Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
TRA UN SEGNO DELLA CROCE E UNA MILIONATA DI INGAGGIO ANNUALE, AIZZARE RANCORI SOCIALI È LA SUA PERSONALE MISSIONE E MINIERA D’ASCOLTI. CHE HANNO FINITO PER TRASFORMARLO IN UN SATANASSO DEL MONOSCOPIO: “AGGIUSTATE IL VOLUME, NON SENTO UN CAZZO”
Il tono è quello del taxi driver De Niro davanti allo specchio: “Ehi! Voglio
dire all’assistente di studio che se continua a rompermi i coglioni con i suoi cartelli, mi alzo e vengo lì! È chiaro?”. Ma chi è ’sto buzzurrone in diretta tv? Un pazzo fuori dai gangheri che su Retequattro si crede Del Debbio? Oppure è un Del Debbio che è diventato matto? Ma sì.
Al netto del capello phonato, della barba sfatta, del vestito affittato per officiare in pubblico la Prima Comunione con la Meloni e il popolo sovrano, è proprio lui, Paolino Del Debbio da Lucca, che da ragazzo dell’altro secolo doveva fare il prete, in seminario a 16 anni, per poi trasvolare verso gli studi di Filosofia alla Pontificia, pregando e strascicando i piedi tra la Toscana anarchica, la sua copertura, e la Città santa del potere, la sua destinazione
Pescato, intorno ai trent’anni, dal dottor Berlusconi Silvio che lo sceglie dal mazzo aziendale, spremuto in teologia fino a rendere compatibile le virtù cardinali con lo sterco del demonio e le soubrette, buttato prima in politica, poi nella cattiva televisione, che dentro al santuario di Arcore stavano diventando la stessa cosa. Era il mitico anno 1993. Racconterà: “Un giorno il Dottore mi disse ‘sto per fondare un partito. E siccome vincerò le elezioni, mi servirebbe un programma. Ti metti là e me lo scrivi’”.
Tale fu l’emozione che, uscito stordito da Arcore, il neofita Del Debbio guidò talmente tanto “che mi ritrovai a Torino”. (…) Quando s’è scocciato di frequentare “la scuola dei deboli”, si è trasferito in quella di Sant’Agostino che lo ha condotto al matrimonio con Gina Nieri, famiglia d’alto lignaggio di Lucca, manager della emergente Fininvest, che è stata la diagonale del suo ascensore sociale, poveri bye bye.
A quel tempo serviva da assistente di Fedele Confalonieri, ammirava Martelli, votava Craxi e qualche volta i Radicali che si portano con tutto. Si vantava di dirsi liberal e liberale, nonostante gli inchini al più agguerrito tra i monopolisti in circolazione.
Ma ora che l’età si è di molto allargata, il danno degli infiniti signorsì gli hanno piegato la schiena e l’umore, voltando le sue radici di devozione populista nella quotidiana ginnastica di insolenze che fanno ridere i suoi ospiti, specialmente quelli della sinistra più sciocca, che corre contenta a fare da pietanza alla sua cena mediatica intitolata ”4 di sera”, dove gli ingredienti vengono scottati sulla brace della cronaca
voltata in politica: crimini di strada, invasione dei migranti, sicurezza nelle periferie, emergenza scippi, emergenza risse, emergenza movida.
Fino al capolavoro della sua personale Opera Rom, anno 2023, sei ore di televisione in cinque puntate di Diritto e rovescio, dedicate alle borseggiatrici, le famigerate streghe della metropolitana, come fossero anche loro emergenza nazionale, non il narcotraffico, non la mafia del suo amico Dell’Utri, meno che mai la corruzione delle élite. E guai a dissentire: “Chi pensa che le borseggiatrici non siano un problema, è pregato di andare a abitare vicino a un campo Rom”.
Aizzare rancori sociali è la sua personale missione e miniera d’ascolti. Che hanno finito per trasformarlo in un Satanasso del monoscopio, nonostante le scenografiche burbanze da parroco d’oratorio: “Aggiustate il volume, non sento un cazzo!”.
“Se vi sovrapponete vi tolgo il microfono, siete avvertiti”. Che hanno alimentato l’equivoco buonista di considerarlo un Mario Giordano di gomma piuma. O a volte un Gianfranco Funari con la mandibola e le narici scariche. In realtà la sua catechesi serale è un’aggravante: sa quel che fa e fa quel che dice, esplorare la società liquida, tuffandosi nei suoi liquami, per poi incassare, tra un segno della croce e l’altro, la sua milionata di ingaggio annuale.
Se la merita, visti gli incassi di ascolto che in apparenza fa con la mano sinistra in tasca, arrivando in studio un minuto prima della messa in onda. “È pronto il copione?” Si siede là in fondo sul gradino, accende il mezzo toscano, legge anzi, leggiucchia, si stufa, ha fretta, dice “Embè, cominciamo?”.
La formazione della squadra è fissa e collaudata: un paio di bamba comunisti a far da esca, “certo che ci vuole la patrimoniale!”, un Capezzone illividito che strilla “Zitto tu, antisemita!”, un Belpietro che furoreggia contro “la dittatura dei vaccini” e un Sallusti contro quella “delle toghe rosse”. Più la trattoria o la piazza in collegamento a dare fiato alla vox populi, vox dei, che strilla: “Ma cosa ce ne frega a noi della Palestina?!”. Giusto, bombardiamo le borseggiatrici.
Del Debbio, da antico seminarista, fa finta di credere a tutto. Persino a Giorgia Meloni, nuova titolare del potere, per la quale allestisce un’intervista in versione televendita alla Emilio Fede. Nel frattempo e per non sbagliare si dichiara “anarchico con voglia di assoluto”.
In realtà lavora, come sempre, alle strette dipendenze degli eredi, Pier Silvio & Marina, che vogliono coltivare il brivido di un nuovo centro – sempre più lontano dalla Lega di Salvini – che coniughi la destra e i diritti, lo Stato securitario con l’amore fluido, il privilegio dei ricchi, ma con tanta compassione per la povertà
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
COSA CAMBIA IN GALLERIA: I CONSIGLIERI DELLA LEGA COSTRETTI A LASCIARE I PROPRI UFFICI
Dopo un anno e mezzo di braccio di ferro i consiglieri della Lega hanno lasciato i propri uffici al primo piano della Galleria Vittorio Emanuele II, nel cuore di Milano, sopra i punti vendita di Montblanc e Piumelli per far posto ai futuri inquilini, due
nuove boutique: Balenciaga e The Bridge.
Ma torniamo all’origine. Nell’agosto del 2023 il Demanio – guidato dall’assessore Emmanuel Conte – aveva messo a gara alcuni i locali in Galleria dove attualmente si trovano Montblanc e Piumelli. Al tempo Balenciaga e The Bridge si erano aggiudicati la concessione degli store e con loro anche gli spazi situati al primo piano della Galleria, utilizzati proprio dai consiglieri della Lega come uffici. Nonostante la concessione risalga ormai a quasi due anni fa, i brand non erano, però, ancora riusciti a occupare gli spazi in questione proprio per la resistenza esercitata dai consiglieri del Carroccio. La vicenda si è poi complicata ulteriormente quando Sapori d’Italia, società che ha il marchio Piumelli, a ottobre ha presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale comunicando che non avrebbe lasciato lo store a The Bridge sino al trasloco dei consiglieri leghisti.Proprio in questi giorni è, però, arrivata la svolta che ha messo fine alla vicenda, conclusasi con lo stacco delle utenze da parte di Palazzo Marino e il trasferimento dei leghisti. Trasloco non poi così complesso dal momento che i consiglieri hanno dovuto lasciare i propri uffici per spostarsi soltanto di un paio di piani, dal primo al terzo, sopra il ristorante Savini in Galleria. A questo punto mancherebbe soltanto il trasferimento di Montblanc e Piumelli dopo il quale Balenciaga e The Bridge potranno finalmente firmare.
Ma per Montblanc non finisce qui. Il brand ha già mostrato interesse per un nuovo negozio in Galleria e per questo si è detta pronta a sfidarsi con il gruppo Damiani per avere in concessione d’uso uno store di 300 metri quadrati – con un canone di locazione a partire da 835 mila euro all’anno – per 18 anni, nato dalla riduzione degli spazi di Rizzoli. Proprio in questi mesi Rizzoli ha, infatti, effettuato dei lavori per lasciare 289 metri quadrati a un nuovo futuro inquilino. Tra poche settimane si saprà quale sarà tra Damiani e Montblanc il 44esimo negozio in Galleria.
Per i prossimi anni il Comune, con l’intento di valorizzare tutti i piani della Galleria, proseguirà nella scelta di applicare il criterio del “verticalismo” mettendo a gara anche gli spazi ai piani alti dell’Ottagono. Canone annuo: 2 milioni e 600 mila euro.
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
HA CHIESTO A MACRON E STARMER DI COINVOLGERE TRUMP AL PROSSIMO INCONTRO (MA SONO GLI USA AD ESCLUDERE GLI EUROPEI), E HA BOCCIATO IL PIANO DI “RASSICURAZIONE” PENSATO DA FRANCIA E REGNO UNITO … LA SORA GIORGIA ROSICA PERCHÉ MACRON SI SENTE AL TELEFONO CON TRUMP OGNI DUE GIORNI: È LUI AD AVERE IL RUOLO DI “PONTE” CHE SOGNAVA PER SÉ LA DUCETTA
Nelle 48 ore precedenti il summit dei volenterosi riunito ieri a Parigi, ci
sono state comunicazioni ad alto livello diplomatico tra Francia e Italia sul piano per l’Ucraina che il presidente Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Keir Starmer stanno definendo assieme ai partner europei.
I contenuti di queste interlocuzioni inquadrano con dettagli finora sconosciuti il senso di un’operazione che ambisce a costruire quel «pilastro europeo della Nato» di cui si parla da anni e non più rinviabile alla luce del disimpegno americano.
Quello che hanno discusso i funzionari governativi francesi con la diplomazia italiana, trasmesso poi a Palazzo Chigi, non dispiacerebbe del tutto a Giorgia Meloni. Al netto della personale e storica diffidenza verso il leader francese, dovrebbe essere così in teoria: perché il piano va, in parte, nella direzione da lei auspicata di modulare l’azione europea non in opposizione agli sforzi statunitensi.
Il capitolo più complicato sul quale servirà intendersi meglio è il formato e il senso della missione militare dei “volenterosi” in Ucraina che francesi e britannici stanno mettendo in piedi, e che continua a non convincere la premier italiana.
Ma è anche il capitolo più interessante e innovativo perché il dispiegamento sul terreno delle truppe europee potrebbe costituire, così lo definiscono, «un laboratorio per testare le modalità di funzionamento del pilastro europeo della Nato post-trumpiana»
Si parte da una premessa: che il sostegno alle forze armate ucraine sarà a lungo termine e dovrà dispiegarsi su due livelli.
Il primo: monitoraggio e sorveglianza di un eventuale accordo di pace, affidati a Onu e Osce, che attira l’interesse degli italiani, meno quello dei francesi, poco orientati a parteciparvi.
Il secondo prevede il coinvolgimento della coalizione dei volenterosi a garanzia dell’integrità dell’Ucraina e della difesa dei confini europei. Una doppia missione, dentro e fuori il Paese aggredito militarmente da Putin.
L’idea è di portare la missione in un Paese alleato (principalmente si parla di Romania) integrando la «coalizione dei volenterosi» a strutture di comando e controllo della Nato già esistenti. I francesi guardano al modello di Eufor Althea – prima operazione in assoluto dell’Ue, creata su mandato Onu e che andò a sostituire quella Nato, a sostegno della Bosnia Erzegovina e del suo esercito, dopo la guerra contro i serbi
Altro modello è il Berlin Plus, composto da accordi che vincolano Nato e l’Unione europea. In questo caso andrebbe rimodellato sulla “coalizione dei volenterosi”, perché non tutti i Paesi Ue parteciperebbero.
Questa soluzione garantirebbe l’azione europea sul terreno in coordinamento con un eventuale backstop statunitense. Ed è un passaggio che potrebbe far cadere molte delle resistenze di Meloni: perché andrebbe a rafforzare il pilastro Ue della Nato senza duplicazioni.
Sarebbe già pronto un meccanismo per attuare il progetto: è il Cjef, Combined Joint Expeditionary Force, task force che mette in comune forze armate di Parigi e di Londra.
Le sue strutture riceverebbero il comando della missione a guida anglo-francese. In attesa di pianificare il numero di uomini necessari e dei Paesi disposti a farne parte, il governo britannico starebbe insistendo molto anche sulla necessità di una copertura aerea, un modo anche per tenere dentro gli Stati Uniti, e su una deterrenza navale.
Il confronto con i francesi ha permesso ai diplomatici italiani di chiarire a Farnesina e Palazzo Chigi i contorni del piano di Macron e Starmer e di offrire uno scenario di opportunità: perché il pilastro europeo della Nato avrebbe il suo seme nei meccanismi sperimentati ai confini est dell’Europa.
In questo senso i funzionari ministeriali francesi hanno spiegato ai diplomatici che Macron non comprende del tutto il perché della riluttanza di Meloni, che si spiegherebbe solo non nell’ottica di una competizione politica considerata fuori luogo dal presidente francese, in questa fase storica dove è necessaria, sostiene, «l’unione di tutti i leader europei».
Anche perché, come riferito alla controparte italiana, Macron si sente al telefono con Trump ogni due giorni, e quotidianamente con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. È lui ad avere quel ruolo di “ponte” tra Washington e Bruxelles con cui Meloni si era proposta una sera di inizio gennaio, con un improvviso blitz aereo nella villa di Trump, a Mar-a-Lago, Florida.
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
NEL DISCORSO DI IERI CON I VERTICI DELL’AERONAUTICA MILITARE, IL CAPO DELLO STATO HA SFERZATO L’IMMOBILISMO UE SULLA DIFESA COMUNE, ALLUDENDO INDIRETTAMENTE ANCHE AI DISTINGUO DELLA MELONI SULLA COALIZIONE DEI “VOLENTEROSI”: “LE DECISIONI NON SONO PIÙ RINVIABILI”… IL SOTTILE RIFERIMENTO ALL’UOMO PIÙ RICCO DEL MONDO SULL’USO “SPREGIUDICATO” DEL DOMINIO SPAZIALE” E LA DIFESA DEL RUOLO DELLE FORZE ARMATE
Che sia la Nato a ripararci sotto il suo ombrello, come è avvenuto negli ultimi 70 anni, o che d’ora in avanti vi provveda l’Europa, per Sergio Mattarella una cosa è certa: ogni decisione dev’essere presa in fretta.
Scelte così urgenti non possono più essere posticipate perché, di rinvio in rinvio, si sta mettendo a rischio la pace presente e anche quella futura. Sarà pure una coincidenza, ma le preoccupazioni espresse dal Presidente in un incontro ieri al Quirinale coi vertici dell’Aeronautica militare hanno trovato immediata conferma nel summit parigino tra i Paesi Volenterosi. Di passi avanti se ne vedono ben pochi.
Altra convinzione di Mattarella: viviamo in un mondo sempre più pericoloso dove «le tensioni globali, la competizione – piuttosto caotica in verità – tra le potenze per il dominio del mondo, le nuove minacce ibride» alla sicurezza stanno alterando il contesto di regole internazionali faticosamente costruito nel secondo dopoguerra.
Ci stiamo addentrando nell’ignoto anche sul piano strettamente militare, per effetto dell’intelligenza artificiale applicata agli armamenti e di un «uso spregiudicato del dominio spaziale» su cui il capo dello Stato più volte, negli ultimi tempi, ha richiamato l’attenzione con riferimento alle imprese di Elon Musk (e non solo quelle del tycoon).
Rinunciare a difendersi in un simile contesto sarebbe un azzardo imperdonabile. Di più: rappresenterebbe un incentivo a chi vuole risolvere le controversie ricorrendo alla forza bruta, come in Ucraina.
Mattarella rammenta uno per uno i motivi per cui agli eserciti non è possibile rinunciare con parole che a qualche anima bella, forse, non faranno piacere. Anzitutto, spiega il Presidente, le Forze Armate difendono il Paese e i suoi ordinamenti; in Italia rappresentano un saldo presidio della democrazia; inoltre operano in un «approccio di deterrenza e prevenzione», come esige la Costituzione repubblicana, per evitare le guerre prima ancora che possano deflagrare. Non è tempo, purtroppo, di profeti disarmati.
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
L’ITALIA DELL’AUTO SI GIOCA UNA PARTITA CHE VALE 4,5 MILIARDI DI ESPORTAZIONI
L’Italia dell’auto si gioca con l’America di Trump una partita che vale più di
quattro miliardi e mezzo di esportazioni, tra auto e componentistica, e una bilancia commerciale positiva per 3,2 miliardi.
Certo, rispetto agli oltre 30 miliardi della Germania, potrebbero sembrare poca cosa. Ma resta il fatto che gli Usa sono il primo mercato per le auto fatte in Italia – 27% di quota, generando un saldo positivo a fronte di una bilancia commerciale negativa per 20,2 miliardi – e la prima area di destinazione extra Ue per i componenti.
Il punto però è che i dazi annunciati dall’amministrazione Trump avranno effetti sulle diverse catene di fornitura, incrociate più che mai, a cavallo tra Italia e Germania, oltre che tra Europa, Messico e Canada.
«L’impatto sulla filiera italiana è importante perché oltre a esportare componenti per oltre 1,2 miliardi – spiega Gianmarco Giorda, direttore dell’Anfia – dobbiamo considerare le nostre aziende che vendono a costruttori tedeschi, che a loro volta producono in Europa e che saranno colpiti dai dazi.
Terzo aspetto è che molte aziende della componentistica hanno investito soprattutto in Messico (tra loro ci sono Brembo, Pirelli, Eurogroup Laminations, Proma, Ask Group , ndr), con plant produttivi in grado di soddisfare la domanda locale, anche
queste potrebbero essere indirettamente colpite dai dazi imposti da Trump».
Alla partita economica delle esportazioni dirette verso gli Usa, dunque, va aggiunto almeno un miliardo di euro di esportazioni verso il Messico, valore quasi raddoppiato in due anni. Un ulteriore accento va messo sulla forte interconnessione che c’è tra le filiere italiane e l’industria tedesca dell’auto: la Germania è il paese da cui importiamo e a cui esportiamo più componentistica automotive, rispettivamente il 24,4% ed il 19,9%.
Più in generale, parte dell’indotto auto domestico, spiega Alberto Dal Poz, ceo della Comec ed ex presidente di Federmeccanica, «lavora come Tier2 o 3 per imprese insediate in Europa ma che servono i costruttori americani. In questi anni le aziende americane hanno spostato molti dei loro acquisti in Europa, e non solo nel settore dell’auto.
Ci preoccupa che i dazi possano colpire anche le operazioni intragruppo, condizionando nell’immediato le commesse che stiamo quotando in queste settimane».
Quanto alle auto esportate, il mercato americano ha assorbito l’anno scorso 30mila autovetture Made in Italy, tra queste 3.400 Ferrari. La fascia lusso pesa sulle esportazioni, lo dimostra il fatto che il volume di export di autoveicoli verso gli Usa si è drasticamente ridotto del 64% tra 2023 e 2024, a fronte però di un valore che si è invece contratto soltanto del 28%.
(da il Sole 24 Ore)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
I COSTRUTTORI: “SERVE LA REAZIONE UNITA DELL’EUROPA” – SOLO DI RICAMBI DEI VEICOLI, NEI PRIMI UNDICI MESI DEL 2024, LA FILIERA DEL NOSTRO PAESE HA INVIATO VERSO GLI STATI UNITI OLTRE 1,5 MILIARDI
«Un errore madornale non pianificare una indipendenza dell’Europa e di conseguenza dell’Italia, dai dazi minacciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump». Questa l’immediata reazione di Roberto Vavassori, presidente dell’Anfia, l’associazione che raggruppa i costruttori italiani dell’automobile.
Come reagiranno l’Europa e l’Italia?
«L’Europa è un mercato composto da oltre 500 milioni di persone, maggiore di quello americano che ne conta poco più di 340 milioni, dunque può far sentire la sua voce con autorità, operando come un unico ecosistema, ossia con la massima unione».
Quali decisioni possono essere prese?
«Servono fatti concreti considerando anche il settore dei ricambi Usa che vale 100 miliardi di dollari all’anno, di conseguenza anche quello della componentistica italiana può essere penalizzato duramente e indirettamente. Nei primi undici mesi del 2024, la filiera del nostro Paese ha inviato verso gli Stati Uniti oltre 1,5 miliardi».
Noi forniamo anche le case straniere?
«Certo, i costruttori premium tedeschi, come Bmw e Mercedes, esportano in America
ma acquistano molta parte della nostra tecnologia, di conseguenza la nostra catena produttiva verrebbe danneggiata».
Che ripercussioni ci potranno essere per Ferrari e Lamborghini?
«Per Ferrari gli Usa rappresentano il primo Paese di esportazione, così come per Lamborghini che vende più di un terzo della sua produzione. Si attendono dall’Unione europea risposte rapide, senza farsi influenzare dalle esigenze dei singoli governi».
Quale la regione che può essere più sfavorita?
«La nostra regione maggiormente colpita […] è la Sardegna che domina l’export dei prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio»
(da Corriere della Sera)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
HEGSETH HA SEMPRE NEGATO DI AVER AVUTO PROBLEMI DI ALCOLISMO, NONOSTANTE LE TESTIMONIANZE DEI SUOI EX COLLEGHI: “SENTIVAMO L’ODORE DI ALCOL SU DI LUI, E PARLAVA DEI POSTUMI DI SBRONZE”
Il candidato per la carica di segretario alla Difesa Pete Hegseth beve
direttamente da una bottiglia di champagne e si tuffa in una vasca piena di alcol, in una vecchia clip che riemerge dalla trasmissione “Fox News’ All American New Year Live from Nashville”.
Nella clip, Hegseth, 44 anni, veniva raggiunto dalla moglie Jennifer Rauchet e dai figli sul palco per festeggiare il capodanno 2023, mentre diceva: “Stasera alziamo i calici e beviamo tutti insieme”
Hegseth fu poi estratto per un’immersione particolare, cosiddetta “dunk tank”
Secondo Meidas Touch, diversi conduttori di Fox News hanno affermato che la vasca era stata riempita di champagne, e hanno visto addirittura versarvi il contenuto di alcune bottiglie.
Hegseth si è rapidamente infradiciato, e quando è riemerso per prendere aria, “ha bevuto un sorso dalla bottiglia” e “ha proceduto a versarsi in bocca lo champagne dalla vasca”.
Secondo quanto veniva riferito, poi, l’allora personaggio televisivo scherzava: “Mi faccio un altro drink, se va bene”, prima di immergersi di nuovo nello champagne.
Hegseth continua a negare di avere avuto problemi di alcolismo, nonostante diversi dipendenti attuali ed ex di Fox News hanno affermato di aver “sentito l’odore di alcol su di lui prima che andasse in onda” e di averlo sentito parlare di “postumi di una sbornia” sul set.
Hegseth ha accusato la NBC di aver inventato le fonti anonime della rete televisiva, prima di esortare i critici a “controllare ogni nastro” per trovare prove del fatto che fosse “ubriaco in onda”.
Tuttavia, non è chiaro se Hegseth fosse effettivamente ubriaco all’evento di Capodanno. Il video riemerso sembra essere solo una prova del fatto che abbia bevuto in diretta televisiva mentre celebrava la festa, a meno che la vasca d’immersione e il contenuto della bottiglia non fossero effettivamente champagne.
Come già riportato da OK!, Hegseth ha anche negato di avere problemi con l’alcol a Megyn Kelly durante una recente apparizione nel suo show.
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
MACRON SE NE FREGA (GIUSTAMENTE) DELL’UNANIMITÀ: SI ANDRA’ AVANTI CON CHI CI STA: L’OBIETTIVO È FORNIRE A KIEV SUPPORTO LOGISTICO, STRATEGICO, TECNICO, ADDESTRAMENTO, SORVEGLIANZA, PROTEZIONE DELLE INFRASTRUTTURE CRITICHE O SUPPORTO ALLA DIFESA AEREA
Keir Starmer e Volodymyr Zelensky escono insieme nel cortile dell’Eliseo, accennando un sorriso. Il presidente ucraino riparte dal vertice parigino ringraziando per «il sostegno incrollabile» degli alleati e le «numerose proposte » ricevute in materia di difesa antiaerea, presenza nel Mar Nero e investimenti nell’industria bellica ucraina.
Ma poi subito ammette che sulla «forza di rassicurazione» che Kiev chiede come seconda linea rispetto all’esercito ucraino in caso di un cessate il fuoco ci sono state «più domande che risposte». La richiesta di Zelensky divide. Mandare truppe occidentali in Ucraina comporta per molti leader, di cui è capofila Giorgia Meloni, troppi rischi militari e politici, in uno scenario altamente volatile.
«Non c’è stata unanimità» ammette Emmanuel Macron, citando le differenze di «contesto politico» nei Paesi più reticenti. Il leader francese però aggiunge: «Non abbiamo bisogno dell’unanimità». Francia e Regno Unito vogliono andare avanti su un’iniziativa a cui danno un valore simbolico per l’affermazione di una autonomia strategica del continente, con un rafforzamento della Nato in chiave europea.
Già nei prossimi giorni partirà per Kiev una missione militare franco-britannica per un piano di rafforzamento dell’esercito di Kiev e l’invio di una forza di rassicurazione composta di militari di alcuni paesi europei e Nato in caso di cessate il fuoco totale e poi di negoziati di pace. È uno scenario ancora lontano.
I partecipanti al vertice parigino si sono mostrati scettici sulla reale volontà del Cremlino di porre fine al conflitto. Macron ha descritto così la strategia di Mosca: «Fingere di aprire negoziati per scoraggiare l’avversario e intensificare gli attacchi». […] Per quanto incerto, il percorso verso la pace va preparato. Secondo Macron, la forza di rassicurazione non dovrebbe occuparsi di «mantenimento della pace, né dovrà essere presente lungo la linea di contatto, né sostituirsi alle forze ucraine».
L’obiettivo è fornire a Kiev supporto logistico, strategico, tecnico, addestramento, consulenza strategica, sorveglianza, protezione delle infrastrutture critiche o supporto alla difesa aerea. «Saranno gli ucraini a indicarci le necessità su luoghi e numero di uomini – ha precisato il leader francese – affinché sia una forza credibile. Non escludiamo nulla, sia al livello marittimo, aereo e terrestre».
Alcuni alleati europei si oppongono all’idea di inviare truppe senza un chiaro sostegno americano e senza un mandato internazionale. […] I volenterosi pronti a seguire Londra e Parigi sono Canada, Australia, Olanda, Danimarca e altri paesi della coalizione Joint Expeditionary Force come Svezia, Norvegia, Danimarca, Lituania, Estonia e Finlandia. Tra i più contrari ci sono invece l’Italia, ma anche la Polonia.
L’ipotesi è stata definita «prematura» sia dal premier ceco Petr Fiala che dal governo di Pedro Sanchez. Molto dipenderà da quanto gli Stati Uniti saranno disposti
a sostenere gli alleati. L’inviato di Trump, Steve Witkoff, ha criticato il piano di Starmer e Macron. «È una posa» ha detto, sottolineando di non vedere la necessità di un dispiegamento di forze europee per garantire la sicurezza. […] Sull’ipotesi, scontata, di un veto della Russia su questa forza di rassicurazione da schierare in Ucraina, il leader francese ha risposto così: «Posso rassicurarvi sul fatto che non c’è bisogno dell’accordo della Russia. Ci basiamo sul diritto internazionale e non è la Russia che deciderà che cosa succede sul territorio ucraino». Mosca già protesta e minaccia rappresaglie.
(da agenzie)
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Marzo 28th, 2025 Riccardo Fucile
LA LAZIO OGNI ANNO, DAL 2005 QUANDO LOTITO HA PRELEVATO IL CLUB, VERSA AL FISCO 5,65 MILIONI CHE VANNO A COMPENSARE I 140 DI BUCO LASCIATI IN PASSATO PER IL MANCATO PAGAMENTO DI IRPEF E IVA
«Hai avuto problemi con le tasse? Benissimo. Io Stato ti do dieci anni per pagare,
ma poi stop. A quel punto, se non lo fai, vuol dire che o sei morto o che non vuoi pagare.
E io ti denuncio per frode». La ricetta di Claudio Lotito per affrontare l’evasione fiscale è molto semplice: «Sconti a chi è fedele e ha sempre pagato tutto e carcere per gli evasori. Come in America. Lì per queste cose ti mettono dentro e buttano la chiave».
«Dobbiamo fare delle scelte. Qui abbiamo tremila miliardi di debito pubblico, e dobbiamo ripagare il Pnrr, e 1.200 miliardi di tasse non riscosse, ma è possibile?» ripete il senatore di Forza Italia impegnato in questi giorni in commissione Finanze nelle audizioni sulla proposta della Lega di una nuova rottamazione delle cartelle.
«La nuova rottamazione ok, ma poi le cose devono cambiare. Io sono un cittadino modello, pago tutto, e allora fammi uno sconto: dieci, venti per cento» dice Lotito. Per gli evasori nessuna pietà. «E bisogna cercare i veri proprietari delle società, che usano teste di legno come amministratori. La Lazio, per esempio: è la mia, ma tra i soci non mi vedi. Solo alla fine della settima catena di controllo risulto proprietario effettivo».
(da agenzie)
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