensazione è molto forte e ci viene ricordato costantemente, a giusto titolo, è un bel fardello da portare sulle spalle. Questa cosa, inoltre, si accompagna anche a una buona dose di senso di colpa, tutti quelli che come me hanno la capacità di riflettere e di pensare a quello che sta succedendo si sentono in parte responsabili.
Anche se vi muovete contro il regime, pagandone le conseguenze?
Sì, questo senso di responsabilità e questo senso di colpa sono forti anche fra quelli come me che non hanno mai votato Putin, anzi sono sempre stati degli oppositori del regime e non hanno mai voluto che si arrivasse a questo. Forse ti senti così proprio perché hai la capacità di pensare e di ragionare, senti come se non avessi fatto abbastanza, ti dici che forse sei stato debole, che sei stato troppo egoista, hai pensato soltanto a te stesso. C’è questo senso di spostamento del senso di colpa, non si dà soltanto la colpa ai politici come Putin o a quelli che lo sostengono, ma anche alla Cultura che potrebbe aver avuto una responsabilità in quello che sta succedendo. Io ricevo tantissime lettere dai miei lettori in Ucraina e molti mi dicono che è come se la cultura russa soffrisse un po’ di questo retaggio imperialistico che non riguarda soltanto la politica, ma anche la letteratura e la cultura in genere. Tutto questo è un po’ difficile da elaborare.
Perché?
Perché io ho un profondissimo amore per quella che è la Cultura e la Letteratura russa, quindi sentirla così attaccata e messa in discussione o anche come fosse parte integrante di quello che sta succedendo è difficile, però mi sono fatto una mia opinione. Come sai l’emblema russo è quest’aquila a due teste e questo per me rappresenta un po’ anche quelle che sono le due teste della Cultura: da una parte una delle tue teste ha sempre avuto come punto di riferimento lo Stato e quindi è stata un po’ al suo servizio, però c’è l’altra testa della cultura che è quella che invece ha guardato sempre verso la luce, ha guardato sempre nella direzione opposta allo Stato, che si è opposta alla guerra e che è sempre andata in cerca della dignità e quindi secondo me questa è la testa della cultura che conta, questa è quella che fa la differenza e alla fine credo – e lo dico anche con un certo orgoglio – che da questo punto di vista la Cultura russa abbia superato questo test, perché sicuramente possiamo dire che Putin ha vinto politicamente, ma non ha vinto culturalmente.
Insomma, la Cultura russa non segue il suo zar, dice?
Tutti gli intellettuali, gli scrittori, sono sicuramente per la luce, sono contro Putin, sono contro la guerra in Ucraina e questo per me è un motivo di grande sollievo. Sicuramente molti miei amici scrittori la pensano come me. Quelli che hanno potuto sono andati via dalla Russia, mentre quelli che non potevano andare via a causa di circostanze familiari, o altro, preferiscono comunque tacere perché protestare oggigiorno in Russia ti porterebbe in prigione molto rapidamente. Quindi non partecipano a questa diavoleria, cercano di non avere nessuna parte in tutto questo.
Lei è stato inserito in una lista di terroristi ed estremisti e vive lontano dal suo Paese. Cosa ha significato questo per lei e in che modo ha influenzato la sua vita?
Il regime di Putin ha creato un servizio governativo che divide le persone che non sono apprezzate in diverse categorie. Ci sono quelle che gli dispiacciono, ma non tantissimo, che vengono dichiarate agenti stranieri, poi ci sono quelli che non gli piacciono per niente contro cui aprono dei procedimenti penali e quelli che proprio odiano che vengono dichiarati terroristi, estremisti. Io ho avuto il privilegio di appartenere a tutte e tre le categorie, perché sono stato dichiarato prima agente straniero, poi ci sono tre procedimenti penali contro di me: sono nella lista di terroristi ed estremisti, nella lista dei ricercati internazionali e ho un mandato di cattura che dice che potrei anche essere arrestato in assenza anche se questo non è ancora avvenuto. Quindi, in pratica, cosa significa? Significa che i miei avvocati mi danno una lista di paesi in cui è sconsigliabile per me viaggiare, ma tanto in nessuno di questi paesi mi farebbe davvero piacere viaggiare.
Ha mai avuto paura?
No, non ho paura, diciamo che prima di tutto non sono una persona che si spaventa facilmente, poi sono una persona che segue un procedimento logico: penso che can che abbaia non morde, quindi quando ce l’hanno con te e ti minacciano così apertamente, in maniera così eclatante, sicuramente è perché non fanno sul serio. Sappiamo quello che succede in Russia, se vogliono ammazzarti lo fanno silenziosamente e senza avvisarti.
C’è una frase del suo libro che recita: “Il potere autocratico non è un velocista, ma un maratoneta pianifica per il secolo a venire”. Mi pare un presagio per ciò che sta avvenendo in Europa in questo anni e ricorda ciò che è avvenuto un secolo fa.
Beh, no, non è un presagio, sono cavolate che ho attribuito a questo personaggio. Questo romanzo breve è pieno, appunto, di indizi e allusioni che sono evidenti a tutti i lettori russi e so che Paolo Nori ha scritto un’introduzione e un commento al libro spiegando tutti questi codici. Qui mi riferisco al manifesto ideologico di uno degli assistenti di Putin, Vladislav Surkov, che è uno dei demoni, colui che ama considerarsi un filosofo, quindi dice queste cose come se fossero perle di saggezza, ma in realtà sono tutte cavolate perché tutti questi personaggi si considerano come i grandi eredi della grande tradizione imperialista russa, quando in realtà sono una banda di criminali che avranno vita breve e fra un po’ soccomberanno.
Ne è sicuro?
C’è un uomo, un dittatore, che ha perso totalmente il contatto con la realtà, che ha la testa da un’altra parte, un megalomane circondato da una corte di diavoli che lo adulano, cercano di farlo contento e col tempo cercano di rubare il più possibile attingendo a tutto quello che possono attingere. Quindi sicuramente la figura di Putin è una figura molto fragile perché dipende da tutta questa corte che lo circonda, così come la struttura che ha messo in piedi è molto fragile, non c’è alcuna possibilità che possa resistere come ha fatto il Bolscevismo che andato avanti per 70 anni perché aveva dietro di sé un’ideologia, c’erano delle idee. Qua non ci sono assolutamente idee, cercano solo di rubare il più possibile e di adulare questo megalomane, ma sicuramente non c’è la base ideologica affinché durino a lungo.
Non le chiedo di fare il veggente, però conosce meglio di me la Storia russa e i suoi personaggi: come vede il futuro per quello che succede in Ucraina?
Io credo che l’Ucraina abbia fatto tutto quello che era in suo potere, ma in questo momento si sta dissanguando, è ormai arrivata quasi allo stremo. Soprattutto ora che l’America si sta ritirando da questo campo di battaglia, se l’Unione Europa non farà del tutto per sostenere l’Ucraina fino in fondo, poi dovrà vedersela faccia a faccia proprio con Putin. Questa è la mia opinione.
Il libro si chiude come il Gattopardo: tutto cambia affinché nulla cambi. E un ruolo lo giocano anche i cittadini, che dimenticano facilmente e su questa dimenticanza gioca il Potere. Nonostante prima parlasse con positività mi pare che il libro si chiuda senza troppa speranza.
Beh, quello che hai letto è un libro contro l’utopia, però ho anche scritto un romanzo che invece è utopico, si chiama Happy Russia. In questo libro c’è la descrizione di ciò che potrebbe essere la Russia del futuro, una Russia che è una vera federazione di Stati che sono completamente autonomi, che quindi decidono e gestiscono anche il potere in maniera totalmente autonoma, che sono però insieme in quanto federazione non per paura, ma per vantaggio, e questo potrebbe essere il futuro del del paese. Stanno insieme non perché hanno paura di Mosca, ma perché stare insieme è redditizio, non sono una minaccia per nessuno al mondo ed è un paese totalmente libero.
E nella realtà questa cosa ha qualche seme?
Ok, abbandoniamo i romanzi di finzione e parliamo della realtà: tutti i partiti di opposizione al momento hanno nel loro programma la federalizzazione della Russia, cioè l’abbandono di quello che è il sistema imperialistico. Questo è un po’ al centro di tutti i programmi dell’opposizione.
Pensa che dovrebbe esserci un giusto processo per Putin, come avviene nel suo libro per il suo braccio destro?
Io credo che ci saranno e ci dovranno essere tantissimi processi in Russia, non solo contro Putin, ma anche contro tutti i servi di regime, anche perché i crimini che sono stati commessi sono tantissimi e credo che ci sia necessità di processi individuali, processi giusti ed equi contro tutti, perché secondo me, anche se ci vorranno decenni, è giusto che la gente sappia di che cosa si sono macchiate queste persone. Deve venir fuori tutta la verità, bisognerà fare processi singoli e giusti, non soltanto un grande processo unico in cui si accomunano tutti quanti. Mi ricordo, una volta, parlando con
una mia amica, intellettuale e scrittrice, Ludmilla Ulizkaya, parlavamo proprio della difesa di alcuni prigionieri politici e a un certo punto le ho detto: “Immagina un incubo, uno scenario da incubo: crolla il regime, Putin va a processo e chiama te per difenderlo. Ti chiamano per motivi umanitari, visto che tutti hanno diritto a un processo” lei rispose: “No, no, non potrei mai, assolutamente”.
(da Fanpage)
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Marzo 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“SEMBRA DECISO A FARE IN MODO DI SORPRENDERE TUTTI. E A TRASFORMARE QUESTO ULTIMO PERIODO DEL SUO PAPATO, BREVE O LUNGO CHE SIA, IN UNA FASE DESTINATA A LASCIARE ANCORA UN SEGNO”
Il problema, da oggi, non sarà quello che il Papa potrà fare, ma quello che riusciranno a
non fargli fare; e che lui invece è intenzionato a fare, a ogni costo. I due mesi di convalescenza che i dottori hanno consigliato dovranno fare i conti non solo con le sue condizioni di salute ma con una voglia di normalità prepotente: quella per la quale ai bollettini medici si sono affiancati quasi quotidianamente le nomine, gli spostamenti dei vescovi, i programmi per il futuro.
Era come se dalla sua stanza d’ospedale volesse dire a tutti: non cambia nulla, ritornerò, e sarà tutto come prima. È una scommessa, quasi una sfida con la propria età, la malattia e un carico di lavoro che oggettivamente non potrà più sostenere; ma che, c’è da scommetterci, tenterà di perpetuare con tutta la forza che gli rimane.
Il vero tema di questa fase drammatica del pontificato argentino sarà convincerlo a prendere atto che la situazione non è, non può essere quella di «prima». Dopo una crisi riacciuffata miracolosamente, le sue condizioni sono migliorate ma tuttora in bilico.
Nei giorni scorsi, in Vaticano qualcuno si chiedeva con un filo di apprensione che cosa sarebbe accaduto quando Francesco fosse tornato dal Gemelli. E soprattutto chi avrebbe avuto il coraggio di fargli capire che dovrà risparmiarsi
La decisione di dimetterlo è stata presa consensualmente. E Francesco ne è «contentissimo»
L’esigenza di rassicurare non solo la Chiesa ma forse anche sé stesso, e mettere a
tacere le voci su possibili dimissioni, una traumatica «seconda volta» dopo quelle del 2013 di Benedetto XVI, ha prevalso. Non ci sarà un’altra rinuncia. E questa coda finale del pontificato non sarà quella di un «governo ospedaliero».
Nell’ottica di Francesco, non può né deve esserlo. Anche se non ci si può nascondere che il governo della Chiesa dovrà fare i conti almeno per le prossime settimane con un Papa infragilito e indebolito. Deciso a compiere le scelte di sempre con il piglio di sempre.
Sullo sfondo rimane la prospettiva di un Conclave che inevitabilmente in queste settimane è affiorato nelle discussioni tra i cardinali
Sarebbe stato strano il contrario. Francesco lo sa, sebbene abbia vissuto certe manovre, certe voci con il fastidio di sempre. Ma sembra deciso a fare in modo di sorprendere tutti. E a trasformare questo ultimo periodo del suo papato, breve o lungo che sia, in una fase destinata a lasciare ancora un segno.
Con Casa Santa Marta cuore del potere papale, per quanto declinante. E la convalescenza di due mesi come preparazione a un ritorno sulla scena che è già cominciato: anche se ha contorni oggettivamente drammatici, e non è chiaro a che cosa porterà.
Massimo Franco
per il “Corriere della Sera”
argomento: Politica | Commenta »