Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
GLI ORGANIZZATORI L’HANNO SOPRANNOMINATA “TESLA TAKEDOWN’S GLOBAL DAY OF ACTION” E SI TRATTA SOLO DELL’ULTIMA DI UNA LUNGA SERIE DI MANIFESTAZIONI INIZIATE POCO DOPO L’INSEDIAMENTO DI TRUMP – DA ALLORA IL PATRIMONIO NETTO DI MUSK È SCESO DEL 25% CON UNA PERDITA DI CIRCA 100 MILIARDI DI DOLLARI
Centinaia di proteste presso gli showroom Tesla sono previste negli Stati Uniti e a livello internazionale per sabato. Gli organizzatori l’hanno soprannominata “Tesla Takedown’s Global Day of Action”, l’ultima e più grande di una serie di dimostrazioni iniziate poco dopo l’insediamento di Donald Trump. Gli organizzatori affermano che le manifestazioni si svolgeranno di fronte a più di 200 sedi Tesla in tutto il mondo, tra cui quasi 50 nella sola California.
L’obiettivo dei manifestanti è quello di inviare un messaggio all’amministrazione Trump: sono contrari a ciò che il CEO di Tesla, Elon Musk, sta facendo con il governo federale degli Stati Uniti, ovvero licenziare migliaia di dipendenti, tagliare i bilanci dei dipartimenti, fare saluti fascisti e sbarazzarsi di intere agenzie.
«Nessuno ha votato per questo, e nessuno ha votato per Elon – ha detto Vickie Mueller Olvera, che ha organizzato le proteste Tesla Takedown nella Bay Area – È un super-miliardario non eletto ed è un delinquente».
Tesla Takedown si descrive come un movimento che “protesterà contro Tesla finché Elon Musk continuerà a distruggere i servizi pubblici”. Il gruppo afferma sulla sua pagina organizzativa che Musk sta “distruggendo la nostra democrazia usando la fortuna che ha costruito in Tesla” e quindi, a sua volta, sta “prendendo provvedimenti contro Tesla”.
Olvera ha affermato che i dimostranti chiedevano alla gente di fare tre cose: non comprare una Tesla, vendere le azioni Tesla e unirsi al movimento di protesta Tesla Takedown.
Mentre Musk lasciava il segno nel governo federale e le proteste per Tesla Takedown sono aumentate, la performance finanziaria della sua azienda automobilistica ne ha risentito. Dall’insediamento di Trump, le azioni Tesla sono crollate di oltre il 35%, le vendite sono crollate e il valore di rivendita delle Tesla usate sembra aver toccato il minimo storico. Il patrimonio netto di Musk è sceso del 25% da allora, circa 100 miliardi di dollari.
Alcuni proprietari di Tesla hanno affermato di aver venduto le loro auto dopo che Musk ha tenuto un discorso il giorno dell’insediamento in cui ha fatto il saluto nazista
All’inizio di questo mese, Trump e Musk hanno esposto i veicoli Tesla sul vialetto della Casa Bianca. Il presidente ha decantato le potenzialità delle auto elettriche, organizzando un servizio fotografico all’interno di una berlina Tesla rossa e ha dichiarato che ne avrebbe acquistata una. I due hanno anche condannato le proteste anti-Tesla e Trump ha affermato che avrebbe definito qualsiasi violenza contro gli showroom come terrorismo interno.
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
IL VICEPRESIDENTE AMERICANO HA AGGIUNTO: “TRUMP È MOLTO INTERESSATO ALLA SICUREZZA DELL’ARTICO”… IL TERRITORIO AUTONOMO DANESE SERRA LE FILA DI FRONTE ALL’AGGRESSIVITA’ AMERICANA: IL PARLAMENTO TROVA L’ACCORDO PER LA FORMAZIONE DEL NUOVO GOVERNO DI AMPLISSIMA COALIZIONE
“Fa un freddo cane qui”. È la battuta che il vicepresidente degli Stati Uniti JD
Vance pronuncia poco dopo essere atterrato alla base spaziale americana di Pituffik, in Groenlandia. “L’amministrazione Trump e lo stesso presidente sono molto interessati alla sicurezza dell’Artico”, dichiara ai cronisti. “Come sapete tutti, è una grande questione e non farà che crescere nei prossimi decenni”, aggiunge.
La Groenlandia serra le fila nelle stesse ore in cui il vicepresidente e sua moglie Usha sono atterrati sull’isola: proprio oggi l’accordo per la formazione del nuovo governo è stato firmato. Le elezioni si erano tenute due settimane fa, l’11 marzo. A vincere era stato il partito centrista Demokraatit, precedentemente all’opposizione. Quello che ha posizioni più attendiste sulla secessione dalla Danimarca: favorevole ma in un futuro remoto, quando i maggiori problemi del Paese saranno risolti e si potrà camminare economicamente sulle proprie forze.
Guidato da Jens-Frederik Nielsen, con solo 10 seggi non aveva però le forze per guidare da solo l’Inatsisartut, il Parlamento unicamerale formato da 31 deputati, lì dove la maggioranza è 16. Ebbene: davanti alle affermazioni sempre più aggressive di Donald Trump, i groenlandesi hanno deciso di formare un governo di amplissima coalizione (sotto la guida, appunto, di Nielsen).
Coinvolgerà quattro dei cinque partiti – da sinistra a destra dunque – lasciando fuori solo i sovranisti di Naleraq, quelli d’altronde più vicini agli Stati Uniti, sostenitori di un referendum indipendentista immediato.
L’accordo di coalizione non poteva arrivare in un momento migliore, poiché segnalerà ai Vance una ritrovata compattezza, forgiata nonostante la retorica aggressiva di Trump e la visita del vicepresidente, considerata da molti inopportuna.
“Congratulazioni al nuovo governo della Groenlandia e al premier eletto Jens-Frederik Nielsen. Vi meritate partner che vi rispettino e vi trattino da pari a pari. E l’Unione europea è orgogliosa di essere un partner di questo tipo”, ha scritto su X la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Secondo un servizio trasmesso ieri sera dalla danese Tv2, emissari del governo americano avrebbero, nei giorni scorsi, battuto l’isola palmo a palmo cercando un
famiglia che accettasse di farsi fotografare con la Second Lady Usha, dicendosi felici della visita: incassando solo rifiuti, sia pur cortesissimi. E sarebbe addirittura questa la vera ragione del cambio di programma, per cui i Vance, oggi, sono approdati sì in Groenlandia. Ma resteranno su territorio americano, visitando sola la base di Pituffik dove staziona un contingente statunitense fin dal dopoguerra. La zona della base oggi è stata colpita da un breve blackout delle comunicazioni. Lo ha riferito un operatore di telecomunicazioni groenlandese che però ha anche assicurato che “tutte le connessioni sono state ristabilite”. Il brevissimo problema tecnico sarebbe stato causato da un’interruzione di corrente a Pituffik.
(da agtenzie)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
QUALCUNO LO AVVISI CHE NEI BAR CI SONO LE COMUNI BUSTINE DI CARTA, IL DIVIETO RIGUARDAVA GIUSTAMENTE QUELLE DI PLASTICA
Matteo Salvini accusa l’Unione europea di voler bandire le bustine di zucchero nei bar, definendo la presunta decisione come un’«eco-follia». Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché vicepremier, trae questa narrazione da un articolo pubblicato da una testata giornalistica italiana che, a sua volta, non fornisce ai lettori un’informazione precisa.
Per chi ha fretta
Esiste effettivamente un divieto previsto dall’Unione europea, ma è necessario precisare di cosa si tratta.
La norma è contenuta nell’articolo 25 del regolamento europeo 2025/40, che indica chiaramente la tipologia di bustine interessate: quelle in plastica
Il divieto non comprende quelle di carta comunemente utilizzate nei bar
Analisi
Ecco quanto affermato da Matteo Salvini nel suo post su X:
L’ultima eco-follia targata Bruxelles: vietare le bustine di zucchero nei bar… Dopo i disastri del Green Deal che stanno distruggendo il settore automotive, non si ferma la pericolosa ipocrisia dei burocrati europei. NO alla follia dell’ideologia green, SÌ al buonsenso e alla concretezza!
Nell’immagine leggiamo:
Ecco l’ennesima ecofollia voluta dall’Unione europea
Vogliono bandire le bustine di zucchero: “Inquinano troppo”
L’Unione europea non si ferma alle bottiglie di plastica, ora dichiara guerra anche alle confezioni monouso.
La fonte usata da Matteo Salvini
In basso a destra nell’immagine condivisa da Salvini, in caratteri molto piccoli, viene citata la fonte: Il Giornale. Si tratta di un articolo pubblicato il 27 marzo 2025 (archiviato qui), intitolato «Nel mirino della Ue anche le bustine di latte e zucchero: cosa non troveremo più nei bar», che però non chiarisce adeguatamente la distinzione tra materiali vietati e non.
Cosa dice veramente il regolamento europeo
La questione riguarda il regolamento europeo 2025/40 (qui in italiano) che, come specificato nell’allegato V, introduce il divieto solo per le bustine monouso in plastica. Le bustine in carta, già oggi molto diffuse nei bar e nei supermercati, non sono oggetto di alcuna restrizione. Ecco la precisazione presente nel punto 4 della tabella illustrata nell’allegato V:
Imballaggi di plastica monouso per condimenti, conserve, salse, panna da caffè e zucchero nel settore alberghiero, della ristorazione e del catering
Infine, come indicato nell’articolo 25, le restrizioni entreranno in vigore in modo definitivo entro il 1° gennaio 2030.
Conclusioni
Sostenere quindi che l’Unione europea voglia «bandire le bustine di zucchero» è fuorviante. Si tratta piuttosto di un provvedimento volto a ridurre l’uso della plastica monouso, coerentemente con le politiche ambientali europee.
(da Open)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
“POSIZIONE ASSURDA SUI DAZI CHE COLPISCONO LE IMPRESE ITALIANE”… “MELONI HA SCELTO DI DIFENDERE L’INTERESSE NAZIONALE, QUELLO DEGLI STATI UNITI, QUELLO DI CHI INSULTA GLI ITALIANI DEFINENDOLI PARASSITI”
L’ennesima strizzatina d’occhio della premier Giorgia Meloni agli Stati Uniti di Donald Trump, proprio ora che i dazi Usa stanno per abbattersi come una mannaia sull’economia italiana, vissuta con sconcerto dal Pd.
E a prendersi la responsabilità dell’affondo, dopo l’intervista di questa mattina della premier al Financial Times, è la segretaria Elly Schlein: «Giorgia Meloni ha scelto di indossare il cappellino MAGA (Make America Great Again, ndr), ammainando da Palazzo Chigi la bandiera italiana e quella europea».
A maggior ragione al termine di una settimana in cui Washington e Bruxelles si sono guardate in cagnesco, dopo che nelle chat segrete tra funzionari americani – pubblicate dal The Atlantic – il vicepresidente JD Vance aveva definito gli europei «dei parassiti».
La segretaria dem fa il verso alle parole consegnate dalla premier al quotidiano britannico: «Giorgia Meloni vada dire a loro: “State calmi, ragazzi, ragioniamoci”».
Meloni, Vance e «i parassiti europei»
Al centro delle polemiche tra Chigi e Nazareno c’è in particolare un passaggio dell’intervista, in cui la premier Meloni si dice «d’accordo» con le posizioni sull’Europa del vicepresidente americano Vance.
Lette dopo gli affondi di Vance in chat coi “colleghi”, quelle parole però a Schlein fanno venire l’urticaria: «Meloni ha scelto di difendere l’interesse nazionale, però quello americano. Anzi quello di Donald Trump e Elon Musk», ha detto. «E invece è un problema enorme per l’interesse nazionale italiano se la presidente del Consiglio sceglie di dare ragione a chi, come Vance, dà dei parassiti agli europei, insultando
quindi anche noi italiani, dopo giorni di imbarazzante silenzio».
La questione dazi: «Meloni è uno strumento di oligarchi americani»
Altro tema scottante è ovviamente la questione dazi, sempre di più all’ordine del giorno con la promessa americana di applicare tariffe su tutte le auto non di produzione americana. Una decisione protezionistica su cui, però, la premier Meloni ha invitato a riflettere: «A volte ho l’impressione che rispondiamo semplicemente d’istinto. Su questi argomenti bisogna dire: “Mantenete la calma, ragazzi. Pensiamoci”». L’attendismo meloniano per Elly Schlein è invece ingiustificabile: «Meloni dovrà spiegare perché ha scelto Trump come “primo alleato”, quando il prossimo 2 aprile entreranno in vigore i dazi Usa del 25% sulle nostre merci, sulle nostre eccellenze, che pagheranno le imprese, i lavoratori e le famiglie italiane». E ha continuato: «Vada a dire a loro “state calmi, ragazzi, ragioniamoci”. Il governo si sta trasformando giorno dopo giorno nel cavallo di Troia dell’amministrazione Trump all’interno dell’Unione Europea, in uno strumento degli oligarchi americani utilizzato nel nostro continente per fare i loro interessi».
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
PER DUE ANNI, NEPPURE VOLENDO AVREBBE POTUTO ISCRIVERSI ALLE PROVE, SALVO RECUPERARE POI CON I “TURBO-ESAMI”, ANCHE DUE AL GIORNO, PURE LA DOMENICA
Non consegnava pizze, non serviva al bar. E non varcava neppure i cancelli della Fincantieri di Monfalcone, dove oggi sarà a un evento elettorale di Fratelli d’Italia per le Comunali di aprile.
Se la ministra Marina Calderone non dava esami ed era fuori corso, è piuttosto per un’altra ragione: è perché proprio non poteva sostenerli.
C’è un’altra falla, l’ennesima, nella versione che Calderone racconta sulle sue strane lauree che ha preso alla Link Campus. “In quanto studente-lavoratrice, ero una fuori corso. Questo significa che è stata tutt’altro che una laurea presa in fretta e furia”, ha detto per giustificare i suoi “turbo-esami” e la “laurea della domenica”.
In realtà non erano affatto i suoi molteplici impegni di lavoro a impedirle di frequentare le lezioni .
I due anni fuori corso sono dovuti piuttosto al fatto che i due corsi di economia a cui si era iscritta nel 2011 e nel 2012 presso l’università Link Campus sono stati accreditati dal ministero dell’Istruzione solo dall’anno accademico 2013-2014.
Per due anni, dunque, neppure volendo avrebbe potuto iscriversi alle prove, salvo recuperare poi con i “turbo-esami”, anche due al giorno, pure la domenica.
Stando ai documenti della Link Campus, Calderone si era immatricolata al corso di Laurea in Economia Aziendale Internazionale (L-18) alla Link Campus “maltese” sede di Roma, allora non riconosciuta in Italia, con matricola RM09578.
Appena l’università viene riconosciuta in Italia, l’1.11.2011, risulta iscritta per l’anno accademico 2012/2013 al secondo anno di corso. Due esami le vengono “convalidati” nella stessa data dell’iscrizione 1.11.2011.
Nello stesso anno accademico 2012/2013 risulta però contemporaneamente iscritta anche al primo anno della laurea specialistica biennale in Gestione Aziendale (LM-77), con matricola cambiata, la n.1001420. E di esami nel 2012/2013 non ne dà. Perché?
Non per i tanti impegni di lavoro, ma per il fatto che solo il 14 giugno 2013 il ministero riconosce i due corsi di studio e a partire dall’anno accademico 2013/2014. E dunque per questo per la studentessa Calderone era impossibile dare esami e non finire fuori corso. E questo ha un riscontro documentale nelle date degli esami del ciclo biennale, tutti conseguiti nel triennio 2014-2016 con due anni di ritardo.
A questo si deve dunque la mancanza di “fretta e furia”, che in realtà c’era eccome, come risulta dallo statino degli esami, tanto che per due volte darà in un solo giorno due esami di Economia, pure di domenica. E anche tre esami nel giro di due settimane, tutti di domenica. Nello stesso giorno in cui in aula ribadiva la validità dei
suoi titoli, il Mur specificava che uno, in realtà, è maltese: “Al momento del conseguimento della laurea triennale l’università Link si configurava come istituzione straniera”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
IL TRUMPISMO DELLA STATISTA DELLA GARBATELLA SUPERA OGNI LIMITE NELL’INTERVISTA AL “FINANCIAL TIMES”… LA DUCETTA NON SPENDE UNA PAROLA SULLE CHAT DI SIGNAL, SVELATE DA “THE ATLANTIC”, IN CUI VANCE SI LAMENTA (“ODIO SALVARE L’EUROPA”) – LA DUCETTA SORVOLA SU TRUMP HA DEFINITO GLI EUROPEI “PARASSITI” … QUESTI NON SONO PATRIOTI, SONO TRADITORI
“Devo dire che sono d’accordo” con le posizioni espresse dal vicepresidente
statunitense JD Vance sull’Europa alla Conferenza di Monaco, “lo dico da anni… L’Europa si è un po’ persa”. Così la premier Giorgia Meloni in una lunga intervista al Financial Times.
La critica di Trump all’Europa non era rivolta al suo popolo ma, sostiene Meloni, alla sua “classe dirigente… e all’idea che invece di leggere la realtà e trovare modi per dare risposte alle persone, si possa imporre la propria ideologia alle persone”.
Giorgia Meloni nell’intervista al Financial Times ha liquidato l’idea che l’Italia dovrà scegliere tra Usa ed Europa come “infantile” e “superficiale”, insistendo sul fatto che difenderà gli interessi dell’Italia. “L’Italia può avere buoni rapporti con gli Usa e se c’è qualcosa che l’Italia può fare per evitare uno scontro con l’Europa e costruire ponti, lo farò – ed è nell’interesse degli europei”.
E definisce gli Usa il “primo alleato”: “Sono conservatrice. Trump è un leader repubblicano. Di sicuro sono più vicina a lui che a molti altri, ma capisco un leader che difende i suoi interessi nazionali”.
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
LO HA DECISO IL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI MILANO, FABIO ROIA (NONOSTANTE LA MAGISTRATA, DA FINE MESE, PASSI FORMALMENTE AD ALTRO INCARICO). TRA I MOTIVI, LA SUA “CONOSCENZA DEGLI ATTI IN UN PROCEDIMENTO CHE PREVEDE, FRA L’ALTRO, FATTI A RISCHIO PRESCRIZIONE”
Il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia ha disposto che la gup Tiziana Gueli resti applicata all’udienza preliminare, con al centro l’accusa di truffa aggravata ai danni dell’Inps, a carico di Daniela Santanchè e altri per l’udienza del 20 maggio e per tutte le successive. Giudice che, infatti, da aprile passerà dall’ufficio gip alla nona sezione penale.
Nel provvedimento Roia fa presente che occorre “garantire il principio del mantenimento dell’organo giudicante” con la “necessità di conservazione della conoscenza degli atti in un procedimento che prevede, fra l’altro, secondo l’imputazione, fatti a rischio prescrizione”.
La giudice, davanti alla quale si sono tenute già tre udienze da ottobre scorso, compresa l’ultima brevissima del 26 marzo di rinvio a fine maggio per la richiesta di termini a difesa del nuovo legale Salvatore Pino, era già stata prorogata nel suo incarico all’ufficio gip da fine febbraio fino al 31 marzo.
Nel provvedimento Roia spiega di aver sentito sia la presidente dell’ufficio gip Ezia Maccora che la stessa giudice Gueli e di aver compreso che non è possibile prorogare ancora la gup nell’ufficio, per le necessità della nona sezione penale del Tribunale, dove deve iniziare la nuova funzione
Non essendosi, però, ancora definito il procedimento a carico della ministra del Turismo, dell’ex compagno Dimitri Kunz e di un ex collaboratore esterno di due società del gruppo Visibilia, oltre che delle stesse società, per Roia va garantito, fino alla conclusione con decisione dell’udienza preliminare, “il principio del mantenimento” del giudice che conosce gli atti, visto anche, scrive il presidente, il “rischio di prescrizione”. E cita a supporto una circolare del Csm “in materia di supplenze, assegnazioni, applicazioni”.
Circolare, si legge ancora, che consente “l’applicazione ‘ad processum’ del magistrato trasferito”, quando il procedimento è “in avanzato stato di istruttoria”. E nel caso specifico la giudice Gueli il 9 ottobre ha già affrontato “questioni preliminari” e poi il 23 dello stesso mese il tema della “competenza territoriale”, risolto dalla Cassazione mantenendo gli atti a Milano. La comunicazione di Roia è stata trasmessa anche al Csm.
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
TUTTO QUESTO RACCONTA DI UN DEFICIT DI VISIONE. L’UNICA VERA RIFORMA CHE PROCEDE SPEDITA È QUELLA DELLA GIUSTIZIA. CONSENTE DI TENERE ALTO UN RACCONTO SIMBOLICO FONDATO SULLA RICERCA DEL NEMICO
L’entusiasmo dichiaratorio sul governo tra i più “longevi” della storia. Le cifre del
ritardo sul Pnrr. In questa vertigine tra entusiasmo e realtà c’è la fotografia non solo dell’oggi. Se non ci fosse la guerra che copre tutto, il bilancio apparirebbe particolarmente severo sul principio di realtà. Non c’è, innanzitutto, una vera politica economica al di là della gestione dell’esistente. Nella prima manovra c’era alibi del “siamo appena arrivati”.
La seconda fu fagocitata dalle bollette. La terza ha reso strutturale il cuneo però, nel complesso, non incide, in termini di shock per la crescita o di redistribuzione. Oltre le manovre, nell’ambito dei vincoli imposti dal patto di stabilità, per Giorgetti è stato complicato anche rimediare i tre miliardi per le bollette che coprono giusto un trimestre. E neanche la riapertura del concordato è bastata a recuperare i soldi per l’Irpef al ceto medio.
Non c’è nemmeno una vera politica industriale. Non solo l’Ilva, per cui non si è trovato un imprenditore solido. I tavoli di crisi aperti coinvolgono oltre centomila lavoratori di chimica, moda, carta, automotive. Lo stimolo agli investimenti affidato a “transizione 5.0” non funziona, anche perché troppo complicato nei suoi tredici passaggi burocratici: su 6,3 miliardi, sono stati spesi solo 400 milioni. E non c’è una vera politica per il lavoro. Il metro di questa assenza è una gigantesca questione salariale.
Tutto questo racconta certo di un adattamento alle compatibilità, ma anche di un deficit di visione. L’unica vera riforma che procede spedita è quella della giustizia. Consente di tenere alto un racconto simbolico fondato sulla ricerca del nemico. Per la serie: non siamo noi che non riusciamo a governare, sono le perfide toghe rosse che ce lo impediscono.
Ed è pressoché a costo zero, vista scarsa popolarità della magistratura nel paese, anche rispetto alle altre “madri di tutte le riforme”.
All’Autonomia, che ha un impatto al Sud, ci ha pensato la Corte. Né Calderoli
riuscito a reintrodurla con altri mezzi. Ha tentato un blitz sulla protezione civile, che mirava a trasformare i governatori in super-commissari con poteri straordinari in deroga alle norme dello Stato. È fallito per ora. Il premierato invece è inabissato, almeno fino a fine legislatura, perché l’idea è di celebrare il referendum dopo il voto sulle politiche. Prima, si rischia la ghirba.
Oltre alla separazione delle carriere e alle tante minacce di sanzioni ai magistrati se partecipano a eventi politici, sulla giustizia c’è il vuoto: è stato annunciato, da mesi, un piano per l’emergenza carceraria.
Per l’impresa è stato nominato anche un commissario ad hoc, l’ennesimo (in tutto, i commissari sono oltre una sessantina, secondo l’andazzo che, a ogni emergenza se ne nomina uno, compreso quello alla siccità).
Ebbene per la prima volta si è appalesato la scorsa settimana per varare un mini-piano che prevede la realizzazione di soli 384 posti detentivi in più. Constatata l’impossibilità di costruire nuove strutture ci si arrangerà anche con prefabbricati nei cortili delle attuali carceri. Il risultato è la famosa storia del cane e della coda: non riesci a costruire ma neanche a svuotare, anzi il contrario, complice la legislazione pan-penalista – c’è un reato su tutto da offrire alla curva – e la cultura del “buttiamo la chiave”.
L’altro caso icastico della vertigine tra propaganda è realtà è l’immigrazione. I numeri della realtà sono quelli di una “non emergenza” grazie agli accordi con l’Africa. Il racconto securitario che, anche qui, serve a compensare il resto e ad alimentare la polemica coi giudici, è l’Albania. Non funziona e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato che i centri potrebbero essere trasformati in Cpr.
Aveva promesso anche un Cpr per regione ma, al momento, non ne è stato costruito nemmeno uno.
Insomma, è un classico: il populismo si nutre della costruzione di un immaginario, più che di risultati. Ed è quel che accade anche sulla scuola, ove l’immaginario è l’Italia degli anni Cinquanta: Bibbia, latino, voto in condotta e cultura della punizione. Concretamente, le riforme sono un flop. Lo è quella dell’istruzione tecnologico-professionale
Il ministro ha parlato di un successo, in relazione alla cifra di 5.449 iscritti, in aumento rispetto allo scorso anno. Rapportati però al numero di percorsi attivati (628), la media è di 8,6 alunni per classe, insufficiente a far partire molti di quei percorsi. E lo è il famoso liceo del Made in Italy, presentato in pompa magna dalla premier: solo 412 le iscrizioni di quest’anno.
Dove non c’è neanche un racconto è la Sanità. O meglio il racconto lì è delegato alla commissione Covid, sfavillante passerella che legittima no vax e complottisti. Per il
resto agli atti c’è solo una diminuzione dei fondi in relazione al Pil, scesi dal 6,2 al 6 per cento e l’indebolimento della parte del Pnrr sulla sanità.
Come unica iniziativa è stata annunciata la riforma dei medici di famiglia con l’idea di trasformali da liberi professionisti in dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Si è arenata nel confronto con le Regioni.
Sparita dai radar anche la Cultura, dopo i fuochi d’artificio di Gennaro Sangiuliano. Il cosiddetto Piano Pirelli, una specie di piano Mattei – inarrivabile Godot del governo – sulla Cultura è pressoché una scatola vuota. Mentre il tax credit è un gigantesco problema. Dopo la paralisi di fatto del settore il 4 marzo, in vista della sentenza del Tar, è stato annunciato un decreto correttivo della precedente riforma, di cui circolano delle bozze. A proposito di immaginario. C’è un’attività in cui il governo eccelle: l’istituzione di giornate celebrative.
Alessandro De Angelis
per “la Stampa
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
ANCHE MAGISTRATURA INDIPENDENTE, LA CORRENTE VICINA ALLA DESTRA, VA ALLO SCONTRO CON IL GUARDASIGILLI SULLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA, DOPO UN INCONTRO CON LA LEGHISTA GIULIA BONGIORNO E IL FORZISTA ZANETTIN – IL LEADER DI MI, CLAUDIO GALOPPI: “QUESTA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE È UNA RIFORMA SGANGHERATA TECNICAMENTE, IPOCRITA SUI MEZZI E SUI FINI
Se era un tentativo di compromesso nel perimetro vicino al centrodestra, è fallito. La corrente più moderata delle toghe italiane, infatti, Magistratura Indipendente, forte di un successo nelle recenti elezioni interne, due giorni fa ha chiamato attorno a un tavolo i capicorrente della magistratura più alcuni politici influenti che masticano davvero di giustizia. Un’occasione lontana dalle luci della ribalta per parlarsi a cuore aperto.
Ma l’incontro è servito solo a prendere atto che le distanze sono incolmabili. Restano nell’aria le parole definitive del leader di MI, Claudio Galoppi: «Questa separazione delle carriere è una riforma sgangherata tecnicamente, ipocrita sui mezzi e sui fini, e punitiva. È netta l’impressione che sia stata impostata come regolamento di conti tra politica e giustizia»
L’incontro di mercoledì prevedeva un parterre bipartisan con i senatori Giulia Bongiorno (Lega) e Pierantonio Zanettin (Forza Italia) più le deputate Maria Elena Boschi (Italia viva) e Debora Serracchiani (Pd). I veri interlocutori, ovviamente, erano i due esponenti del centrodestra.
Era da essi che quelli di Magistratura indipendente, a cominciare da Galoppi e dalla presidente Loredana Micciché, volevano capire se ci sono ancora margini di compromesso. Tanto più che tutti avevano letto le parole sfuggite al sottosegretario Andrea Delmastro, meloniano tra i più puri, che nei giorni scorsi ha espresso seri dubbi su questa riforma. Ma sono stati gelati sul nascere.
Zanettin ha rimarcato che la riforma si farà, rapidamente, e che non si cambia di una virgola. Anche Bongiorno ha chiuso a ogni modifica in corsa. Se mai ci sarà qualche aggiustamento, hanno assicurato i due senatori del centrodestra, si faranno a riforma costituzionale approvata – quindi dopo che si sarà tenuto anche il referendum –attraverso le leggi ordinarie di attuazione. [
Tutti hanno provato a mostrarsi dialoganti, compreso il nuovo presidente dell’associazione nazionale magistrati, Cesare Parodi, che esce dalle file della stessa corrente: «Diciamo spesso tra noi che abbiamo bisogno di recuperare immagine e credibilità. La via è il dialogo interno tra noi ed esterno da noi». I magistrati della corrente moderata, spesso accusati dai colleghi di “collateralismo” con il governo Meloni, si sono però resi conto che c’è poco da dialogare.
Ogni ipotesi di modifica alla riforma è rinviata dalla maggioranza agli anni prossimi. E Giulia Bongiorno ha dato questa spiegazione: «Parlando più da avvocato che da politico – ha detto la presidente della commissione Giustizia del Senato – il dato al momento irreversibile è il crollo di fiducia da parte dei cittadini nella giustizia. Ma questa sfiducia non giova a nessuno. Non a voi, non ai politici, e neanche agli avvocati. Perché se il cittadino-imputato si convince che il suo processo è politicizzato, allora a che serve un bravo avvocato? A nulla. Per questi motivi di fondo occorre la riforma». […]
C’è poi il nodo dei pubblici ministeri. A chi insiste che non ora, tra qualche anno, però l’esito finale sarà che il pubblico ministero verrà sottoposto all’esecutivo, Giulia Bongiorno ha sfiorato il politicamente scorretto: «No, scusate, questo nella riforma non c’è e non ci sarà mai. Per un ragionamento molto semplice. Io rabbrividisco al solo pensare che il pm sia un sottoposto del ministro della Giustizia. Mi fa paura questa prospettiva.
Dico, oggi abbiamo come ministro un fior di garantista come Carlo Nordio ma non avremo Nordio per sempre, per i prossimi trentacinque anni. E se invece in futuro vincesse le elezioni un partito che non rispetta il garantismo, un nuovo Cinquestelle? E se in quel futuro diventasse ministro un loro esponente come, per dire, il senatore Roberto Scarpinato, che tanto garantista non è? Ecco la ragione per cui il pm non è e non sarà mai sottoposto al governo: perché noi che questa riforma la stiamo portando avanti, con un ministro Scarpinato non ci sentiremmo garantiti».
Reazione palpabile in sala, dove c’erano soltanto magistrati e l’ex pm Scarpinato lo conoscono bene. Risatine di alcuni. Disappunto di altri.
(da agenzie)
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