Marzo 26th, 2025 Riccardo Fucile
“LA MIA SCORTA HA SORPRESO TRE PERSONE CHE MI SEGUIVANO E FILMAVANO DURANTE L’INCONTRO CON UNA FONTE” … LA RISPOSTA DEL “FAZZO”: “RANUCCI RISPONDERÀ IN TRIBUNALE DELLE DELIRANTI ACCUSE CHE MI HA RIVOLTO” … RANUCCI SE PARLA HA QUALCOSA IN MANO, NON E’ UNO SPROVVEDUTO
Sul fatto di essere sotto controllo in Italia “sospetti ne abbiamo avuti sempre. Ho avuto in almeno tre occasioni la certezza, perché la mia scorta ha sorpreso tre persone che mi seguivano e filmavano durante l’incontro con una fonte. In un’altra occasione ho avuto la certezza che Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha attivato i servizi segreti per
chiedere informazioni sulla mia attività”.
Lo ha detto il conduttore della trasmissione di Rai 3 Report, Sigfrido Ranucci, rispondendo a una domanda dell’eurodeputato Marco Tarquinio, a Bruxelles durante una conferenza sulla libertà di informazione per una democrazia forte promossa dal deputato Sandro Ruotolo – responsabile Cultura, memoria e informazione del Pd – e organizzata dal gruppo dei Socialisti & Democratici in seno alla Commissione Cultura del Parlamento europeo.
“Sigfrido Ranucci risponderà in tribunale delle deliranti accuse che mi ha rivolto, sostenendo che avrei ‘attivato i servizi segreti per chiedere informazioni sulla sua attività’. Lo dichiara in una nota Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per l’Attuazione del programma di governo.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2025 Riccardo Fucile
“FA MALE AL CUORE VEDERE LO SPRECO DI CENTINAIA DI MILIONI DI EURO LETTERALMENTE BUTTATI VIA. QUESTI CENTRI SONO STRUTTURE INUTILI, FIGLIE DELLA PROPAGANDA DI GIORGIA MELONI. E GLI ITALIANI PAGANO, CHE AMAREZZA”
Sono appena uscito dal centro migranti di Gjader, in Albania. Sono sconvolto.
Abbiamo ringraziato per la professionalità poliziotti, carabinieri, finanzieri, agenti della penitenziaria e operatori del centro: loro non c’entrano niente.
I responsabili di questo scempio sono a Palazzo Chigi: fa male al cuore vedere lo spreco di centinaia di milioni di euro letteralmente buttati via dal Governo italiano. Questi centri sono strutture inutili, figlie della propaganda di Giorgia Meloni. E gli italiani pagano, che amarezza
“Ci sono circa 2mila cittadini albanesi che sono oggi in carcere in Italia. Se
questa struttura pagata dall’Italia fosse trasformata in un carcere, i detenuti che sono attualmente in Italia potrebbero essere detenuti qui più vicini alle loro famiglie e almeno avrebbe un senso tenere questa struttura”. Così Matteo Renzi durante in un punto stampa davanti al centro migranti di Gjader in Albania
“Da mesi ormai l’Italia sta spendendo centinaia e centinaia di milioni di euro per pagare questa struttura che è vuota. I soldi degli italiani, anzichè andare alle pensioni, alle bollette, agli stipendi, ai contributi per l’affitto ai giovani vanno qui, in un luogo che non serve a niente, a nessuno, frutto di un accordo sbagliato tra la presidente del Consiglio Meloni e il primo ministro Rama”.
“Noi pensiamo che sia giusto venire qui e dire agli italiani guardate dove stanno sprecando i nostri soldi -ha proseguito Renzi -. Agli albanesi dico che ci sono circa 2mila cittadini albanesi oggi in carcere in Italia, se questa struttura pagata dall’Italia fosse trasformata in un carcere i detenuti albanesi in Italia potrebbero essere detenuti qui, vicino alle loro famiglie e avrebbe un senso tenere questa struttura”, ha aggiunto Renzi. “E’ una proposta semplice, di buon senso, perchè questo sistema non funziona”, ha sottolineato ancora.
“In Parlamento abbiamo discusso di questa vicenda, è stato stanziato 1 miliardo di euro, poco meno, e ora si dice che venerdì Giorgia Meloni farà un Cdm e il quarto decreto per il centro migranti in Albania e lo trasformerà in un Cpr. Io ero lì, garantisco che occorrono altri soldi, c’è da finire i lavori, finire i posti per il Cpr”. Lo ha detto Matteo Renzi a Tagadà, su La7, in collegamento Albania dove ha visitato il centro per migranti con una delegazione di Iv.
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(da agenzie)
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Marzo 26th, 2025 Riccardo Fucile
LA DUCETTA DOMANI RIBADIRA’ LA VOLONTÀ ITALIANA DI “NON PARTECIPARE” A UN’EVENTUALE FORZA MILITARE DI “PEACEKEEPING” IN MISSIONE SUL TERRITORIO UCRAINO, MA SI LIMITERA’ SOLO A UN ”SUPPORTO LOGISTICO”
Nel vertice di stamani a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni ha voluto incontrare i suoi vicepremier, Tajani e Salvini, e il ministro della Difesa, Crosetto, prima del viaggio di domani a Parigi, dove parteciperà all’incontro organizzato da Macron per i Paesi “volenterosi” a sostegno dell’Ucraina.
La Ducetta voleva, da Salvini e Tajani, un mandato pieno per gestire l’incontro, ma soprattutto per un tacito accordo politico: troviamo la quadra ora così non mi rompete il cazzo dopo.
Il succo del vertice ha portato i cervelloni del Governo a decidere questo: ove possibile, come ha già sostenuto Macron, procedere con il coinvolgimento delle forze Onu per una missione di peacekeeping, con l’obiettivo di preservare quella che sarà la tregua, o la pace, stabilita da Trump, Putin e Zelensky
Già questo è un obiettivo ambizioso, visto che di pace e tregua non c’è ancora traccia, ma Macron e Starmer insistono a voler fissare già da ora le linee guida per l’Europa, fedeli al mantra: dobbiamo farci trovare pronti.
L’asse Francia-Regno Unito-Germania non vuole dare l’ennesima immagine di un continente confuso, farraginoso, indeciso burocraticamente a tutto, ma vogliono anticipare i tempi lunghi della diplomazia.
el caso probalissimo di non avere le forze Onu, allora l’Italia si limiterà a dare al gruppo dei volenterosi un ”supporto logistico”, ma non di soldati in missione di “peacekeeping”.
Giorgia Meloni, d’accordo con i suoi due vice, proporrà ai partner europei, per il controllo dei futuri confini ucraini, l’impiego di forze armate di Paesi non direttamente coinvolti nel conflitto, ma, almeno formalmente “neutrali”, come India e Turchia.
Un’opzione non condivisa da Macron e Starmer, che vogliono invece per l’Europa il comando della missione, considerato il diretto interesse dell’Ue alla sicurezza di Kiev.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2025 Riccardo Fucile
L’UNICO CHE AVREBBE POTUTO IMPENSIERIRLO SAREBBE STATO IL COORDINATORE DEL CARROCCIO IN LOMBARDIA, MASSIMILIANO ROMEO: MA IL COINVOLGIMENTO DEL FRATELLO, FILIPPO DETTO CHAMPAGNE, NELLO SCANDALO LACERENZA-GINTONERIA NE HA AZZOPPATO LE VELLEITÀ… CHE FARÀ IL “DOGE” LUCA ZAIA? SI PRESENTERÀ O RIMARRÀ A SCIABOLARE AL VINITALY?
Al Congresso della Lega, previsto il prossimo 6 aprile, Matteo Salvini verrà 
nuovamente incoronato segretario.
Una rielezione bulgara, visto che non ci sarà nessuno a sfidarlo e a mettere in discussione una linea politica da tanti osteggiata.
L’unico che avrebbe potuto proporsi come rivale è il coordinatore del Carroccio in Lombardia Massimiliano Romeo, ex salviniano di ferro poi approdato a posizioni critiche nei confronti del segretario.
Il suo potenziale guanto di sfida verso il “Capitone” è stato immediatamente
riposto nel cassetto dopo lo scoppio dello scandalo Lacerenza-Gintoneria, che ha fatto emergere, tra i protagonisti delle notti selvagge milanesi il fratello di Romeo, Filippo detto Champagne, influencer delle bollicine e ospite semi-fisso di Cruciani e Parenzo alla “Zanzara”.
In questo deserto politico, Salvini potrà festeggiare il suo trionfo? Non è detto, perché sul palco della Fortezza da Basso di Firenze, tra dieci giorni, potrebbe non esserci Luca Zaia. Nell’agenda del “Doge” è prevista, in quei giorni, la partecipazione al Vinitaly di Verona. Salvini si aspetta che il Governatore del Veneto trovi un po’ di tempo per partecipare alla sua acclamazione. Che succederà?
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2025 Riccardo Fucile
SI VOCIFERA CHE NON SOLO GLI ANGELUCCI SONO DELUSI CON LA FIAMMA DI GIORGIA PER I RISULTATI ECONOMICI OTTENUTI CON L’ACQUISIZIONE DEL 70% DI UN QUOTIDIANO CHE, ALLA FINE, SI RIVELA UN DOPPIONE DI “LIBERO”, ALTRO GIORNALE DI LORO PROPRIETÀ, MA PARE CHE ANCHE LA FAMIGLIA BERLUSCONI (CHE HA IL 30%) ABBIA QUALCHE CONVINCENTE ARGOMENTO PER SEDARE IL MELONISMO DI SALLUSTI
I pochi feticisti che in questi giorni hanno sfogliato “Il Giornale” fondato da Indro Montanelli saranno stati sorpresi nel leggere alcuni titoli di prima pagina stranamente “fuori linea” dal melonismo della Fiamma Tragica di Palazzo Chigi.
Il quotidiano diretto dal biografo di Giorgia Meloni, nonché bonzo dei talk di Rete4, Alessandro Sallusti, ha elogiato a caratteri cubitali Sergio Mattarella (“Dazi, il bazooka di Mattarella”) e legnato il “Dazista” Trump (“Attacco senza precedenti”): roba da far venire l’itterizia ai camerati di Palazzo Chigi. Cos’è successo?
Si vocifera che non solo gli Angelucci sono delusi dai risultati economici ottenuti con l’acquisizione del 70% di un quotidiano che, alla fine, si rivela un doppione di “Libero”, altro giornale di loro proprietà, ma anche Pier Silvio Berlusconi, la cui famiglia, attraverso lo zio Paolo, controlla il 30% del quotidiano, abbia ancora in canna qualche ottimo argomento per sedare il melonismo senza limitismo di Sallusti.
Stesso effetto “frenante” l’ha avuto Marina Berlusconi nei confronti di Tajani, che si è visto azzoppare il suo braccio destro Martusciello, ras del voto di Forza Italia in Campania. Il presidente di Forza Italia, dopo le strigliate meneghine della Cavaliera, ha calcato la mano contro Salvini e la Lega, in occasione del convegno “Forza Europa”, voluto da Marina, parlando di “populismo quaquaraquà” .
Ps. In Forza Italia si registra l’iperattivismo, ripieno di ambizioni sbagliate, di Giorgio Mulè. Sembra che l’ex direttore di “Panorama” voglia proporsi come sostituto di Tajani alla guida del partito.
Sarà vero? Di certo, se Marina Berlusconi ha qualche dubbio sulle capacità politiche di Tajani, ne ha molte di più sull’ambizioso Mulè, il cui carattere fumantino lo rende piuttosto indigesto, oltre all’ex monarchico ciociaro, al resto della compagine azzurra: il governatore della Sicilia, Renato Schifani, non lo sopporta, idem il ras calabrese Roberto Occhiuto.
(da Dagoreport)
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Marzo 26th, 2025 Riccardo Fucile
NELLE CHAT INTERNE DEI LEGHISTI SI PARLA APERTAMENTE DI UNA “RAPPRESAGLIA” DI MELONIANI E AZZURRI PER LE INTEMERATE DI SALVINI
«Tutto un altro mondo. Tutta un’altra efficienza, la sfida dell’Autonomia». Il titolo è
suggestivo, ma dà l’idea di qualcosa che c’è già, e invece non c’è. Almeno non ancora e chissà per quanto tempo si dovrà aspettare. Sabato alla Fiera di Padova va in scena il terzo e ultimo appuntamento organizzato in vista del congresso federale della Lega (che si tiene dopo otto anni) e la terra veneta non è stata scelta per caso visto itema prescelto.
Perché la legge approvata ormai nove mesi fa e finita nel mirino dei rilievi della Corte costituzionale a novembre a oggi vive una fase di stallo. Cioè, è ferma o, se si muove, lo fa a una velocità impercettibile. Su entrambi i fronti in cui era stata «spacchettata»: le nove materie che non necessitano della definizione dei cosiddetti Livelli essenziali delle prestazioni e le altre 14 che invece dei Lep non possono fare a meno.
Le quattro regioni di centrodestra (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) che hanno accelerato puntando sulle prime nove per rendere il loro cammino più facile avevano deciso di partire dalla Protezione civile. Sembrava scontato che in materia di emergenze fosse «facile» cedere le funzioni all’ente regionale. E invece, il ministro competente Nello Musumeci si è messo di traverso.
E il confronto si è arenato. Con grande scorno dei governatori leghisti, Zaia in particolare che vede passare infruttuosamente gli anni da quel referendum del 2017 che vide il Veneto votare in modo bulgaro per l’Autonomia.
Lo stallo sulle materie più semplici è nulla rispetto a quel che si verifica sull’altro fronte. Qui bisogna fare i conti con i rilievi della Corte costituzionale e con la melina che stanno conducendo molti ministeri. Nell’intervista al Corriere di martedì il capogruppo alla Camera della Lega Riccardo Molinari è stato sibillino: «Siamo in attesa dei decreti sui Lep. Non vorremmo che ci fossero frenate nei ministeri…».
Il ministro agli Affari regionali e all’Autonomia Roberto Calderoli pare abbia pronto da tempo il testo di una legge delega che fissa i principi per costruire i Livelli essenziali delle prestazioni. Senza entrare nel dettaglio tecnico, per dare l’ok all’attribuzione delle funzioni (non materie, ha dettato la Consulta) servono i pareri dei singoli ministeri competenti.
E qui, a quel che risulta, c’è l’intoppo. Solo il ministero delle Infrastrutture (guidato da Salvini) e quello dell’Economia (che fa capo a un altro leghista come Giancarlo Giorgetti) avrebbero fatto la loro parte. Gli altri non pervenuti.
In casa leghista si avverte forte l’odore di bruciato. Il sospetto che gli alleati di Fratelli d’Italia e Forza Italia non siano molto collaborativi è ricorrente nelle chat interne. E del resto, il leader azzurro Antonio Tajani ha detto più volte, e apertamente, che è contrario alla cessione di alcune competenze (come quella sul Commercio estero, per esempio). Per non parlare dell’altrettanto dichiarata ostilità alla riforma complessiva del governatore della Calabria, Roberto Occhiuto, figura di un certo peso in Forza Italia.
Di sicuro, gli scontri e le polemiche di queste settimane tra leghisti e azzurri non rendono il clima disteso e non favoriscono la collaborazione.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2025 Riccardo Fucile
DOPO L’ELEZIONE DI “THE DONALD”, L’INDICE DI FIDUCIA DEI CONSUMATORI È CROLLATO AI MINIMI DAL 2021
Un numero sempre più cospicuo di ricchi americani sta trasferendo fondi in Svizzera per proteggere i propri asset dall’incertezza legata alla presidenza di Donald Trump. Banchieri e gestori patrimoniali hanno registrato un aumento delle richieste per conti bancari e d’investimento svizzeri, conformi alle regole fiscali Usa.
Molti membri dell’élite Usa temono una crisi economica imminente e di diventare bersagli dell’amministrazione Trump. Secondo i media, centinaia di milioni di dollari stanno uscendo dalle casse americane. Gli esperti del settore fanno sapere che la situazione ricorda la crisi finanziaria del 2008, quando si temeva il collasso delle banche statunitensi.
Oggi, la preoccupazione è che Trump possa adottare misure impreviste che limitino l’accesso ai fondi detenuti negli Usa. Gli americani non sono tecnicamente in grado di aprire conti bancari svizzeri a causa del Foreign Account Tax Compliance Act (Fatca), ma se un consulente svizzero è registrato presso la Sec (Securities and Exchange Commission Usa), può aprire conti e gestire il denaro per i clienti.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2025 Riccardo Fucile
DIETRO L’INSULTO DI DONZELLI
“Non parlo se non esce dalla sala questo pezzo di m…” parole del deputato ‘fratellino’,
Giovanni Donzelli. Già questa sarebbe una medaglia al valor civile per il giornalista del Fatto, Giacomo Salvini. Forse quelle parole sono più un contributo alla biografia di Donzelli che non un insulto al cronista.
Per comprendere la gravità dell’insulto bisogna leggere e rileggere Fratelli di chat, scritto proprio da Salvini, che svela la matrice neofascista di questi sedicenti camerati che, protetti dalla chat, davano sfogo alle loro peggiori pulsioni, insultando e minacciando avversari, alleati, e naturalmente i cronisti.
Le pagine dedicate a Roberto Saviano, Paolo Berizzi, Corrado Formigli, Report e non solo, sono impressionanti, rivelano chi, come e perché hanno progettato e progettano trame contro la Costituzione e la libertà di informazione. Per questo odiano Giacomo Salvini e chiunque osi svelare e contrastare i loro piani.
Sbaglia, anche tra i giornalisti, chi ancora se la ride e alza le spalle: presto scopriranno che questi attacchi riguardano anche loro, ma sarà troppo tardi.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 26th, 2025 Riccardo Fucile
IL 23% DEGLI ITALIA IN DIFFICOLTA’…. MA IL GOVERNO PENSA A FARE FAVORE AGLI EVASORI FISCALI
Il buon andamento dell’occupazione che il governo Meloni continua a rivendicare ha un lato oscuro: molti di quei posti prevedono retribuzioni così basse che i lavoratori arrivano a stento a fine mese.
Non è una novità, come hanno confermato pochi giorni fa i dati diffusi pochi giorni fa dall’Organizzazione mondiale del lavoro, stando ai quali i salari reali in Italia sono calati più che in qualsiasi altro Paese del G20. Oggi dall’Istat arriva un ulteriore tassello: lo scorso anno in Italia sono aumentati i lavoratori a rischio povertà. Nel rapporto su Condizioni di vita e reddito delle famiglie, l’istituto trova che la quota di occupati in quella condizione, che riguarda chi vive in famiglie con reddito netto sotto la soglia di povertà, è salita dal 9,9% del 2023 al 10,3%.
Più in difficoltà gli uomini rispetto alle donne (8,3% contro 11,8%) nonostante queste ultime abbiano una maggiore probabilità di avere un lavoro a basso reddito: essendo spesso “seconde percettrici” nel nucleo familiare, la bassa retribuzione non si traduce necessariamente in un rischio di povertà di tutta la famiglia. Il rischio di povertà o esclusione sociale, cioè la percentuale di persone che vivono in famiglie a rischio di povertà (18,9%) o in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale (4,6%) o “a bassa intensità di lavoro“, passa a sua volta dal 22,8% del 2023 a 23,1% per effetto dell’aumento dall’8,9 al 9,2% dei nuclei i cui membri lavorano solo pochi mesi all’anno. Una condizione che riguarda soprattutto le persone sole con meno di 35 anni (15,9% rispetto al 14,1% del 2023) e i monogenitori, che presentano una percentuale più che doppia rispetto alla media nazionale (19,5% contro il 15,2% del 2023). A livello territoriale, il Nord-est si conferma l’area con la minore incidenza di rischio di povertà o esclusione sociale (11,2%, era 11% nel 2023) e il Mezzogiorno resta la parte del Paese con la percentuale più alta (39,2%, era 39% nel 2023).
Dati che “gridano vendetta”, ha commentato il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, a margine dell’assemblea Fp Cgil dei candidati Rsu 2025 sono “legati sia al livello di precarietà sia al fatto che il governo continua a non andare a prendere i soldi dove sono. Si assuma tutte le sue responsabilità e la smetta di raccontare un mondo che non esiste”. Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, parla di “vergogna” perché “avere quasi un quarto della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale non è degno di un Paese civile. Il fatto, poi, che il dato sia addirittura in peggioramento rispetto al 2023, dal 22,8% al 23,1%, attesta come le politiche del governo Meloni abbiano fallito sul fronte del contrasto alla povertà, come era già stato attestato una decina di giorni fa, sempre dall’Istat, con l’aumento dell’indice di Gini”.
Il reddito reale cala causa inflazione
Per il resto il report approfondisce i numeri relativi al 2023, quando il reddito annuale
medio delle famiglie (37.511 euro) è salito del 4,2% in termini nominali (+4,2%) ma si è ridotto in termini reali (-1,6%) “a causa dell’inflazione“. Un effetto particolarmente intenso nel Nord-est (-4,6%) e nel Centro (-2,7%), a fronte di una lieve riduzione osservata nel Mezzogiorno (-0,6%) e di una debole crescita nel Nord-ovest (+0,6%). Rispetto al 2007, la contrazione complessiva dei redditi familiari in termini reali è pari, in media, a –8,7%: -13,2% nel Centro, -11,0% nel Mezzogiorno, -7,3% nel Nord-est e -4,4% nel Nord-ovest. La flessione dei redditi è stata particolarmente intensa per le famiglie la cui fonte di reddito principale è il lavoro autonomo (-17,5%) o dipendente (-11%), mentre per le famiglie il cui reddito è costituito principalmente da pensioni e trasferimenti pubblici si registra un incremento pari al 5,5%. I redditi da capitale mostrano una perdita complessiva del 22,6%, in gran parte attribuibile alla dinamica negativa degli affitti figurativi (-27% in termini reali dal 2007).
Sale la disuguaglianza
Il Nord-ovest presenta il reddito medio familiare inclusivo degli affitti figurativi più alto (47.429 euro) e la crescita maggiore in termini nominali rispetto al 2022. Nel Mezzogiorno il livello è il più basso (34.972 euro), nonostante il forte incremento rispetto all’anno precedente (era 33.140 euro nel 2022), seguito dal Centro (44.001 euro da 42.742 euro nel 2022) e dal Nord-est, dove il reddito medio familiare inclusivo degli affitti figurativi è di 47.279 euro dai 46.933 del 2022. L’indice di concentrazione di Gini, una delle misure più utilizzate per valutare la disuguaglianza tra i redditi, nel 2023 è salito a 0,323, in peggioramento rispetto all’anno precedente quando era 0,315. L’indice calcolato per Sud e Isole (0,339) è sensibilmente più elevato del dato medio nazionale. Molto più bassi i livelli per il Centro (0,314) e soprattutto il Nord-ovest (0,303) e Nord-est (0,276). Il Nord-est è l’unica ripartizione geografica dove si registra un lieve miglioramento rispetto al 2022. Nel 2023, l’ammontare di reddito percepito dalle famiglie più abbienti è 5,5 volte quello percepito dalle famiglie più povere (in aumento dal 5,3 del 2022
Nel 2023 il 21% dei lavoratori è a basso reddito
Nel 2023, i lavoratori a basso reddito – quelli che hanno lavorato almeno un mese nell’anno e hanno percepito un reddito netto da lavoro inferiore al 60% della mediana della distribuzione individuale del reddito netto da lavoro relativa al 2023 – sono pari al 21% del totale, un valore pressoché invariato rispetto all’anno precedente. Il rischio di essere un lavoratore a basso reddito è decisamente più alto per le donne rispetto agli uomini (26,6% contro 16,8%), per gli occupati appartenenti alle classi di età più giovani (29,5% per i lavoratori con meno di 35 anni contro un valore minimo pari al 17,7% per quelli nella classe 55-64), per gli stranieri rispetto agli italiani
(35,2% contro 19,3%). La condizione di basso reddito è associata anche a bassi livelli di istruzione, passando dal 40,7% per gli occupati con istruzione primaria al 12,3% per quelli con istruzione terziaria. Risulta inoltre a basso reddito il 17,1% dei lavoratori dipendenti, il 28,9% degli autonomi e il 46,6% di chi ha un contratto a termine, rispetto all’11,6% di chi ha un contratto a tempo indeterminato.
L’intensità lavorativa è ovviamente un fattore determinante: l’incidenza del lavoro a basso reddito è pari all’88,8% per chi ha lavorato meno di 4 mesi nel corso dell’anno, arriva al 56,3% per chi ha lavorato tra i 4 e i 9 mesi e scende fino al 13,6% per chi ha lavorato più di 9 mesi. Vi sono ampie differenze tra i settori di attività economica: risultano a basso reddito l’11% degli occupati nell’industria, il 21% nel comparto dei servizi di mercato e il 44,5% in quello dei servizi alla persona.
Nel 2023, la quota dei lavoratori a basso reddito risulta più alta di circa quattro punti a quella stimata nell’anno pre-crisi 2007, quando era pari al 16,7%. Il rischio di basso reddito ha avuto una dinamica crescente nel corso della lunga crisi economica, raggiungendo un picco del 23,2% nel 2014: la progressiva riduzione dell’incidenza del lavoro a basso reddito negli anni successivi è stata interrotta dalla crisi pandemica, con l’indicatore che ha raggiunto il 24,6% nel 2020.
(da Il Fatto Quotidiano)
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