Marzo 25th, 2025 Riccardo Fucile
TRANNE LA TOSCANA SEMPRE ROSSA, CAMPANIA, MARCHE, PUGLIA E VENETO SONO TUTTE CONTENDIBILI DAI DUE SCHIERAMENTI … IN PUGLIA LA VITTORIA DEL PD SAREBBE CERTA SOLO CON ANTONIO DECARO… IN VENETO, IL MELONIANO DE CARO SE LA PRENDE IN QUEL POSTO SE ZAIA PRESENTA UN SUO UOMO NELLE LISTE DELLA LIGA VENETA … IN CAMPANIA SI È GIÀ IN PIENA SCENEGGIATA NAPOLETANA, STARRING MARTUSCIELLO, PIANTEDOSI, CIRIELLI, DE LUCA – MARCHE? QUASI PERSE… GIORGIA POTREBBE RIMANDARE IL VOTO REGIONALE NEL 2026
La fine anticipata del governo Meloni dipenderà anche da altri due fattori, che vanno a
di là delle escandescenze di Trump e delle mattane di Salvini.
Il primo è legato ovviamente ai sondaggi: una decrescita infelice di consensi per Fratelli d’Italia, in conseguenza del dazismo americano all’export italiano, metterebbe il turbo alla Fiamma Magica di Palazzo Chigi per andare subito alle elezioni in momento in cui l’opposizione è più divisa e scazzata che mai.
Il secondo fattore che potrebbe far saltare definitivamente il banco del governo destra-centro sarà il voto, previsto per il prossimo ottobre, di cinque rilevanti Regioni. Toscana, Campania, Marche, Puglia e Veneto chiameranno oltre 17 milioni di cittadini alle urne e diventeranno un banco di prova importantissimo per la tenuta del governo Meloni.
Infatti, tranne la Toscana sempre rossa di Eugenio Giani, le altre quattro regioni sono tutte contendibili dai due schieramenti.
In Puglia, fuori gioco Emiliano, la vittoria del Pd sarebbe certa solo nel caso in cui si candidasse l’europarlamentare ed ex sindaco di Bari, Antonio Decaro.
In bilico sono anche le Marche, dove l’attuale presidente Francesco Acquaroli, sostenuto da Fratelli d’Italia, ha combinato ben poco e dovrà vedersela con Matteo Ricci, già applaudito sindaco Pd a Pesaro.
Sul candidato della destra-centro in Veneto, il caos la fa da padrone. Un governatore del Nord lo pretende FdI dall’alto del 37,58% incassato alle ultime europee, strappando il Veneto alla Lega candidando il camerata Luca De Carlo
Ma, dall’alto di un ragguardevole bacino di voti personali, il quieto ma tenace Luca Zaia, che non può candidarsi governatore per la terza volta, non ci pensa manco il piffero di accontentarsi di andare a fare il sindaco di Venezia.
A Zaia basta presentare un suo uomo nelle liste autonome della Liga Veneta e De Carlo e Meloni lo prendono in quel posto. Non solo: molti elettori leghisti sarebbero anche propensi ad astenersi o a votare a sinistra (Padova, Vicenza e Verona sono già in mano al Pd).
Oltre a Zaia, al Veneto “non vuole rinunciare Matteo Salvini’’, scrive oggi ‘’Repubblica’’, “Meloni ha spostato il tavolo di coalizione sulle regionali ad aprile, dopo il congresso della Lega. Da quel momento in poi, sarà battaglia’’.
Da ‘’Via col Veneto’’ a “Per chi suona la Campania”. dove si è finiti già in piena sceneggiata napoletana.
L’europarlamentare Fulvio Martusciello, bonzo del voto campano di Forza Italia e braccio destro di Tajani, benché non risulti indagato nel caso delle tangenti della cinese Huawei nell’affare del 5G (a finire nei guai è la sua segretaria), ha pensato saggiamente di annunciare alle gazzette di non volersi più candidare alla Regione Campania, “per preservare il partito da possibili attacchi”.
Per la verità, l’ambizione di Martusciello è un mero “wishful thinking”: il partito di maggioranza, alias Fratelli d’Italia, non ci pensa proprio ad appoggiare il candidato del partito fondato da Berlusconi che, malgrado il suo 10% circa, ha già in tasca le presidenze in tre regioni: Piemonte (Cirio), in Sicilia (Schifani) e Basilicata (Bardi). Mentre i poveri camerati della Meloni possono contare, in barba al loro 30% circa, solo su Lazio (Rocca), Abruzzo (Marsilio) e Marche (Acquaroli). Ammettiamolo, una miseria.
Ma la scelta pompata da via della Scrofa si chiama Edmondo Cirielli, campano ed ex generale dei Carabinieri ora viceministro di Tajani agli Esteri, che recentemente è andato a sbattere violentemente contro Forza Italia. Tutta colpa del “Fratelli di Chat” di Giacomi Salvini, che scodella anni di scambi interni ai gruppi whatsapp di Fratelli d’Italia.
Oltre ai post che sbertucciano pesantemente Salvini (insulti mai digeriti dal Capitone), brilla un post firmato Cirielli, all’epoca delle europee del 2019, che dice testuale: “Bisogna attaccare Forza Italia e Berlusconi con i suoi tg – basta appecoronarsi a questi banditi ladri”.
Insulti pesantissimi che hanno ovviamente fatto sobbalzare sulla sedia la Famiglia di Arcore e ora Tajani alza il sopracciglio e aggrotta la fronte sulla candidatura di Cirielli, reo di “lesa maestà”.
Tanto per rendere più frizzante la faccenda, sbuca quella testa matta di Salvini che muore dalla voglia di ritornare al Viminale (si era accontentato del ministero delle Infrastrutture perché sotto giudizio per il caso Open Arms), ma occorre che far sloggiare, magari alla sua nativa Regione, il suo ex capo di Gabinetto (e suo amico prima di passare nelle fila della Fiamma), il campano Matteo Piantedosi.
L’idea Piantedosi in Campania, per la verità, appartiene a un’epoca in cui Meloni e C. non scommettevano un centesimo sull’assoluzione del leader leghista a Palermo. Una volta assolto il Capitone lombardo, il nome del ministro dell’Interno è subito scomparso dalla testa di FdI.
Del resto, con il ministro del Turismo “Danni” Santanché appesa a un filo, la Fiamma Tragica di Palazzo Chigi non può permettersi di mettere sul tavolo il cambio di un ministro di fascia A, come il Viminale, che manderebbe in aria il precario castello del potere messo su dai tre rissosi partiti dell’alleanza.
Ed ecco spuntare, come i dolori, il buon Piantedosi che dichiara che è “contentissimo se candidato fosse Giampiero Zinzi”.
Zinzi chi? E’ un deputato leghista alla Camera e commissario regionale in Campania, dove il Carroccio rappresenta un partitino che ha raccattato la miseria del 5,7% alle ultime europee. Insostenibile.
A questo punto del rebus, chi riciccia? Massì: Cirielli! Il generalone dichiara al ‘’Mattino’’: “Disponibile a candidarmi in Campania, ma sceglierà il centrodestra”, (sempre che i berluscones abbiano nel frattempo rimosso dalla mente le sue ingiurie sulla chat del 2019).
Comunque, se Meloni piange, il “camposanto” dell’opposizione non ride. Elly e Conte stanno affannosamente cercando un accordo con l’uscente governatore Vincenzo De Luca, anche lui al terzo impossibile mandato, proponendo un nome condiviso che possa attrarre il bacino vincente di voti in mano allo “Sceriffo di Salerno”. Alla fine un’intesa si troverà, anche perché, come sottolinea Ciriello: “Se andasse senza Pd, De Luca arriverebbe terzo”
Insomma, un bordello che rischia di brutto di far perdere a ottobre quattro regioni su cinque alla destra-centro; una scoppola che spalancherebbero di colpo le porte alla crisi di governo e al voto anticipato nel 2026.
Che fare? Nel dubbio, come insegna l’antico codice democristiano, è saggio rimandare. Ed ecco la risoluzione. Informa Tommaso Ciriaco su “Repubblica” di oggi: “All’ombra di questo tormento prende dunque forma la mossa del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. È cosa nota che a causa del Covid, il Veneto ha votato nell’autunno del 2020: la consiliatura scade dunque nell’autunno 2025.
“Adducendo ragioni tecniche legate alla legge elettorale regionale, il titolare del Viminale ha provato ieri a indicare al centrodestra una via d’uscita dal caos: “Una finestra per il voto offre la possibilità di votare in primavera (del 2026, ndr). È una ipotesi realistica, ma è rimessa all’autonomia della Regione”.
Argomenta Ciriaco: “Si tratta di ossigeno offerto a un centrodestra spaccato. Meloni non è ostile a questa idea, perché le permetterebbe di comprare tempo e allontanare le tensioni nella maggioranza almeno per sette mesi.
(da Dagoreport)
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Marzo 25th, 2025 Riccardo Fucile
LE DUE IMPIEGATE HANNO OTTENUTO IL PIGNORAMENTO SULLO STIPENDIO DELLA CAMERA,,, PISANO TRE ANNI FA ERA STATO PROTAGONISTA DI POST INNEGGIANTI A HITLER: ALLONTANO DA FDI E POI RIPRESO IN LISTA
Due accuse pesanti e circostanziate. Il deputato regionale di Controcorrente Ismaele La Vardera ha raccolto la denuncia di due donne.
Un parlamentare della Camera dei deputati, l’agrigentino Calogero “Lillo” Pisano, viene accusato di non avere onorato il contratto di lavoro di due collaboratrici e e di averle molestate sessualmente.
Nel primo caso Pisano, raggiunto da La Vardera, si è impegnato a pagare gli stipendi previsti dai contratti rispettivamente di undici e dodici mesi. Per quanto riguarda la seconda ipotesi c’è una secca smentita: “Non è vero”, ha tagliato corto l’onorevole.
La Vardera, ex giornalista del programma televisivo Le Iene, ha lanciato una rubrica sui social dal titolo “onorevoli inchieste”. Una donna, Loredana Limblici, ha parlato a volto scoperto, l’altra ha chiesto di mantenere l’anonimato per “tutelare la mia famiglia”.
“Ha sempre fatto delle avance – dice Limblici nel servizio – era ambiguo, cercava di rimanere da solo nella sua segreteria politica, cercava un approccio sempre con un fare subdolo, ha fatto diverse volte delle avance, quasi un approccio sessuale. Ci sono stati altri casi di altre ragazze che hanno vissuto una situazione uguale”.
Anche la seconda camuffata nel video di La Vardera per non renderla riconoscibile, denuncia episodi di presunte molestie: “Ci prova con le ragazze, le adesca per poi dire: io sono il tuo deputato, tu sei la mia assistente, allora devi venire a letto con me? Nel mio caso lo ha fatto.
La vicenda, secondo la testimonianza della giovane, riguarderebbe un altro deputato regionale . “Eravamo a casa sua per la stipula del contratto – ha aggiunto la ragazza al telefono con La Vardera – ha provato a baciarmi e ad abbracciarmi”.
Stipendi non pagati
Ad una sola delle due donne, secondo il racconto di La Vardera, a distanza di un anno dalla fine del rapporto di lavoro sono stati versati acconti per tremila euro. L’altra non sarebbe stata pagata a fronte di un credito di diecimila euro. E sono scattati decreti ingiuntivi e pignoramenti. L’onorevole Pisano si è impegnato a saldare il debito
Nel 2022 Pisano fu protagonista di un’accesa polemica. In alcuni post sui social aveva inneggiato a Hitler. Fratelli d’Italia lo aveva sospeso, ma la candidatura era rimasta in piedi. Eletto alla Camera Pisano è poi transitato nel gruppo di Noi Moderati.
(da LiveSicilia)
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Marzo 25th, 2025 Riccardo Fucile
LA “COLPA” DI GIACOMO SALVINI È DI ESSERE L’AUTORE DI “FRATELLI DI CHAT”, IL LIBRO IN CUI SI RACCONTANO I RETROSCENA DEL PARTITO DI GIORGIA MELONI DAL 2018 AL 2024 TRAMITE LE CHAT WHATSAPP DI MINISTRI, DIRIGENTI E PARLAMENTARI MELONIANI E NEL QUALE FAZZOLARI DEFINIVA MATTEO SALVINI “IL MINISTRO BIMBOMINKIA”
“Finché c’è questo pezzo di merda non parlo”. Giovanni Donzelli, responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia e vicepresidente del Copasir, lo ripete due volte. Prima di entrare dall’ingresso laterale della Camera dei Deputati, attorniato dal suo staff, si rivolge così al cronista del Fatto Giacomo Salvini in compagnia di altri due colleghi.
I giornalisti si erano avvicinati al deputato e braccio destro di Giorgia Meloni per fargli qualche domanda sui fatti del giorno. Donzelli, però, ha risposto in maniera stizzita parlando con gli altri due giornalisti. “Con onestà e sincero vi dico che finché c’è questo pezzo di merda non parlo coi giornalisti – ha attaccato il responsabile organizzazione di FdI – con affetto”.
Di fronte all’imbarazzo e alle rimostranze dei colleghi, Donzelli ha aggiunto: “Io capisco che per rispetto a lui, allora non parlate con me ma io finché c’è questo pezzo di merda non parlo”, ha ripetuto. A richiesta di spiegazione, il responsabile organizzazione di FdI ha aggiunto che non aveva intenzione di “mettersi a discutere” sul motivo degli insulti spiegando solo che così “non è il modo, ne parleremo in tribunale”.
Il giornalista del Fatto, in imbarazzo, ha detto: “Me ne vado per loro…”.
Donzelli si riferisce al libro Fratelli di Chat scritto dal cronista del Fatto per la casa editrice “Paper First” in cui si raccontano l’ascesa e i retroscena del partito di Giorgia Meloni dal 2018 al 2024 tramite le chat whatsapp della premier, ministri, dirigenti e parlamentari di Fratelli d’Italia. Alcuni di questi hanno annunciato un esposto al garante della privacy.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 25th, 2025 Riccardo Fucile
LA SPACCATURA TRA FORZA ITALIA E LEGA: SALVINI INSULTA MACRON, IL MINISTRO DEGLI ESTERI CHIEDE ALLA DUCETTA DI “FARE ASSE CON MERZ” … C’È ANCHE UN FRONTE INTERNO: IL LEADER DEL CARROCCIO È INFURIATO PER IL PASSAGGIO DEL DEPUTATO DAVIDE BELLOMO A FORZA ITALIA (E ALTRI LEGHISTI MEDITANO LA FUGA) … E POI CI SONO LE REGIONALI IN VENETO
Antonio Tajani, solitamente, si impone un silenzio quasi monacale: vecchia eredità di
quando era il gregario eterno in un partito padronale, dove uno – Silvio Berlusconi – decideva e gli altri eseguivano in venerazione del capo. Adesso che il capo è lui, gli tocca rispondere a Matteo Salvini che giorno dopo giorno esegue chirurgiche stilettate che mettono in imbarazzo la sua leadership, Forza Italia e anche Giorgia Meloni, in quanto premier in un governo che appare disunito in politica estera.
La storia sarebbe semplice se fosse soltanto circoscritta alle divisioni su cosa fare in Europa, su come comportarsi con Donald Trump, J. D. Vance e Elon Musk.
Le spaccature che si sono create tra i Paesi dell’Ue e in Italia andavano gestite, secondo il ministro degli Esteri. Per questo pensa sia compito di Meloni «trovare una sintesi» e placare Salvini, facendo emergere meglio quanto degli interessi italiani siano in gioco.
Alla Farnesina i diplomatici sono letteralmente confusi dalla strategia adottata da Meloni. La disponibilità mostrata verso Trump, persino sui dazi, è molto scivolosa e rischia, secondo diversi ambasciatori, di indebolire l’Italia agli occhi dei partner europei.
Quando parla con la premier, Tajani traduce queste preoccupazioni in suggerimenti.
Le ha consigliato di non rompere con Emmanuel Macron, di essere più sfumata, ma soprattutto – come confidato a suoi uomini di fiducia – «deve fare asse con Friedrich Merz, chiamarlo e costruire un rapporto con lui». Il futuro cancelliere tedesco è parte dell’ala destra del Partito popolare europeo, e secondo Tajani è l’interlocutore naturale del governo italiano di centrodestra. Avrà un ruolo cruciale nei futuri equilibri europei e sarà importante lavorarci assieme, anche sul fronte del riarmo e di possibili missioni militari in Ucraina.
Giovedì, al vertice di Parigi convocato da Macron sulla coalizione dei volenterosi per Kiev, Meloni dovrà far capire se intende stare con l’Ue compatta, oppure lasciare spazi di ambiguità utili a tenersi stretto un elettorato più populista, più affascinato da Trump e dalle sue battaglie, anche a discapito dell’Ue.
Tajani è convinto che è anche per queste incertezze (sui dazi, sulle alleanze in Europa, sul riarmo) che Salvini si sente autorizzato a insultare Macron, ad attaccare pesantemente il piano europeo sull’Ucraina di Ursula von der Leyen, e ad esaltare i successi di partiti come Afd, che il leader azzurro definisce «anti-italiano», perché chiede un trattamento finanziario dell’Italia molto severo.
Ma c’è anche altro, dietro gli strappi degli ultimi giorni, e i ruvidi botta e risposta tra Tajani e Salvini: riguarda le prossime regionali in Veneto e una prima frattura in quell’accordo tra gentiluomini che stabiliva, tra i soci della maggioranza, di non rubarsi parlamentari a vicenda.
Dentro Forza Italia si spiegano anche così i motivi di queste fiammate di sarcasmo dirette verso Tajani: appena tre giorni fa il deputato Davide Bellomo ha ufficializzato il suo passaggio dalla Lega al gruppo degli azzurri. Cosa che ha mandato su tutte le furie Salvini, per una ragione condivisa con i più stretti collaboratori: «Il nostro patto implicito tra alleati era di non permettere questi passaggi tra i partiti di maggioranza. Loro lo hanno infranto».
Anche un altro famoso deputato di FdI è pronto a passare a FI: in nome del garantismo, come dice lui, Emanuele Pozzolo, che è finito sotto accusa per uno sparo partito a capodanno, e poi isolato tra i meloniani. Pare comunque che Bellomo non sia il solo e altri sarebbero tentati di mollare la Lega che fatica a risalire i sondaggi e galoppa in sella al trumpismo senza troppo curarsi se le alleanze di ultradestra facciano l’interesse delle imprese italiane.
Dalle prossime Regioni al voto dipende molto della serenità nella maggioranza. È quello che da tempo pensa Meloni: vorrebbe piantare una bandiera di FdI in una regione del Nord. Ma le trattative per il Veneto – dove si andrà alle urne in primavera – si sono arenate di fronte alle resistenze di Luca Zaia, il governatore a cui non è stato permesso ricandidarsi, derogando al limite sul terzo mandato.
Insistere vorrebbe dire spaccare la coalizione, rischiare di perdere il Veneto se Zaia e la Lega andranno da soli, e forse precipitare verso una crisi di governo. Ne vale la
pena? Si chiede Meloni, spinta dai forzisti che sperano in un cambio. E la risposta, da quanto riferiscono dal Carroccio, è no: meglio lasciare le cose come stanno. Il Veneto ai leghisti e Salvini (forse) si calmerà.
(da Dagoreport)
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Marzo 25th, 2025 Riccardo Fucile
LO SCOOP DI “DOMANI”: “L’INTELLIGENCE AVREBBE UTILIZZATO IL SOFTWARE NEI CONFRONTI DI PERSONE CHE HANNO AVUTO A CHE FARE CON FATTI LEGATI ALL’IMMIGRAZIONE. SE TUTTI NEGANO DI AVER USATO IL SOFTWARE, ALLORA CHI È STATO A INTERESSARSI DEI NOSTRI ATTIVISTI E GIORNALISTI?”
Una nuova audizione davanti al Copasir e un nuovo dato, finora inedito, che potrebbe segnare una svolta sulla vicenda. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano verrà nuovamente sentito dal Comitato parlamentare che si occupa di sicurezza nazionale nel pomeriggio di oggi, martedì 25 marzo
In base a quanto apprende questo giornale, l’obiettivo è quello di approfondire il caso e provare a dare un nome a coloro che hanno utilizzato lo spyware israeliano a zero click nei confronti di attivisti e giornalisti italiani.
Un fatto su cui, coordinati dalla Dna, stanno indagando anche le cinque procure d’Italia (Roma, Napoli, Bologna, Palermo e Venezia) presso cui sono state presentate le denunce delle vittime del software di proprietà appunto della Paragon solutions. Le indagini, poi, sono state delegate alla Polizia Postale, sede centrale.
Intanto, come detto, a emergere è un particolare importante. Durante le audizioni a palazzo San Macuto delle scorse settimane sia l’Aisi sia l’Aise, agenzie per la sicurezza interna ed esterna del Paese, hanno ammesso l’uso di Graphite ma non nei confronti dei soggetti coinvolti. E cioè di Luca Casarini, referente della ong Mediterranea Saving Humans, dell’armatore Beppe Caccia e del giornalista di Fanpage Francesco Cancellato.
Ma ecco il nuovo particolare: l’intelligence, in base a quanto apprende Domani, avrebbe anche utilizzato il software nei confronti di persone che hanno avuto a che fare con fatti legati all’immigrazione clandestina. Persone che non necessariamente avrebbero compiuto reati in merito. Dunque nell’ambito di attività di monitoraggio di potenziali target che avrebbero potuto condurre a piste valide sulle quali indagare.
I vertici dei servizi avrebbero inoltre compiuto le attività in questione, quelle di intercettazione tramite Graphite, nella piena legalità. Di conseguenza, si immagina, con le autorizzazioni degli organi preposti a farlo e cioè con il via libera del procuratore generale di Roma, che è la figura deputata a firmare i decreti di intercettazione preventiva che restano coperti da segreto.
Inoltre, anche l’ultima relazione presentata dal Dipartimento per le informazioni della sicurezza (Dis) confermerebbe tale pratica, o meglio il focus dei servizi sul tema dell’immigrazione.
Un particolare fondamentale, quest’ultimo, che porta a porsi diverse domande: chi sono le persone, legate all’immigrazione clandestina, intercettate anche in assenza di reati seppur con le dovute autorizzazioni? E c’è dell’altro.
Se l’Aisi e l’Aise davanti al Copasir hanno ammesso l’utilizzo di Graphite ma non nei confronti dei giornalisti e degli attivisti citati, la presidenza del Consiglio dei ministri non sembra averlo mai escluso, l’utilizzo, nei confronti degli attivisti.
In una nota del 5 febbraio scorso Palazzo Chigi del resto scrive: «In merito a quanto pubblicato da alcuni organi di stampa su presunte attività di spionaggio che avrebbero riguardato operatori dell’informazione, la Presidenza del Consiglio esclude che siano stati sottoposti a controllo da parte dell’intelligence e quindi del Governo i soggetti tutelati dalla legge 3 agosto 2017, numero 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), compresi i giornalisti»
E gli attivisti?
A ogni modo se questa novità – quella sull’utilizzo di Graphite per intercettare figure legate al mondo dell’immigrazione clandestina – non risolve il mistero Paragon, di certo aggiunge un nuovo tassello, certificando che i nostri servizi, gli unici a possederlo, lo hanno usato su persone che si muovono nel mondo dell’immigrazione, ambiente frequentato anche dagli attivisti spiati non si sa da chi.
Se tutti negano di aver usato il software della società israeliana – Carabinieri, Polizia, Penitenzia e Guardia di Finanza hanno dichiarato di non aver in uso Graphite – allora chi è stato a interessarsi dei nostri attivisti e giornalisti? L’audizione di oggi e le indagini delle inquirenti sono mirate a rispondere all’interrogativo.
Proprio alle procure nel frattempo è stato consegnato il report di Citizen Lab, pubblicato dai ricercatori dell’Università di Toronto nella scorsa settimana, per illuminare le zone grigie della vicenda. Il report verrà consegnato, oltre che al Parlamento europeo, anche alla Corte penale internazionale.
La ong non avrebbe pertanto dubbi: il filo conduttore che collegherebbe le “vittime” di Graphite sarebbe non a caso il tema delle rotte migratorie. Tuttavia ciò non spiegherebbe perché a essere stato spiato sia stato anche Francesco Cancellato, autore per la sua testata di un’inchiesta sui giovani di Fratelli d’Italia e sul mondo delle destre. Su di lui più probabile una pista interna. Ma nulla di certo, molti i segreti e interrogativi. Ancora lontana la verità
(da Domani)
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Marzo 25th, 2025 Riccardo Fucile
“SBAGLIATO ANTEPORRE LA COMUNICAZIONE MEDIATICA ALLE STRATEGIE”
Tirare il freno, anzi il freno a mano. È l’obiettivo che pare essersi dato Lorenzo Fontana,
presidente della Camera e dunque più alta carica dello Stato in quota Lega. Nelle ultime settimane il leader del Carroccio Matteo Salvini ha picchiato durissimo sulla Francia, e in particolare su Emmanuel Macron, «reo» di aver sostenuto il piano di riarmo Ue della Commissione e soprattutto di lavorare a quella «coalizione dei volenterosi» che potrebbe, un giorno, mettere piede in Ucraina per proteggere Kiev e l’Europa da future nuove aggressioni russe. Al capo dell’Eliseo Salvini ha dato del matto e del guerrafondaio, di fatto lo ha additato come un pericolo pubblico per la sicurezza europea. A Parigi hanno preso nota, per un po’ hanno tollerato gli schiamazzi, poi sono passati alla reazione, convocando l’ambasciatrice in Francia Emanuela D’Alessandro per far sapere al governo italiano che la misura era colma. La stessa Giorgia Meloni, che con Macron non ha certo un rapporto facile, ha preso atto che Salvini ha passato il segno, e negli ultimi giorni ha dato sfogo a tutta la sua rabbia. Per non parlare del leader di Forza Italia e ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato un giorno sì e l’altro pure a spegnere gli incendi appiccati dal leader della Lega. Oggi entra in azione Fontana, con un segnale inequivocabile. Il presidente della Camera ha ospitato, aperto e partecipato per tutta la mattinata a un convegno sulle relazioni Italia-Francia. E ha messo in chiaro il messaggio da far pervenire a Parigi alla vigilia del nuovo vertice sulla difesa di Europa e Ucraina (cui parteciperà anche la premier): il suo, per lo meno.
Bordate alla linea di Salvini
«È un momento particolare, in cui le relazioni internazionali stanno mutando, ma io penso che rimangano delle cose solide, stabili, in base alle quali cercare anche di avere nuove idee da consegnare alla politica. Spesso vediamo in televisione le tifoserie, ma al Paese non servono le tifoserie: al Paese servono strategie, non tattiche, nelle quali si difendano gli interessi, nel nostro caso ovviamente italiani». Un Fontana “moderato e responsabile”, insomma, che sembra ricalcare le parole di domenica di Tajani contro i «populisti quaquaraquà». Anche Salvini s’è dimostrato da tifoso, se non da capocurva, su Francia, Ue e armi? Fontana non lo dice, ovviamente, ma il messaggio tra le linee è chiaro. «Strategici» sono i rapporti Italia-Francia, come da titolo del convegno stesso ospitato dal presidente della Camera. Strategie lungimiranti, quelle che servono al Paese in questa fase. C’è bisogno, dice ancora Fontana, di «vedere anche in base a questi interessi come possiamo collaborare con gli altri, in particolare con i partner e i paesi europei, togliendoci un po’ da quella che è la situazione mediatica, perché ormai la comunicazione sta diventando più importante della politica e anche delle strategie nazionali ed europee. Io penso che questo sia sbagliato. Penso che la Francia sia un Paese molto importante, non solo per l’Italia, ma anche a livello europeo e mondiale. Ritengo che vedere in che ambiti si può collaborare con la Francia sia particolarmente importante, anche perché per una volta l’Italia possa assumere un ruolo trainante assieme a partner importanti come la Francia». L’opposto esatto di quanto sostenuto da settimane da Salvini. Da cui Fontana, una volta suo vice, ora pare lontanissimo.
(da agenzie
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Marzo 25th, 2025 Riccardo Fucile
“NON POTENDO PRECLUDERSI UN RAPPORTO EUROPEO, PARTECIPA AI VERTICI UN PO’ NASCOSTA. NON POTENDO PRECLUDERSI IL RAPPORTO ATLANTICO ATTENDE, PERCHÉ IL CHIARIMENTO CON TRUMP NON È IMMEDIATO. TUTTO QUESTO NON È COSTO ZERO PER GIORGIA MELONI, ANZI. COSTA SUL TERRENO INTERNAZIONALE
In parecchi si chiedono cosa aspetti Giorgia Meloni a mettere un po’ d’ordine nel suo governo dopo la lite del “quaquaraquà”, con tutti gli strascichi annessi. C’è un vicepremier che, non potendo fare il ministro dell’Interno, si è messo a fare quello degli Esteri. Va in visita da Netanyahu, sente il vicepresidente americano J.D. Vance, non perde occasione per distinguersi su armi e difesa, America e Russia, dazi e Starlink.
È così strabordante che financo il titolare degli Esteri si è sentito costretto a reagire, tradendo la sua proverbiale mitezza. Vicepremier contro vicepremier, le opposizioni che giocano facile, l’immagine della “ducetta” decisionista che ne esce ammaccata e, da palazzo Chigi, neanche uno spiffero. Roba che, in altri tempi, si sarebbe parlato, se non di crisi di governo, quantomeno di un “chiarimento” o di una “verifica”, per mettere fine al baldanzoso andazzo.
Invece va di moda ignorare o, al massimo, minimizzare: c’è il congresso della Lega a inizio aprile, poi il bontempone tornerà più gestibile. Chissà perché poi, visto che dal congresso uscirà ancora più ringalluzzito nei suoi convincimenti. E avrà anche completato la mutazione genetica della Lega in costola dell’Internazionale sovranista: di Nord non parla più nessuno, eppure i dazi sarebbero un’occasione, dimenticata l’Autonomia e pure il Veneto. Anche il taciturno Giorgetti è tornato salviniano in servizio permanente effettivo. C’è da scommettere che Salvini continuerà nel suo gioco, per acquisire più spazi e ridimensionare la premier. Ma nessun Papeete, tranquilli.
La verità è che, per come si è posizionata (o incastrata), Giorgia Meloni sente di non poter fare altrimenti. L’origine della sua paralisi sta tutta nella postura scelta: essere contemporaneamente atlantista ed europeista, con Trump e con l’Ue.
I segnali che le arrivano dall’amministrazione americana non sono incoraggianti: il rapporto con Elon Musk si è evidentemente raffreddato, così come col suo portavoce italiano Andrea Stroppa, la telefonata Vance-Salvini ha un grande valore di riconoscimento politico e il tanto agognato incontro alla Casa Bianca ancora non è in agenda.
Il timore della premier è quello di compromettere il rapporto con Trump. Da quelle parti, si sa, non vanno per il sottile nei modi. E una sconfessione plateale sarebbe un problema enorme, più della lite del “quaquaraquà”: Salvini troverebbe la carta grossa per logorarla, Marina Berlusconi troverebbe conferma che col “bullo” si deve combattere a viso aperto. E patatrac.
Dunque resta ferma, immobile, come il famoso semaforo della gag di Corrado Guzzanti.
Non potendo precludersi un rapporto europeo, partecipa ai vertici un po’ nascosta anche se è in presenza. Non potendo precludersi il rapporto atlantico attende, perché l’elemento del chiarimento con Trump non è immediato. Sarebbe tutto più facile se si chiarisse, in un modo o nell’altro, il quadro in Ucraina ma, come si è capito nel vertice di ieri, Putin non ha alcuna fretta perché nel frattempo avanza sul terreno.
(da La Stampa)
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Marzo 25th, 2025 Riccardo Fucile
“NON ACCETTERÀ MAI LA DISLOCAZIONE IN UCRAINA DI FORZE EUROPEE DI DETERRENZA. L’INCLUSIONE IN UNO STATO UNICO DI UCRAINA E BIELORUSSIA GLI CONSENTIREBBE DI AUMENTARE LA ‘SUA’ POPOLAZIONE FINO A CIRCA 188 MILIONI, CON UN AMPLIAMENTO DELLE RISORSE DI MOBILITAZIONE, DEL MERCATO INTERNO DI CONSUMO E DEI QUADRI LAVORATIVI. ERA UNA TEORIA CARA AL VECCHIO KGB: PIÙ È PICCOLA, PIÙ LA RUSSIA DIVENTA INGOVERNABILE” – “L’UE DEVE COMINCIARE UNA POTENTE CAMPAGNA DI INFORMAZIONE CHE SMASCHERI E ISOLI I COMPLICI DI UN’AGGRESSIONE MASCHERATA”
Nella sua vita precedente, Evgeny Savostyanov faceva questo. «Analizzavo, studiavo
documenti, facevo previsioni». Che fosse a capo del Kgb di Mosca, o dentro qualche ministero prima sotto Boris Eltsin e poi Vladimir Putin, il suo mestiere è sempre stato uno solo. Vive all’estero dal 2023, come conseguenza del suo no all’Operazione militare speciale che lo ha trasformato in «agente straniero».
Su cosa Putin non transige?
«Vuole assolutamente entrare nella storia come “Il Grande raccoglitore delle terre russe”, colui che ha invertito la disgregazione dell’impero avviata nel 1867 con la
vendita dell’Alaska agli Usa. L’inclusione in uno Stato unico di Ucraina e Bielorussia gli consentirebbe di aumentare la «sua» popolazione fino a circa 188 milioni, con un ampliamento delle risorse di mobilitazione, del mercato interno di consumo e dei quadri lavorativi. Era una teoria cara al vecchio Kgb: più è piccola, più la Russia diventa ingovernabile. Il suo principale obiettivo ha un fondamento sia pratico che ideologico».
L’Europa fa bene a preoccuparsi?
«Dovrebbe prima svegliarsi, e dovrebbe farlo in fretta. Il secondo obiettivo di Putin è il ritrovamento di ruolo di egemone europeo e globale, perduto con lo scioglimento dell’Urss. Poco importa se ottenuto attraverso governi o regimi compiacenti. Da reduce del Kgb, eravamo colleghi, subisce l’influenza spirituale di stampo imperiale-espansionista proprio del Pgu, il Primo direttorato del Kgb, che si occupava di intelligence estera, oggi Svr, e quello nazionalista conservatore di “sbarramento” tipico dei funzionari del controspionaggio. Nella sua prima squadra questi due schieramenti erano ben bilanciati. C’erano rappresentanti sia dello spionaggio all’estero come Sergey Ivanov, Igor Sechin, Sergey Chemezov, che del controspionaggio come Viktor Ivanov e Nikolaj Patrushev. Il fatto che oggi prevalgano gli “esteri” è significativo della dinamica degli umori di Putin».
Cosa cerca il presidente russo dagli attuali negoziati?
«Accetterà una tregua completa solo quando sarà sicuro di poter raggiungere i suoi grandi obiettivi. Nel piccolo che per lui rappresenta l’Ucraina, appare evidente che ha bisogno di un avamposto russo sulla riva destra del Dnepr. Kherson e dintorni, per capirci. Così potrà tenere sotto pressione Odessa, la Transnistria e Chisinau. Per questo non accetterà mai la dislocazione in Ucraina di forze europee di deterrenza. Queste sono le “linee rosse” di Putin».
Una vera pace è possibile?
«Non ritengo possibile una fine della guerra senza un sostanziale cambiamento del rapporto di forze sul fronte a favore della Russia, ancora più marcato di quello attuale».
Cosa può fare l’Europa?
«Assumersi il fardello della responsabilità per il proprio destino. A cominciare dall’Ucraina. Oppure, può rassegnarsi a una sottomissione de facto all’alleanza tra Cina, Russia e loro satelliti assortiti. Temo che da voi non ci sia alcuna percezione del rischio che state correndo. Non mi riferisco a possibili invasioni, Putin oggi non vuole e non può. Ma al pericolo della irrilevanza, in primo luogo dei propri valori democratici».
Il riarmo è una soluzione?
«Anche. Ma da solo non basta. Oggi siete sotto schiaffo di due potenze come la Russia e questi nuovi Usa . Sono uniti da quello che ritengono essere un nemico comune: voi. Ogni piano di rafforzamento della capacità difensiva dell’Europa deve cominciare da una potente campagna di informazione che spieghi ai cittadini la nuova realtà, che smascheri e isoli i complici di quella che non è una rivoluzione culturale in corso, ma un’aggressione mascherata».
Le intese tra Putin e Trump porteranno alla ridefinizione di un nuovo ordine mondiale?
«Un nuovo assetto geopolitico sorgerà inevitabilmente a causa della decisione degli Usa di ridurre drasticamente il loro ruolo negli affari internazionali. Putin promuoverà la sua visione, cercando una zona di influenza a Ovest per smarcarsi da quella, molto più vasta, della Cina. E lo farà indipendentemente dai rapporti con Trump ».
I nazionalisti russi sognano un mondo diviso in tre: Usa, Cina e Russia. È uno scenario possibile?
«Se l’Europa non agisce, lo sarà. Con qualche distinzione. La Russia rimane un Paese dal debole sviluppo tecnologico, che dipende interamente dalla Cina. In questo nuovo ordine, si porrà come “il vice manesco” della corporazione globale “Cina”. […] Trump sogna di chiudere presto il dossier Ucraina: vuole concentrarsi sul Pacifico, dove si deciderà l’esito della partita tra Usa e Cina
(da agenzie)
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Marzo 25th, 2025 Riccardo Fucile
AL CONTRARIO, L’11% DELLE RAGAZZE HA VOTATO PER IL PD, DATO CHE SCENDE ALL’8,4% TRA I COETANEI MASCHI …CONTE ATTRAE ELETTORALMENTE LE DONNE, IL 18% VOTA MOVIMENTO 5 STELLE… TRA LE RAGAZZE DAI 18 AI 29 ANNI SI COLLOCANO NEL CENTROSINISTRA IL 41% CONTRO L’11% NEL CENTRODESTRA, TRA I RAGAZZI 35% CONTRO IL 34%
Radicali, mobili. Divisi. La politica spinge i giovani verso gli estremi. E li separa: le ragazze a sinistra, i ragazzi a destra. Le ragazze «progressiste», i ragazzi «contro». Una polarizzazione di genere fotografata in tutte le recenti elezioni nazionali, dagli Stati Uniti alla Germania, e che trova conferma anche tra i ragazzi italiani. Fratelli d’Italia: 15% tra i giovani uomini, 4,2% tra le giovani donne. Pd: 11% tra le ragazze, 8,4% tra i ragazzi
Sono solo alcuni dei dati raccolti da uno studio dell’osservatorio Monitoring Democracry del dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Bocconi. Schieramento per schieramento, partito per partito, il solco di genere scavato dalla politica tra gli elettori dai 18 ai 29 anni trova sempre più conferme. E così, tra i giovani Forza Italia raccoglie il 5,1%, tra le giovani l’1,4%.
Situazione ribaltata se torniamo dall’altra parte dello schieramento, con addirittura il 18% tra le ragazze raggiunto dal M5S, a fronte del 5,1% tra i ragazzi. Più equilibrio, invece, per quanto riguarda la Lega (con uomini e donne al 3%) e Alleanza verdi sinistra (con una leggera prevalenza delle donne, 4% contro il 3%). Gli altri partiti più centristi (Azione, Italia viva e +Europa) sono invece di nuovo più popolari tra gli uomini (10,7% contro l’8,7% delle donne).
Più in generale, i dati raccolti dall’osservatorio della Bocconi rivelano come i giovani uomini che si «autocollocano» nel centrodestra siano il 34%, mentre quelli che si vedono nel centrosinistra il 35%. Dati completamente diversi se passiamo alle giovani donne: quelle che si «autocollocano» nel centrosinistra sono il 41% e solo l’11% quelle che si vedono nel centrodestra.
(da agenzie)
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